Diana Gabaldon - Come costruisce una frase. Random House Open House - 15 dicembre 2016

Come Diana Gabaldon costruisce una frase

La prima fase da scrivere sulla pagina bianca è sempre la più difficile.
Che si tratti dell’incipit di un romanzo, dell’inizio di un lungo racconto o della prima riga di una singola scena della storia, come pure della prima proposizione di un semplice articolo per il blog, il disagio è sempre lo stesso: da dove accidenti cominciare?!
Magari abbiamo ben chiaro tutto quello che tratteremo nel mezzo, e avremo pure già scritto il finale, ma la nostra mente rischia di bloccarsi per ore esattamente su quella prima fatidica riga. Perché quelle prime parole hanno l’ingrato compito non solo di attirare il lettore sulla pagina e trascinarlo nel viaggio, paragrafo dopo paragrafo, ma devono innanzitutto portare l’autore dentro la sua stessa storia ancora da scrivere.

Vi avevo già mostrato in questo altro post, Dall’idea alla storia. Come scrivo io, come costruisco i miei racconti, partendo da pochissime parole buttate là, l’idea nuda e cruda, ancora da sviluppare, e via via aggiungendo pezzi, frasi o dialoghi, fino a trovarmi una struttura ordinata di quella che sarà la trama. Solo quando ho ben chiaro in mente come si svolgeranno i fatti, comincio la stesura vera e propria e lì, proprio lì, mi trovo ad affrontare il blocco della prima riga.
Potrebbe essere una descrizione secca, qualcuno fa qualcosa, passando subito dopo a descrivere dove ci si trova e per quale motivo. Si può usare la battuta di una conversazione, magari un po’ sibillina finché non viene fornito il contesto completo, o l’esclamazione irritata di un personaggio, compreso pure il suo dialogo interiore. Forse la maniera più banale di cominciare è focalizzarsi sul tempo meteorologico, il tema preferito degli sconosciuti che si incontrano in ascensore. Ma qualcuno è passato alla storia per quel suo “Era una notte buia e tempestosa…” 😉

Mi sono accorta poi che gli incipit dei miei ultimi due racconti, pubblicati qui sul blog, sono ambientati in bagno, di primo mattino.
L’inizio della storia, in entrambi i casi, coincide con l’inizio della giornata dei protagonisti e, per una tragica fatalità, proprio con l’attività maschile di radersi o pareggiare la barba. Non avevo davvero altre alternative? Ci ho pensato un po’ su, in effetti.
Nel racconto Natale tutti i giorni, un ingegnere in pensione combatte tutti gli anni con la propria figlia per non essere arruolato come Babbo Natale della vigilia. Qui, la sua barba bianca perfetta è la vera protagonista e la prima scena lo vede allenarsi allo specchio del bagno, di primo mattino, a rispondere un NO secco alle richieste della ragazza.
Non potevo spostarlo allo specchio dell’ingresso, né potevo muovere l’azione alla sera, prima di coricarsi. Non avrebbe avuto alcun senso.
La prima riga è stata affidata alle sue stesse parole, mentre si esercita a negare in diverse tonalità di voce.

Nel racconto di San Valentino invece, Chi è Veronica?, sono stata proprio costretta a partire dalla stanza da bagno, perché il mosaico all’origine di tutta la storia, la fonte stessa della mia ispirazione, si trova proprio lì, sotto la finestra, con il lavandino sulla sinistra e la ceramica del water sulla destra.
Avevo pure provato a modificare i tempi della scena, dal primo risveglio del mattino alla doccia serale della sera precedente, ma quel gattaccio di Bartolomeo non aveva gradito molto. Pare fosse infastidito dal vapore caldo nell’aria e dalla condensa sulle piastrelle. 😛
Quindi mi sono ritrovata nuovamente alle prime luci dell’alba, in una mattina grigia di pioggia, con il protagonista che si sta radendo prima di vestirsi e andare al lavoro. La prima riga in questo caso è semplice azione con descrizione del contesto. Ci ho lavorato parecchio, ma non sono riuscita a trovare un inizio con maggior forza e impatto. La scrittura non è una scienza perfetta.

Mentre riflettevo su tutto questo, ho rintracciato un video che avevo salvato da parte, perché mi ero ripromessa di studiarlo in seguito.
Si tratta di un’intervista alla scrittrice Diana Gabaldon, autrice della mia serie preferita Outlander, in conversazione con Julie Kosin, redattrice di Harper’s Bazaar, rivista statunitense di moda, filmata alla Random House Open House. In questo video, bellissimo con l’aggiunta dell’elaborazione grafica, Diana Gabaldon mostra come costruisce una frase, esattamente la prima riga di una scena che ancora non conosce, partendo dall’immagine di un catalogo preso a caso dalla sua libreria.
E questo, a ben vedere, è anche un ottimo metodo contro il blocco dello scrittore. O quel “cold day”, come lo chiama lei, quel giorno in cui proprio non si sa cosa scrivere sulla pagina bianca…

A cold day
Quando non sai cosa scrivere

La prima volta che ho visto questo pezzo dell’intervista sono rimasta di stucco. Non solo per la velocità del suo parlato, ma per il modo in cui la sua mente lavora sulle parole, sull’oggetto, sull’ambiente e sulle sensazioni. Come prova le frasi, come le modifica, come torna indietro.
Qui sotto vi riporto il testo in lingua inglese preso dal video e la traduzione in italiano.

On what I call a “cold day”, which is a day when I have no idea, you know. Yesterday, I knew how to write. Today, I got no idea.
I picked up an old Sotheby’s catalog. So, I flipped through this, here was a nice crystal goblet with thistles incised into the sides
and I said “Okay, that’s fine. We’ll use that.” One of the things I like to know is: where is the light coming from?
I can see it’s coming in from the right. So, I see the light pass through the crystal goblet. Well, so what?
It’s a low light, it must be mid-afternoon.
“The light-“
“The low light of mid-afternoon.” No.
“The pale light of mid-afternoon?” No. It’s not dim. It’s mid-afternoon light, you know?
“The low light of mid-afternoon.” No, I see what it is, it’s winter. I can see the light has a blue tinge.
“The late winter afternoon.”
“The late light of midwinter-“
No. “The cold blue light.” I can see it. It’s cold. I get the sense of cold. Why is that? Is it cold in the room? Yes, it is.
My fingers are cold, and so is my nose. But my feet are warm, there must be a fire in here.
“The cold blue light of a late winter afternoon fell through the crystal goblet onto the polished wood.”
I can see it. It’s glowing here- the wood is polished. “Onto the polished wood of the tabletop.” Okay, that’s sounds better.
“-casting a pool of amber light.”
Okay, I can. The glass is full of whisky, that’s why the light is amber. And now I know where I am.
I’m in Jocasta Cameron’s parlor, because she is the only one who would have a crystal goblet full of whisky.
“The cold blue light of a late winter afternoon fell through the crystal goblet onto the polished wood of the tabletop,
casting a pool of amber light.”
This is wht it takes me a long time write a book.

In quella che io chiamo una “giornata fredda”, cioè una giornata in cui non ho idee, insomma. Ieri sapevo come scrivere. Oggi non ne ho idea.
Ho preso un vecchio catalogo di Sotheby’s. L’ho sfogliato, c’era un bel calice di cristallo con dei cardi incisi sui lati e mi sono detto: “Ok, va bene. Lo userò.” Una delle cose che mi piace sapere è: da dove viene la luce?
Vedo che arriva da destra. Quindi, vedo la luce passare attraverso il calice di cristallo. Bene, e quindi?
È una luce bassa, deve essere metà pomeriggio.
“La luce-”
“La luce bassa di metà pomeriggio.” No.
“La luce pallida di metà pomeriggio?” No. Non è fioca. È la luce di metà pomeriggio, capisci?
“La luce bassa di metà pomeriggio.” No, vedo cos’è, è inverno. Posso vedere che la luce ha una sfumatura blu.
“Il tardo pomeriggio invernale.”
“La luce tardiva di metà inverno-”
No. “La fredda luce blu.” La vedo. È fredda. Ho la sensazione del freddo. Perché? Fa freddo nella stanza? Sì, fa freddo.
Ho le dita fredde e anche il naso. Ma i miei piedi sono caldi, deve esserci un fuoco qui dentro.
“La fredda luce blu di un tardo pomeriggio invernale cadeva attraverso il calice di cristallo sul legno lucido.”
Lo vedo. Qui brilla – il legno è lucido. “Sul legno lucido del tavolo”. Ok, così suona meglio.
“-proiettando una pozza di luce ambrata”.
Ok, ci riesco. Il bicchiere è pieno di whisky, ecco perché la luce è ambrata. E ora so dove mi trovo.
Sono nel salotto di Jocasta Cameron, perché lei è l’unica che potrebbe avere un calice di cristallo pieno di whisky.
“La fredda luce blu di un tardo pomeriggio invernale cadeva attraverso il calice di cristallo sul legno lucido del tavolo,
proiettando una pozza di luce ambrata.”
Ecco perché mi ci vuole molto tempo per scrivere un libro.

 

Il video, con questa elaborazione grafica che mostra come lei sposta le parole, è davvero molto bello. Ma corrisponde alla realtà?
Mi sembrava troppo veloce, anche se lei effettivamente parla così svelta, quasi senza respiro, in tutte le sue interviste. Rallenta un po’, scadendo bene la pronuncia, solo quando sa di avere di fronte una persona di un’altra lingua. Proprio come fece con me quando la incontrai di persona a Parigi, per un firma copie dei suoi romanzi: Incontrare Diana Gabaldon al Livre Paris
Sono quindi andata alla ricerca del pezzo originale dell’intervista, e infatti c’è proprio qualcosina in più! 😉

 

How your mind works
Come Diana Gabaldon costruisce una frase

Come potete vedere, il pezzo elaborato è preso da una lunga intervista di 45 minuti, con una parte di domande dal pubblico, quello che in gergo viene chiamato Q&A (da Questions and Answers, appunto). Ho fatto cominciare il video direttamente alla parte che ci interessa: la domanda specifica di una ragazza in sala, a cui poi Diana Gabaldon aggiunge l’esempio di costruzione della frase.
Qui sotto vi riporto il testo in lingua inglese e la traduzione in italiano. In questo caso, ho cercato di correggere gli errori della trascrizione automatica di YouTube e di ridurre le espressioni ricorrenti (di solito “you know”, “sapete”) per migliorare la comprensione della riflessione stessa. La traduzione non è professionale, ma mi interessava di più comprendere il concetto nella sua interezza.

Question:
I too have a master’s in marine biology and you are one of two of my favorite authors for biologists. So, when I discover you are biology I was very happy. Anyway, I just wondering if all this scientific writing that you’ve done before has a help to write novel or it’s such a different style of writing, that it doesn’t really help you.

Answer:
Well, anything that you write is a help as a writer, just to learn how to put language together, how to make a coherent sentence, how to write for clarity and brevity and elegance and so forth.
One of the best early compliments I got on my writing was from the editor of Infoworld, that it was a software review… Anyway, he said “this is probably the most elegantly written software review I’ve ever read.” I said I’m extremely complimented.
But you know not everybody thinks about things like elegance and brevity and so forth. And a little bit of this probably depends on how you write. I’m a really slow writer. What I need to start writing on any given day is a column, a line, a dialogue, a vivid image, anything I can sense concretely. And then I’ll write down a sentence describing it as well as I can.
Then I sit there and think about it, and I pull words out, and I put them back, and I move things around. And all the time my head is kicking up questions about, where are we, what time of day is it, and so forth. And very very gradually, very slowly that begins to evolve.
Well, not everybody writes that way. A lot of people just blab things down and then they go back and polish, as they say, and then they polish, and they polish, and they polish, and they hope there’s something left by the time they got done.
But you know, it’s a matter of preference of style, of how your mind works, and my mind works very slowly, but that means that it well actually it works pretty fast, it’s just what’s emerging from it is pretty slow.
And we got 90 seconds, I think we do. Do you want to watch me write? Okay, all right.

On what I call a “cold day”, which is a day when I have no idea, you know. Yesterday, I knew how to write. Today, I got no idea.
On those days, usually I will go to my bookshelf, which has 1500 or so historical references and cultural things, and I will just whip through things, until I hit something that strikes my fancy as being a good kernel. And then I’ll start there, that probably won’t be what the scene is about, it’s just a way of getting into the page. And so, on this one cold day I picked up an old Sotheby’s catalog, I have a pile of those, and this was a catalog about Scottish silver and crystal. So I flipped through this and here was a nice crystal goblet, with thistles incised into the sides, and I said “okay, that’s fine. I’ll use that”. Okay, so, we’re going to start. The crystal goblet, well yes, it’s just sitting there but one of the things I like to know is where is the light coming from. So, I’m saying: well where is the light coming from? I can see it’s coming in from the right. So, I see the light pass through the crystal goblet. Well, so what? I can see the light, what time of day?
I said: It’s a low light, it must be mid-afternoon.
“The light-“
“The low light of mid-afternoon.” No.
“The pale light of mid-afternoon?” No. It’s not dim. It’s mid-afternoon light, you know?
“The low light of mid-afternoon.” No, I see what it is, it’s winter. I can see the light has a blue tinge.
“The late winter afternoon.”
“The light of late winter afternoon.”
“The blue light of late winter afternoon.” Oh, for heaven’s sake, has too many words!
“The late light of midwinter-“
No, “The cold blue light”. I can see it. It’s cold. I get the sense of cold. Why is that? Is it cold in the room? Yes, it is.
My fingers are cold, and so is my nose. But my feet are warm, there must be a fire in here.
Yes, there’s a fire over there, I see it. There’s a dog there, I’ve never seen him before. Uh, maybe, yeah.
“The cold blue light of a late winter afternoon fell through…” Yet, “fell through the crystal goblet.”
It didn’t pass it, it’s slow, it’s coming in like this and put that on the table, but you can’t say that.
“It fell through the crystal goblet…” Do I need to put in the thistles? No, there’s no room for here and there that which grew up there though.
“The cold blue light of a late winter afternoon…”
Does it a need to say it’s late? Yes, I do need to say it’s late, it makes the sentence flow matter.
“The cold blue light of a late winter afternoon fell through the crystal goblet and fell onto the table…”
Because that’s all there is, I can see it’s a table, I can see the light there is making a pool and fell onto the table or casting, making a puddle, an Indian pool, well it sounds like the glass goes the waves on the table, that’s not right… “Blue light of the cold moon.”
No. “The cold blue light of a late winter afternoon fell through the crystal goblet onto the polished wood.”
I can see it. It’s glowing here, the wood is polished. “Onto the polished wood of the tabletop.”
Okay, that’s sounds better. “Making a pool, casting a pool… casting a pool.”
I can see it, it’s like spreading out. “Casting a pool of amber light” Okay, I can. The glass is full of whisky, that’s why the light is amber. And now I know where I am. I’m in Jocasta Cameron’s parlor, because she is the only one who would have a crystal goblet full of whisky.
This why it takes me a long time to write a book.

Domanda:
Anch’io ho un master in biologia marina e tu sei uno dei due autori preferiti dai biologi. Quindi, quando ho scoperto che ti occupi di biologia sono stata molto felice. Comunque, mi chiedevo se tutta questa scrittura scientifica che hai fatto in precedenza ti ha aiutato a scrivere romanzi o se è uno stile di scrittura così diverso, che non ti aiuta davvero.

Risposta:
Beh, qualsiasi cosa si scriva è un aiuto come scrittore, solo per imparare a mettere insieme il linguaggio, a creare una frase coerente, a scrivere in modo chiaro, breve ed elegante e così via.
Uno dei primi migliori complimenti che ho ricevuto per la mia scrittura è stato quello del redattore di Infoworld, ed era una recensione di un software… Comunque, ha detto “questa è probabilmente la recensione di software scritta nella maniera più elegante che abbia mai letto.” Ho detto che mi fanno moltissimi complimenti.
Ma non tutti pensano a cose come l’eleganza, la brevità e così via. E probabilmente un po’ dipende da come si scrive. Io sono uno scrittore molto lento. Ciò di cui ho bisogno per iniziare a scrivere in un dato giorno è una colonna, una riga, un dialogo, un’immagine vivida, qualsiasi cosa possa percepire concretamente. E poi scrivo una frase che la descriva il meglio possibile.
Poi mi siedo e ci penso, tiro fuori le parole, le rimetto a posto e sposto le cose. E per tutto il tempo la mia testa si fa domande su dove siamo, che ora è, e così via. E molto, molto gradualmente, molto lentamente questo comincia a evolversi.
Beh, non tutti scrivono in questo modo. Molte persone si limitano a buttar giù le cose e poi tornano indietro e lucidano, come si suol dire, e poi lucidano, e lucidano, e lucidano, e sperano che sia rimasto qualcosa quando hanno finito.
Ma sapete, è una questione di preferenze di stile, di come lavora la vostra mente, e la mia mente lavora molto lentamente, ma questo significa che in realtà lavora abbastanza velocemente, solo che ciò che ne emerge è piuttosto lento.
Abbiamo 90 secondi, credo. Volete guardarmi scrivere? Ok, va bene.

In quella che io chiamo una “giornata fredda”, cioè una giornata in cui non ho idee, insomma. Ieri sapevo come scrivere. Oggi non ne ho idea.
In quei giorni, di solito vado alla mia libreria, che ha circa 1500 riferimenti storici e culturali, e passo in rassegna le cose, finché non trovo qualcosa che mi colpisce come un buon nucleo. E poi parto da lì, probabilmente non sarà quello il tema della scena, è solo un modo per entrare nella pagina. Così, in un giorno freddo, ho preso in mano un vecchio catalogo di Sotheby’s, ne ho una pila, e questo era un catalogo di argenti e cristalli scozzesi. L’ho sfogliato e ho trovato un bel calice di cristallo, con dei cardi incisi sui lati, e mi sono detta: “Ok, va bene. Lo userò.” Bene, allora cominciamo. Il calice di cristallo, sì, è semplicemente lì, ma una delle cose che mi piace sapere è da dove proviene la luce. Quindi, dico: da dove viene la luce? Vedo che arriva da destra. Vedo la luce passare attraverso il calice di cristallo. E allora? Vedo la luce, a che ora del giorno?
L’ho detto: È una luce bassa, deve essere metà pomeriggio.
“La luce-”
“La luce bassa di metà pomeriggio.” No.
“La luce pallida di metà pomeriggio?” No. Non è fioca. È la luce di metà pomeriggio, capisci?
“La luce bassa di metà pomeriggio.” No, vedo cos’è, è inverno. Posso vedere che la luce ha una sfumatura blu.
“Il tardo pomeriggio invernale.”
“La luce del tardo pomeriggio invernale.”
“La luce blu del tardo pomeriggio invernale.” Oh, per carità, ha troppe parole!
“La luce tardiva di metà inverno-”
No. “La fredda luce blu.” La vedo. È fredda. Ho la sensazione del freddo. Perché? Fa freddo nella stanza? Sì, fa freddo.
Ho le dita fredde e anche il naso. Ma i miei piedi sono caldi, deve esserci un fuoco qui dentro.
Sì, c’è un fuoco laggiù, lo vedo. C’è un cane, non l’ho mai visto prima. Forse, sì.
“La fredda luce blu di un tardo pomeriggio invernale cadeva attraverso…”. Eppure, “cadeva attraverso il calice di cristallo.”
Non l’ha attraversato, è lento, arriva così e poi si mette di là sul tavolo, ma non si può dire così.
“Cadeva attraverso il calice di cristallo…” Devo metterci i cardi? No, non c’è spazio per quello che è cresciuto qui e là.
“La fredda luce blu di un tardo pomeriggio d’inverno…”.
È necessario dire che è tardi? Sì, è necessario dire “è tardi”, perché rende più fluida la frase.
“La fredda luce blu di un tardo pomeriggio invernale passava attraverso il calice di cristallo e cadeva sul tavolo…”.
Perché non c’è altro, si vede che è un tavolo, si vede che la luce lì sta facendo una pozza e cadde sul tavolo o proiettando, facendo una pozzanghera, una piscina indiana, beh sembra che il bicchiere faccia le onde sul tavolo, non è giusto… “La luce blu della luna fredda.”
No. “La fredda luce blu di un tardo pomeriggio invernale cadeva attraverso il calice di cristallo sul legno lucido”.
Lo vedo. Qui brilla, il legno è lucido. “Sul legno lucido del tavolo.”
Ok, così suona meglio. “Facendo una pozza, proiettando una pozza… proiettando una pozza.”
Lo vedo, è come se si allargasse. “Proiettando una pozza di luce ambrata.” Ok, ci riesco. Il bicchiere è pieno di whisky, ecco perché la luce è ambrata. E ora so dove mi trovo. Sono nel salotto di Jocasta Cameron, perché lei è l’unica che potrebbe avere un calice di cristallo pieno di whisky.
Ecco perché mi ci vuole molto tempo per scrivere un libro.

 

Come vedete il discorso è molto più articolato di quanto ci aveva fatto intendere il primo video.
In particolare, mi ha fatto sorridere quel suo “Oh, for heaven’s sake, has too many words!” quando gli aggettivi erano davvero troppi. 😀
La velocità del suo ragionamento è rimasta la stessa, ma qui possiamo osservare alcuni particolari che mostrano come si muove sia tra le parole che tra la scena stessa, come quel cane che non ha mai visto prima o il bicchiere con le onde di luce sul tavolo.
Il suo lavoro mentale è davvero rapido e per questo lei è convinta si tratti di una forma benigna di ADHD (ndr. dall’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder, disturbo da deficit di attenzione/iperattività). Ma la sua scrittura in questo modo ne viene rallentata, perché il risultato finale di tutto questo lavorio è una sola frase.
In realtà, questo esempio ci mostra molto di più: un metodo per sbloccare la scrittura in una giornata senza idee, prendendo un’immagine casuale da una fonte congruente con la nostra ambientazione (il suo catalogo raccoglie argenti e cristalli scozzesi) e cercandovi una collocazione. Così lei si ritrova nel salotto di Jocasta Cameron, la zia del protagonista Jamie Fraser, donna forte ed energica, anche se rimasta cieca. Quel bicchiere di cristallo poteva pure trovarsi nello studio di Lord John Grey, diplomatico inglese, amico di Jamie Fraser dai tempi della prigione di Ardsmuir, ma del quale è segretamente innamorato. Ma la mente dell’autrice ha deciso per la prima scena, qualcosa che era già in elaborazione ma aveva solo bisogno di un piccolo aggancio, il calice di cristallo, per uscire sulla pagina.

Alla fine questa è la frase finale:

“The cold blue light of a late winter afternoon fell through the crystal goblet
onto the polished wood of the tabletop, casting a pool of amber light.”

“La fredda luce blu di un tardo pomeriggio d’inverno cadeva attraverso il calice di cristallo
sul legno lucido del tavolo, proiettando una pozza di luce ambrata.”

Ero anche curiosa di ritrovare questo inizio all’interno di uno dei romanzi di Outlander, probabilmente Drums of Autumn o The Fiery Cross, dove si muove il personaggio di Jocasta MacKenzie Cameron appunto. L’ho cercata nelle edizioni originali in lingua inglese (in particolare con le parole “blue light” e “goblet”), ma senza ritrovarla. Forse è stata tagliata brutalmente dall’editing dopo che aveva assolto la sua funzione di sbloccare la scrittura, forse è diventata qualcos’altro nel lungo rimaneggiamento che porta alla stesura finale del libro. Chissà!

Funzionerà anche col catalogo IKEA?

Diana Gabaldon si è lasciata ispirare da un vecchio catalogo di Sotheby’s, la famosa casa d’aste, tra i volumi della sua libreria.
Nella mia invece ci sono i vecchi cataloghi cartacei dell’IKEA, che non vengono più stampati dalla casa svedese.
Funzionerà lo stesso? Magari troverò ispirazione dalla libreria Billy in tinta verde foresta, perfetta per un giardiniere?
E quale è stato per voi l’oggetto più strano che vi ha aiutato a sbloccare la scrittura? 🙂

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Comments (14)

Sandra

Mar 01, 2025 at 10:01 AM Reply

Gli editor mediamente sconsigliano un incipit meteo, piuttosto abusato.
Personalmente da lettrice non do tutta sta importanza alla prima frase, credo di non aver mai comprato un libro per l’incipit o la copertina, ormai sono una lettrice super navigata, chiaro che prendo pure io delle cantonate eh, ma sempre meno e di solito capita quando mi affido a recensori non certificati da comprovata affinità col mio gusto, o strilloni mediatici.
Tornando alla Gabaldon, nonostante poi tu non abbia trovato la frase, in qualche modo epurata dall’editing, beh per lei è stata la chiave per iniziare, quindi in qualche modo è rimasta incastrata a vita nel romanzo. Il primo video è molto suggestivo, ma – ne convengo – un po’ troppo veloce, ma forse proprio per questo ha una potenza tutta sua, perché arriva molto bene al cuore della faccenda e a tutti noi.
Da autrice ho problemi maggiori a chiudere una storia piuttosto che a cominciarla, come contenuti ma proprio anche come frase, quella che deve far tirare le somme.
Nel mezzo invece è capitato pure a me, con un oggetto, non volutamente cercato da qualche parte, catalogo o affini, bensì visto passare durante una pubblicità in un momento di stallo preoccupante mentre scrivevo Le affinità affettive e la editor mi aveva chiesto di trovare una potente seconda linea narrativa (sotto trama) che funzionasse, beh non mi veniva nulla, nulla di nulla, ero ferma e sconsolata. L’illuminazione poi rivelatasi davvero vincente fu la pubblicità di una planetaria, l’impastatrice professionale che molti hanno in casa (non io) da lì la figura di Virginia che prepara dolci e tutto ciò che ne è seguito. E’ stato magico, ma temo irripetibile.
PS Vediamo se oggi ho azzeccato il profilo che faccio sempre confusione.

Barbara Businaro

Mar 02, 2025 at 7:02 PM Reply

Ai nostri tempi moderni, l’incipit arriva al lettore dopo la grafica della copertina, i richiami pubblicitari, il riassunto nella quarta di copertina o nell’aletta anteriore e il passaparola. Arriviamo praticamente alla prima riga con già un’idea della storia che abbiamo tra le mani.
Questo come lettori però. Come autori, temo che l’incipit abbia ancora la sua importanza nella valutazione di un manoscritto. Anche se ultimamente, viste le cavolate che mi trovo a leggere da parte di alcuni editor, penso che pure gli autori stiano abusando di consulenze poco professionali. 😎
Dei finali delle storie non si parla abbastanza, in effetti. Forse perché nell’explicit (le ultime righe di un testo) c’è il rischio di svelare troppo e rovinare la lettura. Che poi non ricordo mai esattamente le ultimissime parole, ma l’immagine evocata dalla scena finale sì. Per dire, cercando velocemente in rete, questa è la chiusura di Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen: “…ed entrambi rimasero sempre consapevoli dell’estrema gratitudine che dovevano a persone che, portando Elizabeth nel Derbyshire, erano diventate lo strumento che li aveva uniti.” Si intuisce il finale (ma davvero c’è qualcuno che non conosce questo romanzo?!), ma da sole queste parole non sono esattamente l’ultima scena che io ricordo, complice anche il film con Keira Knightley.
La planetaria di Virginia! Ecco, questo è un esempio perfetto di ispirazione casuale! 🙂
Per altro, io ho la planetaria di Kitchen Aid, acquistata con un’occasione ma usata pochissimo (perché se cucino mangio e se mangio devo correre di più!!)

Grazia Gironella

Mar 01, 2025 at 12:10 PM Reply

Molto interessante questo approccio alla prima frase. Sto leggendo ora Go Tell the Bees That I’m Gone (monumentale!) e cercherò di riconoscerlo. 🙂

Barbara Businaro

Mar 02, 2025 at 7:36 PM Reply

Purtroppo io ho smesso di leggere Outlander, così come ho smesso di seguire la serie televisiva. Non perché non mi piaccia, anzi. Mi sono bloccata al sesto romanzo da leggere (“Nevi infuocate” ovvero “A Breath of Snow and Ashes”) e alla quinta stagione da vedere, ero forse arrivata al terzo episodio. All’inizio centellinavo le letture come oro prezioso, poi mi sono invece fermata perché non si potevano più rintracciare i cartacei dei romanzi, a causa della perdita dei diritti da parte di Corbaccio (che quindi non ha più ristampato i volumi) e all’acquisto da parte di Mondadori. Che sì, sta pubblicando i romanzi in nuove edizioni, finalmente seguendo le uscite originali in lingua inglese, ma sono terribilmente lenti e in più le traduzioni, mi dicono, essere le stesse dal terzo romanzo della serie in poi. Dall’altra parte, pure il fandom italiano ha contribuito a questo mio blocco mentale. Leggere continue diatribe sulla qualità dei romanzi o accuse verso le fans italiane, colpevoli di non spendere abbastanza denaro e dunque responsabili dell’indifferenza tanto della scrittrice quanto degli attori della serie verso il nostro paese. Diana Gabaldon è sì venuta in Italia, nel 2018 a Venezia, ma come viaggio personale, mentre pochi giorni prima era appunto al Livre Paris, ospite del suo editore francese per tre giorni.
Comunque, al momento sto aspettando la fine della serie televisiva. Forse questo mi porterà finalmente la tranquillità di godermi nuovamente la lettura dei romanzi (ho comunque tutti gli ebook, anche se preferisco i cartacei). E chissà che non li legga direttamente in inglese. 😉

IlVecchio

Mar 01, 2025 at 2:48 PM Reply

Sarei ben felice di prestarti alcuni vecchi cataloghi di mostre d’arte, anche contemporanea, dei miei tempi però. In qualche scatolone devo conservare consumate riviste di elettronica e naturalistica. A tua disposizione. : -)

Barbara Businaro

Mar 02, 2025 at 8:16 PM Reply

Un giorno verrò sicuramente a curiosare! Grazie! 🙂

Darius Tred

Mar 01, 2025 at 8:43 PM Reply

Be’, con il catalogo dell’IKEA si potrebbe provare.
A me capita di essere ispirato da oggetti strani: un jack di quadri, ad esempio.
Trovato per terra lungo la strada. Mentre camminavo.

Più che un incipit, m’ispira un embrione di racconto.
Ma il più delle volte rimane tale.

Barbara Businaro

Mar 02, 2025 at 8:24 PM Reply

Un jack di quadri, intendi la carta da gioco? Qualcuno l’ha persa per strada, ma chi?
Scrivilo quel racconto, dai. Sono curiosa di leggerlo!
Magari è pure una carta che viene dal futuro… 😉

Giulia Mancini

Mar 02, 2025 at 9:23 PM Reply

Sono d’accordo con Sandra, si dà troppo importanza agli incipit, io ho letto dei romanzi stupendi e ricordo la storia e la fine, l’inizio spesso me lo dimentico. In ogni caso una bella frase di inizio può attrarre il lettore, ma è importante anche il resto della storia.
Per i miei incipit è capitato molte volte di essere ispirata da un’immagine oppure da un ricordo, certo anche il catalogo Ikea può essere utile, magari mi aiuta a immaginare una casa arredata in un certo modo e il personaggio che ci vive.
Per curiosità sono andata a leggere l’incipit di 1984 di Orwell “Era una luminosa e fredda giornata di aprile e gli orologi segnavano le tredici” un inizio che non ricordavo affatto, mentre ricordavo abbastanza bene tutto il resto.

Barbara Businaro

Mar 03, 2025 at 9:16 PM Reply

Giusto oggi ho letto un incipit che mi è piaciuto all’istante e mi ha ben predisposto alla lettura:
“Come spesso succede con la corruzione, tutto ebbe inizio con uomini in giacca e cravatta.”
La prima riga di Le tigri sono in giro. Le indagini di Jackson Lamb di Mick Herron.
In realtà è il terzo romanzo della serie e so che difficilmente può deludermi, qualsiasi siano le prime parole. Dopo aver terminato il primo romanzo, un regalo di Natale, ho acquistato in blocco gli altri tre!
Per altro, si tratta a ben vedere di una ovvietà, per la definizione stessa di corruzione. Eppure, questo incipit ha funzionato.
Ricordo che il mio primo incipit del romanzetto da finire non mi piaceva, una descrizione di un quartiere di notte dove accade qualcosa, ma non tra i protagonisti. Poi mi è caduta una tazzina dalla lavastoviglie, frantumandosi tra le mie imprecazioni e lacrime. Ma ecco, lì ho avuto l’idea per il prologo. La tazzina l’ho buttata, sono andata a prendere un secondo set da 6 di scorta (da allora ne abbiamo rotte altre 2, mannaggia) ma il prologo ci sta molto bene.
E intanto l’inizio di 1984 di George Orwell sfata anche l’idea degli incipit meteorologici. Tiè! 😀

Marina

Mar 07, 2025 at 3:27 PM Reply

Si parte sempre da qualcosa, però l’incipit è sempre il più rimaneggiato in sede di revisione, perché con la storia tutta davanti è più facile rendere l’inizio maggiormente consistente e significativo. Sai che io faccio come la Gabaldon, quando ho voglia di scrivere delle cose, ma non so come né da dove cominciare? Io di solito prendo un libro a caso dalla libreria, lo apro in una pagina qualsiasi e leggo una frase. Sì, più che una parola singola mi faccio aiutare da un intero rigo o anche da un paragrafo. Funziona: metto a fuoco degli elementi che mi danno l’input e li trasferisco sul foglio bianco. Una volta, non sapevo che forma dare a un racconto e l’ho fatto diventare una lettera perché in un romanzo (non ricordo più quale) ho beccato un’epistola. Almeno mi garantisco una partenza, poi si vede.
Il catalogo Ikea sarebbe buono per descrivere una bella cucina, per esempio, con tutti quei carrelli salvaspazio, i cassetti a scomparsa, i pensili con le luci integrate… 🙂

Barbara Businaro

Mar 08, 2025 at 6:25 PM Reply

Infatti, come dice Diana Gabaldon, è importante avere una partenza, portarsi dentro la storia e dopo, quando ci sei, quella prima frase non importa più ma hai raggiunto lo scopo.
Dovessi prendere a caso io dalla mia libreria… mah, non so se funzionerebbe. Magari una volta ci provo. Però diciamo che talvolta ho seguito questo tuo metodo, ma al contrario: mentre leggo capita di trovare una frase che, estrapolata dal contesto, mi ispira qualcosa, anche se non so ancora esattamente cosa. Me la scrivo nel mio “quadernetto delle idee” e la lascio là, a lievitare come l’impasto del pane. Quando ci ritorno, in mancanza di uno spunto per una storia, la ritrovo e allora ecco che ho il panetto pronto da stendere. 🙂
Il catalogo Ikea potrebbe in effetti aiutare nelle descrizioni degli ambienti di una casa dei nostri giorni. Al massimo si può risalire al 1950 quando fu pubblicato il primo catalogo, ma la distribuzione non era globale come ora.
Ho appena finito di leggere Fight Club di Chuck Palahniuk e il protagonista all’inizio è un consumatore fidelizzato di Ikea: “Gente che conosco, che una volta andava a sedersi in bagno con una rivista pornografica, adesso va a sedersi in bagno con un catalogo dell’Ikea. Abbiamo tutti la stessa poltrona Johanneshov con lo stesso disegno Strinne a strisce verdi. Abbiamo tutti le stesse lampade Rislampa/Har costruite con filo di ferro e carta ecologica, non sbiancata. Tutte quelle sedute in bagno. Il servizio di posate Alle. Acciaio inossidabile. A prova di lavastoviglie. L’orologio Vild da anticamera, di acciaio zincato, oh, non avevo potuto farne a meno. La consolle a ripiani Klipsk, oh, sì. Le cappelliere Hemlig. Sì”
Insomma, a Palahniuk il catalogo Ikea è servito sì! 😀

Luz

Mar 20, 2025 at 7:38 PM Reply

Discorso assolutamente interessante. Sarebbe bello tentare di realizzarlo anche solo come esercizio di scrittura e magari proporlo in classe. Di solito, quando lavoriamo alla scrittura creativa, mi capita di suggerire loro di visualizzare un oggetto che suggerisce qualcosa, anche facente parte della loro cameretta, che percepiscano vicino e intimo. Da lì possono svilupparsi ottimi spunti. Trovo interessante la sua costruzione per “incastri”, ogni segmento a comporne uno nuovo e a suggerire uno sviluppo. E al di là di ciò, guardo a queste scrittrici famose per avere azzeccato la storia perfetta e resto incantata. 🙂

Barbara Businaro

Mar 23, 2025 at 5:37 PM Reply

Non ricordo mi sia mai stato proposto in classe un esercizio così. E chissà cosa avrei scelto allora, quale oggetto avrebbe innescato una storia. Adesso, in età adulta, è fin troppo facile perché tutte le cose intorno sono memoria di un evento o di una persona, ma quando sei giovane l’esperienza è ancora poca e la scrittura non è pronta.
In quanto a zia Diana, dice di aver cominciato a scrivere quella storia un po’ per caso, una sfida con se stessa, senza alcuna velleità editoriale. Ci crediamo?! 🙂

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