L'invenzione di noi due - romanzo di Matteo Bussola

L’invenzione di noi due
di Matteo Bussola

Cominciai a scrivere a mia moglie dopo che aveva del tutto smesso di amarmi.
Solo allora mi venne l’idea.
E’ triste, tragico persino, ma torniamo a occuparci delle cose quasi sempre quando sono finite. Forse la fine è l’unica condizione in grado di smuoverci davvero. Forse è solo che, per risvegliare il nostro desiderio di agire, abbiamo bisogno di una distanza, la sensazione di dover recuperare un’opportunità che ci appare lontanissima, perduta. Irrimediabile.
Nadia non aveva smesso di amarmi d’un colpo, era stato un processo lento, una fiamma che aveva perso di vigore anno dopo anno, senza nuova legna ad alimentarla, fino a lasciare poche braci. Quelle braci, oramai, ardevano soltanto dentro di me.
Quando ti prometti amore eterno non te lo immagini mica che arriverà un giorno, presto o tardi che sia, in cui la persona che hai scelto inizierà a disprezzare tutto, di te: la tua presenza nella stessa stanza, il tuo odore, il tuo respiro, il gocciolio che fai mentre pisci la sera prima di venire a letto.
Ci eravamo detti per sempre, ora non riusciva più nemmeno a guardarmi. Io, invece, di guardarla non avevo smesso mai.
Comunque, ecco, solo allora mi venne l’idea.
Questa è la storia di come mi sia riuscito di tramutare l’amore in cenere e poi la cenere, di nuovo, in amore.
La prima cosa fu il mio sbaglio.
La seconda, la mia colpa.
L’invenzione di noi due, Matteo Bussola

Seguo Matteo Bussola già da un po’ dal suo profilo autore su Facebook, non ricordo nemmeno come è cominciato, credo sia stato l’algoritmo a mostrarmi un suo post autobiografico, probabilmente “piacciato” da un’amica. Qualcosa nelle prime tre righe mi aveva convinto a leggere le successive. Era un testo spontaneo, la quotidianità della sua famiglia, una compagna, tre figlie piccole, non ricordo se uno o due cani per casa. Lui che preparava la colazione e portava a scuola le ragazze, forse delle trasferte per lavoro, lei che aveva altrettanti impegni in movimento. Guardo un po’ meglio il profilo: maddai, un fumettista e scrittore di Verona, siamo quasi vicini. E la compagna Paola Barbato addirittura la sceneggiatrice di Dylan Dog, anche autrice di thriller per Piemme, pensa un po’. E come quando ti capita un libro in mano, lo sfogli e capisci che non si è scontrato con te per puro caso, ho continuato a seguirli, di tanto in tanto, quando l’algoritmo di Facebook li rimette sulla mia strada.
Ammetto di leggerli con una punta di invidia, come guardassi una vecchia puntata di Casa Vianello, che sì, Sandra e Raimondo fanno un po’ ridere, ma quanto è confortante sapere che da qualche parte esistono famiglie così?! Profondità e ironia, credo sia questa la loro miscela vincente.

Poi mi è capitato di vedere in televisione il film Notti in bianco, baci a colazione, accidentalmente facendo zapping tra i canali, ma ricordando essere tratto dal primo romanzo di successo proprio di Matteo Bussola. Ho riso, e ho pianto. Non ho letto il libro, ma per produrre una pellicola così buona, là dentro ci sono sicuramente delle parole altrettanto potenti. Dalla quarta di copertina dell’edizione Einaudi di Notti in bianco, baci a colazione giunge l’apprezzamento di Giulio Mozzi, curatore editoriale e insegnante di scrittura creativa: “Matteo Bussola è capace di raccontare la vita quotidiana con tanta naturalezza, con una lingua cosí convinta e cordiale, con tanta trasognata precisione, da farci pensare: sí, davvero, a volte la letteratura gioca a nascondersi nelle piccole cose”. Volevo saperne di più, andare oltre i caratteri limitati di Facebook.
Solo che a quel punto conoscevo già la trama (ecco perché in genere preferisco partire prima dal libro ed evitare il film come la peste!), mi serviva qualcosa di nuovo, qualcosa che potesse stupirmi, senza conoscere in anticipo la direzione.

Proprio a conferma che tutto non accade per caso, mi ritrovo persino a leggere di nuovo un fumetto manga! L’occasione è stata l’uscita di Zeroventi, una graphic novel scritta da Matteo Bussola e disegnata da Emilio Pilliu. Una commedia sentimentale, brillante e commovente, ambientata nella bellissima Venezia (che non lo sapevo, immaginatevi la mia faccia vedere il Ponte di Rialto disegnato nei minimi dettagli?!) Zeroventi perché sembra ci vogliano solo “zero virgola venti secondi” di tempo per innamorarci di qualcuno, il classico colpo di fulmine. Non avevo in mente di tornare ai manga (nella mia libreria delle vecchie edizioni di City Hunter, Occhi di gatto, Lady Oscar, Evangelion, Ghost in the shell), ma mi ha convinto un post di Matteo Bussola, su delle cartoline bellissime che sarebbero state allegate all’edizione cartacea, nonostante le altre volte qualcosa fosse andato storto in fase di stampa o di spedizione di altrettante cartoline. Chi glielo faceva fare di provare ancora e rischiare nuovamente delle scuse ai lettori? Parole sue: “Probabilmente il fatto che sono nato shemo, che amo da morire il mio lavoro, ma soprattutto che non voglio sprecare nessuna occasione per ringraziarvi della fiducia e dell’affetto che mi avete dimostrato in questi anni.”
Mi ha convinto perché sono shema anch’io con i miei progetti. E insisto pure! 😀

Il manga è arrivato e l’ho divorato in un’ora appena. E adesso?! Essendo una serie uscirà il secondo volume, ma intanto volevo proprio leggere un romanzo.
Ho iniziato a cercare tra le altre pubblicazioni, diverse antologie di racconti, che dovrebbero interessarmi più di tutti, visto che mi impegno di scrivere anch’io racconti, avrei sicuramente qualcosa da imparare. Finché non inciampo in questo libro, soprattutto mi colpisce quasi come una sberla in pieno viso quel suo straordinario incipit, che vi ho riportato qui sopra: “Cominciai a scrivere a mia moglie dopo che aveva del tutto smesso di amarmi.”
L’invenzione di noi due di Matteo Bussola è una storia d’amore, ma non come te l’aspetti di solito, perché comincia con una crisi della coppia e non lascia nemmeno presagire un finale completamente felice. Questo era ciò che stavo cercando, nonostante io sia una lettrice da classico romance tutto cuoricini.
Sono pure così fortunata da rintracciarne una copia usata da Libraccio, così metto in silenzio i miei sensi di colpa per il troppo denaro speso in libreria. Quando mi viene consegnato, sono impegnata in altre faccende scrittorie, viene così messo in attesa sul comodino. Penso sarà un’ottima lettura per accompagnarmi al racconto da completare per San Valentino (diventato poi Mi tieni aperta la porta?), che già sapevo essere ingarbugliato per via del finale ancora sconosciuto.
Ignoravo che mi sarei immersa nella vita di Milo e Nadia ritrovandoci in parte me stessa, più nel silenzio di Milo che nell’indifferenza di Nadia, nonostante sia io quella che scrive, anzi ci prova proprio come Nadia, in questa casa. Non si dovrebbe mai leggere un libro in cerca di risposte, quello che funziona per qualcuno non funziona per altri. Semmai un libro ci riempie ancora di più di domande…

L’invenzione di noi due
Storia di un amore spento

Pare che la bellezza di una perla sia la risposta organica a un dolore.
La perla cresce attorno alla ferita che un singolo granello di sabbia, penetrando nella conchiglia, provoca all’ostrica. E’ la risposta a un elemento imprevisto che riesce ad attraversare le sue difese.
L’amore non è diverso: è la reazione a qualcuno che è riuscito a superare tutti i nostri muri. La risposta accogliente a una potenziale minaccia che ha valicato il confine. L’accettazione di un rischio. […]
Nadia e io condividevamo questa visione, potrei dire che era nella nostra natura: per noi, la promessa che ci eravamo scambiati veniva prima di tutto il resto, addirittura prima dell’amore che l’aveva generata. Nadia ora non mi amava più, ma sapevo che non mi avrebbe lasciato mai. Questo la stava condannando a un’esistenza di profonda infelicità.
Per me era più semplice, perchè l’amore che provavo per lei e la promessa che le avevo fatto erano la stessa cosa. Dopo quindi anni di matrimonio amavo mia moglie come il primo giorno, adoravo la storia nascosta dietro ogni sua più piccola ruga […] Amavo il privilegop di poter vedere in trasparenza, sotto il velo della maturità, il viso della ragazza c’era stata e che solo io, perlomeno da amante, avevo conosciuto bene.
Nadia invece non vedeva più niente […] Ero da tempo diventato opaco al suo sguardo, e non sapevo come fare per tornare alla luce.
Il nostro matrimonio era un granello di sabbia senza perla.

Milo Visentini, quarantasei anni, laureato in Architettura ma divenuto cuoco di professione, è sposato da quindici anni con Nadia, scrittrice rimasta bloccata nel limbo delle giovani promesse letterarie, costretta al giornalismo locale per sopravvivere. Un matrimonio felice, nonostante le differenze caratteriali. Milo è un uomo pratico, cucinare qualcosa per Nadia all’osteria, così da farglielo trovare pronto l’indomani nel frigorifero di casa, è il suo modo di amarla. Nadia invece è molto più cerebrale, lavora con le parole e le loro differenti sfumature, è disordinata nel lasciare appunti scritti in ogni foglietto per casa, e ribelle perché non sopporta la convenzioni. Una donna bellissima che nasconde le sue forme per poter essere valutata solo per le sue capacità. Difficile da amare, rivela Milo, per quel suo carattere compulsivo, affabile e romantico un momento, malinconica e distante il successivo. Ma per quindici anni la loro storia aveva funzionato bene, senza intoppi particolari.

Eravamo diventati l’uno la casa dell’altro, insieme eravamo la nostra e per questo era stato tutto giusto da subito. Quasi perfetto.
Quando iniziarono ad aprirsi crepe sui muri, dapprima insignificanti, poi sempre più evidenti, cercavo di continuo di mettere rattoppi, aggiustare, come fossi un capomastro o un responsabile di cantiere. Troppo tardi imparai che, per chiunque di noi, è impossibile prendersi la responsabilità di un’altra vita, perchP le crepe che si aprono nelle giunture dipendono dalla contiguità di due materiali differenti e le asperità, gli attriti, fanno parte della scommessa. Non possiamo che cercare di essere responsabili per noi stessi, e sperare che basti.

Il romanzo L’invenzione di noi due, raccontato in prima persona da Milo, si apre proprio con una crisi profonda, all’orlo del baratro, nella loro storia d’amore. Milo si rende tristemente conto che Nadia non lo desidera più, non lo attende più la sera tardi alzata quando lui rientra dall’osteria. Come il Sole e la Luna, si incontrano raramente: Nadia si addormenta dopo cena e si sveglia a tarda notte, quando lui è già addormentato; Milo si sveglia all’alba per andare al mercato, lei tornata a dormire profondamente. In quei pochi pomeriggi in cui si incontrano, Nadia non lo guarda negli occhi, non lo ascolta, non condivide quasi nulla di sé, di quello che sta scrivendo, di come si sente. Le loro conversazioni sono striminzite, solo dettagli della vita pratica in comune. Nadia sembra essersi spenta, e magari rimane con lui solo per inerzia, per dipendenza, o per paura, come accade talvolta alle coppie col trascorrere degli anni. La distanza fisica dei loro corpi mostra la distanza delle loro esistenze, complementari solo perché condividono lo stesso tetto.

Mi mancava quello che Nadia chiamava “il sesso da comodino”, quando ce ne stavamo nudi, abbracciati e zitti sotto le coperte, intrecciati come due piante, immobili come due tartarughe, io dentro di lei senza muovermi, controllando la furia della passione, trattenendo la tensione del desiderio lì, in bilico, senza darle sfogo, le sue mani calde sulla mia schiena, le mie sul suo culo, le nostre labbra che si sfioravano senza baciarsi e lei che, senza preavviso, mi mordeva la punta del naso e quello era il segnale che voleva dire: vai, liberati dentro di me, io sono tutta attorno a te, qui per te, qui per me, nessun altro posto sulla Terra esiste se non questi quattro metri quadrati, adesso.
Invece, da quando le cose avevano cominciato a precipitare, le parole fra noi erano diventate una traduzione scadente da due lingue estranee. E la nostra intimità era stata sostituita da sporadiche concessioni che Nadia mi faceva, quando riteneva che fosse passato troppo tempo, e di cui io approfittavo provando poi, ogni volta, una sottile vergogna. A un certo punto la mia vergogna aveva vinto, Nadia si era sentita sollevata, i nostri corpi smisero di parlarsi del tutto.

In questo progressivo allontanamento di Nadia, un certo peso sembra averlo il lunghissimo romanzo che lei sta scrivendo, il tentativo di riscattarsi nel mondo editoriale, dopo un inizio promettente rimasto bloccato. Milo osserva che per sua moglie scrivere è diventato solo una fonte di frustrazione. Nadia passa quasi tutto il suo tempo tra quelle pagine incomplete, pesando economicamente su Milo, che abbandona il lavoro sottopagato nello studio di architettura per lo stipendio sicuro all’osteria. Nadia colleziona anche impieghi provvisori, tenendo la sua concentrazione solo per la scrittura, l’unica cosa importante per lei.
Per la presenza di questo romanzo in divenire all’interno della trama, che avrà anche un ruolo fondamentale sul finale, si potrebbe quasi considerare L’invenzione di noi due un metaromanzo o metanarrazione. E io mi chiedo: quante volte la scrittura ci divide dal resto del mondo?!

Quando il romanzo di Nadia divenne solo cosa sua, una parte di me la visse come una sconfitta. Ma la verità è che fu anche un sollievo, perché avevo paura di scoprire, proseguendo nella lettura, che tutta la sofferenza, tutto il tormento che quella storia le provocava, tutto il tempo e la vita che le avevano rubato, non erano serviti a niente. Non riuscivo a fare a meno di pensare che se il sogno di scrivere, di pubblicare, diventa un incubo bavoso che fagocita il resto, comprese la voglia e il divertimento del raccontare, se ci rende persone che trascurano le storie reali per investire su quelle immaginarie, allora l’ambizione può trasformarsi in illusione.
Le nostre illusioni sono spesso le convinzioni più importanti che abbiamo. E di una cosa ero certo: non volevo essere io quello che avrebbe tolto a Nadia le sue, perché facendolo l’avrei ferita nel profondo.

Ma Milo non può arrendersi a questa situazione. Ama perdutamente Nadia, è la donna della sua vita senza dubbio, e non sopporta quegli occhi spenti nella ragazza innamorata che aveva rincorso e ritrovato molti anni addietro. Gli manca terribilmente ciò che erano prima di questa crisi, ma soprattutto la ama troppo per vederla soffrire a quel modo.
Poi un giorno, tornando proprio in quel liceo dove si erano conosciuti, senza mai vedersi, tramite messaggi scritti sul banco in condivisione, gli viene un’idea: partire proprio dalla scrittura, perché è proprio attraverso le parole che si sono amati la prima volta. Così le scrive una prima email, fingendosi un altro, fingendo di aver sbagliato indirizzo del destinatario, fingendo di scrivere a una moglie che se n’è andata di casa, lasciando solo scatoloni.

L’idea era mettere Nadia di fronte alle estreme conseguenze di uan condizione simile alla nostra, alla storia di un allontanamento conclamato. A una situazione specchio. Volevo suscitare la possibilità di un effetto, magari una sua risposta, forse perfino della compassione, non so, perché qualunque cosa sarebbe stata meglio rispetto alla palude senza sogni in cui stavamo sprofondando. Speravo che il suo amore per le parole, l’opportunità di scriversi con qualcuno, la sua innata empatia, sarebbero state tentazioni alle quali difficilmente avrebbe saputo resistere. […]
Dovevo fare in modo che Nadia tornasse a contemplare le nostre vite non più come macerie, ma come possibilità. Perché qualcosa in me sentiva – o meglio: lo sperava – che l’amore non era scomparso del tutto, che forse era solo sepolto.

Quando non se l’aspetta nemmeno più, arriverà la risposta di Nadia a quello sconosciuto. Pian piano torneranno a scriversi e raccontarsi, Nadia la sua verità, Milo la sua finzione, sotto il nome di Antonio. Lettere fitte e intense, a volte molto lungo, altre solo poche parole. Nadia si rivela a quello sconosciuto come non mai aveva fatto con Milo, si rincorrono e un po’ flirtano. E nei dettagli Milo osserva effettivamente sua moglie riaccendersi: la sorprende nella vasca da bagno, un bagno profumato a lume di candela, la musica in sottofondo; vestiti colorati rispuntano improvvisamente dall’armadio; tre mattine dedicate alla pulizia minuziosa della casa e la carta da parati sostituita nella vecchia credenza; un mazzo di narcisi freschi sul tavolo della cucina.
Quella corrispondenza intanto gli mostra senza alcun velo i sentimenti veri di Nadia, che a un certo punto rivela ad Antonio proprio la crisi con suo marito. Milo si ritrova così in trappola, trasformato nel suo stesso avversario, allo stesso tempo nei panni di Cristiano e Cyrano (dalla commedia Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand). Finalmente Nadia condivide con lui i suoi pensieri e la sua insoddisfazione, ma Milo a questo punto non può più svelare sé stesso senza rischiare davvero tutto.
Era tempo che Cristiano si rendesse utile a Cyrano. Ma per sapere come finisce questa storia, se finisce davvero o ricomincia, beh, dovete leggere il romanzo. 😉

Lo lessi una volta, da qualche parte: l’amore è un privilegio. Non è un elemento previsto dalla natura, ma un’invenzione umana. Pare che la natura viva benissimo senza. Il mondo vive, respira, lotta, muove e risorge ogni giorno per necessità. Senz’amore.
Ma se alcuni amori fossero una forma di necessità?
La nostra storia era nata così: due poli che si erano attratti, inesorabili. Una necessità elettromagnetica che era riuscita ad attraversare il tempo. All’inizio ci eravamo sentiti quasi dei predestinati, la marea che vedevamo sommergere gli altri non avrebbe mai dovuto raggiungerci.
E poi, lentamente, ci raggiunse.

 

She (may be the face I can’t forget) è titolo del capitolo 6 del romanzo

Falsificare il reale per far emergere il vero

Ho questa brutta abitudine di iniziare la lettura dai ringraziamenti nel fondo nel libro, non so nemmeno perché. Forse per avere una dimensione del lavoro richiesto allo scrittore, forse per comprendere la sua personalità dalla scelta di chi ringraziare prima e con quali parole, forse perché a volte ci trovo anche particolari sull’evoluzione del processo creativo, e pure battute divertenti.
Nei ringraziamenti finali di Matteo Bussola, tra le dieci persone che hanno lavorato per l’esistenza di questo romanzo, una frase mi colpisce.
A Giulio Mozzi, che ne lesse uno stralcio anni prima e mi disse: “Dovresti svilupparla”.
Per chi non lo conosce (forse perché non seguite il panorama editoriale), Giulio Mozzi è scrittore, ma soprattutto curatore editoriale e docente di scrittura creativa nella sua famosa Bottega di Narrazione. Seguo anche lui su Facebook e sulle newsletter dove scrive, e vi ho raccontato del suo Oracolo manuale per scrittrici e scrittori in questo post: Non sai cosa scrivere? Gioca a carte o chiedi all’oracolo!
Giulio Mozzi, dalla testimonianza di chi ha frequentato i suoi corsi di scrittura o ha lavorato al suo fianco, non è uno che regala complimenti a casaccio quando si tratta di scrivere, come quel professore che mi metteva sempre 8 perché “9 e 10 rappresentano la perfezione, ma la perfezione non esiste”. Dunque quel “Dovresti svilupparla” assume un ruolo fondamentale.

Pensa quindi se quella volta Giulio Mozzi non gli avesse detto di proseguire questa storia, se Matteo Bussola non si fosse ostinato a continuarla, se in Einaudi non l’avessero isolata dagli altri racconti e non l’avessero attesa per tutto il tempo necessario. Io non l’avrei letta, e non sarei nemmeno qui a scriverne. E io recensisco solo quelle storie che mi colpiscono davvero, nel profondo e forte.
Forse anche per il riferimento a Giulio Mozzi, mi sono incuriosita sul processo di scrittura di questo romanzo.

A differenza di Notti in bianco, baci a colazione, scrittura prevalentemente autobiografica per ammissione dello stesso autore, questo è proprio un romanzo di fantasia, dunque ha seguito un’evoluzione creativa differente. Parte però da un fatto reale.
Come spiega lo stesso Matteo Bussola in un’intervista del maggio 2021 per la Biblioteca Ennio Flaiano, tutto è nato da un racconto dal titolo “Chi sei?”, spedito insieme ad altri testi ad Einaudi Stile Libero, dopo il primo romanzo pubblicato e di successo, per valutare un secondo libro da scrivere, cercare una seconda storia su cui concentrarsi, dal momento che Matteo Bussola non nasce propriamente scrittore (a suo dire, io non sono d’accordo, sia messo agli atti). Questo racconto scaturiva da un episodio autobiografico, quando alle superiori proprio Matteo dovette condividere il banco con una ragazza, senza mai vedersi, ma scrivendosi messaggi sul piano del tavolino. Le lasciò anche il numero di telefono scritto, ma venne cancellato, sopraggiunse la maturità e di lei perse le tracce. Dopo dieci anni, la incontra per caso ad una festa, ognuno dei due impegnato con un’altra persona, e dopo essersi riconosciuti, la parte vera della storia finisce lì. Ma quel racconto piace a Rosella Postorino e Severino Cesari di Einaudi, così viene scelto per essere approfondito.
Quel racconto è diventato il capitolo 3, e parte del capitolo 6, del romanzo L’invenzione di noi due. Tutto il resto è opera di fantasia, è immaginazione di cosa sarebbe successo se altre due persone, Nadia e Milo, nello stesso schema, avessero invece continuato a vedersi, innamorarsi, sposarsi, vivere insieme.

Mi feci avanti e allungai la mano.
– Piacere, Milo.
– Piacere, – disse lei – Nadia.
Ci fissammo per un secondo di troppo. Nei nostri sguardi s’incrocio un’intuizione, fulminea.
– Nadia, – ripetei. Nel puzzle confuso nella mia testa qualcuno aveva improvvisamente sparato il pezzo mancante.[…]
– Nadia, – dissi ancora. – Nadia, della quinta C?
– Sì, – mi fece lei. – Chi sei?
Sorrisi.
– Questa domanda me l’hai già scritta tredici anni fa.
Nadia sgranò gli occhi, poi si mise le dita sulla bocca che formava una piccola o perfetta. Mi si buttò addosso in un impeto alcolico, mi schiacciò i seni sullo sterno e mi abbracciò con una tale violenza da buttarmi quasi a terra. […]
Passammo il resto della festa a parlare fitto, io e lei da soli, raccontandoci la vita, ridendo come due vecchi compagni durante una sbronza. […]
– Perché sorridi? – mi chiese.
– Sono salvo, – dissi.

Altro importante aspetto del libro è la sua ambientazione. Verona, la città natale di Matteo Bussola, si rivela in realtà simbolica quanto città dell’amore. Non è stata una scelta consapevole, ma funziona, come tutte le cose belle che si realizzano per caso. Usare la sua stessa città come sfondo è stata un’ancora per l’autore, che già doveva destreggiarsi con l’immaginazione negli altri ambiti della storia. Così Milo corre in Vespa per le strade della città, via Sottoriva, Ponte Pietra, Torricelle, Borgo Venezia, Montorio, Pigozzo, Trezzolano. Lavora in un’osteria del centro, un luogo associato dallo scrittore ad una vera osteria conosciuta, e con Nadia vive in una casetta con piccolo giardino nella frazione di San Michele, paesino frequentato dallo stesso Matteo Bussola.
Ma il riferimento a Shakespeare diventa spontaneo. Verona è la città di Romeo e Giulietta, dove nasce il loro amore eterno, così potente e indissolubile nella letteratura mondiale, ma anche terribilmente tragico. Per un amore così appassionato e per la fretta di amarsi, i due giovani trovano una morte prematura.

Quando mi hai scritto che sei di Verona ho pensato che, pur essendo la città dell’amore, Verona è anche la città in cui l’amore è morto.
Romeo che si uccide per la morte apparente di Giulietta, Giulietta che si toglie la vita per la morte vera di Romeo.
Se solo Romeo avesse aspettato pochi secondi in più.
Se solo Giulietta si fosse svegliata un attimo prima.
Immagino che questo ci dica molto sulla capacità di saper attendere, ma anche su quella di non fermarsi mai alle apparenze.

Un ulteriore curiosità sul romanzo, che mi ha colpito e ne avevo compreso un po’ il significato, confermato dalle parole di Matteo Bussola in una presentazione. I capitoli sono organizzati in quattro parti: Spiga, Grano, Farina e l’ultimissimo, il finale, Acqua.
Quattro elementi del processo di lavorazione per arrivare al pane, i primi tre sono in realtà lo stesso alimento, raffinato per essere utilizzato in cucina. Ma senza l’acqua, la farina da sola non può mai giungere al pane. Lo stesso processo di trasformazione avviene anche all’interno di una relazione di coppia: l’amore ci trasforma, di regala nuova vita, nuove opportunità.
E nella storia tra Milo e Nadia è proprio il pane quotidiano, la vita di tutti i giorni, che li ha in qualche modo allontanati. L’acqua è l’elemento finale che amalgama, unisce, in qualche modo aggiusta.
Beh, a dire il vero, io ci metterei pure un po’ di sale… 😛

Vi lascio infine con quest’altra intervista, proprio con Einaudi editore, dove Matteo Bussola vi spiega direttamente questo suo romanzo: «Il compito della letteratura è quello di falsificare il reale per far emergere il vero, e a me da scrittore è questo tipo di verità che interessa».

A chi si ama e non ricorda il perché

Questa è la dedica in quarta pagina del romanzo, e trovo sia davvero azzeccata. Nonostante io non abbia trovato le risposte che cercavo (errore mio, dato che non si dovrebbe mai leggere un libro per questo motivo), credo sia una delle più belle storie che si possano regalare per San Valentino.
Forse non per un nuovo amore nascente, dove ci si conosce ancora poco e l’equivoco è sempre dietro l’angolo. Ma per chi si ama già da un po’, è caduto nell’abitudine della vita quotidiana, ha iniziato a dare per scontato la presenza dell’altro, a lamentarsene anche.
E non ricorda più perché ci si è affannati tanto per stare insieme, contro qualsiasi pronostico di parenti e amici.
Un ottimo promemoria insomma.

Ricordo come fosse ieri il giorno in cui mi hai detto che amarsi è come cucire, che l’amore è un ago che buca la pelle e le vene, una sofferenza necessaria per ottenere un abito su misura. Mentre il nostro matrimonio, nonostante l’impegno, è sempre stato un pesante cappotto della taglia sbagliata, un maglione troppo ampio, una coperta nella quale avvolgersi e scomparire. Il matrimonio è una consolazione, ecco tutto quello che è, ma tiene caldo solo se ci si seppellisce dentro. Forse ci vuole più coraggio per un’esistenza in maniche corte, mettendo in conto il freddo, il vento, la siccità e la pioggia, continuando comunque a ridere in faccia alla tempesta.
L’invenzione di noi due, Matteo Bussola

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Comments (8)

Sandra

Mar 10, 2024 at 11:27 PM Reply

Mi sono messa d’impegno a capire se l’avessi letto oppure no, perché la storia no, non mi diceva nulla, ma sono certa di aver letto un romanzo di Matteo Bussola, o meglio di aver tentato di leggerlo e averlo abbandonato. Mio non è, allora l’ho cercato nell’elenco dei prestiti della biblioteca. Bingo, è un altro, cioè La vita fino a te.
Capirai che non ho più provato a leggere altro di suo. Anche se di solito le storie di coppie molto nel quotidiano mi piacciono.
Quante volte la scrittura ci divide dal resto del mondo?! Chiedi a te stessa e forse anche a noi.
Tante, e non so se ne valga la pena, però è difficile sganciarsi. Tocca più che altro trovare, come in mille altre cose tra cui il matrimonio, un equilibrio sano.

Barbara Businaro

Mar 11, 2024 at 10:33 PM Reply

Infatti mentre lo leggevo pensavo quanto fosse strano che non ti fosse piaciuto! 🙂
L’arcano è presto svelato: La vita fino a te è una raccolta di riflessioni autobiografiche sull’amore, racconti sparsi che qualcuno, nelle recensioni, lamenta non essere collegati fra loro, mentre per altri invece è proprio quella la sua forza. Ma non è una storia vera e propria, con una trama delineata, ecco. E questo è il motivo per cui non l’ho considerato nella lettura. Volevo un romanzo, fatto e finito, per comprendere la scrittura dell’autore, non la sua vita personale.
Quante volte la scrittura ci divide dal resto del mondo: ecco, mi confermi che è difficile bilanciare il tutto. Sto poi rileggendo, oramai quasi terminato, L’arte di correre di Haruki Murakami e lui ammette di aver sacrificato parte delle relazioni sociali alla scrittura. Correre ogni giorno era un’attività obbligatoria per contrastare la sedentarietà, ma l’ha sempre concepita come attività solitaria. Mentre il primo romanzo l’ha scritto di notte, nelle ore successive alla chiusura del locale notturno che gestiva da giovane. Equilibri decisamente diversi!

Marina

Mar 11, 2024 at 2:55 PM Reply

Uh, Paola Barbato e il mio amato Dylan Dog! No, scusa, il post è un omaggio al marito e a questo suo romanzo…
Non conoscevo Matteo Bussola se non perché sentito nominare (non so dove ma di certo non mi è nuovo: forse ne ho sentito parlare proprio a Giulio Mozzi, che seguo anch’io) e la storia sembra avere un bel ritmo. Devo dire che, se non fosse che ne hai scritto tu con tanto entusiasmo, io non mi avventurerei nella lettura di una storia del genere, perché la vita di una coppia che finisce di amarsi mi attrae poco, un po’ come quelle sulle malattie in famiglia o sui rapporti genitor/figli problematici. Sarà perché non potrei immedesimarmi, essendo io una cinquantenne (lasciami sottrarre qualche anno) molto soddisfatta del mio matrimonio, non riuscirei a entrare nelle difficoltà di questo. Però lo regalerei, questo sì, perché mi fido di quello che hai detto tu e del giudizio di Mozzi; e poi si vede che è un libro scritto benissimo. Saprei anche a chi farlo leggere! 😉

Barbara Businaro

Mar 11, 2024 at 10:33 PM Reply

E allora compralo e incartalo, Marina! 😉
In quanto al tema, ognuno ha le sue limitazioni letterarie, per così dire. Difficilmente leggo romanzi ambientati durante l’epoca del nazismo, per esempio, e come te rifuggo da quelli sulle malattie in famiglia (eppure ho letto Paula di Isabel Allende, e mi fece molto bene a quei tempi). Ma sulle storie d’amore no, non ho necessità di immedesimarmi e leggo comunque, forse perché d’amore mi piace anche scrivere, spaziando.
Ecco, tu arrivi a Matteo Bussola tramite Paola Barbato, io invece al contrario. Tanto che penso di leggere uno dei romanzi di lei, genere noir. Quando riuscirò a smaltire le tre pile che ancora mi guardano male dal comodino, s’intende! 😛

Giulia Mancini

Mar 11, 2024 at 8:38 PM Reply

“Il compito della letteratura è quello di falsificare il reale per far emergere il vero.” Mi piace moltissimo questo concetto, lo trovo molto vero e vicino al senso che anch’io do alla scrittura.
Di Matteo Bussola ho letto Il rosmarino non capisce l’inverno, me lo aveva consigliato una mia amica così l’ho preso in prestito dalla biblioteca digitale. È una raccolta di racconti, ma non mi hanno entusiasmato anche se il titolo è davvero bello. Questa tua recensione mi ha incuriosita, lo metto in lista.

Barbara Businaro

Mar 11, 2024 at 10:41 PM Reply

Ti dirò, stavo per cedere anch’io all’acquisto de Il rosmarino non capisce l’inverno, per il titolo, per la copertina, per il tema del femminile e per le tante recensioni positive. Dall’altra parte, sempre antologia di racconti ma declinati tutti al maschile, c’è la raccolta Un buon posto in cui fermarsi, stavo pensando di leggerlo e regalarlo per Natale.
Ma poi sono inciampata in questo romanzo. Magari in futuro leggerò anche quei racconti, vedremo. 🙂

Luz

Mar 14, 2024 at 6:31 PM Reply

Seguo anch’io Matteo Bussola da molto tempo. Una volta ebbi modo di scrivergli sotto a un post che mi ricorda vagamente il Daniel Day-Lewis giovanissimo dei primi anni Novanta. Mi rispose molto simpaticamente che se ne sentiva lusingato e si fece grandi risate. Bussola è una persona dolcissima, garbata. Non credo leggerei i suoi libri, non sono nelle mie corde ma sono contenta del suo successo. Ha mandato a segno almeno tre romanzi con Einaudi e non è da poco. Il sostegno di Mozzi poi è stato e continua a essere un bell’incoraggiamento.

Barbara Businaro

Mar 15, 2024 at 6:19 PM Reply

I romanzi pubblicati con Einaudi sono 6 ad oggi, certo alcuni svettano più di altri e il primo Notti in bianco, baci a colazione è tornato alla ribalta per l’uscita del film. In più è riuscito a convincere Einaudi a pubblicare un manga, questa è una piccola rivoluzione. Da poco ho scoperto, mi pare in un’intervista, che all’inizio lavorava in un comune, pubblica amministrazione dunque, come progettista all’edilizia. A 35 anni ha deciso di puntare sulla sua grande passione, il fumetto (il disegno prima della scrittura quindi). Dal fumetto, probabilmente dovendo anche immaginare talvolta le storie, il passo alla scrittura – un passo laterale però, perché continua a disegnare – è stato breve.
Un’altra cosa che colpisce è quando racconta, quasi con gli occhi a cuoricino, l’incontro con Paola Barbato, lei all’epoca già affermata disegnatrice. Una storia vera, di quelle che piacciono a me. 🙂

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