L'origano e la buona scrittura. Non tutti i consigli funzionano

L’origano e la buona scrittura
Un esercizio pratico

Ci sono modi di dire che con me non hanno alcun significato. Uno di questi è senza dubbio “essere come il prezzemolo”, inteso di stare dappertutto, onnipresente in ogni circostanza, come il prezzemolo che in cucina viene usato in ogni ricetta, si infila in qualsiasi preparazione, fosse anche solo come cornice estetica nell’impiattamento finale. Beh, io detesto il prezzemolo. Non lo posso soffrire e nella mia dispensa non c’è.
Però potrei riscrivere questa espressione usando tranquillamente l’origano. Vivrei di origano. Per me una pizza senza origano non è una vera pizza. E potete abbondare di origano che non mi dispiace affatto. Mi va bene anche sulle carni, sulle uova, pure sul pesce. Salta in padella con olio extravergine buono, magari pugliese, qualche fetta di pane vecchio e accarezzalo ben bene di origano. Ecco dei crostini eccezionali.

Siccome di origano ne ho un consumo smodato, oltretutto il profumo delle foglioline fresche è decisamente più intenso della spezia essiccata, ho cercato negli anni di coltivarlo da me, sognando grandi vasi di origano sul mio balcone. Con scarsissimi e fatali risultati, perché l’origano è una pianta del Mediterraneo, un’erbacea perenne sì, ma che ama il caldo in tutte le stagioni. Cresce spontaneamente con temperature miti e ambienti soleggiati, specialmente lungo le zone costiere, mentre io vivo nella nebbiosa e umida pianura padana, con un clima abbastanza estremo in questo ultimo decennio, dal torrido deserto alle gelate improvvise. L’origano non spunta lungo i fossati e l’ennesima piantina presa al vivaio non supera l’inverno. A volte nemmeno metà estate…

L’ultimo vaso di origano, defunto oramai da qualche anno, me l’aveva regalato un caro amico del veneziano. Rigoglioso e profumato, quel piccolo cespuglio era preso dalla sua pianta di dieci anni, che ogni primavera gli regalava una fioritura ricca, senza particolari cure, riparata dal freddo solo da una piccola tettoia e nulla più. Mi raccomandò di lasciare qualche stelo lungo fino al fiore, così che il fiore essiccato cadesse sul terreno, rigenerando la pianta stessa con nuovi germogli. Mi spiegò anche di darle acqua, ma non troppa, bastava tenere il sottofondo un po’ umido. E di lasciarla sempre fuori sul balcone, protetta dal vento, proprio come era la sua. Piante resistenti, vivono anche in montagna, disse convinto.
Purtroppo non è andata così bene. Mi è morta ugualmente, pur avendo superato due inverni, il secondo dentro una serra non riscaldata per cercare di proteggerla dalla neve. Non abito nel veneziano e il clima nell’entroterra è più rigido senza la mitigazione del mare. Alla fine la pianta sembrava morta per il secco, almeno così credo, e non è riuscita a rigenerarsi dai suoi fiori.

Nell’ultima vacanza di luglio in Puglia, stavo cercando un vivaio per portarmi a casa una pianta autoctona. Magari l’origano della Puglia è più resistente dell’origano emigrato in Veneto, chi lo sa. Quando ci siamo fermati nel negozietto di un vecchio frantoio, produzione propria di olio, marmellate, pomodori secchi, olive, capperi, peperoncini e origano, profumatissimo origano in enormi sacchetti, ho chiesto consiglio al proprietario dove potessi acquistare una piantina di origano. Mi ha guardato stranito, come se non avesse capito la richiesta, o fosse troppo assurda. L’origano è vegetazione spontanea lì da loro, perché accidenti vuoi pagare per una pianta selvatica?! 😀
Allora ho cominciato a spiegargli che da noi, su al Nord, l’origano difficilmente supera la stagione fredda, non riesco a farlo rinascere e sono rimasta di nuovo senza. Mi ha fatto qualche domanda, quel tanto per comprendere che, a suo dire, sbaglio approccio nella coltivazione: vanno tagliati tutti gli steli lunghi, che tanto poi la pianta ricresce sempre da sotto, e se arrivano così tanto lunghi è pure perché gli sto dando troppa acqua. In ogni caso, per avere una nuova piantina, basta sbriciolare giusto un po’ di origano secco sul terreno e subito cresce da solo, non ci vuole tanto!
Ho annuito con la testa, ma nel frattempo pensavo che io non abito nemmeno in Puglia, figurati se da quattro foglioline mi nasce una pianta!

Entrambi mi hanno dato dei consigli che funzionano, per loro. Entrambi sono convinti delle proprie idee, frutto dell’esperienza diretta. Ma il primo metodo non ha avuto risultati per me, ci ho provato ma niente, la povera piantina stecchita in poco tempo. Il secondo criterio per ora parrebbe di sì, soprattutto perché in questo agosto abbiamo lo stesso clima della Puglia pure in Veneto. Appena rientrata a casa, ho preso l’ennesima piantina di origano al vivaio, in accoppiata con un’altra di timo limone, altrettanto profumato. Ho da poco tagliato i rami lunghi con i fiori e dopo qualche giorno nuovi steli sono comparsi alla base. Ma quando arriverà l’inverno, e le temperature scenderanno? Mi ha raccomandato solo di dare meno acqua, ma solo la prossima primavera lo scoprirò.

E la buona scrittura? Cosa diamine mi associa l’origano alla buona scrittura?!
Beh, pure per la buona scrittura ognuno dice la sua, tanti consigli, tutti diversi, spesso contraddittori, e non è detto che possano funzionare bene anche per te. Tocca provare e riprovare, esercitarsi e allontanarsi per osservare il risultato da lontano. Buono o cattivo, chi lo può dire?
Così proprio in un recente post di Giulio Mozzi, scrittore, consulente editoriale per Marsilio Editori e direttore della prestigiosa Bottega di narrazione, sul tema della buona scrittura ho trovato un esercizio pratico interessante su un testo di Sveva Casati Modignani, autrice di narrativa rosa. Volete cimentarvi anche voi? 🙂

La buona scrittura secondo Giulio Mozzi

Qualche giorno fa, sul suo profilo Facebook Giulio Mozzi ha pubblicato un’interessante riflessione sulle caratteristiche della cattiva scrittura, come riconoscerla e perché anche un romanzo con una cattiva scrittura può avere tanto successo: Ecco un esempio di cattiva scrittura
La sua analisi parte dalla prima pagina del romanzo Segreti e ipocrisie di Sveva Casati Modignani, che riporto qui per voi lettori.

Alle nove del mattino di venerdì, 21 dicembre, l’avvocato Carlotta Biffi uscì dall’ascensore direttamente nell’atrio dello studio legale Crespi-De Gasperi-Valli, al sesto piano di un palazzo moderno in via Montenapoleone. La accolse il brusio ovattato delle voci che provenivano dai vari uffici e lo scalpiccio discreto dei passi di chi saliva o scendeva la scala interna che collegava i due piani dell’importante studio milanese in cui lavoravano avvocati con varie specializzazioni, consulenti, praticanti, stagisti, impiegati.
“Buongiorno avvocatessa”, la salutò l’addetta al ricevimento con uno sguardo di ammirazione, perché Carlotta era bella, elegante e molto gentile, dote non comune tra le persone di successo.
L’avvocato Biffi ricambiò il saluto e si avviò verso il suo ufficio, mentre Giulia, la sua segretaria, avvertita dalla collega del ricevimento, le andava incontro. Le due si scambiarono un sorriso e Carlotta le consegnò guanti, sciarpa, cappotto.
Entrò nella sua stanza e rivolse a Giulia uno sguardo incuriosito, perché sulla scrivania, in un vaso di cristallo, campeggiava un enorme fascio di ortensie, degno della scenografia di un film di Luchino Visconti.
“I fiori sono stati consegnati mezz’ora fa insieme a questa busta”, spiegò la segretaria porgendogliela, e uscì dall’ufficio.
Carlotta l’aprì ed estrasse un biglietto su cui erano scritte, con una grafia nervosa che conosceva bene, poche parole: “Anch’io ti amo. Gianni”.

Alla prima lettura personalmente non vedo difetti gravi in questo testo, ma Giulio Mozzi subito dopo spiega che questa è cattiva scrittura “perché spiega tutto, perché la narrazione è rimpinzata di informazioni spiattellate, perché nulla è lasciato all’immaginazione di chi legge.” Riprendendo anche Umberto Eco nel suo saggio Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi secondo il quale “un testo è una macchina pigra che esige dal lettore un fiero lavoro cooperativo per riempire spazi di non-detto o di già-detto rimasti per così dire in bianco”. Ci sono quindi testi che grazie a quegli spazi bianchi costringono il lettore a lavorare con la mente e l’immaginazione ed altri, come questo di Sveva Casati Modignani, che non lascia alcun spazio bianco, tutto è detto in ogni particolare, al lettore non è richiesto alcuno sforzo, la lettura risulterà un’esperienza alquanto rilassante. “Nessun bisogno di pensare, nessun bisogno di capire, nessun bisogno di immaginare. Questo spiega il successo” continua Giulio Mozzi nella sua osservazione. Però ci sono altri tipi di lettori, emancipati, intraprendenti o semplicemente curiosi, che preferiscono essere coinvolti attivamente nella lettura, tenere ben sveglia la propria mente mentre costruisce proprio all’interno di quegli spazi bianchi.
Per spiegarci meglio il tutto, Giulio Mozzi prova a riscrivere il paragrafo in questo senso, aprendosi un varco tra le righe e creando quegli spazi aperti all’immaginazione.

Alle nove del mattino di venerdì 21 dicembre Carlotta Biffi uscì dall’ascensore direttamente nell’atrio dello studio. La accolse il brusio delle voci che provenivano dagli uffici e lo scalpiccio dei passi di chi saliva o scendeva la scala interna.
“Buongiorno avvocato”, la salutò l’addetta al ricevimento.
“Buongiorno, Emma”.
Carlotta si avviò al suo ufficio. Giulia, avvisata da Emma, le venne incontro. Sorrisi. Carlotta le consegnò guanti, sciarpa, cappotto.
Sulla scrivania, in un vaso di cristallo, campeggiava un enorme fascio di ortensie.
“Sono arrivate mezz’ora fa”.
Giulia le porse una busta.
Carlotta l’aprì. Conosceva bene quella grafia nervosa. “Anch’io ti amo. Gianni”.

Un taglio drastico, se contiamo il numero delle battute, dove è rimasta l’informazione basilare. L’unica aggiunta è il nome all’addetta del ricevimento, per semplificare la comunicazione con la segretaria. Secondo Giulio mozzi, non occorre esplicitare che l’avvocato/avvocatessa è “bella, elegante e molto gentile”, ce ne accorgeremo dal suo comportamento nelle prossime pagine. Si può togliere il luogo comune, un modo di dire conosciuto a tutti, che la gentilezza è una “dote non comune tra le persone di successo”, anche questo trasparirà dal diverso atteggiamento della protagonista. Non è necessario evidenziare che lo studio milanese è “importante”, indicarne l’ubicazione in via Montenapoleone e che ci lavorano “avvocati con varie specializzazioni, consulenti, praticanti, stagisti, impiegati”, è sufficiente lasciare la scala interna per lasciar intendere al lettore la dimensione dell’ufficio, delle sue sale e dei lunghi corridoi. “Forse l’unica informazione che Sveva Casati Modignani fa passare tra le righe,” spiega Giulio Mozzi, ” è quella implicita nel nome dello studio: che Carlotta Biffi sarà bella, sarà gentile, sarà brava, ma non è tra i titolari dello studio. Non è nemmeno ai primi passi della carriera (sennò sarebbe arrivata in studio alle sette, massimo alle otto, non alle nove!): è in uno stato intermedio, dal quale può salire ma anche cadere.” Accidenti, alla prima lettura era proprio un aspetto che m’era sfuggito… 😀

Un esercizio pratico

La prima versione, l’originale di Sveva Casati Modignani, non mi dispiace del tutto, anche se tanti dettagli li posso comprendere in un giallo o un thriller, dove il lettore va proprio a caccia dei particolari. Mi aspetto un cadavere nelle pagine successive e un’indagine della polizia che andrà a verificare gli spostamenti della protagonista. Dov’era quella mattina del 21 dicembre? Perché mai il maggior indiziato le ha inviato un mazzo di ortensie? Forse le ortensie sono pure un messaggio in codice? La segretaria può davvero testimoniare la sua presenza nell’ufficio alla tal ora?
Quello stile stride un po’ con i miei gusti in quanto a romanzi rosa, dove le descrizioni minuziose le lascerei per altri momenti piccanti.

La seconda versione, quella di Giulio Mozzi, la trovo estremamente asciutta. Mi sembra di passare da una lasagna alla bolognese stracolma di besciamella, tanto da soffocare il ragù, al riso in bianco, un filino di olio evo e una spolverata di Parmigiano, ma poco poco. Insomma, ho già il mio piano alimentare, mi piace anche il riso in bianco, ma devo stare a dieta pure nella lettura? Non si può avere una salutare, ma gustosa, via di mezzo? Mi sono già cimentata nella riduzione di una storia per la pubblicazione (come ho scritto nel post Come editare e ridurre un testo del 40%), ma c’è pur sempre un limite oltre il quale la narrazione perde il suo valore. Invece degli steli lunghi lunghi di origano, qua abbiamo tagliato quasi tutto alla radice, resiste solo qualche fogliolina solitaria!
Mi sembra un po’ troppo poco per un romance. Non avverto il particolare coinvolgimento che mi aspetterei da una storia di sentimenti.

Uno dei consigli di scrittura più famosi di Chuck Palahniuk è “Write the book you want to read” (trad. Scrivi il libro che vorresti leggere). Quindi mi sono chiesta: come lo vorrei leggere io questo incipit? Se provassi a riscriverlo, cosa ne potrebbe venire fuori? Ci ho lavorato un paio d’ore, perché non è tanto modificare le parole degli altri, leggermente più semplice che stravolgere le proprie, quanto entrare in sintonia con le loro idee, le loro trame, e cercare una prospettiva diversa. Oltretutto ho solo questo piccolo paragrafo, non ho letto il romanzo, non so quale sia l’esatta direzione della storia, cosa posso o non posso azzardare. Proprio per questo, è un ottimo esercizio.

Alle nove del mattino di quel venerdì di dicembre, a pochi giorni dal Natale, l’avvocato Carlotta Biffi uscì dall’ascensore direttamente nell’atrio dello studio legale Crespi-De Gasperi-Valli, due piani importanti in un palazzo moderno di via Montenapoleone. La accolse come sempre il brusio delle voci e lo scalpiccio dei passi di chi saliva o scendeva la scala interna, un sottofondo incessante durante le sue giornate lavorative.
“Buongiorno avvocato”, la salutò l’addetta al ricevimento con uno sguardo di ammirazione, perché Carlotta era bella ed elegante, ma soprattutto molto gentile, dote non proprio comune in quell’ambiente.
“Buongiorno Emma”.
Carlotta si avviò dritta verso il suo ufficio, mentre la sua segretaria Giulia, avvisata all’interfono proprio da Emma, le andava incontro. Si scambiarono solo un sorriso, mentre Carlotta le consegnava guanti, sciarpa e cappotto.
Sulla scrivania, in un vaso di cristallo, campeggiava un enorme fascio di ortensie, le corolle che sfumavano dall’indaco al rosa intenso. Chi le aveva detto che nel linguaggio dei fiori rappresentavano un amore ardente e profondo, unico e sincero, nonostante le difficoltà? Forse sua zia Clotilde, ma non ne era sicura. Qualcuno le aveva pure raccontato che nella tradizione popolare cinese sono invece considerate piante porta sfortuna, simbolo di tristezza e di solitudine.
“Sono stati consegnati mezz’ora fa”, spiegò Giulia. Le porse una piccola busta e uscì dall’ufficio.
Carlotta l’aprì ed estrasse un biglietto tinta avorio. Poche parole e una grafia nervosa che conosceva bene. “Anch’io ti amo. Gianni”.

Sono andata in aggiunta. Se deve essere un romance, prepariamo il terreno giusto, mi sono detta. Togliamo la descrizione precisa dei fatti, da indagine della polizia in arrivo al prossimo capitolo, e inseriamo invece degli elementi che portino in campo le emozioni. Le ortensie, perché sono lì? Cosa mi significano? Perché le ortensie e non le rose? Siccome noi signore non giriamo col bignami del significato dei fiori in borsetta, magari un indizio si può inserire per le meno esperte. Parafrasando la famosa frase di Anthon Cechov (“Se nel primo atto hai appeso una pistola al muro, nel prossimo dovrebbe essere usata.”), se un innamorato manda all’amata un bouquet di ortensie al posto delle più classiche rose rosse, ci dev’essere un motivo e dovresti fornirmi qualche informazione in merito.

Al contrario delle scelte stilistiche di Giulio Mozzi, ho lasciato il nome dello studio legale per rendere più trasparente la mancanza del cognome Biffi tra i titolari, inquadrando da subito la sua situazione lavorativa. Così come ho preferito mantenere il riferimento a via Montenapoleone, una delle zone più lussuose di Milano, sia perché mi piace un’ambientazione reale in un romanzo, sia perché c’è una bella differenza con uno studio legale a Borgo Tre Case, frazione di Borgo Dieci Case (riferimento al film Il ragazzo di campagna con Renato Pozzetto).
Soprattutto ho lasciato che Giulia esca dall’ufficio prima che Carlotta apra e legga il biglietto, come era nel testo originale, lasciandole un minimo di privacy. Bisogna stare attenti con l’editing, a furia di tagliare si rischia di far sparire anche il cadavere dall’obitorio… 😀

Volete provare anche voi?

“Riscrivere, credetemi, è uno degli esercizi più utili che ci siano.” Così chiude il post di Giulio Mozzi.
Volete dunque provare anche voi lettori a riscrivere questo incipit a modo vostro? Come lo vorreste leggere, aggiungendo o togliendo, lasciando spazi bianchi o riempiendone altri. Non ho consigli di buona scrittura da darvi, dovete trovare la vostra strada.
Come con l’origano. Non è detto che il metodo degli altri possa andare bene anche per te, per la tua piantina di origano, nel luogo ove abitualmente risiedi, con condizioni di luce differenti, un clima più o meno rigido, dove pure l’acqua ha un altro sapore. Puoi ascoltare quello che ti consigliano, ma poi è proprio la piantina e il suo stato di salute a dirti se stai procedendo bene. 😉

 

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Comments (24)

Sandra

Ago 06, 2022 at 5:11 PM Reply

Tralasciando la Sveva nazional popolare, che detesto, e pure Mozzi non è che mi sia tanto simpatico, preferisco dedicarmi all’origano che in effetti sì, pure io preferisco al prezzemolo.
Perché è vero, si danno i consigli nati dalla propria esperienza, dal proprio vissuto, e questa tua analogia botanico-scrittoria è quanto mai pertinente.
Una cosa è sacrosanta anche per me: riscrivere è uno degli esercizi più utili.
Lo dice anche CBM, è il quel forsennato su e giù per il testo che nascono le idee.
Sono in una fase riscrittoria molto complessa, la prima beta reader ha letto 380 mila battute in 2 giorni, eccezionale, è un’autrice Mondadori e mi ha dato dei consigli assai utili, ma anche stravolgenti, perché si tratta di trasformare un romanzo corale, in un rosa, con i due che sì in effetti erano già i protagonisti ma gli altri personaggi erano poco inferiori, in protagonisti assoluti. Nel delirio creativo in cui mi trovo, tenendo oltretutto presente che sto modificando tutto in un giorno torrido, nella stanza + calda della casa, senza sapere cosa mi diranno le altre 3 beta che mi restituiranno l’opinione tra parecchio tempo e potrebbero essere in contrasto, sono comunque felice di questo lavoro. Sperando come dici tu, di non tagliare troppo e far sparire il cadavere, o nel mio caso, qualche relazione amicale importante.

Barbara Businaro

Ago 07, 2022 at 4:58 PM Reply

Ho letto qualche romanzo di Sveva Casati Modignani al biennio, quando la mia professoressa di Italiano ci consigliò questa autrice al posto degli Harmony che ci scambiavamo in classe con le compagne. Li prendevo in biblioteca, motivo per cui non ho memoria dei titoli letti. Non mi hanno però lasciato alcun particolare ricordo sulle trame, mentre alcune storie Harmony le ho in testa ancora oggi. Forse la buona scrittura è quella che lascia una traccia nei suoi lettori. 🙂
La riscrittura di un testo altrui è un ottimo esercizio, sia per imparare a scrivere “imitando” stile e tecnica, sia per attivare la nostra fantasia in nuove direzioni. Non conosco editor (CBM è acronimo di Chiara Beretta Mazzotta, che ha curato alcuni testi di Sandra, l’abbiamo incontrata qui: Quanto basta per essere felici? Una libreria, il profumo del tè e il tartan alle pareti) che non consigli questo espediente, soprattutto in caso di blocco.
Complimenti alla beta, 380 mila battute in 2 giorni, in questo periodo! Tienitela stretta! 😉
Però Sandra, qua è ora di dotarsi di un computer portatile, piccolino eh, quel tanto che ti consenta di spostarti a scrivere nell’angolino più fresco della casa. Il mio è oramai fisso sul tavolo da pranzo, dal lato dove arriva il flusso costante del climatizzatore. 😛

Giulia Mancini

Ago 06, 2022 at 10:20 PM Reply

Anche secondo me bisogna stare attenti a tagliare, qualche volta può essere utile e snellire un periodo, ma qualche possono perdersi delle sfumature importanti. Che poi lasciare troppo all’immaginazione del lettore può anche essere controproducente, per esempio tempo fa ho letto un libro (di uno scrittore big pubblicato big) che ho fatto veramente fatica a leggere, mi toccava rileggere più volte certi passaggi per cercare di interpretare il senso, non leggerò altri libri di questo autore, no. Ogni tanto chi scrive deve anche ricordarsi che sta raccontando una storia possibilmente comprensibile e non sta giocando a compiacersi con le parole.
Concordo che ognuno deve trovare la sua modalità nella scrittura o nella crescita di una piantina di origano (in bocca al lupo, io non avendo giardino né balcone ho bandito le piante dalla mia vita, tranne una piantina sospesa che ho sul mio pianerottolo da 16 anni e che resiste tra alti e bassi ma è di quelle senza terra a cui basta aggiungere poca acqua ogni tanto…)

Barbara Businaro

Ago 07, 2022 at 5:21 PM Reply

Purtroppo non tutti gli scrittori vogliono raccontare una storia alla portata di tutti, c’è chi preferisce puntare alla letteratura “alta”, riservata all’elite di esperti, critici, professori, scrittori, linguisti, interessati allo stile, alla tecnica, al virtuosismo, non alla trama. Quelli che si accontentano di raccontare storie sono i poveracci della narrativa di massa, quella commerciale, quella di genere. Eh beh, per una volta sono contenta di far parte della massa che legge storie, di tutti i tipi, di tutti i colori, ma storie. 😉
Anche se non hai un balcone, ti basta una finestra che possa filtrar anche solo dieci centimetri di luce. Puoi metterci accostato uno di quegli sgabellini porta piante e metterti le piantine aromatiche, dalla salvia all’origano, come ce l’ha una mia amica in un mini mini appartamento. Ma la pianta senza terra è forse una Tillandsia? Ne ho avuta una, ma niente, non ci siamo comprese… 😛

Giulia Mancini

Ago 09, 2022 at 5:11 PM Reply

La mia pianta è un potos , ed é in idrocoltura, è una pianta che, appesa, fa scendere tutte le foglioline verso il basso con un bellissimo effetto estetico, ogni tanto spunta anche un fiore (evento molto raro, ma davvero bello).

Barbara Businaro

Ago 09, 2022 at 6:36 PM Reply

Maddai! Ho guardato le foto di questo potos, che non conoscevo, almeno di nome, perché dalle immagini in rete sembra tale e quale una pianta che aveva mia nonna in cucina, sul pensile in alto, con rami e foglie cadenti lungo lo stipetto. Mia madre ne aveva una versione in vaso di vetro, con sassi e acqua. Se la trovo al vivaio, quasi quasi la compro. Magari andiamo d’accordo. 😉

Darius Tred

Ago 06, 2022 at 10:29 PM Reply

Venerdì 21 dicembre, nove del mattino. L’avvocato Carlotta Biffi uscì dall’ascensore diretta al proprio ufficio.
L’atrio del grande studio legale l’accolse col brusio ovattato di chi era già al lavoro, lo scalpiccio di passi dell’andirivieni tra i vari uffici.
“Buongiorno, avvocato”. Giulia la salutò con la consueta cortesia.
Carlotta rispose con un sorriso, notando il suo sguardo complice mentre le veniva incontro porgendole una busta.
“E’ arrivata mezz’ora fa”.
La prese stranita. Lesse il proprio nome, riconoscendo subito quella grafia nervosa. E l’aprì. “Anch’io ti amo. Gianni”.
Compiaciuta, entrò in ufficio. Alle sue spalle un vaso di cristallo con un enorme fascio di ortensie blu.
Voltandosi, rimase per un attimo senza parole.

Barbara Businaro

Ago 07, 2022 at 5:24 PM Reply

Oh ecco qualcuno che si è cimentato nell’esercizio!! 😎
“Voltandosi, rimase per un attimo senza parole.” Perché? Cosa ha visto voltandosi? E che adesso mi lasci così, col dubbio?!! Non si faaaaaaaa 😐

Darius Tred

Ago 07, 2022 at 9:58 PM Reply

…se me lo chiedi vuol dire che non l’ho scritto bene.
😉

Barbara Businaro

Ago 09, 2022 at 6:30 PM Reply

Rileggendolo, io lo interpreto così:
“Compiaciuta, entrò in ufficio. Alle sue spalle (ndr. è ancora girata? non si sta girando in quel momento?) un vaso di cristallo con un enorme fascio di ortensie blu. (ndr. per vedere il vaso con le ortensie, io mi figuro di girarmi con lei, la protagonista della scena)
Voltandosi (ndr. e qui penso si stia girando di nuovo, stavolta verso …la porta da dove è entrata? la finestra? lo sgabuzzino? un quadro che è stato orribilmente deturpato con delle scritte minacciose?), rimase per un attimo senza parole.”
Probabilmente l’avrei capito nelle righe successive… ma ecco il rischio di lasciar tutto in mano al lettore. 😛

Darius Tred

Ago 10, 2022 at 3:30 PM Reply

Ecco il rischio di lasciare tutto in mano a uno scribacchino in vacanza.

Che, tuttavia, secondo Mozzi, non sarebbe poi tanto peggiore di uno scrittore/scrittrice di fama (e non in vacanza), con tanto di collaboratori ed editor al seguito, visto che parliamo di un libro già in libreria.

B-)

Barbara Businaro

Ago 10, 2022 at 11:28 PM

Uhm, dovremmo proporci allora, per sostituire lo staff! 😎 😎 😎

IlVecchio

Ago 07, 2022 at 10:02 AM Reply

Era il 21 dicembre, alle ore nove, quando Carlotta Biffi uscì dall’ascensore direttamente nell’atrio dello studio legale Crespi-De Gasperi-Valli, al sesto piano del civico 42 di via Montenapoleone. La accolse il brusio delle voci nei vari uffici e lo scalpiccio dei passi lungo la scala interna. Lo studio brulicava di avvocati, consulenti, praticanti, stagisti, impiegati tra i lunghi corridoi. Mentre saliva i gradini, lo sguardo severo di Gianni Bonfanti incrociò per un solo istante proprio il sorriso stanco di Carlotta, senza ricambiare il saluto.
“Buongiorno avvocato. Questa è la sua posta di oggi.” L’addetta al ricevimento le consegnò un plico di buste e qualche rivista.
“Grazie. Giulia non è ancora arrivata?” Di solito era la sua segretaria ad accoglierla, con la corrispondenza già smistata.
“No, non l’ho vista stamattina, mi spiace.”
L’avvocato Biffi si avviò in fondo verso il suo ufficio, trovando la porta vetrata d’ingresso al buio e chiusa a chiave. Una volta aperto, si tolse guanti, sciarpa e cappotto, gettandoli nella poltrona lì a fianco, prima di accendere la luce. Quando si voltò verso la scrivania illuminata, notò prima il vaso di cristallo con un enorme fascio di ortensie azzurre. Solo dopo vide il corpo di Giulia a terra, gli occhi sbarrati al soffitto, la bocca dischiusa in una smorfia di incredulità, la camicetta bianca intrisa di sangue, uno squarcio all’altezza dell’addome. Nella mano destra stringeva un biglietto accartocciato. Carlotta lo prese delicatamente. Riconobbe la grafia nervosa di quelle poche parole. “Anch’io ti amo. Gianni”.

Era questa dunque la versione thriller che volevi leggere? : -)

Barbara Businaro

Ago 07, 2022 at 5:28 PM Reply

Oh sì, c’è un cadavere nell’ufficio! La segretaria, con in mano un biglietto di Gianni, che però prima l’ha guardata severo. A chi aveva giurato amore questo Gianni? All’avvocato Carlotta Biffi o alla segretaria Giulia? L’assassino comunque aveva le chiavi, ha lasciato l’ufficio chiuso…
La storia si fa interessante. 😉

Grazia Gironella

Ago 15, 2022 at 7:30 PM Reply

Certo i consigli vanno messi alla prova, perché non siamo tutti uguali. Per il momento sembro avere perso il gusto degli esercizi… no, non è vero, li ho sempre detestati. A me piace scrivere e basta. Mozzi però si è espresso in modo così… franco, diciamo, nei confronti della Casati Modignani, che per me avrebbe avuto torto anche recitando il suo proprio nome. Augh. 😉

Barbara Businaro

Ago 16, 2022 at 5:00 PM Reply

Credo dipenda molto di più dall’esercizio e dalla modalità. Ci sono alcuni esercizi che non mi hanno proprio aiutato, per esempio la scrittura forzata a tempo, ispirata da immagini fuori dal mio sentire, con musica in sottofondo ancora più lontana dal mio essere e con un orologio a scandire il quarto d’ora concesso. Non funziona per me, l’ho visto durante l’unico corso di scrittura che mi sono regalata anni fa. Ce ne sono altri che invece, vuoi per la simpatia della “classe” che partecipava, vuoi perché era solo un gioco (davvero? siamo sicuri?), mi scatenava idee sopra idee. Era il caso de La biblioteca Scarparo (partecipai pure con un blog tour: Guarda che quarta…e acchiappami!). Per me quegli esercizi divennero bei racconti (è il caso de La fabbrica di acciottolato, ancora oggi mi capita di rileggerlo e non capacitarmi di averlo scritto! 🙂 ), per altri addirittura furono bozze di romanzi poi completati e mandati in pubblicazione (come il romanzo “Quando non ci pensi più” di Sandra Faè, che esce da un esercizio di quelli col titolo provvisorio di “Non è possibile”). Insomma, non tutti gli esercizi vengono per nuocere. 😉
Sulla disinvoltura delle osservazioni di Mozzi, qualcuno l’ha sottolineata anche nei commenti al suo post su Facebook. Diritto di critica, per altro proveniente da un’insegnante di scrittura creativa. Poteva taggare la pagina ufficiale dell’autrice per avere una qualche replica, ma non era lo scopo di Mozzi (il post termina con il link per l’iscrizione ad uno dei suoi corsi) e sinceramente dubito che alla signora Sveva Casati Modignani sarebbe interessato. In fondo, l’unica persona a cui un autore deve il massimo rispetto è il suo lettore. 😎

Grazia Gironella

Ago 17, 2022 at 7:40 AM Reply

In effetti non penso che gli esercizi siano inutili; anzi, considero un mio difetto (magari fosse solo nella scrittura!) la quasi incapacità di dedicarmici. Per quanto riguarda il post di Mozzi su FB, a darmi fastidio è stato essenzialmente il tono. Il parere di un insegnante di scrittura creativa è comunque un parere, non una Verità con la maiuscola, anche se in merito al brano in questione sono d’accordo. Sono convinta che si possa essere competenti senza mozzare teste, che l’oggetto della critica se ne preoccupi o meno. Vado a leggermi il tuo “La fabbrica di acciottolato”. 🙂

Barbara Businaro

Ago 18, 2022 at 5:57 PM Reply

Assolutamente Grazia, quel tono non è piaciuto nemmeno a me. Anche perché, con buona pace della critica, nel campo della lettura entrano in gioco i gusti personali. Se piace, piace. E se piace, vende. Possiamo raccontarcela dicendo che ci sono lettori deboli e lettori forti, lettori stanchi e lettori impegnati, ma tutti hanno diritto di leggere quello che gli pare, quando gli pare, come gli pare. 😉

Marco Amato

Ago 23, 2022 at 11:54 AM Reply

In quel post, se non ricordo male, in un commento ho contestato a Mozzi che non è vero che la Modigliani dice proprio tutto.
Se avesse voluto dire tutto avrebbe dovuto raccontare di ogni scalino, di ogni pensiero, delle pareti, del tipo di luci e via dicendo.
E sembra una cosa banale questa che dico, ma noi viviamo immersi nella realtà, dove ogni gradino lo devi salire, le porte le devi attraversare, i tizi nella stanza bene o male li devi squadrare tutti e via dicendo.

La scrittura non è mai un dire tutto, ma uno scegliere la quantità e la qualità di informazioni da comunicare.
E in uno scritto, la quantità di cose da dire, può anche dipendere dalla lunghezza del capitolo, dal ritmo narrativo del capitolo o del paragrafo. Puoi scegliere di dilatare i tempi così come puoi scegliere di comprimerli se sei di fronte a una scena d’azione.
Eco, nel Nome della Rosa, si prende un paragrafo di mezza pagina solo per descrivere il rosone della chiesa, ma poi quando Adso deve scappare, quella corsa è rapida, sincopata.
La dilatazione e la contrazione del tempo narrativo sono sempre funzionali.
Insomma, prendere un paragrafo e dire questa è cattiva scrittura perché dice troppo senza valutare l’economia dell’intero capitolo/romanzo, è come dire sull’autostrada Bologna Milano, perché nei primi cinque chilometri sei andato piano, mentre poi per trenta chilometri hai addirittura superato il limite di velocità?

Barbara Businaro

Ago 23, 2022 at 5:45 PM Reply

Me lo ricordo bene il tuo commento, ti ho dato il “mi piace” subito perché sono d’accordo con te. Lo riporto qui per i lettori:
“Ma in questo brano Sveva Casati Modigliani non sta raccontando tutto. Ogni passo, ogni pensiero, ogni gesto. Sta rappresentando una sintesi. Una sintesi estesa secondo Giulio Mozzi, una sintesi giusta per i numerosi lettori che hanno apprezzato questo libro. E anche nel voler dire tanto c’è modo e modo, altrimenti dovremmo gettare Proust. Io credo che tutto si riduca a un discorso di efficacia di un testo, se non a un puro giudizio estetico.”
Ottimo anche il riferimento a Proust, al suo estenuante Alla ricerca del tempo perduto, come pure quello a Il nome della rosa di Eco. Generi, epoche e intenti diversi, d’accordo. Loro possono però permettersi di descrivere tutto, per capitoli, perché Sveva Casati Modignani no? L’ultima opinione spetta al lettore.

Luz

Ago 30, 2022 at 10:42 AM Reply

Anch’io come te leggevo la Casati Modignani da adolescente, mi ricordo di aver apprezzato Disperatamente Giulia, da cui fu tratto uno sceneggiato tv, ma adorai letteralmente Donna d’onore, con quel finale tragico e commovente.
Insomma, una scrittrice che ha fatto parte di un mio passato lontanissimo di lettrice e sul quale non tornerei. Un suo libro oggi mi parrebbe acqua fresca, mi annoierebbe troppo, ma fa bene a restare ancorata a un parterre di lettrici che, in milioni, la apprezzano da moltissimo tempo. È una delle autrici più lette da almeno tre decenni, tanto di cappello.
Sono propensa a concordare con Mozzi, scrittura banale in cui, non è tanto il numero di informazioni a infastidire ma il “come” vengono messe insieme. Non mi stupisce perché è proprio questo il suo stile e restarvi fedele la premia da sempre.
La tua versione mi piace moltissimo, mi piace la curiosità attorno al tipo di fiore ricevuto, questo scatenerebbe perlomeno il desiderio di saperne di più.

Barbara Businaro

Ago 31, 2022 at 4:11 PM Reply

Oh, ecco uno dei suoi titoli, Disperatamente Giulia! Non ho letto il romanzo, ma anch’io ho seguito tutta la serie televisiva del 1989 su Canale 5. Avevo quattordici anni, lo guardavo con mia madre perché Fabio Testi faceva battere il cuore anche a me. 🙂
Come dici tu, una scrittrice letta da tre decenni, e aggiungerei anche da tre generazioni, nonne, figlie e nipoti. Sarebbe pertanto rischioso, e forse poco rispettoso, cambiare ora quel suo stile così apprezzato.
La curiosità sul fiore è venuta a me per prima. Perché proprio le ortensie?! Dimmelo, signora autrice, dimmelo! 😀

Daniele

Set 06, 2022 at 4:40 PM Reply

L’incipit della Modigliani non mi piace per gli eccessivi dettagli, e frasi troppo lunghe, ma neanche quello di Mozzi perché non ne ha nessuno.
Riscrivere fa senz’altro bene, ma non i pezzi altrui bensì i propri.

Barbara Businaro

Set 08, 2022 at 3:36 PM Reply

Beh, Stephen King ha cominciato a riscrivere i pezzi di altri, in quanto a trama, inserendo le modifiche che riteneva più opportune e interessanti.
Solo dopo che la madre lo ha convinto, si è lanciato nella scrittura di pezzi propri. Riscrivere pezzi altrui ti costringe anche ad analizzarli meglio, vederne pregi e difetti. Si preparano i muscoli. 🙂

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