Via dalla pazza folla - poster del film

Via dalla pazza folla
Far from the madding crowd di Thomas Hardy

Far from the madding crowd’s ignoble strife
Their sober wishes never learn’d to stray;
Along the cool sequester’d vale of life
They kept the noiseless tenor of their way.
Elegy Written in a Country Churchyard, Thomas Gray

Lontano dalla lotta ignobile, via dalla pazza folla
i loro sobri desideri non hanno mai imparato a vagare;
Lungo la fredda valle della vita isolata
Hanno mantenuto il tenore silenzioso della loro strada.
Elegia scritta in un cimitero di campagna, Thomas Gray

Proprio da queste righe della poesia Elegy Written in a Country Churchyard lo scrittore inglese Thomas Hardy ha tratto il titolo del suo primo successo letterario, Via dalla pazza folla, il primo libro che ho voluto leggere di questo autore a me ancora sconosciuto.

Infatti io e Thomas Hardy ci siamo incrociati per caso in un romanzo contemporaneo, dove è stato nominato insieme ad altri due grandi della letteratura inglese, Jane Austen e William Shakespeare. Nella citazione però vi era un altro suo titolo, Tess dei D’Urbervilles, di cui vi parlerò più avanti perché lo leggerò a breve (intervallo sempre letture serie con qualcosa di più leggero, anche per apprezzare i diversi stili).
Incuriosita e preoccupata di non averlo mai intravisto prima, nemmeno tra i banchi di scuola, ho acquistato in blocco tutte le sue opere in edizione digitale. E poi le ho messe da parte, tutto colpa del Tsundoku come sempre, ritardando sovente la lettura.

Poi un bel giorno, mentre faccio zapping alla ricerca di una bella storia che mi accompagni nella stiratura, mi trovo davanti una bellissima scena in televisione, accompagnata da una colonna sonora perfetta, un violino struggente che preannuncia sciagura e amori non corrisposti: una giovane cavallerizza del tardo Ottocento che, scandalo assoluto, si mette a cavalcioni per spronare il cavallo a correre su per la collina. Giunta ad un boschetto basso di rami, si adagia di schiena sulla groppa del cavallo, allentando le briglie e lasciandosi dondolare attraverso quel tunnel silvestre. Ma un paio d’occhi maschili la osservano da lontano.
Inutile dire che ho stirato gran poco quel giorno, e purtroppo la visione del film è stata anche interrotta da altro.
Ho solo fatto in tempo a vedere il titolo, Via dalla pazza folla con Carey Mulligan e Matthias Schoenaerts, basato sull’omonimo romanzo di Thomas Hardy.
Hardy! Di nuovo lui! Devo proprio mettermi a leggerlo allora, mi sta chiamando da più parti!

Ho acquistato il film in dvd per poterlo rivedere, dopo aver letto il libro. Soprattutto ho preso la colonna sonora, composta da Craig Armstrong, che nel 2001 ha vinto un Golden Globe per la migliore colonna sonora originale per la pellicola Moulin Rouge. Il suo Opening per Via dalla pazza folla (che potete ascoltare in fondo al post) per me è una delle composizioni migliori, la adoro e me la canticchio spesso.

Rimaneva da leggere questo romanzo, conoscevo ormai a tratti la trama, ma sappiamo bene che i libri sono sempre migliori della loro riduzione cinematografica.
Attendevo solo la giusta predisposizione d’animo per abbandonarmi alla campagna inglese dell’epoca vittoriana, ai ritmi faticosi dell’agricoltura e dell’allevamento di pecore, agli sghiribizzi di un cuore impetuoso, al destino capriccioso e le due trame ordite, alla tenacia di un amore quieto e indissolubile.

Il titolo scelto da Thomas Hardy è volutamente uno scherzo letterario, poiché Gray nel suo poema sta idealizzando la calma silenziosa e ritirata della vita bucolica, mentre Hardy con questa sua storia sovverte ogni quiete e tutto succede tra quei boschi e quelle valli coltivate, la pazzia segue l’uomo ovunque egli dimori.
Pure la mia lettura è volutamente ironica, in questo particolare momento storico, dove gli assembramenti sono vietati… 😉

 

Via dalla pazza folla
nell’irrequieta campagna del Wessex

Quando il fittavolo Oak sorrideva, gli angoli della bocca gli si slargavano fino a trovarsi a esigua distanza dagli orecchi; gli occhi gli si riducevano a due fessure; e apparivano loro intorno certe grinze divergenti che si stendevano sulla sua fisionomia come i raggi di un rudimentale abbozzo di sole nascente.
Di nome si chiamava Gabriele, e nei giorni feriali era un giovanotto di giudizio, di movimenti sciolti, abiti decenti e generalmente buona condotta. La domenica era uomo di idee nebulose, piuttosto portato a differire le cose, e imbarazzato dai suoi abiti festivi e dal suo ombrello; in breve, uno che sentiva di occupare moralmente quel vasto spazio mediano di laodiceana neutralità che si frapponeva tra la popolazione della parrocchia partecipante alla Comunione e la sezione beoni – il che è quanto dire che in chiesa andava, ma sbadigliava segretamente quando la congregazione era arrivata al Credo niceno, e pensava a cosa ci sarebbe stato per cena, mentre era persuaso di attendere ad ascoltare la predica. O, per definire il suo carattere, quale appariva sulla bilancia della pubblica opinione quando i suoi amici e critici erano di cattivo umore, era considerato piuttosto come un cattivo soggetto; quando erano di buon umore, era piuttosto una brava persona; quando non erano né l’uno né l’altro, era un uomo il cui colorito morale era una specie di miscuglio di sale e pepe.

Questo è l’irridente incipit del romanzo. Sebbene ci venga subito presentato il fittavolo Oak e il suo temperamento, in questa storia i protagonisti sono due, Gabriel Oak e Bathsheba Everdene (nel mio ebook, edizione Garzanti, sono tradotti anche i nomi in Gabriele e Batsheba) e la trama segue le intricate vicende del loro amore, negato, rimandato, scontato e infine supplicato dal carattere impetuoso di Bathsheba.
Dovessimo ridurre la trama all’osso, direi che questa è un romanzo d’amore del tipo “lui e lei e l’altro, e l’altro ancora”. E’ tutto quello che c’è nel mezzo che la rende una storia magnifica. 😉

Via dalla pazza folla - Gabriel Oak

Gabriel Oak, un allevatore di pecore di Norcombe Hill viene catturato dall’ostinata volontà della signorina Bathsheba Everdene, giunta ad aiutare la zia nella fattoria vicino alla sua. Bella e vanitosa, ma anche tenace e indipendente, sicura delle proprie ragioni, Bathsheba colpisce il cuore del giovane fittavolo, a cui salva anche la vita quando rischia di essere intossicato dai fumi del fuoco dentro la sua piccola capanna. Certo di poterle offrire un futuro agiato rispetto alla sua condizione di povertà, Oak le chiede di sposarlo, a lei rifiuta categoricamente. Il dialogo è quanto di più mai comico ai nostri occhi contemporanei e mostra tutta l’ingenuità di Bathsheba.

Il suo atteggiamento si afflosciò e rimase per un po’ silenziosa. Egli si mise a fissare e rifissare le bacche rosse che si trovavan tra loro, con tale intensità, che nella sua vita a venire l’agrifoglio doveva rimanere come un simbolo che significava proposta di matrimonio. Batsceba si volse verso di lui con decisione.
«No; è inutile » disse. «Io non desidero sposarvi.»
«Provate.»
«Mi sono sforzata a pensarci intensamente tutto questo tempo, perché un matrimonio sarebbe una gran bella cosa, in un certo senso. La gente parlerebbe di me, e penserebbe che ho vinto la mia battaglia, e mi sentirei trionfante eccetera. Ma un marito…»
«Be’!»
«Sarebbe sempre lì, come avete detto voi. Ogni volta che alzassi gli occhi, eccotelo lì.»
«Naturalmente che sarebbe lì, lui, cioè io.»
«Be’, quello che intendo dire, è che non mi dispiacerebbe di fare la sposa a un matrimonio, se potessi farlo senza avere un marito. Ma dato che una donna non può mettersi in mostra in quella maniera da sola, non mi sposerò, almeno per ora.»
«Questa è una storia orribilmente pazzesca.»
A questa critica della sua decisione, Batsceba fece seguire un irrigidimento della sua dignità, ritirandosi da lui bruscamente.
«Dovessi cercare mill’anni, non potrei sentire una stupidaggine più grossa dalla bocca di una ragazza» disse Oak. «Ma, bellezza mia» continuò Oak conciliante; «non essere così!» Oak trasse un profondo sospiro onesto; anche se con quel suo somigliare al sospiro di una pineta, fu assai notevole come disturbo di atmosfera.

Via dalla pazza folla - Bathsheba Everdene

Le sorti dei due si rovesciano completamente in un colpo di sfortuna per Oak, che in una notte a causa di un cane irrequieto perde tutte le sue pecore giù per la scogliera, e in una sorte prospera per Bathsheba, che alla morte di uno zio eredita l’enorme fattoria di Weatherbury. Il destino beffardo però li riporta sulla stessa strada, quando Oak, girovago in cerca di un nuovo futuro, salverà prontamente un granaio da un terribile incendio e la ricca proprietaria si scoprirà essere proprio Bathsheba.
Messo da parte l’imbarazzo di entrambe, Gabriel rimarrà al servizio della fattoria di lei come il nuovo pastore.

Spinta sempre dalla vanità, Bathsheba invia un biglietto per San Valentino, con un impertinente sigillo in cera rossa con impresse le parole “Sposami”, al suo vicino William Boldwood, uno scapolo maturo con una florida tenuta confinante, che non ha però degnato di uno sguardo la ragazza, ferendone l’orgoglio. Amareggiato da un rifiuto in gioventù, Boldwood aveva concentrato la sua vita nella quiete della campagna e nell’accudire i suoi pregiati cavalli. Quel messaggio diventa per lui lo sconvolgimento dell’intera sua esistenza. Finirà per innamorarsi perdutamente di Bathsheba, questa volta tentata dal matrimonio per mera opportunità, ma ancor meno per amore.

«Credo e spero che mi vogliate abbastanza bene per ascoltare ciò che ho da dirvi.»
L’immediato impulso di Batsceba nell’udir ciò, fu quello di chiedergli perché lo pensasse, finché non si ricordò che lungi dall’essere una vanitosa asserzione da parte di Boldwood, quella non era che una logica conclusione basata su premesse illusorie da lei stessa fornite.
«Mi augurerei di sapervi dire lusinghiere galanterie» continuò il fittavolo in tono più sciolto,
«e dare ai miei rozzi sentimenti una veste più graziosa; ma non ho né la capacità né la pazienza di imparar cose simili. Vi voglio per moglie, così terribilmente, che nessun altro sentimento può sussistere in me; ma non avrei parlato, se non fossi stato indotto a sperare.»
«Di nuovo il messaggio di San Valentino! Oh quel messaggio!» disse lei tra sé, ma senza farne motto.
«Se potete amarmi, ditelo, signorina Everdene. Se no, non dite di no!»
«Signor Boldwood, è penoso dovervi dire che son sorpresa e che non so come rispondervi con proprietà e rispetto, ma sono appena capace di esprimervi il mio sentimento, voglio dire il mio intendimento; che temo di non potervi sposare, anche se vi rispetto molto. Siete troppo dignitoso perché io possa andarvi a genio.»
«Ma signorina Everdene!»
«Io, non so, non avrei mai dovuto sognarmi di mandarvi quel messaggio, perdonatemi, signor Boldwood. È stata una frivolezza che nessuna donna che si rispetti avrebbe dovuto commettere. Se soltanto voleste perdonarmi la mia leggerezza, io vi prometto che mai più…»
«No, no, no. Non dite leggerezza! Lasciatemi credere che fosse qualcosa di più, che fosse una specie d’istinto profetico, il principio di una certa intuizione che io vi sarei piaciuto. Mi torturate col dire che è stato fatto per leggerezza, non ci ho mai pensato sotto questa luce, e non lo posso sopportare.
Ah! Come vorrei sapere in che modo conquistarvi! Ma questo non posso saperlo, posso soltanto chiedere se ci sono riuscito. Se non ci sono riuscito, e non è vero che siete venuta a me inconsapevolmente, come io a voi, non posso dirvi altro.»
«Io non mi sono innamorata di voi, signor Boldwood, questo lo devo assolutamente dire.»
Essa concesse a un piccolo sorrisetto di insinuarsi per la prima volta sul suo serio viso nel dir ciò, e la bianca chiostra dei denti superiori e le labbra nettamente segnate che già abbiamo descritto, suggerirono un’idea di insensibilità che fu immediatamente contraddetta dagli occhi affabili.
«Ma vi prego di riflettere, riflettere per bontà e per condiscendenza, se non potreste sopportarmi come marito. Temo di essere troppo vecchio per voi, ma, credetemi, io mi darò più pena per voi di qualsiasi uomo della vostra età. Vi proteggerò e tesoreggerò con tutta la mia forza, lo farò immancabilmente! Non avrete nessuna preoccupazione, non dovrete stancarvi con nessun lavoro domestico, e vivrete completamente a vostro agio, signorina Everdene. La sorveglianza sulla cascina sarà esercitata da un uomo, me lo posso benissimo permettere, non dovrete nemmeno guardar fuori della porta all’epoca delle fienagioni, o pensare al tempo che fa, alla mietitura. Sono piuttosto affezionato al calesse perché è quello stesso che adoperavano il povero babbo e la povera mamma, ma se non vi piace lo venderò, e vi darò un bagherino per conto vostro. Non posso esprimervi di quanto mi sembriate più elevata di ogni altra idea e cosa della terra – nessuno lo sa, soltanto Dio sa – quanto mi stiate a cuore!»
Il cuore di Batsceba era giovane, e si gonfiò di simpatia per quell’uomo dall’indole così profonda che parlava con tanta semplicità.
«Non dite così: non lo dite! Io non posso sopportare che voi sentiate tanto e che io non senta niente. E ho paura che ci possano vedere, signor Boldwood. Volete lasciar cadere questo argomento, per ora? Non riesco a connettere i pensieri. Non sapevo che mi avreste detto queste cose. Oh, sono una sciagurata ad avervi fatto soffrire a questo modo!» Essa era spaurita, nonché agitata, dalla veemenza di lui.
«Ditemi allora che non mi rifiutate assolutamente. Non mi rifiutate assolutamente, vero?»
«Non posso farci niente. Non posso rispondere.»
«Potrò parlarvi ancora su questo argomento?»
«Sì.»
«Potrò pensare a voi?»
«Sì, ritengo che possiate pensare a me.»
«E sperare di conquistarvi?»
«No, non sperate! Continuiamo così.»
«Verrò di nuovo a farvi visita domani.»
«No, per piacere. Datemi tempo.»
«Sì, vi darò tutto il tempo che volete» disse lui con calore e riconoscenza. «Sono più contento ora.»
«No, ve ne prego! Non siate più contento se la contentezza proviene soltanto dal mio consenso. Rimanete neutrale, signor Boldwood. Io debbo pensarci.»
«Aspetterò» disse lui.

Via dalla pazza folla - Bathsheba e Boldwood

Fino a qui abbiamo avuto modo di comprendere bene l’animo confuso di Bathsheba Everdene. Ma il suo carattere Thomas Hardy ce lo descrive più avanti, quando Bathsheba cade nella trappola amorosa del sergente Troy, bello e spavaldo nelle sue molteplici frequentazioni, aiutato da una galanteria ciarliera e dall’imperituro fascino della divisa che colpisce tutte le fanciulle. Cederà alla passione Bathsheba per l’unico uomo che le farà notare la sua bellezza, la vanità di lei non attendeva che questo.

Vediamo ora l’elemento della follia mescolarsi distintamente con molte svariate caratteristiche che concorrevano a comporre il carattere di Batsceba Everdene. Esso era pressoché estraneo alla sua intrinseca natura. Introdotto come linfa, sul dardo di Eros, poteva permeare e colorire la sua intera costituzione. Batsceba, quantunque avesse troppa intelligenza per essere totalmente governata dalla propria femminilità, aveva troppa femminilità per usare la propria intelligenza a suo miglior vantaggio.
Forse una donna non stupisce mai tanto il proprio compagno quanto con lo strano potere che possiede di credere a lusinghe che pure sa essere false, eccettuato naturalmente quel suo potere di mantenersi totalmente scettica riguardo a critiche che pur sa essere vere.
Batsceba amò Troy nel modo in cui amano soltanto donne indipendenti, quando abbandonano la propria indipendenza. Quando una donna forte getta via temerariamente la propria forza, è peggiore di una donna debole che non abbia mai avuto forza da gettar via. Una ragione della sua inadeguatezza è la novità del caso. Non aveva mai fatto esperienza di trarre il meglio possibile da una tale condizione.
La debolezza è doppiamente debole quando è novizia.
Batsceba non era conscia di nessun suo artifizio in questa faccenda. Benché, in un certo senso, donna di mondo, il mondo suo era, dopo tutto, un mondo di ritrovi alla luce del giorno e di tappeti verdi, dove il bestiame costituiva la folla che passa, ed i venti l’affaccendato brusio; dove una pacifica famiglia di conigli o di lepri vive dall’altra parte delle pareti del ritrovo, dove vostro prossimo è qualsiasi persona appartenente alla tribù, e il calcolo è limitato ai giorni di mercato. Dei gusti artificiosi della buona società alla moda sapeva ben poco, e della codificata indulgenza verso se stessa di quella cattiva, non sapeva nulla. Se i suoi più riposti pensieri in questa direzione avessero potuto essere espressi in parole precise (e per opera sua non lo erano mai) non avrebbero fatto che assommarsi in questo: che essa sentiva che i suoi impulsi erano guide più piacevoli che non il suo discernimento. Il suo amore era in tutto e per tutto quello di un bimbo, e quantunque ardente come l’estate, era fresco come la primavera. La sua colpevolezza consisteva nel non fare alcun tentativo di governare i propri sentimenti con una cauta e sottile indagine sulle eventuali conseguenze. Sapeva mostrare agli altri la ripida e spinosa via, ma «non criticare il proprio giudizio.»

Via dalla pazza folla - Bathsheba e Troy

Ma il sergente Troy sarà la rovina di Bathsheba e, per un soffio, non rischierà di travolgere anche la fattoria. Sarà sempre grazie al pastore Oak che le biche del recente raccolto saranno messe in salvo da una tempesta in arrivo, mentre tutti gli altri braccianti si sono addormentati ubriachi al tavolo di Troy.
Il mutamento caratteriale di Bathsheba lungo il romanzo lo si avverte proprio in due dialoghi con Gabriel Oak, quando, sconsideratamente nel primo caso e con vero rispetto nel secondo, ella gli chiede un’opinione sulle proprie questioni amorose, proprio a lui, rifiutato a quel modo all’inizio della storia. L’oggetto della discussione è sempre la corte spietata di William Boldwood, dopo l’invio del messaggio di San Valentino, e più avanti, quando tutti daranno per morto il sergente Troy e Bathsheba di nuovo libera di sposarsi.

«E allora quale è la vostra opinione sulla mia condotta?» chiese tranquillamente.
«Che essa è indegna di qualsiasi riflessiva, mite e dignitosa donna.»
Istantaneamente il viso di Batsceba si colorì dell’iracondo cremisi di un tramonto di Danby, ma ella vietò a se stessa di manifestare questo sentimento, e la reticenza della sua lingua non fece che accentuare l’eloquenza del suo viso.
La successiva mossa che fece Gabriele, costituì un errore.
«Forse non vi piace la ruvidità del mio rimprovero, perché so che è ruvido; ma ho pensato che potesse fare del bene.»
«Al contrario, la mia opinione sul vostro conto è talmente bassa, che io vedo nel vostro insulto la lode della gente che capisce!»
«Io sono contento che non ve la prendiate, perché l’ho detto onestamente, e con l’intenzione più seria.»
«Ho capito. Ma, sfortunatamente, quando cercate di non parlare scherzosamente, siete divertente, proprio come quando nel cercar di evitare la serietà, dite talvolta qualche parola sensata.»
Fu un colpo in pieno, ma indiscutibilmente Batsceba era uscita dai gangheri, e su quel tasto mai Gabriele in vita sua era stato altrettanto padrone di sé. Non replicò verbo. Essa allora scoppiò a dire:
«Mi sarà lecito chiedere, ritengo, in che cosa particolarmente consista la mia indegnità? Forse nel non sposare voi?»
«Nemmen per sogno» rispose Gabriele calmamente. «Ne ho messo da parte da parecchio tempo ogni idea.»
«O nel non desiderarlo, ritengo?» disse lei, ed era evidente che si aspettava una recisa smentita a questa sua supposizione.
Qualunque cosa Gabriele provasse, egli riecheggiò freddamente le parole di lei: «E perfino il desiderio.»
Una donna può essere trattata con una amarezza che a lei risulta gradita, e con una ruvidezza che non è offensiva. Batsceba si sarebbe sottomessa a qualunque sdegnoso castigo per la propria leggerezza, se Gabriele le avesse in pari tempo assicurato di amarla; l’impetuosità di una passione non corrisposta è sopportabile anche se brucia e farnetica; vi è un trionfo nell’umiliazione, e una tenerezza nella contesa. Era questo che si era aspettata, e che non aveva avuto. Subire una predica perché il predicatore la vedeva nella cruda luce di un’evidente disillusione, era esasperante. Né aveva ancora finito. Continuava con voce ancor più agitata:
«La mia opinione è (dato che me la chiedete) che siete molto colpevole nel prendervi gioco di un uomo come il signor Boldwood, per puro passatempo. Adescare un uomo di cui non vi importa nulla non è un’azione lodevole. E anche, signorina Everdene, se foste seriamente inclinata verso di lui, avreste dovuto lasciare che lo scoprisse in qualche forma di autentica tenerezza amorosa, e non col mandargli un messaggio per San Valentino.»
Batsceba depose le cesoie.
«Non posso permettere a nessun uomo di… di… criticare la mia condotta privata!» esclamò. «E non lo permetterò un minuto di più. Favorirete lasciare la fattoria alla fine della settimana.»
Può essere stata una peculiarità – ad ogni modo era un fatto – che a Batsceba, quando era colta da una emozione di carattere profano, tremava il labbro inferiore, e quando era colta da un’emozione spirituale tremava quello superiore, il più prossimo al cielo. Ora le tremò quello inferiore.
«Benissimo, e io non mancherò di filare» disse Gabriele con calma. Era stato unito a lei da un nobile legame che gli era doloroso guastare con una rottura, piuttostoché da una catena che non riuscisse a rompere. «Preferirei anzi di andarmene immediatamente» aggiunse.
«E andatevene immediatamente allora, in nome del Cielo!» disse lei, fulminandolo con gli occhi, anche se non incontravano i suoi. «Non imponetemi oltre la vista del vostro viso.»
«Benissimo, signorina Everdene, così farò.»
E, prese le sue cesoie, si allontanò da lei, con placida dignità, come Mosè lasciò la presenza del Faraone.

Via dalla pazza folla - Bathsheba e Oak

Un giorno, fu condotta da un accidente ad avere un dialogo stranamente confidenziale con Gabriele, circa la sua difficoltà. Le dette un certo sollievo, di un genere cupo e atono. Stavano rivedendo dei conti, e accadde qualcosa durante il loro lavoro che indusse Oak a dire, parlando di Boldwood: «Quello non vi dimenticherà mai, signora, mai.»
Allora, il travaglio di lei venne fuori prima che se ne accorgesse; e gli disse come fosse stata di nuovo colta nella rete; che cosa Boldwood le aveva chiesto, e come aspettasse il suo consenso. «La mia più triste ragione per acconsentire» seguitò mestamente, «e la vera ragione per cui penso di farlo, vada come vuole andare, è ques ta – è una cosa su cui non ho ancora fiatato con anima viva – è che ritengo che se non gli do la mia parola, perderà la ragione.»
«Lo credete davvero?» disse Gabriele grave.
«Lo credo» continuò lei con coraggiosa franchezza, «e sa il Cielo che io lo dico in uno spirito che è l’opposto assoluto della vanità, perché ne sono addolorata e preoccupata fino in fondo all’anima; io credo di tenere l’avvenire di quell’uomo nelle mie mani. Il corso della sua vita dipende interamente dal mio modo di trattarlo. Oh, Gabriele, io tremo, della mia responsabilità, perché è una cosa terribile.»
«Be’, io soprattutto penso questo, signora, come ve l’ho detto anni fa» disse Oak, «che la sua vita è un vuoto totale, se non può più sperare di avervi; ma non posso supporre… io spero che nulla di così terribile come quello che immaginate incomba su ciò. Il suo modo di fare è sempre stato cupo e strano, vedete. Ma dato che il caso è così triste e singolare, perché non gli fate quella promessa condizionata? Io credo che farei così.»
«Ma è giusto poi? Alcuni atti irriflessivi della mia vita passata mi hanno appreso che una donna braccata deve usare molta circospezione per mantenere un minimo di credito, ed io voglio, agogno ad essere discreta in questa cosa! E sei anni… come: potremmo esser tutti nella fossa a quell’ora, anche se il signor Troy non tornasse più, il che potrebbe anche essere! Pensieri simili danno una certa assurdità a questo progetto. Dite un po’, non è sciocco, Gabriele? Come sia giunto a sognarselo, non me lo posso figurare. Ma è sbagliato? Voi dovreste saperlo, voi siete più anziano di me.»
«Di otto anni, signora.»
«Sì, otto anni, e non è sbagliato?»
«Forse sarebbe un patto insolito tra uomo e donna; ma non ci vedo nulla di molto sbagliato» disse lentamente Oak. «In realtà l’unica cosa che renda incerto se dobbiate sposarlo a qualunque condizione fosse, è che voi non ne siete innamorata, perché posso ritenere…»
«Sì, potete ritenere che manchi l’amore» tagliò corto lei. «L’amore ormai è cosa del passato, dolorosa, consumata, e disperata per me, che sia per lui o per chiunque altro.»
«Be’, questa vostra assenza d’amore mi sembra l’unica cosa che possa evitare il danno di un simile patto con lui. Se ci fosse di mezzo una passione irrefrenabile che vi facesse desiderare di passar sopra alla difficoltà della scomparsa di vostro marito, potrebbe essere un male; ma una intesa di freddo ragionamento per accontentare un uomo, sembra cosa differente, direi. Il vero peccato, signora, sta, secondo me, nel pensare di poter mai sposare un uomo che non si ami onestamente e veramente.»
«Sono pronta a scontarne la pena» disse Batsceba con fermezza. «Vedete, Gabriele, non posso sgravare la mia coscienza di questo: che una volta gli ho fatto un male serio per pura frivolità. Se non gli avessi mai giocato quel tiro, non avrebbe mai desiderato di sposarmi. Oh, se potessi pagargli in denaro qualche grossa ammenda per il male che gli ho fatto, e in tal modo liberarmi l’anima dalla colpa! Invece… ecco qui un debito che non si può pagare che in un modo, e io penso di esser tenuta a farlo, se posso farlo onestamente, senza nessun riguardo per il mio proprio avvenire. Quando un dissoluto perde al giuoco il suo patrimonio futuro, il fatto che questo sia un debito sconveniente, non lo rende meno solvibile. Io sono stata una dissoluta, e la cosa principale che vi chiedo è questa, se, considerato che i miei propri scrupoli e che il fatto che a tenor di legge mio marito risulta soltanto assente impedisce a qualsiasi altro uomo di sposarmi prima del passaggio, di sette anni, io sia libera di nutrire una simile idea, anche se è una specie di ammenda – perché tale sarà. Io odio l’atto del matrimonio in simili condizioni, e la classe di donne cui sembrerebbe che io appartenessi col contrarlo!»

La maturazione di Bathsheba verso l’amore è persino tragica: se all’inizio del romanzo, la ragazza agognava un matrimonio senza marito per pura vanità, riconoscendo però l’importanza dell’amore per una vera unione felice, verso il termine l’amore è doloroso e consumato dalla passione folle e dalle bugie dell’amato che l’ha tradita. Solo nel finale troverà una nuova consapevolezza in un amore maturo, nella continua e solida presenza di un amico sincero, di un innamorato rimasto fedele anche nelle tempeste.

Eppure l’eroina di tutta la storia è senza dubbio Fanny Robin, cameriera fuggita dalla tenuta di Weatherbury prima dell’arrivo di Bathsheba (non si sono dunque mai viste in vita) per sposare in gran segreto proprio quel sergente Troy, ma per un piccolo disguido e per orgoglio Troy la abbandonerà al suo orribile destino. Solo nella morte Fanny avrà redenzione e giustizia. E Bathsheba scoprirà al contempo il suo terribile errore.

Via dalla pazza folla - Fanny Robin

La fine ironia inglese, quasi manzoniana, di Hardy

In questo romanzo di Hardy ho ritrovato la medesima fine ironia di Alessandro Manzoni de I Promessi Sposi, che lo precede di poco con la pubblicazione del 1827 (prima edizione, la “ventisettana”) mentre Via dalla pazza folla è del 1874. Forse è un paragone azzardato, ma in alcuni passaggi ho riso di gusto come in altri di Manzoni. La beffa è lieve ed è lasciata al lettore, il narratore non la sottolinea mai.
Provate a giudicare voi, sull’ingegnoso rimedio di un uomo infedele e sulla straordinaria sfortuna di avere un occhio moltiplicatore! 😀

«Be’, ora, è difficile crederci, ma quell’uomo, il padre della nostra signorina Everdene, è stato uno dei mariti più infedeli che siano esistiti, dopo qualche tempo. Comprendetemi, non che volesse essere infedele, ma non poteva farci nulla. Quel poveretto le era fedele e abbastanza leale nelle intenzioni, ma il cuore gli vagava, per quanto facesse. Me ne ha parlato una volta con vera tribolazione.
‘Coggan,’ mi disse, ‘non potrei desiderare una donna più bella di quella che ho, ma quando sento che è legata a me come sposa legittima, non posso trattenere il mio malvagio cuore dal vagare, per quanto io faccia.’ Ma finalmente credo che avesse trovato un rimedio col costringerla a togliersi la fede e chiamarla col suo cognome di ragazza quando stavano insieme dopo che il negozio era chiuso, e così s’immaginava che lei fosse soltanto sua fidanzata e niente affatto sposata. E appena riuscì ad immaginarsi di far del male e di trasgredire il settimo comandamento, le volle un bene dell’anima, e continuarono a vivere come la più perfetta immagine del mutuo amore.»
«Be’, era un rimedio veramente empio» mormorò Giuseppe Poorgrass; «ma dobbiamo provare una profonda letizia per il fatto che una felice Provvidenza gli abbia impedito di essere peggiore. Sapete, avrebbe potuto mettersi per la mala via e abbandonare i suoi occhi alla illegittimità completamente, sì alla grossolana illegittimità, per così dire.»
«Vedete» disse Billy Smallbury, «il desiderio dell’uomo era quello di agire rettamente, ma il suo cuore non gli corrispondeva.»

Via dalla pazza folla - Bathsheba e Giorgio

«Smetti con quel belare, Jan!» disse Oak; e voltosi verso Poorgrass: «Quanto a te, Giuseppe, che conduci le tue nefande gesta con coteste maledette arie di santità, tu sei briaco quanto si può esserlo.»
«No, pastore Oak, no! Siate ragionevole, pastore. L’unica cosa di cui soffro io, è il disturbo cosiddetto dell’occhio moltiplicatore, ed è perciò che io vi sembro doppio – voglio dire che voi sembrate doppio a me.»
«Un occhio moltiplicatore è una pessima cosa» disse Mark Clark.
«A me viene sempre, dopo che sono stato un po’ in una taverna» disse umilmente Giuseppe Poorgrass. «Sì, vedo ogni cosa doppia, come se fossi qualche santone vissuto al tempi di re Noè, e stessi per entrare nell’arca… Sììì» aggiunse commovendosi alla rappresentazione di un se stesso sotto la specie di un derelitto e versando lacrime; «io mi sento troppo buono per l’Inghilterra, avrei dovuto vivere nella Genesi, di pieno diritto, come gli altri uomini, come gli altri sacrificatori, e allora nessuno mi avrebbe chiamato u-u-br-ia-cone, a questa maniera.»

Eppure il Wessex di Hardy non esiste!

Abituata a leggere ambientazioni inglesi, anche per la cara Agatha Christie della mia adolescenza, non ho fatto caso a questo Wessex, che Hardy cita all’interno del romanzo. Le sue descrizioni sono così reali e in linea con altre storie della sua epoca, che non mi è mai venuto il dubbio che fossero luoghi inesistenti, creati ad arte.
Solo cercando informazioni sull’autore, ho scoperto che esiste un “Wessex di Hardy”, una sua proprietà intellettuale quasi.

Wessex è un nome preso in prestito dalla storia, quel regno anglosassone realmente esistito a sud della Gran Bretagna, dal 519 fino all’unificazione dell’Inghilterra nel 927. Ma Hardy l’ha utilizzato per portarlo avanti nel tempo: il suo Wessex di fine Ottocento comprende le ferrovie, l’ufficio postale, le macchine per mietere e falciare, i sindacati, i fiammiferi, i lavoratori che sapevano leggere e scrivere, i bambini che studiano alla scuola nazionale, i biglietti di San Valentino!
Sebbene i luoghi che compaiono nei suoi romanzi esistano effettivamente, vissuti dallo stesso Hardy, in molti casi ha voluto dare loro un nome immaginario. Ad esempio, la città natale di Hardy, Dorchester, è chiamata Casterbridge nei suoi libri, anche in Via dalla pazza folla.

I confini poi del Wessex di Hardy sono sfumati, l’area non corrisponde alla zona dell’antico Wessex, per lo più si identifica nell’attuale Dorset, l’area occidentale del sud-ovest dell’Inghilterra, ma è un Dorset leggermente immaginario il suo. Anche se le atmosfere sono proprio quelle dell’epoca in cui vi visse l’autore.

Wessex di Thomas Hardy oggi

Wessex di Thomas Hardy - mappa di Bertram Windle
Mappa da The Wessex of Thomas Hardy di Bertram Windle, 1902, basata sulla corrispondenza con Hardy stesso

 

Nel film di John Schlesinger, da cui ho tratto alcune immagini, le scogliere su cui le pecore del fittavolo Oak sono guidate dal giovane cane da pastore fuori controllo sono situate a Eype, vicino a Bridport.
La piazza del mercato, dove Fanny Robin indica con orgoglio il suo fidanzato, il sergente Troy a Gabriel Oak di passaggio, è Half Moon Street a Sherborne, accanto a Sherborne Abbey, anche questa nel vero Dorset.
Il palazzo dall’aspetto severo di Boldwood, con la sua splendida terrazza con vista sul fiume, è Claydon House, presso Middle Claydon, a circa 21 km da Aylesbury nel Buckinghamshire. Per la sua splendida architettura è stata utilizzata anche nel film Emma, dal romanzo di Jane Austen, con Gwyneth Paltrow.
La Chiesa di Weatherbury è in realtà la chiesa di Puddletown nel Dorset. Lo stesso Hardy si interessò alla chiesa e al villaggio circostante per trarne ispirazione per l’insediamento immaginario di Weatherbury. Per questo motivo Hardy soleva dire che il Wessex è un “paese in parte reale, in parte da sogno”.
La fattoria ereditata da Bathsheba Everdene è Mapperton House, sede del Conte e della Duchessa di Sandwich a Beaminster, circa 8 km a nord-est di Bridport, nel Dorset. La struttura è visitabile dai turisti (cliccate sul link sul nome per vederla meglio).

Via dalla pazza folla - Weatherbury

David Nicholls batte Thomas Hardy sul finale

Lo sceneggiatore batte il romanziere sul finale, ma è una questione di adattamento ai nostri costumi contemporanei.
David Nicholls, che ha scritto la sceneggiatura per il film di Thomas Vinterberg, ha voluto modificare alcune parti del libro, per avvicinare la storia alle emozioni della nostra epoca, renderlo più romantico e sensuale rispetto allo stile di Hardy.
Nella scena delle felci, dove Bathsheba incontra in gran segreto il sergente Troy, scena riproposta nella locandina del film, dopo che Troy le mostra la propria abilita con la spada, rassicurandola che non è per nulla affilata ma tagliando con un lieve movimento una ciocca dei suoi capelli, Bathsheba resta paralizzata dalla paura e lui ne approfitta per rubarle un bacio. Nel romanzo è un bacio casto, nel film c’è anche la mano di Troy che si abbassa verso le coscie interne di lei, in quella che è stata definita “la stretta di mano danese”. Hardy sarebbe inorridito all’idea, credo.

Del resto, dopo aver descritto la passione sfrenata e incosciente di Bathsheba per il sergente Troy, Hardy spiega il vero amore sul finale con parole che ai nostri giorni sembrano piuttosto freddine. Non avrebbe venduto ai botteghini…

L’accompagnò su per la collina, spiegandole i particolari della sua futura amministrazione dell’altra tenuta. Parlaron pochissimo dei reciproci sentimenti; belle frasi e calde espressioni non erano probabilmente necessarie tra così provati amici. Il loro era quel solido affetto che nasce (se mai nasce) quando i due che si son ritrovati cominciano col conoscere prima le parti più ruvide dei reciproci caratteri, e quelle migliori soltanto più tardi, e così l’amore cresce negli interstizi di una massa di dura realtà prosaica. Questa buona intesa – questa camaraderie – che di solito nasce da affinità di interessi, viene sfortunatamente di rado ad aggiungersi all’amore tra i sessi, perché gli uomini e le donne si associano non nei loro lavori, ma soltanto nei loro piaceri. Dove, però, circostanze favorevoli ne permettono lo sviluppo, il sentimento così composto dimostra di essere l’unico amore forte come la morte, quell’amore che molte acque non posson spengere, né i diluvi sommergere, accanto al quale la passione che ne usurpa il nome è evanescente come vapore.

Invece David Nicholls riesce a scrivere un happy ending che è una meraviglia. Anzi, a dirla tutta, l’ultima scena di questo film batte anche il finale di Orgoglio e pregiudizio nella versione di Keira Knightley e Matthew Macfadyen, sceneggiatura di Deborah Moggach e, si dice ma non si conferma, con la supervisione di Emma Thompson.

I protagonisti illuminati dalla stessa luce del giorno, l’alba per Elizabeth e Darcy, il tardo mattino per Bathsheba e Gabrielle. Mentre però Orgoglio e pregiudizio si attiene rigorosamente al romanzo, con mani congiunte e un abbraccio, Via dalla pazza folla decide di accontentare il pubblico femminile, con un “Chiedetemelo! Chiedetemelo! Chiedetemelo!” di Bathsheba che è più una risposta che un’esortazione.
Non vi dico di più, dovete prima leggere il romanzo e poi gustarvi il film. 😉

Via dalla pazza folla - Gabriel e Bathsheba sul finale

Avete mai letto Hardy?

Ho amato ogni virgola di questo libro, anche le parti in cui volevo davvero entrare nella pagina e dare due ceffoni a Bathsheba, ma riconoscendo che in fondo i suoi tumulti sono stati anche i miei, di tanto in tanto. Chi davvero può dirsene indenne?
Perché dopo aver visto solo qualche stralcio della pellicola, mi sono comunque immersa nella lettura e poi sono tornata ancora più innamorata a vedere il film?
Per via di questa musica, questo violino struggente che mi tormenta da mesi, che ogni tanto canticchio tra me e me…

 

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Comments (22)

Sandra

Mag 10, 2020 at 11:11 PM Reply

Grande Thomas Hardy. Quando ero bambina in TV ci fu uno sceneggiato tratto dal suo romanzo Il sindaco di Castebridge che tenne la mia famiglia incollata alla tv e anni dopo ho letto, e gustato assai, il romanzo.
DI Tess, curiosità, hanno fatto un’edizione del romanzo simil copertina delle 50 sfumature, davvero molto molto simile, se la trovi è sbalorditiva. Povero Hardy.
Devo prendermi qualche suo romanzo, l’editore Fazi li sta ripubblicando.

Barbara Businaro

Mag 10, 2020 at 11:47 PM Reply

Non sapevo nulla dello sceneggiato, sembra risalire al 1978 e prodotto dalla BBC: Il sindaco di Casterbridge (miniserie televisiva) Magari lo metto in lettura prossimamente, non compare però tra gli ebook che ho acquistato in blocco, mannaggia!
Di Tess dei d’Urberville ho adocchiato una bella edizione cartacea della BUR, quella che dici tu è una versione Oscar Mondadori, sfondo nero e una collana in primo piano, scritte con i medesimi font delle copertine delle Cinquanta Sfumature. Questo perché Tess dei d’Urberville è il romanzo preferito di Anastasia e Mister Grey gliene regala una prima copia originale dal valore inestimabile (E.L.James ha voluto comparare la tragica sottomissione di Tess ad Alec con la più fortunata salvezza che Anastasia rappresenta per Christian). 🙂

Giulia Mancini

Mag 11, 2020 at 6:45 AM Reply

Non ho letto il libro, ma ho visto il film, incuriosita proprio dal titolo molto evocativo che però non ho trovato attinente alla trama. Comunque il film l’ho apprezzato e soprattutto ho apprezzato il protagonista maschile pieno di carattere (Gabriel) mentre ho detestato il sergente che lei ha sposato…ma se avesse sposato Gabriel la storia sarebbe finita subito…

Barbara Businaro

Mag 11, 2020 at 1:03 PM Reply

Forse perché i miei nonni, cresciuti tra colline e campagna, hanno sempre considerato le città come caotiche e folli, ma io il titolo l’ho inteso subito. “Via dalla pazza folla” nel senso di lontano dalla città, nelle terre estese e poco abitate dove l’esistenza dovrebbe essere semplice, frugale, povera di drammi o grandi sconquassamenti. E invece…
Non sapevo però che Hardy l’aveva preso in prestito da una poesia, proprio per prendersene gioco.
Se avesse sposato Gabriel subito non solo non ci sarebbe stata una storia da raccontare, ma Bathsheba non avrebbe nemmeno compreso appieno il valore di Gabriel e dei suoi sentimenti. Proprio nelle difficoltà impari a distinguere le persone che ti amano davvero.

Darius Tred

Mag 11, 2020 at 9:02 AM Reply

Confesso di non essermi mai imbattuto in questo autore. Eppure la newsletter di Amazon, il cui algoritmo impazzito continua inspiegabilmente a propinarmi titoli di romanzi rosa e simili da almeno sei mesi a questa parte, non me l’ha mai proposto.

Vedo che, geograficamente parlando, ti sei avvicinata all’equatore. Stavi sempre più a nord, con le tue letture! 😀 😀 😀

Barbara Businaro

Mag 11, 2020 at 1:04 PM Reply

Vuoi vedere che Amazon non ama i grandi classici della letteratura? O forse guadagna di più da altri titoli?!
A dire il vero Darius, prima di questo grazie al nostro amico Douglas Adams io stavo al Ristorante al termine dell’Universo, nel senso temporale della parola: lì i clienti possono veder in diretta lo gnaB giB, cioè il Big Bang alla rovescia. Questo tutte le sere, dopo lo spettacolo il ristorante torna indietro nel tempo, al mattino che precede il gnaB giB e preparano nuovamente per il servizio serale… Altro che fantascienza! 😀 😀 😀

Darius Tred

Mag 11, 2020 at 2:45 PM Reply

Sempre a magnà, stai! 😀

Barbara Businaro

Mag 11, 2020 at 6:04 PM Reply

😎 😎 😎

IlVecchio

Mag 11, 2020 at 3:04 PM Reply

Ha ragione Hardy, con quelle sue ultime parole. La passione dura solo sei mesi, o forse anche meno; l’amore quieto, o il delicato affetto, dura tutta una vita. Lo so mia cara fanciulla che in questo momento stai scuotendo il capo stizzita, ma aspetta di giungere alla mia età… : -)

Barbara Businaro

Mag 11, 2020 at 6:07 PM Reply

Si, sto scuotendo la testa, e potrei risponderti in tanti modi, ma nessuno che possa essere qui pubblicabile! 😛

Luz

Mag 11, 2020 at 6:20 PM Reply

Sulle prime pensavo si trattasse di un post dedicato a quel gran figaccione di Tom Hardy! 😀
No, a parte gli scherzi. Conosco questa storia non per averla letta, non ho mai letto nulla di Hardy, ma per averla gustata da ragazzina assieme a una mia zia che adorava il film degli anni Sessanta, quello con Julie Christie (splendida anche in Dottor Zivago di quegli stessi anni nel ruolo di Lara). Ne ho un ricordo triste, perché quel film fu molto drammatico, struggente, come tutti i film molto belli dell’epoca, e c’era una forza interpretativa completamente diversa.
Ho visto anche questo recente film, che non mi ha coinvolto allo stesso modo, malgrado abbia atmosfere davvero splendide e… una colonna sonora che sto ascoltando mentre scrivo. È vero, impossibile dimentica queste note.
Mi è caro il brano cantato, perché lo realizzavo una vita fa alla chitarra, cantandone tutto il testo.
Della storia come te avrei voluto prendere a schiaffi la protagonista, ma anche più di una volta. Detesto quell’insulso soldatino, trovo gli altri due spasimanti molto più affascinanti, non solo per l’aspetto esteriore. L’ufficiale rappresenta la passione segreta, il fuoco che arde ma che si spegne in un nulla. Mi piace di questa storia il passaggio dal sentimento alla ragione, sebbene attraverso tante scelte sbagliate. Il personaggio di Gabriel ha una sua epicità che adoro.

Barbara Businaro

Mag 11, 2020 at 10:54 PM Reply

Avevo intravisto le immagini del film del 1967, non l’ho mai visto quindi non posso fare un confronto sulla recitazione, sulle scelte dello sceneggiatore e lo sviluppo del regista. Guardando però le foto in rete, per quanto sia bella Julie Christie mi sembra troppo bionda per interpretare Bathsheba Everdene. Poi io sono contro l’abuso delle bionde al cinema… 😀 😀 😀

Ecco il trailer del 1967, in lingua originale.

PS. Vuoi sapere un’altra colonna sonora che adoro? La teoria del tutto, “Arrival of the birds” di The Cinematic Orchestra, nella scena finale del film dove tutta la vita di Stephen Hawking viene riavvolta (La sto ascoltando ora) 😉

Luz

Mag 13, 2020 at 6:53 PM Reply

Ma sì, oltretutto era anche una parrucca quella cosa bionda. I canoni estetici un tempo erano diversi, era tempo in cui si riteneva che le bionde avessero un certo potenziale di attrazione. 🙂 Conosco quella colonna sonora! La adoro.

Barbara Businaro

Mag 13, 2020 at 10:11 PM Reply

Le bionde vere sì, le parrucche bionde proprio no… 😛 😛 😛

Brunilde

Mag 12, 2020 at 9:52 AM Reply

Credo di aver letto Tess un secolo fa, da ragazzina, non ricordo bene.
Amo molto leggere i classici, soprattutto in estate, quando c’è più tempo: visto che la pandemia ha pressochè azzerato i miei impegni di lavoro, va bene anche questo periodo. Metto questo romanzo nella mia book list, rigorosamente da acquistare in cartaceo: i classici vanno letti classicamente! Dal tuo post, come direbbe Snoopy, sembra un romanzo romanzoso, e cosa c’è di più bello di farsi trasportare dalla storia, dai sentimenti e dalle passioni?
Quanto all’amore, altro che scuotere la testa, è un tema talmente sconfinato che… potremmo fare un blog dedicato, sarebbe interessante: di sicuro ne leggeremmo delle belle!

Barbara Businaro

Mag 12, 2020 at 6:12 PM Reply

Mi piace questa definizione: i classici vanno letti classicamente. 🙂
Io ho letto Via dalla pazza folla in ebook per “urgenza”, ma ora sto tenendo d’occhio un cartaceo con la copertina tratta dal film, per ora non disponibile all’acquisto. E nel frattempo attendo una versione cartacea di Tess dei d’Urberville, nonostante abbia già qui l’ebook, per dire.
E sull’amore, è un tema così infinito che se ne scrive da sempre, da quando l’uomo ha memoria e ancora non abbiamo finito di dire tutto. 😉

Grazia Gironella

Mag 13, 2020 at 10:27 PM Reply

Ho letto il post a volo d’uccello (cieco) per non spoilerarmi qualcosa che voglio leggere e vedere. Quindi prendo l’occasione del commento per fare off-topic: ho finito di leggere La forma dell’acqua. Devo dire che il primo terzo del libro, così a occhio, non mi aveva presa tanto. Dopo però sono riuscita a calarmici e mi è piaciuto molto, con relativo consumo di fazzolettini. Grazie del consiglio di lettura, quindi! 🙂

Barbara Businaro

Mag 13, 2020 at 11:51 PM Reply

Hai fatto bene a scorrere questo post con le mani sugli occhi, potrai tornare a scrivere le tue impressioni dopo lettura e visione. 😉
Su La forma dell’acqua ho avuto proprio la stessa impressione all’inizio, di aver sbagliato libro! Solo alla fine mi sono resa conto che la prima parte serve a rendere il profilo psicologico del colonnello Strickland, e la sua follia finale, come pure i legami forti tra Elisa, Zelda e Giles. Mi è piaciuto anche il gioco che ha fatto incontrare Giles con la signora Strickland. A distanza di qualche settimana dalla lettura, sento ancora che il tutto di quel libro è magnifico.

Daniele Imperi

Mag 14, 2020 at 5:49 PM Reply

Ho visto il film lo scorso anno e ho messo il romanzo in lista, perché m’era piaciuto il film. Se il romanzo è meno romantico del film, tanto meglio.

Barbara Businaro

Mag 14, 2020 at 10:05 PM Reply

Vai tranquillo Daniele, lo puoi leggere anche tu. Ci sono solo due baci, ma appena accennati, quasi per sbaglio! 😉
In compenso ci sono di quelle chiacchierate alcoliche alla fabbrica di malto di Warren che è impossibile non sorriderne! 😀

Rebecca Eriksson

Mag 24, 2020 at 6:34 PM Reply

Va bene, lo ammetto: non conoscevo Hardy, ma posso giustificarmi dicendo che non ho grande passione per gli intrighi amorosi. Da bambina avevo una grande fissa con l’epoca Vittoriana, magari ho visto qualcosa senza che ora me lo ricorda.
Mi è piaciuta molto la tua analisi, sempre brava.

Barbara Businaro

Mag 25, 2020 at 7:43 PM Reply

Grazie Rebecca. 🙂
Ma magari questo di Hardy ti piace, perché non è troppo romantico, come libro. Il film sicuramente di più (tutta colpa della musica!)

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