Il potere di 15 minuti. Si può scrivere un romanzo anche con solo 15 minuti al giorno!

Il potere di 15 minuti

Dall’inizio di questo anno sto cercando di focalizzarmi sulla parola Kayak, una delle nuove Tre parole per una rotta scelte per orientarmi nella vita, nel lavoro e soprattutto nella mia scrittura.
Il concetto che si porta dietro il Kayak è alquanto semplice e immediato da visualizzare: stiamo percorrendo il fiume della nostra esistenza, impegnati in diverse attività, tra progetti e aspirazioni. Abbiamo anche una direzione ben precisa in mente, ma talvolta le rapide ci trascinano fuori dalla nostra rotta. Allora occorre una pagaiata per riportare il Kayak sul percorso corretto per la nostra destinazione.
La meta che voglio raggiungere io è il termine della prima stesura di quel romanzetto lasciato a lungo da parte, in attesa di essere abbastanza serena e tranquilla per completarlo. Ma sono in mezzo al fiume dentro un Kayak, e quella tranquillità che immagino non arriverà mai. Quindi devo ricordarmi ogni tanto di muovere la pagaia e occuparmi lo stesso di quel romanzetto.

Il primo risultato di questo nuovo modo di agire è stato di rendere visibile ai miei occhi il lavoro in attesa.
Averlo messo in un angolo, fisicamente con il blocco degli appunti dentro una scatola e idealmente con il file dentro il computer, l’ha in qualche modo relegato come attività in attesa di un futuro per niente prossimo. La mia memoria a brevissimo termine ha fatto il resto…
Così ho stampato il manoscritto, quello che ho scritto finora, partendo dall’enorme riorganizzazione della mia partecipazione al NaNoWriMo del 2018 (rendermi conto di quanto tempo è passato è una stilettata al cuore).
Per altro mi sono dimenticata di configurare la stampa di due pagine in un solo foglio, o di ridurre quanto meno la dimensione del carattere, così ho ammucchiato un bel blocchetto di carta, con molto spazio tra le righe per ulteriori appunti.
Vederlo lì, sopra la scrivania, col titolo in evidenza sulla prima pagina, mi aiuta parecchio. Quando c’era solamente il quaderno degli appunti, con una copertina qualsiasi, non focalizzavo l’impegno preso con me stessa. Questo invece è un promemoria perfetto del mio progetto.

Subito dopo, con un’altra pagaiata, ho cominciato a lavorare sulla struttura, al momento incompleta, della storia.
Come ho spiegato in un altro post, Dall’idea alla storia. Come scrivo io, ho bisogno di avere ben chiaro tutto quello che accade ai miei protagonisti, lasciando da parte solo dettagli o sotto trame, prima di cominciare a scrivere.
Mi ero organizzata con uno storyboard cartaceo, tre fogli in formato A3, attaccati dal lato lungo, per formare un enorme tabellone pieghevole da utilizzare come una lunga linea temporale della narrazione. Qui avevo iniziato ad appiccicare diversi post-it colorati a rappresentare le diverse scene o momenti importanti della storia. Ero riuscita pure a rimediare un colore differente per ogni tipologia, con il conflitto segnalato dal giallo e gli incontri importanti, quelli da “cuore che perde un battito”, in fucsia acceso.
Lo strumento però non mi è congeniale: è troppo grande quando steso, così deve essere ripiegato ogni volta perché non ho uno spazio per lasciarlo aperto e se devo lavorarci fuori casa non è affatto comodo. Ho capito che mi occorreva uno strumento online.
Mi sono presa del tempo per verificare diverse idee, cercando qualcosa che potesse comunque ricalcare l’idea di quei post-it. Non ho trovato niente che rispondesse bene alle mie esigenze e ho dovuto adattarmi un pochino, ma sembra comunque funzionare.

Dunque, sono proprio a bordo del Kayak e ogni tanto uso la pagaia per andare più avanti nel mio percorso.
Sono però ancora nella parte iniziale, quella più pratica se vogliamo, che posso spezzare in più sessioni senza perdermi troppo. Ma come sarà dopo, quando dovrò mettermi proprio a scrivere (o riscrivere in alcuni momenti) scene e capitoli? Lavorarci una volta ogni tanto, quando avrò un po’ di spazio, sarà sufficiente? Sì, una pagaiata oggi è sempre meglio di niente, ma quando ci metterò a finire in questo modo? Non rischierò di bloccarmi nuovamente, in attesa di un periodo più quieto?!

Mi stavo lambiccando con tutto questo, quando per caso ritrovo una vecchia newsletter di The Imperfectionist di Oliver Burkeman, scrittore e giornalista britannico, scriveva per il quotidiano The Guardian la rubrica settimanale This Column Will Change Your Life, la mia preferita, che potete ancora leggere tradotta sul nostro Internazionale.
Qui veniva citato un vecchio saggio del 1977 che ancora non avevo letto, ma il cui tema spiegato da Oliver Burkeman non mi aveva lasciato indifferente (per questo avevo conservato quella mail): come riuscire a scrivere la tesi di un dottorato di ricerca con solo 15 minuti al giorno.
Caspita! Vuoi non trovarli 15 minuti ogni giorno? Appena il tempo di un caffè al bar!
Ma davvero si può scrivere un testo lungo e articolato con soli 15 minuti al giorno?!
Pare proprio di sì… 😉

Working It Out - Virginia Valian

Imparare a lavorare
di Virginia Valian

Non è molto conosciuta qui in Italia, ma Virginia Valian è una psicolinguista americana, scienziata cognitiva e teorica delle differenze tra uomini e donne nel successo professionale. E’ un professore illustre presso l’Hunter College di New York e membro delle facoltà di dottorato di Psicologia, Linguistica e Scienze del linguaggio e dell’udito presso il CUNY Graduate Center. Virginia Valian dirige il Language Acquisition Research Center (LARC) e il Gender Equity Project (GEP), entrambi presso l’Hunter College. Nell’equità di genere Valian conduce ricerche sulle ragioni alla base del lento avanzamento delle donne nelle professioni e propone rimedi per individui e istituzioni. È autrice di Why so slow? The advancement of women (trad. Perché tanta lentezza? L’avanzamento delle donne) e coautrice di An inclusive academy: Achieving diversity and excellence (trad. Un’accademia inclusiva: Raggiungere la diversità e l’eccellenza). Per il suo lavoro sull’equità di genere, Valian ha ricevuto il Betty Vetter Award for Research 2006 ed è diventata membro eletto dell’American Academy of Arts and Sciences nel 2023.

Nel 1977 Virginia Valian collabora alla stesura del libro Working It Out: 23 Women Writers, Artists, Scientists, and Scholars Talk About Their Lives and Work (trad. Lavorando fuori: 23 donne scrittrici, artiste, scienziate e studiose raccontano la loro vita e il loro lavoro) con una propria breve ma illuminante riflessione. All’epoca aveva 34 anni, una carriera avviata e stava cercando di terminare la tesi al termine del dottorato di ricerca, ma continuava a procrastinare quell’attività. L’ansia e il panico le impedivano di sedersi alla scrivania e dare significato ai tanti anni di studio. Questo suo breve saggio Learning to Work (trad. Imparare a lavorare) racconta come è riuscita a trovare un metodo proficuo, lavorare soli 15 minuti al giorno, e concludere finalmente la scrittura della sua tesi. Perché 15 minuti sono pur sempre qualcosa, se li metti tutti insieme!

Con Learning to Work, Virginia Valian si rivolge innanzitutto alle persone con problemi di lavoro, dove “lavoro” qui ha un’accezione molto ampia secondo il termine inglese “work”, comprendendo anche la scrittura. Persone che, come lei durante quel periodo, non riescono a concentrarsi molto o non lavorano in maniera efficace come invece vorrebbero. L’articolo è originale, acuto e divertente, scoprendo persino che il lavoro mentale ha molto in comune con il sesso, un processo fisiologico naturale, che può essere divertente, con la soddisfazione personale come punto finale naturale. 😉
Ciò che ci offre Virginia Valian è un modo distaccato di esaminare le emozioni legate al lavoro e alcuni strumenti pratici per lavorare, nonostante queste difficoltà. Non elimina i nostri dubbi sul futuro, non risolve i nostri conflitti interiori, non spazza via le nostre ansie e non cancella i nostri momenti di paralisi mentale. Però ci regala un esempio e una possibilità di provarci, a volte basta solo questo.

Potete leggere l’articolo originale in lingua inglese gratuitamente sul sito dell’autrice virginiavalian.org, in questo estratto dal libro: Reflections on “Learning to Work”
Siccome per la mia scrittura mi ritrovo esattamente nelle sue condizioni, ero troppo curiosa di comprendere bene come ne fosse uscita lei. Così mi sono tradotta tutto il testo a parte, ma qui vi riporterò solo la parte più significativa, riepilogando il suo metodo di lavoro in soli 15 minuti al giorno.
Quali sono le regole per mantenersi costanti nella pratica? Perché 15 minuti sono davvero pochi, ma talvolta fuggono via veloci.

Virginia Valian - photo credit Alex Irklievski

Foto originale “Distinguished Professor Virginia Valian, 04/25/2023” di Alex Irklievski
Creative Commons License Alcuni diritti sono riservati.

Il potere di 15 minuti

In questo articolo descrivo un particolare problema di lavoro, i suoi sintomi e la mia cura.[…] Il problema consiste nell’impossibilità di lavorare, non a causa di pressioni esterne come la mancanza di tempo, ma a causa di problemi interni, che possono essere esacerbati o mascherati da pressioni esterne.[…] Ho avuto un problema di lavoro per tutta la vita, ma non l’ho capito fino all’università. All’università i sintomi erano chiari. Non studiavo mai, andavo raramente a lezione; eppure mi definivo un futuro psicologo e non avevo dubbi sull’opportunità di svolgere un lavoro intellettuale significativo per il resto della mia vita. All’università andai così male che non feci domanda per nessuna scuola di specializzazione; non ero interessato ad andare in nessuna scuola che mi accettasse.[…] Ogni volta che pensavo al mio futuro, non vedevo nulla.

Virginia Valian ripercorre il suo periodo di studi, mostrandoci come fosse bloccata in quello che in realtà voleva maggiormente: terminare i suoi studi, laurearsi con profitto e cominciare a lavorare come psicolinguista. Invece sprecava il suo tempo, dei tre corsi a cui si era iscritta, due li abbandonò e fallì l’esame dell’ultimo. Un’amica l’aiutò a trovare un lavoro puramente tecnico per mantenersi, ma soprattutto le consigliò la psicoanalisi, per comprendere quale meccanismo stava sabotando il suo percorso. La terapia l’aiuto a riprendere il passo, però in alcuni momenti ancora tergiversava.

Due anni dopo aver terminato l’università mi sentivo pronto per iniziare gli studi di specializzazione in una scuola che mi avrebbe accettato;[…] Frequentai i corsi, studiai periodicamente, chiesi e ottenni una borsa di studio che mi assicurò un sostegno per tre anni. Ho fatto esperimenti. D’altra parte, spesso trascorrevo giornate in cui non facevo altro che leggere romanzi e dormire. Scrivevo i miei articoli solo all’ultimo minuto e non ho mai lavorato a un problema intellettuale fino alla sua conclusione. Facevo abbastanza per tirare avanti.[…] Nell’estate del 1969 avevo ventisette anni, […] Avevo finito l’analisi l’anno precedente e avevo appena terminato le ricerche per la mia tesi. Era ora di scriverla.[…] Sapevo che, allo stato attuale delle cose, non avrei potuto scrivere la tesi e che, se non avessi scritto la tesi e non mi fossi laureato, non sapevo cos’altro avrei fatto.

All’interno della sua materia, le capitò di leggere il libro Human Sexual Inadequacy di Masters e Johnson, dedicato alla terapia di coppia con problemi di sessualità: i pazienti osservati dagli autori del saggio lamentavano di rimanere osservatori invece che partecipanti della propria sessualità e la soluzione proposta era di scomporre l’atto sessuale nelle sue diversi componenti, partendo dal principio, le semplici carezze al partner, e poi passare gradualmente alle componenti successive. Qui Virginia Valian ha un’illuminazione alquanto bizzarra: il lavoro mentale è come il sesso per certi aspetti e forse la soluzione può essere quella di scomporlo in piccole parti.

Avevo sempre pensato al lavoro come a qualcosa che dovevo costringermi a fare, qualcosa che non mi piaceva intrinsecamente. L’analogia mi suggeriva che mi stavo ostacolando, che mi stavo impedendo di divertirmi. Non dovevo imparare in qualche modo a forzarmi a lavorare, ma piuttosto a rimuovere gli ostacoli che mi impedivano di divertirmi.

Doveva trovare una terapia simile, iniziando da un piccolo comportamento, immaginabile e fattibile. Si trattava di scomporre il processo, iniziando dal livello meno minaccioso, costruendo e assemblando lentamente il tutto, e osservando come si sentiva e che cosa stava imparando in quei momenti. La ricompensa della terapia, il piacere finale, sarebbe stato il lavoro stesso, gratificante per l’averlo svolto e portato a conclusione. La ricompensa esterna, come un riconoscimento fuori del processo, avrebbe implicato che il lavoro in sé non era piacevole, e quindi da evitare.
Era necessario quindi definire un metodo pratico, secondo questo principio, per la scrittura della sua tesi.

Decisi che volevo lavorare tutti i giorni, perché volevo sperimentare quella costanza del lavoro che mi ero sempre negata, e perché pensavo che una volta controllato il mio problema lavorativo avrei voluto lavorare tutti i giorni, anche se per poco tempo, e volevo avvicinarmi il più possibile allo stato ideale fin dall’inizio. Sapevo anche che, se avessi lavorato ogni giorno, avrei dovuto farlo in piccole quantità, altrimenti non ce l’avrei mai fatta.
Per prima cosa dovevo decidere se lavorare ogni giorno per un tempo prestabilito o se lavorare fino a quando non avessi completato una quantità prestabilita di lavoro ogni giorno. Ho scelto il tempo. La stesura di una pagina può richiedere un’intera giornata o solo dieci minuti, a seconda della sua difficoltà. Sapevo che stare seduto alla mia scrivania a concentrarmi e a lavorare per un giorno intero non era alla mia portata.

Probabilmente è proprio in questo punto che ho sentito forte la somiglianza con la mia scrittura, perché ci sono pagine che scorrono veloci e ce ne sono altre che possono richiedere intere settimane. Proprio quelle pagine difficili hanno compromesso, nella mia mente, l’intera stesura di un romanzo.
Come primo passo, Virginia Valian sceglie la quantità di tempo, e non la quantità di lavoro, come unità di misura del processo. Con un tempo prestabilito, siamo consapevoli di fermarci esattamente quando scade quel termine, senza sentirci ossessionati dal risultato. L’ansia di lavorare si riduce quando viene fissato un periodo di tempo, accada quel che accada, fosse anche rileggere quanto scritto in precedenza e cambiare una sola virgola.
Occorre poi un numero per definire quel tempo: tre ore le facevano venire un attacco d’ansia; due ore erano ancora troppe; un’ora sembrava più ragionevole, ma non ancora possibile; mezz’ora si avvicinava alla sua idea, però… Quindici minuti potevano andare bene? Quindici minuti. Perchè no?!

Una bella quantità di tempo, una quantità di tempo che sapevo di poter vivere ogni giorno.
Naturalmente la gente ride quando dico quindici minuti. Cosa si può fare in quindici minuti? Beh, più di quanto si possa pensare. Quindici minuti senza interruzioni, senza temperare la matita, senza andare in bagno, senza andare in cucina, senza telefonare; quindici minuti di lavoro solido possono essere molto proficui. Non avevo intenzione di rimanere a quindici minuti per il resto della mia vita, ma mi sembrava un buon punto di partenza.

Con i suoi primi quindici minuti, Virginia Valian stabilisce un piano d’azione per affrontare la sua tesi: un’analisi da completare, una lettura propedeutica alla sua introduzione, la scrittura dell’introduzione, la scrittura di una sezione specifica. Cominciò a dedicare quindici minuti per ogni attività, arrivando ben presto ad impegnare quarantacinque minuti tutti insieme, ma senza che le fossero di particolare peso. Il momento di estrema ansia comparve invece con la stesura dell’introduzione alla sua ricerca, un blocco difficile da affrontare. E lì decise di ridurre il tempo addirittura a soli cinque minuti!

Ricordo ancora quei primi cinque minuti. Non l’ho fatto fino a sera. Annunciai a J (ndr. il suo compagno) che avrei iniziato i miei cinque minuti. Mi sono seduta e ho impostato il timer per cinque minuti. Penso che sia stato un evento così importante perché era un impegno. Non si trattava di questi cinque minuti in particolare, ma di tutti quelli futuri che questo rappresentava. Ho lavorato con costanza, anche se con difficoltà e ansia; sapevo, però, che avrei potuto resistere a cinque minuti di difficoltà e ansia, così ho continuato. Alla fine la campana suonò e io crollai. Andai in camera da letto e mi buttai sul letto, respirando forte e sentendo il cuore battere all’impazzata. Era davvero una cosa importante. Dopo quella sera non fu più un problema, e gradualmente arrivai a quindici minuti.

Quattro regole per lavorare bene

Cosa c’è di così speciale in quindici minuti? Non so se per me erano solo una buona quantità, o se c’è qualcosa nel ciclo di pensiero della maggior parte delle persone che fa sì che la concentrazione diminuisca ogni quindici minuti circa. Ora, uso l’approccio dei quindici minuti solo quando ho particolari difficoltà a lavorare su qualcosa. La virtù principale dei quindici minuti per me era che erano abbastanza lunghi da permettermi di fare qualcosa e abbastanza brevi da essere sicuro di poterli portare a termine.

Mentre continuava con questo suo metodo, scrivendo ogni giorno per 15 minuti la sua tesi e sperimentando qualche variazione, Virginia Valian affina anche le regole del programma. Queste logiche si basano sulla sua esperienza, ma sento di condividere molto delle sue considerazioni. Le regole sono solo quattro, piuttosto semplici ma importanti per il risultato finale.

La prima regola era che i quindici minuti dovevano essere dedicati esclusivamente al lavoro. Il mio senso di realizzazione dipendeva dal fatto di avere una porzione di tempo che non avrei sprecato in alcun modo.[…] Soprattutto, ho notato che tendevo a smettere di lavorare non appena incontravo un problema difficile. Lavorare in tranche da quindici minuti significava che a volte incontravo un problema difficile nel bel mezzo dei quindici minuti richiesti e dovevo imparare a gestirlo.[…] Ciò che ho imparato, però, è che potevo affrontare i problemi e non dovevo arrendermi ogni volta che li incontravo.

Quindici minuti sembrano pochi nella scrittura, soprattutto quando siamo bloccati davanti alla pagina bianca oppure ci siamo accorti di un inghippo in quelle già scritte. Trovare una soluzione non sembra così immediato, ma non deve fermare tutto il nostro lavoro. Per lei era sufficiente pensare un po’ di più, rileggere le fonti della ricerca o parlare con qualcuno per un punto di vista differente.

La seconda regola era che gli aumenti ufficiali del tempo di lavoro erano limitati a una porzione di quindici minuti alla volta, con una pausa di qualsiasi durata disponibile dopo ogni porzione. Quindici minuti era il tempo più lungo che potevo garantire per lavorare in modo stabile senza agitarmi.

La sua idea iniziale era infatti di cominciare con quindici minuti e poi aumentarli: venti minuti, venticinque, magari quaranta minuti. Ma aveva già provato a lavorare così senza interruzioni e aveva rischiato di bloccarsi di nuovo. Però riusciva a concentrarsi sulla scrittura in blocchi da quindici minuti, magari per quattro volte al giorno (e dunque ben un’ora di lavoro!)

La terza regola, per certi versi la più importante per me, era quella di lavorare ogni giorno. Non credo che questa regola sia essenziale per tutti; dipende dalla personalità di ognuno.[…] avendo la regola inviolabile di lavorare ogni giorno, non dovevo giocare con me stesso e chiedermi se quel giorno avrei effettivamente lavorato o meno. Sapevo che l’avrei fatto, anche se alle due del mattino. È qui che risiede parte del valore dei quindici minuti. Non importa quanto fossi assonnato, stanco o altro, potevo sempre lavorare per quindici minuti; nessuna scusa poteva escludere quindici minuti.

Sono solo 15 minuti e presi così non creano questo grande effetto. Ma 15 minuti al giorno sono quasi 2 ore alla settimana, quasi 8 ore in un mese, 88 ore in un anno, il corrispondente di un mese di scrittura tutti i pomeriggi per 4 ore nei giorni lavorativi.
Certamente il risultato viene dilatato nel tempo, ma riuscireste davvero a ricavarvi quei pomeriggi liberi per un mese intero dagli altri impegni della vostra vita? Senza considerare lo stress di un’attività così serrata! Quindici minuti possono essere un ottimo compromesso.

La quarta regola era quella di ignorare i pensieri sul prodotto finale e su come sarebbe stato accolto. Mi sarei potuto trovare troppo facilmente a vivere in un mondo di fantasia in cui la mia tesi mi avrebbe portato a fama e notorietà. Questa eventualità non solo era estremamente improbabile, ma mi portava più lontano, anziché più vicino, al mio obiettivo di scoprire il piacere del processo di lavoro. Volevo lavorare non per il presunto effetto del mio lavoro sugli altri, ma per le gratificazioni, per me, del lavorare. Le mie fantasie facevano sembrare la realtà della mia tesi, appena iniziata, così squallida che non volevo averci niente a che fare. All’inizio, quindi, ho rifiutato di soffermarmi sulla possibilità di finire il mio lavoro e mi sono concentrata sul farlo.

Questo è un altro punto cruciale ed il motivo per cui molti abbandonano la scrittura: focalizzano la gratificazione sul risultato finale, quella stessa “fama e notorietà” che potrebbe derivare dal successo del proprio romanzo, dimenticandosi che la parte migliore è la scrittura stessa, crea un’intera storia dalla nostra fantasia, forgiare ambientazioni e personaggi, regalargli la vita al di fuori della nostra mente. E’ un atto talmente magico che non dovrebbe sottostare alle leggi del mercato, talvolta in plateale disequilibrio. Scrivere è entrare in un altro mondo ed è un’avventura meravigliosa. Anche solo per quindici minuti. 🙂

Learning to Work - Virginia Valian

Il tempo di un caffè!

Il messaggio di Virginia Valian in questa sua riflessione è che si può svolgere un lavoro significativo anche se si è tormentati da dubbi e ansie sul risultato. Si può lavorare anche se si hanno problemi emotivi irrisolti e si può ottenere qualcosa anche con 15 minuti al giorno, praticamente il tempo di un buon caffè. Tendiamo a scartare quest’idea. Siamo convinti che le persone più produttive siano prive di ansia. Crediamo che l’interno e l’esterno delle persone combacino esattamente e che il loro lavoro mentale sia coerente con il sorriso affabile di ogni giorno. Se siamo bloccati in un lavoro, dobbiamo invece sfidare queste nostre convinzioni.
Quindici minuti sono pochi quando chiacchieriamo con un’amica, ma possono essere molto in palestra con un bilanciere da sollevare… 😉

In un certo senso, il lavoro è come una storia d’amore. Richiede impegno, assorbimento e cura. La differenza è che è una storia d’amore con sé stessi, o almeno con le proprie capacità creative, e con un mondo astratto di idee.
Learning to Work, Virginia Valian

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Comments (10)

Sandra

Feb 06, 2025 at 9:53 AM Reply

Parto dal finale: vero, scrivere è una storia d’amore bellissima, purtroppo non priva di insidie.
Io ho sperimentato qualcosa di simile applicando la regola di 2000 battute al giorno della scuola di scrittura Scrivere una grande storia di Francesco Trento e ha funzionato. In 4 mesi e mezzo credo fossero, ho concluso la prima stesura e in 13 mesi il manoscritto è pronto.
Purtroppo è altrettanto tristemente vero che focalizzarsi sul dopo: chi potrà essere interessato al mio testo? – è molto penalizzante durante il processo, per cui dobbiamo cercare di non pensarci.
Una grande, banale, usatissima verità di questa donna che non conoscevo probabilmente l’abbiamo già sentita: fatto a bocconi anche un elefante risulta mangiabile, intero, certo no!

Barbara Businaro

Feb 06, 2025 at 7:58 PM Reply

Sarà anche usatissima, eppure io quella dell’elefante non l’avevo mai sentita!! 😀
Penso che queste tecniche di scomposizione del problema siano molto personali e ognuno debba poi trovare la propria formula. Per esempio, tu hai provato la scrittura con unità di misura la quantità (2.000 battute al giorno), che molto si avvicina alla mia esperienza del NaNoWriMo, che sono 50.000 parole nel mese di Novembre, esattamente 1.667 parole al giorno (parole e non battute, e quindi saranno anche più di 2.000 battute al giorno).
E mi viene l’ansia solo a leggere quel numero, figuriamoci scrivere. Nel caso del mio NaNoWriMo, non ero esattamente in “scrittura” ma in “editing” del vecchio manoscritto, da riportare in digitale.
Ma scrivere 2.000 battute al giorno, “creando” la storia, mi sembra davvero faticoso in questo momento.
Poi, a ben pensarci, l’ho anche già fatto: i racconti della mia serie di Halloween, la Storia di Liam e Caitlyn, si aggirano tra le 45.000 e le 60.000 battute e li scrivo sostanzialmente negli ultimi 10 giorni dalla pubblicazione, quindi sono almeno 4.500 battute al giorno. Questa è proprio la dimostrazione che alla fine combattiamo con blocchi mentali, non effettivi.
La riflessione di Virginia Valian mi colpisce che sposta tutto sul fattore tempo: solo 15 minuti, un’unità di misura più semplice da gestire.
Insomma, bocconi più piccoli e digeribili dell’elefante. 😉

Daniela Bino

Feb 06, 2025 at 11:11 AM Reply

Interessante questo tuo post: non conoscevo Virginia Valian. Direi che i suoi principi trasmettono una grande saggezza di base. Tutti dovremmo utilizzare il metodo dei 15 minuti, anche per un caffè, che adoro, spesso apprezzo meglio da sola, in silenzio. Rimpiango il mio momento – caffè con Arthur: mi sedevo sul bordo della fioriera, auspicando che nessuno transitasse davanti a casa mia perché era il momento perfetto per svuotare la testa dai pensieri e godere solo di quello che il Creato aveva da offrirmi. E il profumo del caffè, così terapeutico… cosa potevo volere di più?! E poi, si ripartiva alla grande. Mio marito (colui che ha più ragione di tutti nell’Universo, ça va sans dire!) è convinto che io sia un po’ orso ma quei 15 minuti mi aiutano a riformulare il pensiero, a farm venire l’idea buona. Alle volte, mi aiuta anche prendere in mano qualche minuto il mio amatissimo uncinetto. Tengo a precisare che i 15 minuti io me li prendo due volte al giorno. Per me, funziona benissimo così.
Grazie per questo post ispiratore. E per avermi fatto conoscere la Valian: devo assolutamente recuperare una copia di Learning to work.

Barbara Businaro

Feb 06, 2025 at 8:00 PM Reply

Temo tu abbia confuso i 15 minuti di lavoro di Virginia Valian, inteso come impegno mentale su un progetto di scrittura, con la mia citazione di 15 minuti per un caffè, solo ed esclusivamente per dare una forma a quei 15 minuti nella nostra quotidianità.
Virginia Valian non cita mai la pausa caffè. Lei non sta trattando né il tema del rilassamento mentale, per svuotare la mente e affrontare poi la giornata, né quello del brainstorming, per riformulare il pensiero e trovare nuove soluzioni ai diversi problemi.
Il tema – e lo dice il titolo stesso, Learning to Work – è il lavoro. Mettersi alla scrivania su una tesi, una ricerca, un romanzo, un saggio, un trattato di matematica, e smontare un progetto complesso in pezzettini da 15 minuti ogni giorno.
Che è il tempo di un caffè, ma non è il caffè.
Magari bastasse solo un caffè al giorno per finire un progetto articolato…!!!
Come ho scritto sopra nel post, puoi recuperare in qualsiasi momento la lettura di Learning to work, perché il pdf è disponibile gratuitamente sul sito dell’autrice.
Ho messo il link apposta! 🙂

Daniela Bino

Feb 06, 2025 at 9:46 PM Reply

Infatti, stavo per scrivere un commento per chiedere venia, perché rileggendo mi sono accorta che avevo proprio compreso tutt’altro. Uhm, brutto segno! Avevo pensato che la produttività andasse aiutata con 15 minuti di repulisti cerebrale. Mo’ ho capito pensa che io, in quei minuti di pausa produco il meglio di me. Che segnale!!!

Barbara Businaro

Feb 07, 2025 at 3:00 PM Reply

Forse dovevi leggere il mio post dopo il caffè!! 😀

Giulia Mancini

Feb 08, 2025 at 11:07 AM Reply

Parto dalla fine, concordo sul fatto che è necessario scrivere senza pensare a chi possa interessare il nostro testo, secondo me è importante concentrarsi sulla storia e su come vogliamo scriverla o svilupparla, altrimenti con tanti “ma” e “se” non si va mai avanti.
Poi sui 15 minuti al giorno non so, può essere il metodo per darsi una metodicità, ma poi i 15 minuti diventano 25 minuti oppure 1 ora. Quando avevo in testa una storia mi imponevo di mettermi davanti al pc almeno per mezz’ora o un’ora, pensavo “scrivo solo quella breve scena e poi basta”, in effetti talvolta riuscivo a fare anche di più. Tutti i giorni però non mi riusciva perché se tornavo dal lavoro alle sette di sera dalie sette del mattino ero uno zombi e avevo solo voglia di riposare. Sulla metodicità però ci credo molto anch’io. Per esempio io scrivo i miei post sull’iPad un pezzetto alla volta, talvolta 10 minuti mentre aspetto che cuocia la pasta, oppure venti minuti mentre aspetto qualcos’altro. Forse dovrei scrivere il mio romanzo sull’iPad…chissà…

Barbara Businaro

Feb 08, 2025 at 3:23 PM Reply

Perché no? Dovresti proprio provare a scrivere il romanzo dall’iPad! 🙂
Un tentativo non costa nulla, giusto per vedere come va, se magari può essere lo strumento giusto per te per conciliare i giorni tranquilli con quelli più frenetici. Magari lo scrivi direttamente nel cloud, così quando torni al computer ce l’hai già anche lì.
I 15 minuti al giorno possono aiutare la metodicità come dici tu, ma potrebbero essere un modo per scrivere, seppure pochissimo, anche dopo tutte quelle ore fuori casa. Capita anche a me, due giorni alla settimana, e di solito la mia è stanchezza mentale, perché mica ho spaccato pietre in ufficio. Di solito ho voglia solo di cambiarmi e sfogarmi con una corsetta sul tapis roulant. Più difficile invece sedermi di nuovo al computer e mettermi a scrivere. Quello proprio no.

Luz

Feb 26, 2025 at 6:20 PM Reply

Qualche tempo fa probabilmente sarei stata scettica su questo tipo di metodo, ma sto comprendendo sempre più che invece accogliere suggerimenti ed essere flessibili ripaga in pieno. 15 minuti al giorno sono veramente pochissimi, ma è proprio su quel lungo termine che è bene focalizzarsi. Anche perché, cosa abbastanza avvilente, può capitare di non poter uscire dal blocco. Per esempio, al momento, mi rendo conto che dedicarmi davvero alla scrittura richiederebbe una grande quantità di tempo che non ho (ultimamente fatico molto anche con il blog). Le settimane scorrono veloci, il lavoro scolastico è diventato molto più stancante. Come potrei dedicarmi al lavoro di cesello della mia narrazione? Rimando e faccio molto male. Bisognerebbe abbracciare questi metodi, prestare ascolto.

Barbara Businaro

Feb 27, 2025 at 7:48 PM Reply

La tua riflessione, cara Luz, è esattamente la mia: ho sempre pensato che siano necessari molto tempo e molta concentrazione per la scrittura, ma ho cambiato diversi lavori e uffici, senza trovare mari quella quantità di tempo sufficiente (e in realtà, senza avere una precisa definizione di “quanto” tempo mi occorra davvero).
Ma questo è uno dei “Mind Games” citati anche dalla scrittrice Diana Gabaldon (ne avevo scritto qui, traducendo il suo pezzo originale dall’inglese: Giochi mentali nella scrittura). Si tratta esattamente del gioco mentale “Comincerò il mio libro non appena…” con diverse variazioni sul tema: avrò un periodo tranquillo in famiglia; farò meno straordinari al lavoro; i figli saranno diventati più grandi e indipendenti; avrò terminato questo corso / laboratorio / master; potrò finalmente chiedere il part-time o lo smart working; e così via. Ma non succede mai. Quel punto fatidico, dal quale dovrebbe sbloccarsi tutto, non esiste in realtà.
Quindi come te comincio a cercare soluzioni di adattamento, dalle attività una tantum (il concetto del Kayak di Oliver Burkeman appunto) al metodo dei 15 minuti giornalieri usato da Virginia Valian e spiegato nel suo Learning to Work.
Per altro, Virginia Valian mi ha scritto direttamente dopo questo mio post, gratificata di vedere che la sua riflessione può tornare utile ancora oggi, dopo così tanto tempo dalla sua pubblicazione. Con l’occasione, le ho inviato la mia traduzione completa in italiano, qualora volesse utilizzarla. E’ un vero peccato non sia stato tradotto in italiano l’intero saggio, ma sono contenta di aver potuto leggere almeno la sua parte. Mi ha dato molta ispirazione e positività.
Purtroppo questo Febbraio è stato un mese pieno di imprevisti, ahimè pure di salute, che mi hanno rallentato e distolto dall’intento iniziale di concentrarmi su quei 15 minuti giornalieri, ma almeno ho salvato il concetto del Kayak, e di tanto in tanto ho lavorato su quel mio progetto. Spero di poter partire bene con marzo, senza lasciarmi distrarre troppo dalla primavera. 🙂

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