Confidenze numero 16-2024 - La scatola della memoria - Storia vera di Brunella Borsari Raccolta da Barbara Businaro

La scatola della memoria
In edicola su Confidenze

Ho conosciuto davvero poco del mio nonno paterno, nonostante fosse l’unico nonno che ho vissuto, visto che dalla parte di mia madre i rapporti famigliari non sono mai stati felici. Al contrario di mia nonna Rina con la quale ho passato molte ore della mia infanzia, nonno Giuseppe era taciturno, forse un po’ burbero, probabilmente un introverso e mi piace pensare che questa caratteristica l’ho ereditata da lui. Mi hanno raccontato quanto fosse orgoglioso di vedermi scorrazzare col triciclo per il cortile della fattoria, un po’ meno quando mi ostinavo a salire sulla montagnola di grano raccolto sull’aia, che si sparpagliava tutto sotto il mio peso, costringendolo a rifare tutto il lavoro daccapo. Ricordo invece come scherzava con nonna durante i pranzi domenicali, forse un po’ brillo di quel vino rosso scuro, che produceva lui, dove intingeva qualche pezzettino di torta appena sfornata. Era un agricoltore affezionato alla propria terra, lavorava duramente soprattutto in estate, quando falciava l’erba alta tutto intorno ai campi seminati. Rientrava a casa a metà mattina, quando io, appena sveglia, facevo colazione con caffellatte e biscotti, lui si cucinava un uovo al tegamino con sopra due fette di pancetta. Sento ancora lo sfrigolio e quel profumo intenso per casa.

Quando sono arrivata all’età giusta per poterlo conoscere davvero, fargli le domande giuste e sentirlo raccontare la sua storia, si è ammalato gravemente. E’ stata l’unica sera in cui ho visto mio padre piangere, nonno Giuseppe era già in ospedale, e ci sarebbe uscito e rientrato per diverse volte, prima di lasciarci. Di lui mi restano le foto in bianco e nero, sbiadite dal tempo, e una grammatica in lingua Inglese, perché aveva combattuto a fianco degli Americani e quel volumetto gli era servito per parlare con loro. Purtroppo nessuno me l’ha tolto di mano quando ho cominciato ad usare i pennarelli, così è rimasto scarabocchiato delle mie improvvisazioni artistiche. Non so altro di lui e non ho più modo di rimediare, non dalla sua viva voce.
L’ho ritrovato, in un certo senso, tra le pagine di un romanzo letto di recente: La scatola della memoria di Brunella Borsari.

Lei è un’amica scrittrice di Bologna, talvolta commenta qui sul mio blog, con una passione intensa per l’Africa, ereditata in famiglia. Avventure subacquee in Egitto, altri viaggi nel Magreb, ha gironzolato fra Mozambico, Tanzania e Sudafrica, ma da dieci anni torna ogni estate in Madagascar, un legame profondo spiegato nel suo primo libro, Mora mora (significa “piano piano” in lingua malgascia). Qualche anno fa mi ero invece immersa in una bellissima storia di donne forti, sempre dalla sua fervida penna, attirata dal titolo: Ricominciare Mi era piaciuto il suo stile, leggerezza e profondità ben amalgamate, un velo di ironia per affrontare le vicissitudini della vita di oggi.

Quest’ultimo suo romanzo ci riporta invece indietro alla Seconda Guerra Mondiale, nella primavera del 1937, quando il giovane Gino decide di cercare un futuro nell’Africa Orientale, nelle colonie italiane. La lettura mi ha incuriosito fin dalle prime righe, dove il racconto in prima persona di Gino mi ha trascinato dentro le sue vicende, dalla miseria della sua giovinezza tra le nebbie e il freddo della pianura padana, fino al lungo viaggio per nave lungo l’Egitto e la scoperta di un mondo nuovo, completamente differente per cultura, colori, lingua ed usanze. Ho scoperto un periodo storico che ignoravo, non tanto dai libri di Storia a scuola, che riportano solo date e fatti, ma quello che avrei tanto voluto chiedere a mio nonno Giuseppe, gioie e dolori di chi ha davvero vissuto quegli anni, quelle difficoltà, quelle tragedie.
La vita in Emilia all’inizio della storia è la stessa che mi raccontava mia nonna Rina: fame e stenti durante il rigido inverno, il lavoro dei bambini sui campi, canestri intrecciati la sera davanti al rosario, recitato nella stalla con le bestie, il cui fiato riscaldava l’ambiente. Da questo punto ho sentito un collegamento con mio nonno Giuseppe e mi sono affezionata al protagonista come se fosse lui.

Quello che ancora non sapevo e che Brunella mi ha svelato passeggiando per le vie di Bologna, è che si tratta di una storia vera.
Dalle vecchie foto ritrovate in una scatola lei ha parzialmente ricostruito la memoria di suo zio Gino, che fu anche prigioniero a Zonderwater, campo di concentramento in Sud Africa, durante la Seconda Guerra. La sua lunga ricerca, tra i ricordi di famiglia e i documenti storici, anche manoscritti dei prigionieri, è diventata questo libro, con in copertina proprio la vecchia foto dello zio da giovane. Mi ha colpito molto quel suo sguardo un po’ spaventato, chissà cosa aveva già visto prima di quello scatto.
Ho pensato quindi di raccogliere la testimonianza di Brunella, i suoi ricordi di bambina, di quel vero zio Gino oramai tornato dall’Africa, di cui parlavano pochissimo. Il romanzo è un tributo affettuoso alla sua figura. E anche questa storia vera, pubblicata oggi su Confidenze, vuole rendergli omaggio.

Brunella Borsari e il suo romanzo La scatola della memoria

La scatola della memoria è anche una scatola del cuore

La storia del romanzo nasce da un pacchetto di foto ingiallite, con località e date segnate sul retro, alcuni oggetti conservati gelosamente, come quattro teste di donne africane, due scure e due bianche, e certi ricordi dell’infanzia di Brunella. Come me, anche lei si rammarica di non aver fatto più domande.
Suo zio Gino aveva vissuto dieci anni in Africa e l’aveva sempre rimpianta, sebbene ne parlasse davvero poco una volta rientrato in Italia. Di quel periodo, restano quegli scatti lontani nel tempo. Da quella scatola riposta in fondo all’armadio, custodita per anni e un po’ dimenticata tra le vicende del quotidiano, questa storia ha preteso di essere raccontata. Perché la scatola della memoria è anche una scatola del cuore: più le primavere si accumulano, più diventa faticoso scoperchiare i propri ricordi di famiglia e di infanzia. Tutto quello che non è stato possibile ricostruire, è stato colmato con la documentazione storica di quegli anni, dalle colonie in Etiopia ai diari manoscritti dei prigionieri di Zonderwater, e dalla fantasia di Brunella.

Per qualcuno questa tipologia di narrazione non ha alcun interesse, né storico né di mercato editoriale. Ma lo zio Gino della finzione letteraria ci offre una visione quotidiana di un’epoca, con la nostalgia inaspettata e combattuta verso l’Italia e la famiglia lontana, mentre cerca di costruirsi un futuro nuovo e felice in una terra straniera, afosa, arida, ostile ma anche ricca di opportunità, che va ben oltre i libri di Storia. Il coinvolgimento per me è stato totale, ho sofferto quanto lui, anche per quell’amore abbandonato, e quando sono arrivata all’ultima pagina, Gino è diventato un po’ anche mio zio.
Dovremmo dare maggiore risalto a queste memorie. Dobbiamo comprendere il nostro passato per costruire meglio il nostro futuro, ne sono convinta.
Non voglio svelarvi di più, né del romanzo né della storia vera pubblicata sulla rivista, ma vi lascio con la quarta di copertina del libro:

Primavera 1937: il giovane Gino fugge dal suo paese della bassa padana e parte per l’Africa orientale, attratto dalle promesse della propaganda coloniale fascista. Si stabilisce in Etiopia dove, affascinato dalla natura e dalla diversità della gente del luogo, si sente a proprio agio, lavora e vive una intensa storia d’amore. La felicità africana si interrompe bruscamente quando viene catturato dagli inglesi e internato in un campo di prigionia in Sudafrica. Ammesso al lavoro esterno in una fattoria, inaspettatamente gli si presenterà una grande opportunità e dovrà fare una scelta difficile…

Estate 2019: Anna sta sgombrando la casa di famiglia, colma di ricordi, dopo la morte dell’anziana madre. In fondo a un armadio ritrova una scatola che contiene due vecchi quaderni, diari di uno zio ormai morto da tempo e che aveva trascorso dieci anni in Africa. Anna legge, scopre qualche piccolo segreto familiare e trova in quelle pagine una testimonianza storica e umana più che mai attuale, che la spingerà a riflettere…

La scatola della memoria in edicola
e in digitale sulla nuova app Confidenze

“Sono figlia unica. Non che abbia mai sentito la mancanza di fratelli, anzi stavo benissimo, sola bambina coccolata da una famiglia calda e accogliente. Eppure percepivo con curiosità e un pizzico di invidia quel legame speciale che univa mio padre e mio zio. Entrambi di poche parole, dai caratteri ruvidi e di scarsa affettuosità all’apparenza, si volevano bene in un modo unico. Non li ho mai sentiti litigare o discutere, pur non concordando su tutto. Mio zio stimava profondamente mio padre perché era lui quello intelligente, che aveva avuto successo nella vita. Anche mio padre stimava mio zio, perché aveva avuto il coraggio di partire e ne aveva passate di tutti i colori in Africa, in quei dieci anni che era stato lontano da casa. Al ritorno poi aveva fatto il primo lavoro che gli era capitato, il ferroviere, e aveva sposato la fidanzata di un tempo. Mio padre e mio zio avevano sempre fatto in modo di abitare vicini. Quando ero piccola, vivevamo in due palazzi, uno di fronte all’altro, e ci si vedeva dalla finestra. Più avanti, ci siamo trasferiti tutti in blocco all’interno di un grande edificio con molti numeri civici. Eravamo in appartamenti diversi, ma ancora potevamo vederci dalla finestra…”

La storia vera continua sul numero 16 di Confidenze in edicola questa settimana, da oggi martedì 16 aprile.
Se passate qui sul blog dopo la lettura, fatemi sapere che ne pensate. E se decidete di leggere il romanzo, lasciate sempre qui nei commenti le vostre impressioni, anche pure i ricordi legati ai vostri nonni e ai loro racconti dei tempi di guerra.

Confidenze numero 16-2024 - Una nuova storia vera in edicola

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Confidenze numero 16-2024 - La nuova app digitale

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Comments (12)

Sandra

Apr 16, 2024 at 9:53 AM Reply

E’ già nella lista della spesa per stasera, al mattino vado troppo di fretta per fermarmi all’edicola, anzi a dire la verità oggi ho buttato un’occhiata in metropolitana: tre persone in fila, meglio andare ai binari, dove poi ho atteso 11 minuti grrrr
Comunque, che splendore Brunella in quella foto! Radiosa tra i libri e che brava tu a cogliere questa opportunità di allargare la platea di lettori di questo romanzo che io lessi in anteprima.
Che bella l’amicizia quando crea legami così forti e singolari e che retroscena pazzesco ha questo libro.

Barbara Businaro

Apr 16, 2024 at 4:49 PM Reply

E hai notato come Brunella sta bene con il Pink Barbie sia della maglia che dello smalto?! 😎
Le foto le ha scattate dopo che la redazione aveva confermato la pubblicazione e richiesto appunto degli scatti della protagonista da adulta. Immagino quindi il sorriso sia l’entusiasmo per questa storia vera in cui l’ho coinvolta, io e la mia curiosità di sapere da dove arrivasse il personaggio dello zio Gino di quel suo romanzo.
Le ho chiesto di fare una foto anche vicino alle teste africane, perché non riuscivo a capirne la dimensione, le credevo molto più grandi dalla descrizione nel libro.
…io stamattina alle 7.30 davanti all’edicola. Allora, apriiiii?!!! 😛

IlVecchio

Apr 16, 2024 at 1:55 PM Reply

Saluti dal signor Alfonso, il mio edicolante di fiducia. Ieri sono passato per dirgli di tenermi una copia da parte. Stamane appena mi ha visto svoltare l’angolo sulla via, aveva già la rivista in mano. Si era già letto la tua storia, meglio la storia della signora Brunella. Brava la tua amica, mi dice. Io confermo e riferisco. : -)

Barbara Businaro

Apr 16, 2024 at 4:51 PM Reply

Eh, ma a che amica si riferisce adesso il signor Alfonso? A io me, che ho raccolto la storia, o alla signora Brunella? 😛
Comunque, ricambia i saluti. Prima o poi gli faremo una sorpresa e ti accompagno in edicola!

Brunilde

Apr 16, 2024 at 11:10 PM Reply

Sono molto riconoscente a Barbara per il suo interesse per il mio libro, per la storia che ho raccontato e le motivazioni che mi hanno spinto a farlo. E’ sua l’idea di proporla alle lettrici della rivista, e sempre sua l’idea della foto con le teste africane sullo sfondo: si vede che, nell’acconsentire alla sua richiesta, il mio inconscio mi ha portato a indossare il mitico colore Pink Barbie ( che in realtà, a me era sembrato più scuro, ma insomma ). Grazie Sandra per trovarmi radiosa!
Quindi sarebbe tutto perfetto se riuscissi a mettere le mani su una copia cartacea della rivista: qui oggi era introvabile in edicola, pare arrivi domani… con calma!

Barbara Businaro

Apr 17, 2024 at 11:41 PM Reply

Mi sono lasciata trasportare dalla storia nel romanzo e poi sentivo che andava raccontata anche la sua genesi. Sono quelle vocine che vanno ascoltate. Per altro, dalla redazione mi avevano detto che sarebbe stato difficile pubblicare le foto in bianco e nero, invece ci sono riusciti, straordinario il risultato!

Ci sono diverse nuance Barbie, perché poi il pink negli anni è anche cambiato. Il tuo pink sembra quello delle Barbie anni ’80 (e allora alcune confezioni avevano il logo Barbie scritto in viola), mentre in effetti ultimamente ne usano uno più chiaro. Ma per me tutti i pink sono Barbie, soprattutto se indossati col sorriso! 😉

Mi dispiace invece che hai trovato la tua copia solo oggi… sapevo che in alcune zone del Sud e delle isole la rivista viene distribuita il mercoledì, ma al nord di solito arriva in edicola il martedì mattina. Non so se hanno avuto qualche disguido solo lì in zona.

Sandra

Apr 17, 2024 at 8:37 AM Reply

Presa!
Alla seconda edicola, ma io sono fortunata ho 3 edicole sotto casa.

Barbara Businaro

Apr 17, 2024 at 11:42 PM Reply

E tienitele strette quelle edicole!! 🙂

Giulia Mancini

Apr 17, 2024 at 7:03 PM Reply

Wow, davvero bella la foto di Brunella in rosa (fantastiche le teste africane!). Credo che i nonni, gli zii, padri, nonché madri, zie e nonne siano una fonte preziosa di storie ed è meraviglioso avere la possibilità di raccoglierle e riprodurle in un libro. Certe scatole piene di foto, di lettere e altri cimeli hanno il potere di ridestare la memoria e arrivare al cuore, come ha fatto Brunella con il suo romanzo.
(E ovviamente complimenti a te Barbara per il successo delle tue storie vere, quest’ultima poi nasce da un intreccio pazzesco di storie e di amicizia).

Barbara Businaro

Apr 17, 2024 at 11:47 PM Reply

Grazie Giulia! Sì, sono convinta che ci siano memorie importanti da raccogliere. Uno dei miei sogni nel cassetto è di poter un giorno ricostruire il mio albero genealogico nei secoli dei secoli, per sapere quali origini possono avere le famiglie dei miei genitori. C’era un programma interessante qualche anno fa, importato dall’estero, credo inglese, dove alcuni personaggi famosi, quasi tutti attori, venivano affiancati da esperti per risalire alle loro origini. Ricordo che Brooke Shields scoprì di essere discendente addirittura di re Enrico IV di Francia. Gli intrecci delle varie famiglie non erano sempre così chiari e le ricerche erano davvero complicate, ma le storie sempre interessanti.

Luz

Apr 21, 2024 at 12:23 PM Reply

Questo post vagamente assomiglia al mio del martedì scorso, si parla anche qui di ricordi lontani, del recupero di quella memoria di coloro che ci hanno preceduto e magari hanno storie molto belle e intense da raccontare.
Mi piace l’idea di un libro che cerchi di raccontare quanto avvenne nella vita di questo zio avventuriero e sono d’accordo con te, spesso siamo portati a trascurare quanto potrebbero darci in termini di racconto persone della famiglia che hanno vissuto epoche difficili, molto molto diverse dalla nostra. Io per esempio mi pento di non averne voluto sapere di più da mio padre, mia nonna, per dire. Nella famiglia di mio marito spesso si è parlato di un nonno andato in Africa, combattente nella battaglia di El Alamein e poi nell’inverno russo, dove gli furono amputate le dita di un piede per la cancrena dovuta al gelo. Storie importanti, attorno alle quali tanto si potrebbe scrivere per tentare di ricostruirle. Congratulazioni per l’articolo su Confidenze e alla tua amica autrice per questo libro. 🙂

Barbara Businaro

Apr 22, 2024 at 8:38 PM Reply

Grazie Luz. Penso che queste memorie vadano conservate soprattutto per i giovani: man mano che ci allontaniamo dalle Guerre Mondiali, con tutto questo progresso e tecnologia, faticano a comprendere davvero cosa fosse la povertà, la fame, la disperazione, il dover lasciare tutto non per un’esperienza di studio all’estero da mettere a curriculum, ma per la propria stessa sopravvivenza. La nostra generazione ancora ancora ricorda l’eco dei sacrifici fatti dai nostri nonni, pure dai nostri genitori, ma chi nasce in questo nuovo secolo fatica a comprendere quel periodo. E chissà quante scatole della memoria ci sono ancora dentro le nostre case… 🙂

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