Topi piccoli hanno orecchie lunghe. Un racconto di Natale

Topi piccoli hanno orecchie lunghe

Io detesto il Natale. Davvero, non lo sopporto. Non per l’atmosfera, le luci per le strade e gli addobbi nelle case in una stagione che è fin troppo buia, ma per come le persone lo rovinano con la loro ipocrisia. I regali, per esempio, perché farli solo a Natale? Gli auguri detti solo per convenienza, quel “tante belle cose” che nasconde più una minaccia di una gioiosa speranza. I pranzi in famiglia, fingendo di essere tutti più buoni e amichevoli, mentre è una tregua veloce ad antiche ostilità. O le promesse, “dovremo vederci più spesso”, quando sanno benissimo che continueranno a ignorarsi per un’altra annata. Per non parlare di quel terribile inganno dei grandi verso noi piccoli, quel fantoccio di Babbo Natale! Sul serio, chi può credere all’esistenza di un uomo il cui unico lavoro è ricoprire di regali la gente, solo un giorno all’anno, senza nulla in cambio? Nessuno si preoccupa della sua economia? Nessuno si chiede come sia possibile, come possa mantenersi, dove stia tutto il resto del tempo, perché ogni centro commerciale abbia un suo Babbo Natale disponibile alle foto e ai consigli per gli acquisti, nel negozio proprio alle sue spalle?
Finzione, illusione, menzogna.
Mi chiamo Chiara e io proprio lo detesto il Natale. Ma sono una bambina di dieci anni, beh nove e mezzo per essere precisi, e tutti si aspettano che io scoppi di felicità, perché il Natale è la festa dei bambini. Davvero? E chi lo ha deciso?! Io non ero sicuramente presente per poter dire la mia. Avrei disegnato le festività in maniera completamente differente, senza prenderci in giro.
Quest’anno però il Natale si prospetta ancora più difficile per me, in questa casa. Nonna Enrica è stata portata in ospedale d’urgenza dopo un malore. Ho sentito mamma sussurrare al telefono, tra le lacrime, che si tratta di un infarto. Poi ha iniziato a parlottare fitto fitto con papà, sul da farsi con il nonno Eugenio, nascosti in un angolo della cucina, cercando di non farsi ascoltare dalla sottoscritta e interrompendosi a ogni mio passaggio verso il frigorifero e il microonde, visto che avevo terminato i compiti e mi stavo preparando la merenda.
Quando sono nei paraggi ma talmente silenziosa da non essere notata, l’uno sussurra all’altra “topi piccoli hanno orecchie lunghe” con un cenno della testa nella mia direzione, bloccando ogni discorso. Come se io non fossi presente e non avessi comunque già compreso per filo e per segno argomento, tesi, antitesi, implicazioni e possibili soluzioni. Gli adulti dimenticano facilmente di essere stati a loro volta bambini. Forse è per questo che l’idea del Natale non funziona più.

Alla fine i miei genitori hanno concluso che nonno Eugenio verrà a casa nostra, dormirà nella camera degli ospiti, di solito utilizzata da zia Annalisa quando viene a trovarci dall’estero con il fidanzato di turno. Credo di averne conosciuti già sette di suoi pretendenti, anche se il settimo non mi sembrava mostrare particolare interesse alla loro amicizia. A malapena ricambiava gli abbracci di zia Annalisa, la quale invece gli stava sempre incollata addosso, più di quanto facevo io col mio orsetto Teddy quand’ero piccola. Non so ancora cosa succeda a noi femmine quando cresciamo e ho davvero paura di scoprirlo, temo con ansia quel momento. Quando io non sarò più io, quando tutti i giocattoli mi faranno schifo e quando la mia felicità dipenderà da un maschio. Dev’essere qualcosa che si rompe nel cervello, forse cresciamo troppo di colpo, povere noi.
Comunque, mamma ha subito chiamato il negozio di abbigliamento dove lavora, spiegando la situazione e la sua assenza nei prossimi giorni, concordando con la sua socia Elisabetta di contattare l’agenzia interinale per farsi mandare un rimpiazzo d’urgenza. Papà invece ha suonato il campanello alla signora Floriana dell’appartamento a fianco, chiedendo se può “darmi un’occhiata” per il pomeriggio, mentre mamma raggiungerà nonna Enrica in ospedale e papà passerà a recuperare nonno Eugenio, affidato alle cure di una vicina di casa, la stessa che li ha avvisati dell’accaduto.
Le mie vacanze natalizie non si prospettano affatto tranquille. Il piano originale era che la mattina rimanevo a casa con papà, lui alla sua scrivania con il portatile e io sui miei compiti di scuola, e il pomeriggio con la mamma, rientrata dalla sua boutique, mentre papà si recava al suo studio in centro per incontrare i clienti. Adesso invece tutto si complica e loro due non hanno ancora deciso se fidarsi a lasciarmi da sola con il nonno, perché è un po’ particolare. Qualcuno dice svitato, qualcun altro demente, secondo mia madre solo malato, secondo mio padre un bel furbo. E io sono ancora troppo piccola, secondo loro, per sapermela cavare da sola. Dimenticano che la signora Floriana è più anziana di nonno Eugenio ed è pure parecchio sorda, al loro posto non la considererei una compagnia attendibile per chicchessia.
Nemmeno zia Annalisa può venire a trovarci per le feste quest’anno, pare ci sia in ballo un progetto milionario nella sede di Londra. Probabilmente troverei anch’io una scusa per restare nella città più bella d’Europa addobbata di mille luci, tra brindisi e party senza fine, invece di occuparmi di un vecchio strano e di una bambina problematica. Ci sarebbe anche Matisse per la verità, il nostro gatto persiano snob. Pelo lungo di color grigio lunare, gelidi occhi azzurri, il muso che osserva il mondo dall’alto, annusandone l’odore con apparente disgusto. E’ già tanto che ci degni della sua presenza e sopporti le nostre coccole. Beh, io cerco di lasciarlo in pace, ed è un patto reciproco il nostro. Mentre tutti i gatti del mondo si stanno divertendo a rompere qualsiasi parte raggiungibile dell’albero di Natale, Matisse sta beatamente dormendo nell’amaca morbida, dall’alto del suo trono, un complesso tiragraffi alto due metri. Chissà come reagirà alla novità in arrivo.

Sono figlia unica. Mia madre non fa che ripetere a chiunque quanto sia stato stressante avere me, dubito perciò che voglia ritentare l’esperimento, nonostante mio padre invece ogni tanto vi faccia cenno. Non gli dispiacerebbe avere un maschietto con cui poter giocare a pallone, con le costruzioni meccaniche o con le macchinine radiocomandate. Io vorrei tanto un trenino, uno di quelli da far correre su una bella rotaia lunga, con gli scambi da azionare, il passaggio a livello, le stazioni per le fermate e pure un bel tunnel dentro la montagna. Un mio compagno di classe ha portato in aula le fotografie del suo, un enorme plastico costruito su una grande tavola con le ruote, che sposta sotto il letto quando non ci gioca. Una volta l’ho anche detto ai miei genitori, affranta per l’ennesima stupida bambola, ma hanno pensato che scherzassi. Perché diamine regalarmi quegli stupidi libri di sviluppo personale per giovani femmine anticonformiste, se poi non posso avere un semplice trenino?! Non mi interessa pettinare lunghe chiome o cambiare vestitini. Voglio viaggiare e voglio vedere il mondo un giorno proprio dal finestrino di un treno.
Quando papà torna a casa la signora Floriana si è appisolata sul nostro divano, siamo costretti a svegliarla perché non sente nemmeno il trambusto delle rotelle della valigia del nonno sul pavimento. Nonno Eugenio è entrato dalla porta d’ingresso per primo, è rimasto impalato per qualche secondo davanti allo specchio alla parete e poi, senza nemmeno togliersi sciarpa e cappotto, si è spostato di fronte all’albero di Natale, a fissare le luci intermittenti. Quando lo saluto, con la voce un po’ forte come se avesse lo stesso udito della signora Floriana, non mi risponde, nemmeno si gira verso di me, forse non mi riconosce neppure.
Dopo aver portato la valigia in camera da letto, papà torna in salotto e con molta cura gli toglie gli indumenti pesanti, appendendoli all’attaccapanni. Poi lo fa accomodare sul divano, accendendogli la televisione su quello che sappiamo essere il suo programma preferito, un documentario sulla natura. Nonno Eugenio non mostra comunque alcuna reazione, come fosse in trance ipnotica o del tutto assente.
Non so molto di lui, il nonno l’ho conosciuto già così taciturno e strambo, pare che solo nonna Enrica riesca a farlo parlare e quando sono soltanto tra loro due. Ci siamo sempre studiati a distanza finora, con l’intercessione di nonna tra noi. Non so proprio cosa aspettarmi adesso.
Torno ai miei compiti, seduta al lungo tavolo da pranzo laccato. Dopo un paio di esercizi di geometria, mi distraggo un attimo e trovo nonno Eugenio che mi sta fissando divertito. Rimango sorpresa dal suo sorriso ampio e lui mi fa l’occhiolino in risposta, prima di tornare a guardare la televisione, di nuovo con un’espressione assente. E’ stato talmente veloce che mi chiedo se ho sognato.

Per le vacanze di Natale mia madre va sempre in crisi perché Carmelina, la signora che viene due volte la settimana per le pulizie e qualche pomeriggio extra per farmi da baby sitter, si reca in visita dalla figlia a Roma per quindici giorni almeno. Ci abbandona in balia degli eventi, come dice mamma presa dallo sconforto. Quest’anno poi sarà una vera tragedia, con nonna Enrica ricoverata e tutto il resto qui a casa.
Tornata dall’ospedale dove le notizie sono abbastanza buone, mamma decide di fare un po’ di ordine nel nostro appartamento. Prima la sento rovistare nello sgabuzzino, imprecando a bassa voce contro qualcosa che non trova. Poi comincia a raccogliere i panni sporchi dalle camere e organizzare i vari cicli della lavatrice. Ammonticchia sulla poltrona quello che più tardi dovrà stirare, e mi chiedo come dato che non l’ho mai vista afferrare il ferro da stiro. In tutto questo trambusto, nonno Eugenio sembra assorbire l’irrequietezza della figlia, continua a spostarsi in ogni angolo del salotto, rimanendo comunque in piedi assorto nel suo nulla apparente.
A un certo punto lo osservo raggiungere spedito la cucina e spostare la scopa che mia madre ha lasciato appoggiata allo stipite della porta, di sbieco, per ricordarsi di pulire il terrazzo verso la strada principale. Mia madre passa di lì, nota la scopa cambiata di posto e la rimette dov’era prima. Nonno Eugenio nuovamente la afferra e la muove altrove con un sorriso. Dopo pochi minuti, mia madre stizzita di trovarsela ancora rimossa, la rimette al vecchio posto, sbuffando. Nonno Eugenio pare rinunciare e va finalmente a sedersi sulla poltrona, più rilassato.
Nemmeno mezz’ora dopo, il telefonino di mamma suona con una certa urgenza, lei corre per rispondere subito, perché potrebbe anche essere l’ospedale con qualche improvvisa cattiva notizia. Non si ricorda della scopa lì dove l’ha messa lei e vi inciampa, cadendo scompostamente a terra. Il telefonino smette di squillare, mentre mia madre inveisce senza freni contro ogni cosa. Si rialza massaggiandosi le ginocchia, raggiunge il telefonino e legge sul display il solito numero straniero di qualche vendita truffaldina. Fuori di sé dalla rabbia, lancia il telefonino sul tavolo con troppa foga. L’apparecchio rimbalza sulla cover in silicone e si tuffa nel vuoto oltre la sedia accostata. Mi aspetto il rumore dello schianto e invece giunge un plof attutito. Il telefonino è atterrato sul cuscino che il nonno, in uno dei suoi giri per casa, aveva poggiato a terra. Proprio in quel punto.
Osservo incredula la scena, poi un guizzo mi attraversa la mente e mi volto verso nonno Eugenio, adagiato in poltrona apparentemente tranquillo. In quell’istante mi strizza l’occhio destro con allegra complicità.

Il mattino seguente sembra annunciare una giornata più serena, anche mia madre è tranquilla, convinta che nonna Enrica stia oramai meglio e possa tornare a casa entro Natale. Pranziamo tutti insieme al piccolo tavolo della cucina e poi papà si avvia verso l’ufficio, per gli auguri ai propri clienti. E per recuperare il mio regalo di Babbo Natale, lo so, li ho sentiti parlottare in merito giusto ieri sera, deve passare in libreria sotto il suo studio e poi al negozio di giocattoli del centro commerciale tornando verso casa. Per non mandarli in confusione, mi sono adeguata alle richieste delle mia compagne di classe, anche se i miei desideri sono ben altri.
Dopo che papà se n’è andato e mamma sta rassettando la cucina, il suo cellulare suona la musica che lei ha inserito per il numero dell’ospedale, così da riconoscere subito la provenienza della chiamata. Risponde tranquilla ma poi la vedo agitarsi oltremisura, rispondendo con vari “Arrivo subito!” Mentre raccoglie le sue cose nella borsa, mi dice che nonna Enrica ha avuto un malore, niente di grave, ma preferirebbero avere un parente che tranquillizzi la paziente, mentre terminano gli accertamenti.
Poi si ferma un attimo con il suo giaccone a mezz’aria. E’ costretta a lasciarmi da sola con il nonno, è atterrita all’idea, glielo leggo negli occhi, ma non ci sono altre possibilità. Con la sua vocina acuta e isterica, in balia del panico, mi elenca tutte le raccomandazioni possibili, sconclusionate, e in parte assurde. In questo momento mi sento più adulta di lei e cerco di infonderle coraggio.
“Mamma, non preoccuparti, staremo bene. Ci sono i numeri di emergenza nella rubrica del fisso e papà mi ha lasciato il suo telefonino di scorta, è in carica, e posso mandarvi messaggi in qualsiasi momento. La signora Floriana non c’è, ma al piano di sotto ci sono comunque i Corbin, sono certa che mi apriranno la porta, dovessi avere bisogno di qualcosa. Nonno ha già preso le sue pillole e, beh, è tranquillo come sempre. Al massimo passeggerà per il corridoio. Matisse ha la sua ciotola piena, io ho i miei compiti. Davvero, è tutto ok. Corri da nonna Enrica.”
Trattenendo le lacrime dalla commozione, mi abbraccia forte e mi stampa un bacio sulla fronte, prima di uscire trafelata per le scale. Torno sui miei passi verso il salotto, dove incrocio il sorriso sghembo di nonno Eugenio, rilassato sul divano in compagnia di Matisse che si lascia pure coccolare, senza alcun ritegno. Credo sarà un pomeriggio interessante.

Sono in cucina per preparare un tè caldo e biscotti per noi, quando con la cosa dell’occhio scorgo nonno Eugenio piazzarsi davanti al portoncino d’ingresso, immobile. Non si sta rimirando nello specchio lì a fianco, no, sta proprio fissando il legno scuro della porta, come se fosse in attesa di qualcuno per poter uscire. Si aspetta forse che lo porti a camminare per il quartiere? Fuori c’è un’aria gelida, non gli farebbe bene per niente.
Provo a chiamarlo: “Nonno, ti serve qualcosa?” Nessuna risposta. Poggio la teiera calda, esco dalla cucina e vado verso di lui. E’ in quel momento che trilla il nostro campanello, quello del pianerottolo, e sento frusciare sulla soglia. Nonno Eugenio resta ancora fermo lì davanti, senza muovere un muscolo.
Vorrei guardare dallo spioncino ma non ci arrivo. Non ho pensato a portarmi lo sgabello per alzarmi un po’. Allora chiedo con convinzione: “Chi è?”
“Buongiorno, siamo qui per un’offerta irripetibile per la pulizia della vostra dimora. C’è la tua mamma in casa?”
Accidenti, e questi come sono entrati in condominio? Me li devo togliere di torno, in questo periodo di feste ci sono troppi furbetti in giro che cercano di intrufolarsi per rubare con ogni scusa plausibile. Apro bocca per replicare, ma una voce bassa e tonante dietro di me è più veloce.
“Grazie, ma non ci serve niente. Andate pure via.” Un tono così possente che non lascia margine di trattativa.
Mi giro verso nonno Eugenio scioccata. La sua espressione severa somiglia a quella di un generale d’armata. I pugni stretti lungo i fianchi pronti a colpire duro.
Dall’altra parte si sente uno scalpiccio veloce giù per le scale e poi il portone dabbasso che si chiude con un tonfo.
Chiudo gli occhi e sospiro. Quando li riapro, nonno Eugenio è di nuovo seduto sul divano, immerso nel reportage africano appena cominciato in televisione. L’aria di nuovo assente. Ma chi diavolo è quest’uomo? Come sapeva che stavano per arrivare?

Dal ritorno dalla cucina dove ho preso le nostre tazze di tè e delle brioches calde, l’agitazione mi ha messo pure fame, trovo nonno Eugenio in piedi vicino alla sedia dov’ero seduta poco prima, di fronte al mio quaderno dei disegni, una sorta di diario colorato, senza parole ma solo pensieri per immagini. Avevo appena terminato di scarabocchiare una locomotiva sbuffante nella neve. Arrossisco dalla vergogna per essere stata scoperta e in velocità chiudo il quaderno, fingendo indifferenza. Nonno Eugenio rimane nel suo silenzio, ma mi sorride per un attimo, le mani giunte dietro la schiena. Poi camminando lentamente torna al divano, come se nulla fosse.
Vorrei davvero sapere che cosa gli passa per la mente, che cosa pensa, se ha capito il mio disegno, se gli importa qualcosa di noi, di me.
Nell’ora seguente è talmente silenzioso che mi sembra di essere rimasta da sola, non fosse per Matisse che a tratti ronfa più forte del consueto. Prima che lo stimolo diventi doloroso, decido di concedermi la toilette, non succerà nulla se mi assento qualche minuto. Quando ne esco risollevata nello spirito, passando accanto alla mia cameretta, di sfuggita noto nonno Eugenio in piedi al centro della stanza. Non del tutto inerte, ma concentrato a scrutare le pareti, solo spostando la testa in qua e in là, quasi seguendo una melodia nella sua testa. Era meglio se usavo le bustine del deteinato per il nostro tè? Magari la teina influisce con i suoi farmaci?
Mi avvicino cautamente e lo prendo per mano, cercando di riportarlo in salotto. Si muove piano e si gira verso la porta, ma poi con l’altro braccio prende qualcosa dalla mensola sopra il mio letto e me lo porge, con uno sguardo interrogativo. Abbasso gli occhi sulla sua mano: è l’unico trenino che posseggo, un modellino molto piccolo che sono riuscita a vincere in una di quelle palline a due euro, estratte casualmente dai grossi distributori di giochi fuori dal supermercato.
L’ha visto eccome il mio disegno, senza dubbio, e in qualche modo vuole farmelo capire. Rimette al suo posto il modellino e poi mi stringe forte con l’altra mano, mentre trattengo una lacrima. In questa casa nessuno si è mai chiesto perché ci sia quel trenino, vicino al mio cuscino, vicino ai miei sogni. Lui l’ha compreso in un giorno, mi ha quasi letto nel pensiero… Penso che nonno Eugenio non sia affatto demente o pazzo o malato. Penso invece nasconda qualcosa, qualcosa di così potente da passare inosservato agli occhi di tutti gli altri. Ma non so che cosa sia. Forse sono troppo piccola per capirlo. O forse sono già troppo grande.

E’ la mattina di Natale e nonna Enrica è tornata a casa, finalmente sta meglio. Dovrà stare più attenta, non stancarsi troppo, controllare la pressione, limitare il cibo a tavola e ricordarsi sempre le sue pillole, all’orario giusto. Lo scompenso era dovuto a un dosaggio sbagliato, hanno dichiarato i medici. Per questo, le abbiamo regalato una scatolina colorata, dove dividere le pastiglie per giorni e fasce orarie, con tanto di timer e avviso acustico. Nonostante abbia l’aria stanca, nonna sorride di più e mi guarda in maniera differente, con una strana luce negli occhi. Mi ha tenuto stretta la mano per quasi mezz’ora, accarezzandone il dorso delicatamente. L’ho lasciata fare, mi piaceva quel contatto. Dall’altra parte del divano invece c’era nonno Eugenio, che le sussurrava qualche parola nell’orecchio ma non sono riuscita a sentire niente.
Mamma e papà si affaccendano in cucina per preparare il pranzo, in parte ordinato ad una gastronomia della zona, e sistemare la tavola a festa, tutta colorata di rosso e oro, con al centro delle candele decorate con rametti di pino profumati. In onore di nonna Enrica, ho indossato il mio vestito più bello, con tante balze sulla gonna larga, ma solo per lei. Le scarpe basse di vernice sono un po’ strette, mi fanno male i piedi però non dico niente per non rovinare il clima di serenità.
Dopo gli antipasti al salmone affumicato e le briochine al formaggio fuso, mangiamo i tortellini in brodo perché sono i preferiti di papà, ma credo anche del nonno perché se li gusta ad ogni cucchiaiata. Aiuto la mamma a portare anche i secondi e i contorni, ci sono parecchi piatti per accontentare un po’ tutti, comprese le patatine al forno per me. Alla fine comincia quella assurdità di scartare i regali e già temo cosa troverò nei miei pacchetti, mi preparo col mio sorriso finto migliore. La mattina di Natale non corro a verificare cosa è stato messo sotto l’albero, come fanno i miei compagni di classe, non riesco ad avere il loro entusiasmo perché so che non ci saranno sorprese. Quindi attendo con gli adulti che abbiamo terminato di pranzare e recuperiamo tutti insieme i regali, al momento del dolce.
Mi avvicino all’albero e inizio a distribuire le scatole e i sacchetti colorati.
Però questo ieri sera non c’era. Dietro il vaso dell’albero, vicino alla parete, trovo un pacchetto bello robusto, con un fiocco rosso enorme e un cartoncino stampato con sopra il mio nome. Uhm, nemmeno questa mattina a colazione l’avevo notato, da dove arriva? Anche i miei genitori si scrutano incuriositi l’un l’altro. Cercando di non farsi vedere da me, mamma mima un no con la bocca e papà scuote appena la testa. Non è un’idea loro quindi. Rigiro la scatola tra le mani in cerca di indizi, qualcosa di metallico si muove all’interno.
“Beh, cosa aspetti? Aprilo!” Nonna Enrica è vicino a me, pronta ad aiutarmi. Lo scartiamo insieme e appena scorgo i pezzi scomposti di una rotaia sotto la plastica trasparente della confezione, lancio un urlo incontenibile. “Non ci credo!” Inizio a saltare sulle punte, senza manco rendermene conto. E alla fine eccolo, un trenino. Ma che dico trenino, questo è un treno bello grande, con almeno sei vagoni, una stazione, un passaggio a livello e delle auto in attesa, non so quanti scambi, ci sono diverse immagini possibili del percorso sulla scatola, ci sono anche un ponte e una piccola collina con un tunnel. E’ stupendo e non smetto di saltellare contenta. Solo per un attimo incrocio lo sguardo soddisfatto di nonno Eugenio e mi chiedo se per caso… Non può essere, non è mai uscito di casa. Non ha mai telefonato. Nessuno è venuto a trovarlo da noi. Come è possibile che… Nonno Eugenio mi fa l’occhiolino, mentre gli altri sono distratti con i loro regali. Gli salto sulle ginocchia e lo abbraccio.
Vorrei che ogni giorno fosse Natale. O che Natale fosse ogni giorno, a parte il panettone con l’uvetta. Sono un po’ tradizionalista. Vorrei anche che ogni giorno fosse un regalo. Perché, a pensarci bene, è proprio così.

 

(C) 2021 Barbara Businaro

 

Note:
Ho iniziato a scrivere l’incipit di getto, ai primi di dicembre, quando le prime luci natalizie per le strade hanno tirato fuori di prepotenza il Grinch che è in me. Ero arrabbiata con il Natale, con quella festa speciale che oramai è solo un ricordo, perché con l’età adulta si sentono più le assenze che le presenze, e certi auguri li puoi inviare verso il cielo, sperando che lassù siano in ascolto. Senza contare le bugie incassate e i castelli di carta dissolti nel vento della verità. Probabilmente è proprio per questo che il Natale è dei bambini, per loro è ancora tutto di candida gioia, come la neve appena caduta.
Dopo aver scritto il primo paragrafo, alla rilettura, mi è tornata alla mente la bambina del romanzo “L’eleganza del riccio” di Muriel Barbery, la meravigliosa Paloma, figlia di un ministro francese, dodicenne geniale, brillante e così lucida da progettare il suo suicidio per il tredicesimo compleanno, fingendo intanto di essere una ragazzina banale e silenziosa, introversa. Penso che avrebbe detestato il Natale allo stesso modo, con la sua arguzia.
Poi mi sono ritrovata davanti questo vecchietto, nonno Eugenio. All’inizio non avevo in programma di scrivere un racconto così lungo, più di 22 mila battute, ma limitarmi a quattro, massimo cinque scene. Ma nonno Eugenio ha cominciato a muoversi da solo, in giro per la storia. Chiara (che doveva chiamarsi Alice ma per tre volte mi ha ribadito di essere Chiara, nomen omen) ha fatto altrettanto e così ho scoperto questa sua passione per i trenini.
E tutto questo è partito da una frase, il titolo, che era appuntato da molto tempo nel mio quadernetto delle idee, senza però ancora avere un’idea associata. “Topi piccoli hanno orecchie lunghe” è una delle battute del film “Tutte le cose che non sai di lui” (pessima traduzione di “Catch & Release”, un tipo di pesca per cui il pesce catturato, catch, viene subito rilasciato, release appunto, sport che uno dei temi della storia). Con Jennifer Garner e Timothy Olyphant, questa è uno dei miei – tanti – film preferiti. L’hanno passato in televisione anche l’altra sera e mi ci sono incollata di nuovo.
E la musica? Eh beh, quest’anno sono entrata di prepotenza a Hogwarts, leggendo il primo romanzo “Harry Potter e la pietra filosofale” (finora avevo apprezzato solo le versioni cinematografiche), e dato che tra pochi giorni ci sarà addirittura la tanto attesa reunion ventennale del cast di Harry Potter (si, si, avete capito bene: il primo film della saga è uscito al cinema nel dicembre del 2001!! Seguite l’hashtag #20YearsOfMovieMagic nei vari social per scoprire tutti i festeggiamenti programmati) ecco la mia colonna sonora di Natale: un’ora con tutta la musica natalizia di Hogwarts. Senza interruzioni. In alto le bacchette! C’è bisogno di luce e magia quaggiù!

 

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Comments (13)

Giulia Mancini

Dic 25, 2021 at 9:06 AM Reply

Un bel racconto natalizio, non ci sveli come nonno Eugenio sia riuscito a comprare il trenino, ma forse è lui babbo natale oppure ha delle conoscenze nel campo dei giocattoli. A volte per apprezzare il Natale basta soltanto che qualcuno ascolti i nostri desideri più veri.

Barbara Businaro

Dic 27, 2021 at 8:09 PM Reply

Eh, i racconti mica devono svelare tutto, un po’ di mistero non guasta, soprattutto a Natale! 😉

Sandra

Dic 25, 2021 at 11:59 AM Reply

Bellissimo, e gli omini del Folletto implacabili! Mi è piaciuto tanto, mi è piaciuto gustarmelo mentre aspetto che arrivi mia suocera per questo Natale che è ancora strano ma che assolve il suo compito di farci voler bene e apprezzare chi ci sta accanto.
W Nonno Eugenio!

Barbara Businaro

Dic 27, 2021 at 8:20 PM Reply

E chi ha detto che sono della Folletto? Magari sono quelli del Kirby, dove lavorava Michela Murgia nel romanzo Il mondo deve sapere (che ho letto e poi regalato alle casette di bookcrossing nel parco vicino a casa. 😉
Sono contenta ti sia piaciuto nonno Eugenio. E’ uscito da solo dalla penna, e di solito sono i personaggi meglio riusciti.

Stefano Franzato

Dic 25, 2021 at 12:36 PM Reply

Piacevolissimo e quasi magistrale. So per esperienza che difficilmente una bambina di 9 anni e mezzo (vale a dire 4^ elementare) sa cosa sia una tesi, un’antitesi e cosa sia un’implicazione. Difficilmente, inoltre, (ma forse potrebbe averglielo spiegato la madre) sa cosa sia un’agenzia interinale. Pur risultando sveglia, ha un linguaggio di un’adolescente a cui piace leggere e sa (perciò e conseguentemente) usare la lingua (anche questa, cosa notevole e, direi, sorprendente per le/gli adolescenti dei giorni nostri). Bello il mistero di nonno Eugenio, personaggio che si definisce e comprende più dal suo comportamento che da come lo definiscono gli altri. E, infine, il tuo inguaribile ottimismo: si parte da un deciso “Io detesto il Natale” a “Vorrei che ogni giorno fosse Natale”, bella trasformazione del personaggio. Non sarà mica che la Chiara, da grande, come maschio, si sceglierà un capotreno? Staremo a vedere. Auguri (nell’attesa)!

Barbara Businaro

Dic 27, 2021 at 10:22 PM Reply

Nel sopracitato romanzo L’eleganza del riccio di Muriel Barbery, Paloma ha dodici anni eppure cita teorie filosofiche, studia giapponese, scrive poesie hokku, legge Basho, apprezza l’arte di Vermeer, conosce il gioco del go a perfezione e cita Jakobson contro la sua professoressa di francese che osa ridurre l’utilità della grammatica. Quindi, se una dodicenne come Paloma può avere una cultura universitaria perché la quasi decenne Chiara non può conoscere il significato di tesi, antitesi e implicazione? Perché Muriel Barbery può e Barbara Businaro non può?! 😉
Quel “Io detesto il Natale” è perché nessuno aveva saputo ascoltare o vedere ciò che Chiara nascondeva. Quel “Vorrei che ogni giorno fosse Natale” si riferisce a quest’ultimo Natale, quando finalmente Chiara ha ritrovato un po’ di magia. Dovremmo avere tutti un Nonno Eugenio per casa.
Perché Chiara dovrebbe scegliere un capotreno, e non diventare lei stessa un capotreno? Perché diamine regalarmi quegli stupidi libri di sviluppo personale per giovani femmine anticonformiste, se poi non posso avere un semplice trenino?! 😀

Stefano Franzato

Dic 29, 2021 at 12:49 PM Reply

Allora sia Paloma che Chiara sono – rispetto alla maggioranza delle loro coetanee – delle incredibili eccezioni. Lessi anch’io il romanzo della Barbery, più che altro per cercare di capire per qual ragione avesse avuto quel gran successo che, in effetti, ebbe. La storia, è vero, una certa originalià l’aveva ma provai compassione per l’autrice perché, con un successo simile, con ogni probabilità sarebbe stata di sicuro considerata la gallina dalle vuova d’oro dal suo editore che le avrebbe suggerito di scrivere subito un sequel per cavalcare l’onda della notorietà (e seguire il profumo dei soldi). Cosa che lei pure fece ma quel sequel non bissò il successo tanto è vero che neanche me ne ricordo il titolo. Ricordo soltanto vagamente che doveva aver a che fare con la cucina. Ultimamente, è uscito un altro romanzo della Barbery: sarà consuetudine degli editori, ma, evidentemente, per suscitare qualche reminescenza nei possibili acquirenti del libro, su quest’ultimo è stata applicata la fascetta “dell’autrice de “L’eleganza del riccio”. Vero è che è uscito dopo parecchi – forse troppi – anni. Come la Barbery, pur continundo a crivere (Voland glieli traduce sempre), rischia il dimenticatoio anche Amélie Nothomb: chi ne parla più? Mentre, sempre per restare in letteratura di lingua francese, qualcosa mi dice che non ci sarebbe poi tanto da meravigliarsi se un posto fisso nella Repubblica delle Lettere se lo trovasse Annie Arnaux il cui nome è stato fatto anche tra i possibili Nobel di quest’anno (mentre per la Barbery e la Nothomb, ch’io sappia non si son mai fatti). Barbara Businaro può scrivere ciò che vuole. Ai posteri l’ardua sentenza.

Stefano Franzato

Dic 29, 2021 at 4:38 PM Reply

Mi correggo: Annie Ernaux e non Arnaux. Ciao

Barbara Businaro

Gen 02, 2022 at 8:35 PM Reply

Dunque, Muriel Barbery non ha mai scritto il sequel de L’eleganza del riccio, il suo editore (quello francese) non le ha proprio suggerito di farlo. Semmai è l’editore italiano, edizioni e/o, che ha ristampato il primo libro Estasi culinarie (titolo originale Une gourmandise, pubblicato in Francia nel 2000, in Italia nel 2008) con una nuova copertina che cita in bella vista “Nel signorile palazzo di rue de Grenelle, già reso celebre dall’Eleganza del riccio, monsieur Arthens, il più grande critico gastronomico del mondo, il genio della degustazione, è in punto di morte.” L’ambientazione è la stessa, il medesimo palazzo, ma il primo romanzo non aveva sortito effetto quanto il secondo, e gli editori, sempre affamati di soldi in un mercato perennemente in crisi, hanno pensato di ristampare. E come hai detto tu, anche nell’ultimo libro del 2021, Una rosa sola, c’è l’indicazione “Dall’autrice de L’eleganza del riccio”. Tra l’altro avendo scelto come ambientazione il Giappone, sta dividendo i lettori tra odio e amore, tra chi ci vede solo gli stereotipi della cultura orientale e chi invece lo adora per le atmosfere che sembra creare. Sono in dubbio se leggerlo, più che altro perché ho già il tavolino pieno di libri da smaltire. 🙂

Daniela Bino

Dic 27, 2021 at 1:16 PM Reply

Nonno Eugenio è mitico. Siamo sicuri che non sia Babbo Natale?
Lasciami esprimere un desiderio: che ogni bimbo abbia un nonno Eugenio nella sua vita. Il mondo sarebbe migliore.
Grazie, Barbara, per questa chicca natalizia che mi ha portato un po’ di magia in questi giorni da reclusi.

Buon Natale a te e a tutti gli amici di Webnauta! Che il mare sia clemente e prodigo per tutti noi!

Barbara Businaro

Dic 27, 2021 at 10:25 PM Reply

Ah no, non siamo sicuri di niente, e se nonno Eugenio sia o meno Babbo Natale temo rimarrà un segreto. 😉
Bene che questo racconto ti abbia distratto un po’. Finirà anche questa reclusione, arriverà la primavera e torneremo a camminare le maratone. Promesso!

IlVecchio

Dic 27, 2021 at 4:05 PM Reply

Vorrei diventare silenzioso e misterioso come nonno Eugenio, invece con l’età mi aumenta a dismisura la favella e comincio a discorrere pure con gli sconosciuti. : -)
Rinnovo gli Auguri e i complimenti per questo racconto breve ma efficace, un gioiellino.

Barbara Businaro

Dic 27, 2021 at 10:26 PM Reply

Mi preoccuperò solamente quando passerai le giornate a fissare gli scavi cittadini invece di sederti su una panchina a leggere un buon libro! 😀
Grazie ancora!

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