
La manutenzione dei sensi di Franco Faggiani
Mi si era presentato davanti in camice bianco immacolato, scarpe in pelle tirate a specchio, occhialini tondi e una cartellina in mano. Aveva finto di scrutarvi un foglio e aveva emesso la diagnosi, anzi la sentenza, con un velo di mestizia: «Dottor Guerrieri… la pompa della benzina…». Mancava aggiungesse solo, con un sospiro, «non ce l’ha fatta», ed eravamo a posto.
Conclusione: impianto nuovo e un sostanzioso prelievo dal portafoglio, già di per sé malmesso.
«E almeno una settimana di lavoro, dottor Guerrieri», aveva mormorato sommessamente.
Almeno una settimana? Ma togliti quel camice da primario, quell’espressione da professorino, rimboccati le maniche e vai di là a lavorare, altro che una settimana. Così avevo pensato.
«Va bene», avevo detto invece. «Posso avere un’auto sostitutiva?».
«Mi spiace, al momento sono tutte fuori. Ne può eventualmente prendere una a noleggio. A un prezzo conveniente, vista la necessità».
«Non fa niente, andrò a piedi. Camminare migliora l’umore».
Maledetti i giapponesi e le loro auto…
La manutenzione dei sensi, Franco Faggiani
Ci ho messo un po’ a riorganizzare le idee e rivedere gli appunti, perché è un periodo alquanto frenetico tra le scartoffie burocratiche, il giardinaggio a giorni alterni, tra un diluvio universale e l’altro, e le classiche pulizie di primavera di armadi e sgabuzzini.
Ma non potevo assolutamente non raccontarvi di questo romanzo, il primo degli acquisti fortunati del Book Pride Milano 2025. Perché se arrivi alla fine di un libro e vorresti preparare i bagagli per raggiungere i protagonisti e restare a pranzo lì con loro, come fosse casa tua, beh, direi che bisogna proprio scriverci qualcosa, non vi pare?
Dopo aver terminato questa lettura, penso proprio che l’incontro fortuito con Franco Faggiani al Book Pride, davanti allo stand Fazi quando stavamo oramai per andarcene dalla fiera, sia stato uno di quei sassolini da dio, come li chiamo io, che mi portano nuove prospettive e meravigliose riflessioni.
Non lo conoscevo, e ahimè sono ancora tanti gli scrittori italiani che non ho incrociato tra le pagine dei loro romanzi, ma si è rivelato subito una persona gentile e simpatica, restando lì cinque minuti a chiacchierare e scherzare con noi, firmando anche le nostre copie, senza fretta.
Avevo già adocchiato al primo passaggio davanti allo stand quelle copertine in tema montagna, illustrazioni e disegni fatti a mano, o particolari di dipinti esistenti, che risaltano ancora di più in mezzo ad altre produzioni meno artigianali. In particolare, il tema dell’azzurro e del blu, delle cime innevate e dei cieli trasparenti aveva colpito subito il mio sguardo. Alla fine, tra tanti titoli accattivanti e diverse trame curiose lette un po’ di corsa sulle alette, ho scelto La manutenzione dei sensi, con questa montagna severa e due persone in cammino. Ripensandoci, mi porta anche al mio essere “peaker”, ai nostri percorsi in salita e al logo della community My Peak Challenge, con le sue tre vette stilizzate, i nostri peak appunto. 😉
Franco Faggiani è scrittore e prima ancora giornalista. Ha lavorato infatti come reporter da aree piuttosto difficili del mondo, per diverse testate giornalistiche, ma si è occupato anche di economia, ambiente, cronaca, sport ed enogastronomia. Se andate a curiosare nelle sue pubblicazioni, ci sono libricini alquanto interessanti, da Endurance trail. Prepararsi, partecipare, sopravvivere a Il Cammino Balteo. 350 km a piedi alla scoperta della Valle d’Aosta, da La compagnia del gelso a Dal divano alla maratona. Come iniziare a correre per ridurre il peso, recuperare la forma e vincere lo stress (uhm, un po’ corro, ma potrei davvero tentare una maratona?!) Se poi sfogliate bene il catalogo, trovate anche una serie di romanzi con protagonista il Comandante Colleoni, funzionario del Corpo Forestale e investigatore atipico: Tracce sotto la neve, Le bolle di sapone e La trasformazione delle nuvole.
Franco Faggiani vive a Milano, dice, ma ci credo poco. Perché, se andate a sbirciare le fotografie sul suo profilo Instagram @franco.faggiani, quei panorami lì a Milano proprio non li ho mai visti! 😀
Con il romanzo La manutenzione dei sensi ha iniziato il suo percorso con Fazi Editore nel 2018, ottenendo grande successo di critica e di pubblico e svariati premi: vincitore del Premio Parco Majella, del Premio Città delle Fiaccole e finalista al Premio Cortina e al Premio Wondy. Ha pubblicato sempre con Fazi anche Il guardiano della collina dei ciliegi (bellissimo il monte Fuji in copertina), vincitore del Premio Selezione Bancarella e del Premio Biblioteche di Roma, Non esistono posti lontani, Tutto il cielo che serve, L’inventario delle nuvole, vincitore del Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo, del Premio Gambrinus Mazzotti e del Premio Selezione Bancarella, e l’ultimo Basta un filo di vento (le colline dell’illustrazione sembrano toscane, ma è ambientato nell’Oltrepò Pavese).
Sono contenta però di aver scelto l’opera prima di questo nuovo filone narrativo, perché me ne restano una bella serie da leggere e non ho rischiato di finire nel mezzo di un’evoluzione di stile e di personaggi. Per altro, un indizio scorto in rilievo in mezzo alla trama mi aveva fatto soppesare di più questo romanzo: la sindrome di Asperger diagnostica ad uno dei protagonisti. Uno dei miei personaggi televisivi preferiti è Sheldon Cooper della serie Big Bang Theory, quattro scienziati super cervelloni che condividono appartamenti, eventi cosplay in costume ed esperienze disastrose con le ragazze. Sheldon Cooper ha un carattere spinoso, con alcuni comportamenti ossessivi compulsivi, soprattutto in quanto all’igiene, non riconosce l’ironia e il sarcasmo, nonché alcune sfumature delle emozioni umane. E’ sincero fino allo sfinimento, ma senza cattiveria, perché per lui sono dati oggettivi e basta. Nonostante gli sceneggiatori della serie televisiva abbiano negato il legame del personaggio con la sindrome di Asperger, Big Bang Theory viene comunque citata tra la cinematografia che racconta tale sindrome. E’ comunque il mio preferito perché le sue risposte mettono in realtà in luce le difficoltà di noi “normali”. Da Sheldon Cooper c’è sempre molto da imparare, e non perché sia un fisico teorico, ricercatore sulla teoria delle stringhe.
Come ho scoperto poi, anche Martino Rochard in questo romanzo avrà molto di cui sorprenderci. 🙂
Questa storia comincia però da una vecchia baita diroccata a quasi duemila metri di altezza a Cesana Torinese, tra le montagne piemontesi che scivolano verso la Francia. Non conosco quei luoghi, che sono agli antipodi rispetto alle Dolomiti qui alle mie spalle, ma comincio a immaginare enormi prati verdi e boschi fitti tutto intorno con le alte vette che toccano il cielo, canticchiando il motivetto di Heidi della mia infanzia…
Gran parte delle decisioni prese nei miei primi cinquant’anni erano state spesso intercambiabili, se non addirittura in contrasto tra loro. Qualcuna però ero riuscito a portarla fino in fondo, come quella di prendere il rudere che Chiara aveva tanto desiderato ma che non aveva potuto avere.
Avevo deciso di comprare quel che rimaneva di quella vecchia baita dopo una notte insonne, passata a rimuginare idee e a ridare un contorno a ricordi quasi sbiaditi che salivano a casaccio dal fondo di quella macchina del tempo che viaggia solo a ritroso qual è la memoria; a considerare che la nostra vita, la mia e quella di Martino, non era più compatibile con Milano. Invece di scorrere fluida, si avvitava con spirali sempre più soffocanti e minacciose, preludio di tempeste.
Di lì a una settimana ero riuscito a rintracciare il proprietario, un malgaro ottantacinquenne che viveva in compagnia di due gatti e di un merlo addomesticato nel borgo di Fenils, a due passi da Cesana Torinese, e gli avevo fatto un’offerta. Poche decine di migliaia di euro, ma tutti e subito.
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Scappare dalla città
per tornare a vivere
All’inizio della nostra storia i protagonisti sono tre: un padre, una figlia e un ragazzo in affido. Sullo sfondo, una moglie e una madre che se n’è andata troppo presto, all’improvviso, lasciando un vuoto difficile. Il padre è Leonardo Guerrieri, vedovo cinquantenne, un passato brillante di giornalista e un futuro incerto, dove sta ancora raccogliendo i cocci della triste perdita della moglie Chiara. La figlia è la giovane Nina, sorridente e forte come la madre, “una delle migliori allieve dei miei corsi all’Istituto di Osteopatia. Negli studi, una molto in gamba, sveglia. A essere precisi, un caterpillar con la velocità di una Ferrari” come la definirà più avanti il professor Rambaldi, in partenza per Boston per un’importante occasione di lavoro. Il ragazzo in affido temporaneo è Martino Rochard, taciturno e solitario, con lo stesso carattere indipendente e silenzioso di Guerrieri. Non chiede, non pretende, non racconta. Difficilmente sorride, non vuole essere toccato, nemmeno per sbaglio. Solo Nina ha il permesso di abbracciarlo, con le dovute cautele.
Oltretutto anche io avevo un caratteraccio che nel tempo era andato peggiorando. Non ero litigioso; anzi, riuscivo a mostrare un consolidato aplomb quando ero con gente estranea e mantenevo un certo atteggiamento formale indispensabile nel mio lavoro che però, all’atto pratico, svolgevo sempre più svogliatamente, in maniera quasi sciatta. Io, che ero stato un brillante inviato, conteso dai direttori dei giornali. Ma quando mi guardavo allo specchio consideravo quello di fronte a me un estraneo, un usuraio dei sentimenti, sempre più avaro nel concederli, sempre più arraffone nel pretendere quelli degli altri. La mia vita stava andando alla deriva, ne ero consapevole; ma non trovavo, o non volevo trovare, un relitto a cui aggrapparmi in questo triste navigare.
Mentre Leonardo Guerrieri prepara i bagagli per raggiungere la baita in montagna, ci racconta in diversi flashback come si è svolta la sua vita fino a questo momento. Senza grandi scossoni per la verità, tutto immerso nel suo lavoro di cronista in giro per il mondo, fino alla scomparsa improvvisa della moglie Chiara. E poi arriva appunto Martino, in maniera quasi rocambolesca, per merito della figlia Nina. Ma unendo tutti i puntini delle casualità si può osservare quasi un curioso disegno del destino. Ed è la stessa Nina a farlo notare al padre.
«Oggi pomeriggio sono tornata all’Istituto Maria Ausiliatrice. Ti dice qualcosa?».
«No. Dammi un indizio».
«È un posto, forse più vecchio delle piramidi, dove delle suorine portano avanti da quasi un millennio un orfanotrofio. La più giovane, la novizia, avrà almeno la tua età…».
«Ninetta, non mi fai ridere. Ma perché sei andata lì?».
«Perché l’avevo promesso qualche mese fa a una delle suore che ogni tanto si fa vedere nella clinica dove faccio tirocinio. E perché ci sono dei bambini che hanno dei problemi. Mi sembrano tutti buoni motivi».
«Lodevole iniziativa, mi pare. Ma non è certo questo ad averti reso triste, giusto?».
Nina aveva alzato lo sguardo e due lacrime si erano affacciate agli angoli degli occhi.
«Giusto. Mi ha rattristato l’ambiente e il fatto che le suore non ce la fanno a prendersi cura dei bambini come dovrebbero. Tirano avanti nella remota speranza che qualcuno arrivi a occuparsi di loro».
«Be’, ma ci sei tu…».
«Questa tua ironia è fuori luogo. Questi bambini non hanno bisogno delle mie cure, ma di affetto, di attenzioni, di abbracci. Di luoghi confortevoli. Di una famiglia, anche con tutti i suoi errori».
«Be’, ospitane uno qui, sai quanti errori gli possiamo regalare!». Voleva essere una battuta, naturalmente, per cercare di farla sorridere. Nei mesi del grande dolore a volte aveva funzionato, anche se fare battute m’era costato un grosso impegno.
«È quello che stavo per proporti…».
«Non ho capito».
«Prendiamone uno a casa», aveva risposto con tono determinato.
«Prendiamone uno a casa…adesso sei tu che dici stupidaggini, non è mica un cucciolo. E comunque non potremmo prendere nemmeno quello».[…]
Pensa alla nostra vita com’era e come è. Io non sono stato capace di seguire te come avrei dovuto, figurati avere a che fare adesso, nelle condizioni pratiche e mentali in cui mi trovo, cioè da schifo, con un bambino di tre o quattro anni che…».
«Otto».
«Otto?».
«Sì, ha quasi otto anni. Un bellissimo bambino, con un carattere che giudicheresti subito perfetto. Parla pochissimo, si fa sempre i fatti suoi, non ama le smancerie, è adattabile, non si lamenta mai, dove lo metti sta. Ha l’aria smarrita di un sognatore… il tuo ritratto spiccicato».
«Mi stai dicendo che hai già messo gli occhi su una povera vittima?». Avevo cercato di alleggerire, ma in realtà ero consapevole che stavo per finire in un oceano in tempesta.
«Sì, e lo interpreto come un segno divino. Perché quel bambino, incrociato per caso, ha già dei fili invisibili che in qualche modo lo collegano alla nostra piccola famiglia».
«In qualche modo come?».
«Hai la memoria proprio corta. La mamma era andata a fare volontariato all’Istituto Maria Ausiliatrice prima che io nascessi. Se io non fossi nata magari ti avrebbe proposto di adottare un bambino lì».
Non c’è niente di più definitivo del temporaneo, verrebbe da pensare e in effetti è su questo concetto che Leonardo Guerrieri si tranquillizza: io non sono suo padre, lui non è mio figlio, dobbiamo solo convivere pacificamente insieme. Per la verità, nonostante la generazione di differenza, i loro due caratteri si assomigliano alquanto. Il silenzio pacifico di Guerrieri, la sua presenza tranquilla e pacata, è probabilmente la miglior serenità per Martino, il cui passato non è proprio così leggero, come scopriremo più avanti.
Insomma, non ero di sicuro io il supporto ideale per Martino, anche se fin dal primo momento mi aveva dato l’impressione che a lui bastasse la mia presenza non belligerante. Quando lavoravo nello studio si sedeva accanto a me, accendeva uno dei miei computer e passava il tempo a smanettare alla ricerca dei suoi argomenti preferiti. Leggeva, disteso sul divano, e spesso si addormentava. Se veniva qualcuno, stava lì con noi per un po’, muto. Poi, senza una precisa ragione, si alzava di colpo e se ne andava nella sua stanza.
Io, considerandolo una persona che da un giorno all’altro sarebbe potuta andar via, lo guardavo con un po’ di distacco, non mi facevo coinvolgere, lo lasciavo fare. Forse era per questo che in qualche modo gli piacevo, guadagnandomi, a volte, immotivati sorrisi, che affioravano da chissà dove.
Quando la figlia Nina, in partenza per Boston, “oltre il Mar Oceano” come dice il ragazzo, esprime la sua preoccupazione per lasciarli a Milano da soli per diversi mesi, Leonardo Guerrieri ha quasi un moto di stizza. Va detto che, a questo punto della storia, a Martino era già stata diagnosticata la sindrome di Asperger, su prima indicazione della psicologa delle scuole medie che il ragazzo frequentava.
«Noi non siamo disadattati, siamo solo due caratteri uguali. Stiamo bene, anche se a volte ci… respingiamo, come i poli magnetici dello stesso segno di due calamite.
Ma è proprio su questo principio di opposizione che funzionano gli avveniristici treni che corrono sospesi su un binario unico. Perché allora non potremmo funzionare noi? Ok, a volte siamo un po’ asociali, non abbiamo ancora tutto il coraggio che serve per affrontare l’imprevedibilità ma, a conti fatti, andiamo d’accordo. Molto d’accordo. E che ci serve di più? Quel che abbiamo ci basta e avanza…».
La sindrome di Asperger
non è un’infermità
La prima reazione infatti di Leonardo Guerrieri alla diagnosi della sindrome di Asperger su Martino non era stata delle migliori. La figlia Nina, dopo qualche secondo di apnea, ammette che la diagnosi spiega molti tratti del carattere del ragazzo. Ma quando chiede al padre cosa ne pensa, la risposta la lascia sgomenta: «Ma chi lo vuole adottare un bambino con quell’Asperger stampata addosso?»
Perché Guerrieri ancora si illude che l’affido di Martino sia temporaneo e da un momento all’altro potrebbe reclamarlo una famiglia per l’adozione. Illuminante, anche per noi lettori, è l’incontro con il professor Romualdo Rambaldi, un luminare, il meglio sulla piazza di Milano per la sindrome di Asperger. Un personaggio divertente, a modo suo, come avremo modo di scoprire anche nella seconda parte del romanzo.
Senza parlare, il Rambaldi mi aveva allungato un foglietto con dei nomi. Ci avevo buttato l’occhio.
Darwin, Newton, Hitchcock, Bertrand Russel, Bobby Fischer, Mozart, Spielberg, Temple Grandin, Vernon Smith, Satoshi Tajiri, Alan Turing…
«Il primo è un informatico giapponese, ha inventato i Pokemon. Mi-liarda-rio!», aveva enfatizzato mettendo in evidenza una erre moscia parigina. Poi, dopo avermi fissato per individuare mie eventuali reazioni, aveva ripreso: «Il secondo, vissuto nella prima metà del Novecento, è stato il più grande matematico del ventesimo secolo. Senza di lui l’informatica non esisterebbe. È stato anche un insuperabile crittografo, decifrò i codici di guerra dei nemici della Gran Bretagna durante la seconda guerra mondiale. Il merito della vittoria finale è stato anche suo e non solo degli eserciti sbarcati in Normandia. Si suicidò a quarantun anni, non perché malato o pazzo, ma perché continuava a subire vessazioni per via della sua omosessualità…».
«Storie affascinanti, esaltanti. Vede, tutti questi personaggi, ma potrei dargliene un nuovo e assai lungo elenco, sono o sono stati indubbiamente dei geni. Con una cosa in comune: la sindrome di Asperger. Certo, per alcuni di questi venne scoperta col senno di poi, tramite la rilettura, in chiave scientifica, dei loro comportamenti e del loro modo di vivere.[…] Comunque, dico tutto questo per tranquillizzarla, per farle capire che il suo ragazzo è un tipo sveglio e sicuramente non avrà nessun problema per il futuro. Non è sofferente, non ha disturbi che gli impediranno di fare buone attività. Sarà, probabilmente, molto selettivo nei confronti delle persone, farà delle scelte
precise e inconfutabili, starà decisamente alla larga da manifestazioni affettuose, e sottolineo decisamente, perché questa è una delle caratteristiche comuni a tutti quelli come lui. Se qualcosa non gli andrà, lo farà capire molto chiaramente, magari con toni aspri, che potrebbero sembrare anche molto fastidiosi».
«Fa così già da un bel pezzo», mi era venuto da intervenire.
«Meglio, Guerrieri, meglio», aveva detto il professore ampliando il tono della voce e la gestualità delle mani, «così lei non dovrà abituarsi a niente di nuovo. Ma se lo faccia tatuare su tutte le parti del corpo, anzi, se lo scolpisca in ogni singola cellula del cervello: la sindrome di Asperger non è un’infermità, è una condizione».
Un’altra riflessione importante sulla sindrome di Asperger arriva dalla dottoressa Robinia Maestrelli, neuropsichiatra, che spiega in termini pratici a Guerrieri come comportarsi con il figlio in affido, giorno dopo giorno.
«Non c’è una lancetta che oscilla per indicarne il grado. Non è una malattia fisica che si identifica attraverso delle analisi mediche, guardando una lastra o in un microscopio. L’Asperger è un pianeta lontano e silenzioso, in molte aree ancora inesplorato. Martino può mostrare un giorno la solitudine e la crudeltà di un bambino soldato e il giorno dopo la solidarietà e l’affetto di un figlio che si sente amato, al sicuro. Non sarà facile districarsi tra questi estremi. In compenso, per lui sarà tutto nella sua norma e non ne soffrirà. Così dice almeno la neuropsichiatria, fin dove è riuscita ad arrivare…».
[…] non tutti gli Asperger potranno essere Mozart o Spielberg.[…] sono molti i ragazzi che non funzionano per niente, che vivono di ossessioni più o meno intense, di silenzi e gesti ripetitivi. Tuo figlio però non ha ritardi cognitivi evidenti, è motivato negli studi, ha interessi specifici e, come mi aveva detto il professor Rambaldi indicandomi il gallo di carta sulla scrivania, è abile e perfezionista. Probabilmente gli rimarrà una dose di egocentrismo e i compagni, all’inizio incuriositi, dopo un po’ lo considereranno uno che arriva da un altro pianeta. Ne saranno spaventati o affascinati. Agli adulti parrà persino un po’ snob. Sembrerà assente, ma perché avrà pensieri non facili da decifrare. Non vi intestardite a inseguirli, è una fatica spesso improduttiva.»
Ma se il carattere chiuso di Martino si accorda con quello del padre affidatario, diventa di forte intralcio per la vita sociale con i compagni di scuola. All’inizio della terza subisce diverse angherie da parte dei classici bulli, cominciando dagli insulti coloriti e dalle spintonate, fino alle intimidazioni e agli sputi. La situazione diventa pesante anche per un ragazzo tranquillo come lui, mentre gli insegnanti minimizzano, evitando così di dover intervenire in prima persona. Alla fine però Martino reagisce: l’ultimo giorno prima delle vacanze di Pasqua si ingozza di cibo al pranzo scolastico e appena i bulli gli si avvicinano, gli vomita tutto addosso. Per un ragazzo tranquillo come lui, significa davvero aver raggiunto il limite. Leonardo Guerrieri ripensa seriamente alla propria vita, e quella di Martino.
Avevo passato un’altra notte a immaginare un futuro, a rispolverare vecchi pensieri, a tirare somme dal risultato sempre negativo: il lavoro scivolato nelle sabbie mobili del precariato e della sottomissione, Nina oltre il Mar Oceano, Martino maltrattato, amici zero e zero anche i motivi per rimanere legati a questa città. Al termine di quella notte passata ad occhi spalancati avevo deciso che era arrivato proprio il momento di andare a vivere nella casa di montagna. Meglio affrontare il rischio di un cambiamento che, come aveva detto la dottoressa Maestrelli, sarebbe potuto risultare destabilizzante, piuttosto che continuare con una vita scadente per entrambi. Meglio cercare di far accadere le cose, piuttosto che stare fermi, passivi, ad aspettare che accadano.
Traslocare da Milano in alta montagna è certamente un rischio, uno di quei cambiamenti destabilizzanti che appunto la dottoressa Maestrelli ha consigliato di evitare nella vita di Martino. Eppure lassù il ragazzo sembra trovare il vero stesso. Perché è proprio tra quelle cime, in mezzo ai quei boschi, camminando tra i sentieri impervi, che Martino ci regala osservazioni importanti.
Un giorno gli avevo chiesto, ma senza dare troppo peso alla domanda, come mai scrivesse in quel modo serrato.
«Non bisogna perdere il tempo e lo spazio, mai lasciare vuoti».
«Be’, ma tu passi buona parte del tuo tempo libero a dormire, non potresti…».
«Io dormo per sognare. I sogni sono viaggi importanti. Tu sogni?».
«Certo che sì…».
«A me non sembra che tu sogni; a me sembra che tu abbia pensieri».
Ecco, con lui era facile sentirsi in difficoltà. Poche parole affilate, spesso in grado di recidere. E anche quel suo sguardo fisso, a volte, era capace di farmi inciampare.
«Potresti fare di più ma non ti applichi, sei un incostante. Tu preferisci guardare le nuvole. Senza capire che le nuvole, secondo la direzione e la forma che prendono, possono essere molto pericolose», mi rimproverava Martino. Non capivo mai se era serio o ironico, contrariamente a quanto
avevano ripetuto i medici. Ma proprio perché la sindrome di Asperger aveva ancora numerosi meandri da esplorare, non dovevano avere ragione per forza.
“Potresti fare di più, sei un incostante…”. L’aveva sentito spesso a scuola, una di quelle frasette che le prime volte doveva essergli sembrata poco comprensibile; i ragazzi come lui preferiscono parole chiare, su cui non c’è niente da elaborare.
La bellezza della montagna
raccontata da Faggiani
La passione per le montagne m’era venuta da ragazzo guardando una piccola foto in bianco e nero con i bordi seghettati, dove c’era mio padre. Alto, magrissimo, capelli neri e fitti, gilet di lana intrecciata sopra una camicia bianca dalle maniche rimboccate con molta cura, pantaloni alla zuava avvolgenti che gli stavano a pennello, scarponi di cuoio. Era adagiato su una cresta rocciosa, cielo e nuvole sullo sfondo, circondato da belle ragazze coi calzettoni e le gonne pesanti fino al ginocchio.
«Molto figo», aveva sintetizzato Nina guardando quel ritratto di suo nonno che mi ero portato via dalla casa di Roma in cui ero nato, nel quartiere Prati. Su quella foto avevo cominciato a fare castelli in aria e anni dopo, fissati gli ormeggi a Milano, avevo iniziato a mettere in pratica quelle fantasticherie, partendo dalle montagne vicine per poi allontanarmi sempre un po’ di più.[…]
Se mio padre aveva ottenuto un successo così sul Soratte, figuriamoci su un gigante delle Alpi, m’era venuto da pensare ogni tanto, quando una delle mie occupazioni principali era stata cercare consensi femminili. E in fondo avevo avuto ragione. Perché poi, proprio salendo in solitaria i 4.102 metri della Barre des Écrins, nel versante francese delle Alpi occidentali, avevo conosciuto Chiara, che saliva in cordata con altri amici.
Le prime persone ad accogliergli lassù in montagna sono Augusto Bermond e il figlio Daniele, proprietari dell’agriturismo Barba Gust che li ospita proprio la prima notte, quando arrivano troppo tardi per organizzarsi nella nuova casa. Oltre all’agriturismo, i Bermond hanno una stalla con una trentina di mucche, un’altra per le capre, un grande pollaio ben recintato, un paio di maiali e un piccolo caseificio. Possiedono i pascoli intorno per il bestiame e una serie di orti distribuiti, dove ricavano le verdure per la cucina dell’agriturismo, dove regna indiscussa Elisabetta, la moglie di Daniele, e per venderle agli alimentari dei paesi vicini. Martino sarà inevitabilmente attirato da tutto questo, ma soprattutto dalla figura silenziosa e solitaria di Augusto Bermond.
Il passo più bello in assoluto per me è stato questo, dopo che Martino ha passato tutto il pomeriggio proprio con Augusto a mungere le vacche («Vacche. Vacche! “Mucche” è come dicono i cittadini» spiegherà poi il ragazzo a Leonardo).
«Senta Augusto, Martino come si è comportato?».
«Benone. Mi ha detto che voleva imparare a tirare fuori il latte… ha provato cinque minuti e adesso è quasi più bravo di qualcuno dei nostri aiutanti macedoni».
«Ma ha detto fesserie o fatto cose che non doveva?».
Mi aveva guardato con aria diffidente.
«No, perché?».
«Così. È che ha un carattere un po’ speciale; diciamo che non ama le persone che gli stanno troppo vicino e su certe cose è maldestro e poco comunicativo. Qualche volta può sembrare un ragazzino difficile».
«Allora siamo in due. Anche a me le persone danno fastidio, dopo un po’ che ronzano intorno», aveva detto uscendo, richiudendosi la porta alle spalle.
Giorno dopo giorno, Martino raggiunge spesso l’agriturismo e comincia a seguire Augusto in ogni possibile attività: la mungitura, la raccolta del fieno, la produzione dei formaggi, impara anche a intagliare il legno raccolto nei boschi e produrre piccoli oggetti da vendere ai mercatini locali. Leonardo comincia a preoccuparsi, soprattutto perché Martino potrebbe comportarsi in modo bizzarro, maleducato agli occhi di chi non conosce la sindrome di Asperger. Ma la risposta di Daniele è alquanto divertente. Davvero il silenzio e la semplicità sono un problema?!
Daniele mi aveva ascoltato senza fiatare, poi s’era fatto una risata.
«Allora ce l’ha anche mio padre. Garantito, i due sono perfettamente uguali. Guarda che se il Gustu se lo porta dietro è perché ci va d’accordo. Poi, da quel che ho visto ieri, il tuo ragazzino sembra un gran lavoratore. C’è il rischio che non si parlino? Meglio! Sai che mi dice ancora adesso mio padre? La lingua non ha l’osso ma può fare male grosso. Capito?».
Subito dopo pranzo me li ero visti arrivare.
«Venga a prenderlo lei. S’è addormentato, crollato di colpo», aveva detto Augusto scendendo dal piccolo trattore, ma senza abbassare la voce.
Martino era rannicchiato su un predellino, in equilibrio precario, ma dormiva della grossa.
«È fuori da almeno sei ore, si sarà stancato, non è abituato a star via tanto o a camminare».
«Lo dice lei. Ho fatto fatica a stargli dietro in salita, l’ho ripreso solo quasi in cima». Aveva indicato genericamente i pascoli sopra casa, che si allungano oltre i 2.200 metri, prima di far posto alle pietraie.
Hai capito il furbetto, avevo pensato. Quando esce con me comincia a piantare grane dopo neanche un’ora, col vecchio scappa su per i sentieri.
Avendo terminato le scuole medie a Milano, per Martino è ora di scegliere il prossimo percorso di studi. Poco lontano dalla nuova casa si trova un istituto con materie interessanti per il ragazzo, con lezioni di Grafica, Design e Multimedia nella sezione professionale Industria e Artigianato. Guerrieri è però un po’ preoccupato di come saranno però i rapporti con compagni di classe e professori. La risposta della preside Francesca Ramelli mi ha lasciata alquanto di stucco.
«Qui ci conosciamo tutti e le prevaricazioni sono rare, anche se qualche naturale eccesso giovanile lo mettiamo sempre in conto. Di solito sono le famiglie stesse a smorzare sul nascere le paturnie di qualche arrogante figliolo. Altrimenti provvedo io. Qui i ragazzi sono particolarmente vivaci, ma hanno poche idee malsane in testa; lo studio serve a trovare un lavoro, non è un modo per passare il tempo. E di allievi di poche parole, che preferiscono starsene tranquilli, per educazione montanara o anche solo per mancanza di attrattive locali, ce ne sono molti. Studiano e poi spesso se ne vanno fuori valle, a Torino, Genova o magari in Francia. Insomma, l’aria è quieta e gli insegnanti sono brave persone. Si fidi. Suo figlio non credo avrà problemi. E se li avrà, sapremo affrontarli con serenità».
La preside Ramelli, che aveva un marito macellaio e cinque figli maschi dai tredici ai ventiquattro anni, era subito diventata un’altra persona importante della nostra vita.
Qui mi sono ritrovata infatti a chiedermi: che sia davvero la città, la vita frenetica tra il traffico e il rumore costante, a rendere i ragazzi così irrequieti? E non solo i giovani, magari anche noi adulti subiamo questo disturbo continuo al quieto vivere? Forse stavamo davvero meglio quando avevamo meno ed eravamo in maggior contatto con la Natura e i suoi preziosi silenzi?! Uhm.
La manutenzione dei sensi
Ci sono tante emozioni in questo romanzo, dalla solitudine alla malinconia per cominciare, con una certa ineluttabilità sulla vita. L’amore è sempre presente tra le pagine, con il riferimento costante, a tratti velato, alla moglie Chiara, che quella baita la voleva così tanto da rappresentarne l’essenza stessa. Poi l’affetto per questa nuova famiglia, temporanea solo per pochi istanti.
«Ma bisogna separarsi per forza, quando si cresce?».
«No, anche se, come ti ho appena detto, in genere funziona così. Le famiglie si formano, poi si disperdono e ne nascono altre. Una moltiplicazione. Poi ci si vede, ci si sente, ci si frequenta… Ma non si sta sempre insieme, in genere. Quando andiamo per boschi a cercare animali è difficile che vediamo grossi branchi di cervi adulti, tane piene di vecchie marmotte come fossero in un condominio, famiglie numerose di volpi. Ne vediamo gruppetti solo quando ci sono i piccoli, poi basta. Al massimo ne scoviamo due, tre, spesso uno solo. Anche con le persone va in questo modo».
Mi ero interrotto, gli avevo allacciato la giacca a vento; un gesto premuroso, non perché non ne fosse capace. Tra i bastioni, l’aria gelida che al tramonto le montagne rovesciavano sulla città aveva cominciato a incanalarsi e a correre veloce.
Poi avevo ripreso: «Senti qua: “I ragazzi sono un prestito che gli adulti ricevono per imparare rapidamente a voler bene più agli altri che a se stessi, per provare a dare loro il coraggio per quando se ne andranno e dovranno cavarsela da soli”. Una frase così l’ha detta uno scrittore che ho conosciuto tanti anni fa. Poi gli adulti tornano a essere soli, aggiungo io; perché, se tiriamo le somme, proprio questo succede. Per quasi tutti».
«Be’, a casa nostra ogni giorno era un continuo andare e venire, un entrare e uscire, sempre di fretta. A forza di fare così si era un po’ persa l’abitudine di salutare sempre. Magari sentivi “io vado”, oppure “torno tra un’ora”, o “dove hai parcheggiato la macchina?” mentre eri in cucina o in un’altra stanza o al computer, poi sentivi la porta chiudersi e non avevi avuto tempo di dire nemmeno “ciao”. Quel giorno è andata così. Ero dovuto andare via di fretta. Non averla salutata come si deve ancora mi fa stare male, ogni tanto. Se vuoi un consiglio: saluta sempre le persone alle quali vuoi bene, anche se vai via per tornare presto».
C’è spazio anche per un po’ di avventura tra le lenzuola, alla ricerca di una storia che sia compagnia e allegria nella seconda parte della vita. «…in fondo sei un signore single educato, simpatico e ancora belloccio» dice la figlia Nina al padre Guerrieri. Ed è divertente leggere il racconto di questi incontri, fugaci e inaspettati, con l’ironia tipica del nostro protagonista. Ora, provate a immaginare questi vecchietti in fila all’ufficio postale… 😀
Mi aveva colpito il suo viso spiccatamente mediterraneo, da degna, degnissima portacolori della Calabria; lineamenti marcati, labbra carnose e sopracciglia nere e lucide, come i capelli. Gli occhi sembravano un covo di fulmini. Per contrasto era una donna solare, e quando apriva bocca e sorrideva chi le stava intorno si sentiva subito meglio. Una guaritrice, specie quando stava a mezzobusto allo sportello postale o appoggiata a uno scaffale di libri oppure seduta alla reception della palestra, perché aveva seni opulenti e convergenti verso ampie scollature a mezzaluna di magliette di due misure inferiori al dovuto. C’erano anziani che preferivano andare a ritirare la pensione a rate settimanali anziché mensili e adolescenti che non potevano fare a meno degli impolverati libri della biblioteca seppure ben dotati di altri strumenti per documentarsi. Se la palestra funzionava bene era anche merito suo e non certo degli spazi angusti e dei pochi sgangherati attrezzi a disposizione dei clienti.
«Ti sei ripreso?». Lo aveva chiesto con un sorriso da cardiopalmo, dopo aver estratto dall’accappatoio, fino all’inguine, una gamba soda e affusolata.
«Certo, grazie», avevo risposto cercando di darmi un tono. Madonna, che caldo. I seni beccheggiavano, erano lì lì per affacciarsi dai lembi semiaperti dell’accappatoio. «Non ci sono cure per la curiosità», diceva la scrittrice Dorothy Parker. «Dove le porte sono accostate la morbosità è di casa», diceva mia madre.
Mentre mi aggiravo tra le citazioni per cercare di distrarmi dalla realtà, la Borgovecchio mi si era piazzata davanti con i due bicchieri, mi aveva sorriso di nuovo e poi, con una movenza lenta, si era seduta a cavalcioni sulle mie ginocchia, avanzando gradualmente. Movimento magico che le aveva fatto scivolare l’accappatoio dalle spalle. «Alla salute», aveva detto.
Ma il titolo, mi ero chiesta, da dove arriva? Mi sembra di comprenderne il significato, ma non ne sono sicura, finché non leggo proprio questo paragrafo, sulle camminate notturne in mezzo al bosco.
Le ore di cammino nella notte erano le preferite di Martino. Nessuna domanda, nessuna parola, solo occhi spalancati, piccoli gesti e passi misurati per non fare rumore; inizialmente impacciati poi sempre più fluidi, naturali fino a essere parte di quel momento e di quell’ambiente. Come i rami sottili d’arbusto che tremolano al vento lieve, un cumulo di neve che diventa liquido e trasparente e si immerge nella terra, un pipistrello in caccia che sfreccia silenzioso tra gli alberi. I nostri sicuri cammini notturni, ben diversi da certi nebbiosi e inquietanti ritorni a casa nelle serate milanesi, erano contemplati da Martino come “la manutenzione dei sensi”.
Non voglio svelarvi di più, mi sono fermata solo alla metà dei post-it colorati che ho lasciato dentro il romanzo, per tenere traccia dei passaggi più importanti, quelle frasi o quei dialoghi che hanno fatto la differenza. Questa storia comincia piano piano, senza troppo clamore, a passi lenti proprio inerpicandosi su per un viottolo. All’improvviso nel sentiero della lettura vi troverete scorci magnifici, vere cartoline ricordo. Si ride parecchio, si sospira diverse volte, ci si ferma a pensare, purtroppo si piange pure perché qualcuno se ne va e ci dispiace. Ma finisce bene, talmente bene che vi verrà voglia davvero di preparare uno zaino e partire per la montagna. 🙂
Quando si arriva ai ringraziamenti di Franco Faggiani in fondo al libro (che in realtà io non resisto e leggo sempre per primi!) si scopre che l’agriturismo Barba Gust esiste sul serio! Daniele Bermond non è un personaggio di fantasia e l’agriturismo si trova nel bordo di Sansicario, frazione del comune di Cesana Torinese. Potete mangiare e dormire lì, probabilmente le stesse pietanze prelibate del romanzo, che mi hanno fatto venire l’acquolina… Trovate tutte le informazioni sul loro sito web www.barbagust.com ma potete ammirare il panorama anche sul profilo Instagram @agriturismo_barbagust
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Vi piace leggere tra le montagne?
La mia preferenza è in genere per il mare, per quel fascino che esercitano su di me le onde, sempre diverse, ognuna con la sua anima, ognuna che mi sussurra in maniera diversa. Anche per l’idea del viaggio verso quell’orizzonte ignoto, se si dimenticano per un attimo le mappe.
Le montagne che svettano verso il cielo le osservo con rispetto, direi quasi con timore, e non solo perché soffro le altezze.
A volte penso che le montagne siano una sequela infinita di specchi.
Mentre le guardi sopraffatto, stai semplicemente osservando te stesso, da un altro punto di vista. Un viaggio differente, introspettivo.
Per questo ben comprendo quella “manutenzione dei sensi” a cui fa riferimento Martino, anche se non ho avuto molte occasioni di camminarci tra i boschi. Beh, ricordo una bellissima ciaspolata su a Pila, in Val d’Aosta, quasi un decennio fa. Non vi dico però la fatica di stare dentro la telecabina che porta su a Pila, senza guardare fuori, col berretto calato sugli occhi…
Qui sotto trovate proprio Franco Faggiani che legge l’incipit del suo “La manutenzione dei sensi” su Spotify.
Intanto io ho appena scoperto che esiste un seguito dei nostri Guerrieri: L’arrivo di una strana primavera è già nella lista dei futuri acquisti! 😀
Comments (6)
Sandra
Apr 16, 2025 at 7:40 PM ReplySono felice che questo romanzo ti abbia lasciato così tanto.
E il momento incontro con l’autore – che io avevo già incontrato un paio di anni fa in una libreria dove presentava il suo romanzo una scrittrice rappresentata dalla sua stessa agente cioè Loredana Rotundo – è stato davvero bello.
Io l’avevo letto nel Lock down, quando Fazi mise l’e book o gratis o a 99 cent, lo apprezzai molto, per i toni delicati, l’ambientazione, la maniera garbata e giusta nel parlare di autismo, poi però non ho più letto nulla di suo, sbagliando.
Mi sono però resa conto proprio lì al book pride – sì, devo ancora leggere il libro di Faggiani che ho preso io, ma manca poco al suo turno, di quanto questa storia mi avesse lasciato una bella eco, perché questo è davvero ciò che conta dei libri, oltre l’impatto del momento, ciò che resta dopo.
Grazie per le tue ricerche, la tua analisi sempre così accurata, me l’hai fatto un po’ rivivere, e adesso Faggiani dobbiamo tenerlo tra gli autori da leggere tutto-tutto.
Barbara Businaro
Apr 18, 2025 at 10:56 AM ReplyLa parola giusta è proprio “eco”, perché è una lettura che lascia una lunga risonanza positiva e direi che in questo momento ce n’è proprio bisogno.
Così, io ho messo a carrello diversi romanzi (che lo faccio dallo smartphone, ma poi preferisco chiudere gli ordini dal computer, perché sennò ci vedo male e sbaglio sempre qualcosa). Poi tu mi dici che è uno scrittore da riprendere e sono certa leggerai anche altro in futuro. Altre tre lettrici mi hanno scritto a parte, in email e sms diretti, che pure loro si sono incuriosite da questo mio post (un paio sono amanti della montagna e quindi le ho proprio fatte felici) e una mi ha incolpato di averle fatto svuotare la carta di credito in libreria! E qui sotto vedo anche IlVecchio, il nostro Vecchio viaggiatore di panchine, che dovrebbe essere andato oggi in libreria.
A maggior ragione sono contenta di aver scritto questo post e aver condiviso le mie sensazioni.
Nel frattempo, Faggiani su Instagram è stato così gentile da condividere anche la mia stories e mi ha pure commentato su Facebook – che non è da tutti gli scrittori, ricordiamocelo. Sto anche scoprendo altri titoli interessanti dal catalogo Fazi Editore e ho appena scoperto ci saranno due presentazioni a giugno/luglio di due loro scrittrici, Nadia Noio e Rita Ragonese, proprio nella mia sede, della Provincia di Padova. 😉
IlVecchio
Apr 17, 2025 at 8:54 AM ReplyNon ho ancora avuto il piacere di leggere questo scrittore, ma hai solleticato la mia curiosità. Potrebbe essere la lettura adatta per questo periodo di feste prolungate con tempo infausto fuori casa. Oggi mi muovo verso il centro storico per le ultime consegne di Pasqua della mia signora e padrona, magari passo anche in libreria. : -)
Barbara Businaro
Apr 18, 2025 at 10:56 AM ReplyAspetto allora di sapere cosa hai acquistato e, dopo che avrai letto, cosa ne pensi.
Altro che influencer. Sono i “vecchi” blogger come noi che fanno girare l’economia… 😀
Giulia Mancini
Apr 19, 2025 at 2:17 PM ReplyNon ho letto “La manutenzione dei sensi” ma questo tuo post rende bene lo spirito del romanzo: il ritorno all’essenziale, la forza dei legami silenziosi e la bellezza nascosta nelle piccole cose. Grazie per averlo raccontato con tanta delicatezza. Trovo interessante come il romanzo riesca a intrecciare il tema della disabilità con quello della rinascita personale, senza cadere nella retorica. L’ambientazione montana non è solo uno sfondo, ma un vero e proprio personaggio che accompagna il cambiamento. Bellissimo post, mi ha fatto venire voglia di leggere il libro.
E buona Pasqua!
Barbara Businaro
Apr 19, 2025 at 6:24 PM ReplyBeh, la sindrome di Asperger non è considerata una disabilità intellettiva o fisica. Ad oggi, rientra nell’autismo lieve o ad alto funzionamento, perché la persona interessata è generalmente autonoma e non ha necessità di supporto. Qualcuno la considera una disabilità “sociale”, ma anche qui è tutto da vedere. Talvolta è difficile da diagnosticare e non dà, per esempio, accesso immediato alla nostra Legge 104/92 per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone disabili. Come sottolinea Daniele, rispondendo al nostro protagonista, non è così facile da intercettare: “Allora ce l’ha anche mio padre. Garantito, i due sono perfettamente uguali.”
E sì, hai detto bene: la montagna è protagonista, forse l’unica “medicina” tanto per Leonardo Guerrieri che per il giovane Martino.
I miei auguri di Pasqua arrivano domattina, con un racconto breve brevissimo, giusto per accompagnare la colazione. 😉