L'occhio nel mirino. Un racconto da principiante

L’occhio nel mirino

Stavo sistemando il disordine che ciclicamente si accumula nello studio, tra scartoffie amministrative, giornali e riviste varie, appunti sparsi, cartelline consultate da riporre e mucchi di attività “farò dopo”, con un “dopo” sempre più indefinito, ed ecco che mi ritrovo tra le mani un vecchio raccoglitore dove un tempo inserivo tutti i miei spunti creativi, dai testi ai disegni alle grafiche. Lo sfoglio così, per controllare cosa ho dimenticato di avervi inserito, e lo sguardo cade sui primi tentativi di scrittura creativa, uno in particolare intitolato “L’occhio nel mirino”.

Questo racconto breve, brevissimo, meno di duemila caratteri, fa parte di una serie composta nel lontanissimo settembre 1997, insieme a Un giorno di ordinaria follia e Un giorno di pioggia che ho riportato anche qui nel blog quando ho deciso di dargli vita.
Li avevo preparati per inviarli ad una selezione indetta da una rivista femminile, di cui non ricordo nemmeno il nome, forse Donna Moderna, o magari Grazia o Marie Claire, ce n’erano tante altre che giravano per casa, scambiate tra amiche, zie, vicine.

Non sapevo nulla di nulla di scrittura, anche se era un periodo molto proficuo per la lettura: erano gli anni dell’università e come pendolare avevo un’ora e mezza abbondante di treno, tra andata e ritorno, in cui era difficile ottenere silenzio e concentrazione per studiare, al massimo ripassare, ma era perfetta per leggere e all’epoca ero innamorata folle dei classici della BUR, dai libretti a 1000 Lire fino ai romanzi a 2000, 2500, 3000 Lire, che divoravo come le patatine.
Leggere, e leggere con semplicità senza analizzare il testo, non è mai sufficiente per scrivere. Il mio professore di Analisi Matematica avrebbe specificato “condizione necessaria ma non sufficiente”.

Questo racconto ne è la prova tangibile.
L’immagine in testa a questo post non è solo un riferimento al titolo e al contenuto, ma è indicativa pure della mia espressione quando ho terminato di rileggerlo, con sommo masochismo. L’occhio spaventato era il medesimo. 😀
Ancora immersa in questo vertice di autolesionismo, ho pure deciso di condividerlo con voi lettori, per tentare insieme una sorta di valutazione sia delle debolezze e delle mancanze di un esordio sia del miglioramento della mia scrittura accumulato in questi anni, direi soprattutto gli ultimi due, così mi sembra.
Ecco dunque il testo originale, errori e orrori compresi…

 

L’occhio nel mirino

Non fui affatto contenta di trasferirmi qui, ma il mio lavoro mi portò in questa nuova città e non potevo ancora permettermi molto: un condominio di venti appartamenti, dove nessuno conosceva più di quattro persone, portiera compresa. Non avevo comunque molto tempo per le amicizie, per cui non ci badavo.
Un giorno, tornando presto con la spesa, notai alla porta accanto un occhio che mi fissava intenso e che scomparve subito dopo, infastidito quanto me. Un vicino curioso e impertinente, pensai. La cosa si ripeteva però ogni volta che entravo e uscivo e non mi andava giù che qualcuno controllasse i miei spostamenti.
Chiesi alla portiera chi ci abitasse. “Ci viveva un signore anziano fino a tre mesi fa, poi è morto e ora ci sono sua figlia con il bambino. Non le daranno fastidio: sono fuori tutto il giorno, lei al lavoro e lui a scuola. Rientrano tardi.”
Io non credo ai fantasmi, ma l’appartamento era vuoto, quando io entravo e uscivo: chi o che cosa era quell’occhio allo spioncino? Forse l’anima dell’anziano signore che vegliava sul nipotino? Oppure qualcuno si intrufolava nell’appartamento di nascosto e per fare cosa? Non riuscii a dormire per molte notti e ogni volta mi muovevo in velocità davanti la porta di casa, senza voltarmi. Un vero incubo: l’occhio era sempre lì, imperterrito. Non avevo il coraggio di affrontarlo da sola. Decisi di parlarne con la vicina di casa.
Una sera attesi che rientrasse, si sentivano le chiavi nella toppa, e andai a presentarmi. Mi accolse ben volentieri, insieme a Marco, il suo bambino di sette anni. Imbarazzata come una liceale, farfugliando, le raccontati dell’occhio nello spioncino. Si mise a ridere e il ragazzino arrossì violentemente. Poi mi spiegò che Massimo era a casa da solo ogni pomeriggio, sapeva badare a sé stesso, ma non potevano farne molta pubblicità, perché l’assistente sociale avrebbe potuto dare noie. La portiera ne era al corrente, naturalmente, e non mi aveva detto nulla apposta. E Marco aveva il brutto vizio di controllare ogni rumore per le scale, anche quando ero io.
Addio fantasmi! Un bambino di sette anni mi aveva tenuta sveglia tutte quelle notti! Ma era meglio così: avevo guadagnato dei nuovi vicini! Ora quando torno a casa trovo Marco che mi aspetta: gli controllo i compiti, prepariamo la cena e mangiamo tutti insieme.

(C) 1997 Barbara Businaro

 

L'occhio nel mirino. Il testo originale

Gli orrori del principiante

Notiamo intanto che in questo racconto ho utilizzato la prima persona, ma non ricordo se fosse richiesto dalla rivista all’epoca, considerato che tutti sono in prima persona e io mi sono invece sempre trovata bene con l’uso della terza persona, del narratore onnisciente. Preferisco posizionarmi dietro la macchina da presa e osservare la scena come il regista, distaccandomi dai personaggi per poter cogliere però le emozioni di ognuno di essi.

Non che sia veramente un problema scegliere di scrivere in prima persona, come ha evidenziato l’amica blogger Marina Guarneri in un suo recente post, gli esordienti scrivono tutti così, a quanto sembra consigliati proprio dalle scuole di scrittura creativa. Il rischio però è di appiattire la narrazione. Potrebbe essere utile tentare di scrivere la stessa storia nei due modi e verificare quale versione risulta migliore.

Altro punto a sfavore qui è la lunghezza risicata del testo. C’era un limite di caratteri imposto dalla rivista, ma vedo che non li ho saputi sfruttare al meglio. Non sento pathos nella lettura, l’ossessione della protagonista non mi entra nella pelle, non ho alcun brivido per quell’occhio nel mirino, non c’è il giusto livello di angoscia, sembra più una preoccupazione passeggera. Questa mancanza di emozione non è dovuta al numero di parole, ma alla loro qualità.
Dovessi riscriverlo oggi, credo lo renderei molto più tormentato, virerei decisamente al thriller, magari con una vena di noir. Forse toglierei il vecchietto e ci metterei una morte violenta, chi lo sa. Certo cambierei il registro stilistico, penso che metà dei termini sarebbero sostituiti senza remore.

Toglierei le domande, di cui il lettore non ha alcun bisogno. Già che ci siamo, manca anche il famoso Show don’t tell, mostrare l’azione, non raccontarla. Non dev’essere la protagonista a spiegare di non riuscire a dormire la notte, ma possiamo mostrarle le occhiaie profonde davanti lo specchio la mattina seguente, o un tic nervoso della pupilla destra che la assilla da qualche giorno. Un occhio la scruta, un occhio la abbandona. Potrebbe diventare un’interessante simmetria.

Poi ci sono i dettagli tecnici che ho ignorato per inesperienza (e perché non avevo nessuno di fidato a cui far leggere questo testo senza essere derisa dall’impresa, diciamolo): come diamine fai a vedere un occhio da uno spioncino?! Quando l’ho scritto vivevo in una villetta singola, c’era il citofono al campanello sulla strada principale e al massimo scrutavi chi aveva suonato attraverso le tende delle finestre, niente spioncini. Non ho mai fatto caso a cosa si vedesse da una parte o dall’altra di uno spioncino. Ora che vivo in un appartamento, sono certa che dall’androne non si vede alcun occhio. Al massimo si può vedere un cambio di luminosità quando ti stanno guardando dall’interno.
Come dire: scrivi solo di quello che sai. Se devi inventare, informati bene.

Ma soprattutto, alla fine… ecchiccavolo è sto Massimo?! 😀 😀 😀

 

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Comments (31)

Giulia Mancini

Mag 22, 2021 at 9:42 AM Reply

Cambiare il nome ai personaggi può capitare, certo in un racconto breve dovrebbe essere più difficile, però il racconto é simpatico e sono proprio i primi racconti a indicare la strada della scrittura, all’inizio si sperimenta poi si migliora.
In uno dei miei romanzi ho chiamato un personaggio secondario con un nome, poi l’ho ripreso diversi capitoli dopo con un altro nome, ovviamente me ne sono accorta alla prima revisione, quando mi sono chiesta: ma questo chi cavolo è? Adesso faccio sempre una lista con i nomi dei personaggi (con una breve descrizione) da tenere a portata di mano mentre scrivo…aiuta.

Barbara Businaro

Mag 24, 2021 at 1:37 PM Reply

Credo che all’epoca l’ho scritto a mano da qualche parte, poi nel ricopiarlo non ho visto l’errore. Credo, perché in realtà ricordo pochissimo della genesi di questo racconto. Magari all’inizio era Massimo, ho deciso per il cambio nome e non ho usato la sostituzione automatica. 😉

Daniela Bino

Mag 22, 2021 at 11:14 AM Reply

Secondo me, Massimo è l’amico immaginario di Marco. Ecco spiegato tutto!
Questa storia mi diverte: mi ricorda, infatti, la signora che abitava nello stesso condominio dove vivevo da bambina. Questa signora spiava tutto e tutti. E, con una scusa, ti attirava in casa sua. Poteva essere la moka da aprire, che “era dura, dura,…” oppure un assaggino del suo famoso “vovos” (in realtà era VOV ma lei storpiava il nome). E te lo serviva in un bicchierino unto unto. Infatti, lei non lavava i piatti ma li sciacquava sotto l’acqua perché “il detersivo costa”. Poi ti faceva vedere la dispensa piena zeppa di pacchetti di zucchero e farina, scatolette di tonno e carne in gelatina perché la guerra può scoppiare da un momento all’altro “ed io sarò pronta!”. L’occhio dietro lo spioncino era sempre in agguato. Secondo me, Massimo-Marco è un personaggio che incuriosisce. Me lo vedo in punta dei piedi su uno sgabello per raggiungere lo spioncino.

Barbara Businaro

Mag 24, 2021 at 1:38 PM Reply

Ti dirò, fa molto più terrore il tuo racconto sul bicchiere unto unto riempito di “vovos”… Oddio!! 😀
Massimo-Marco in piesi su sgabello, o su sedia trascinata lungo un corridoio, un rumore stridente di legno sulle mattonelle, con il salto tra una fuga e l’altra del pavimento. Mentre le protagonista, da fuori, si immagina chissà cosa.

Sandra

Mag 22, 2021 at 12:17 PM Reply

Il gemello di Marco morto, ecco chi è Massimo. Guarda che la basse per una storia horror c’è tutta eh.

Barbara Businaro

Mag 24, 2021 at 1:38 PM Reply

Si, si, la base per un horror c’è perché in fondo già una porta chiusa, nel semibuio dell’androne di un condominio di sconosciuti prepara il lettore a una miriade di possibilità. Cosa si nasconde dietro quella porta?

Darius Tred

Mag 22, 2021 at 4:41 PM Reply

Se ti imbarazza tanto l’aver scambiato nomi, sappi che sei in buona compagnia: anche il buon vecchio Conan Doyle l’ha fatto (e più volte) in uno dei suoi celebri racconti di SH, La valle della paura.

I suoi “Marco e Massimo” erano “Jack e John”: come vedi vi ha traditi la “geometria” del nome (geometria?? Che vaccate che mi fai dire, di sabato pomeriggio… 😀 😀 😀 …). La stessa iniziale e la lunghezza molto simile non aiutano chi legge (e chi scrive) a distinguere bene i nomi dei personaggi mentre si è presi dalla foga di leggere (o di scrivere).

Trovo consigliabile, quando si scrive, adottare nomi ben distinti perché nella lettura spesso il cervello “legge” la parola più come simbolo che come effettiva sequenza di lettere.

Insomma: invece di usare Marco e Massimo, potevi usare Ugo e Agamennone… 🙂

Barbara Businaro

Mag 24, 2021 at 1:38 PM Reply

Oh come lo capisco il buon vecchio Conan Doyle. Con “Jack” e “John” avrei sbagliato ancora più velocemente che con “Marco” e “Massimo”, sicuro! E del resto, ho deciso di scrivere le schede dei personaggi del romanzo-lungo-non-ancora-terminato-e-chissà-quando-lo-sarà proprio perché mi sono accorta di un “Federico” diventato “Filippo” e poi tornato “Federico”.
Ma non sono due personaggi distinti, è il mio neurone che si confonde. 😀 😀 😀

Darius Tred

Mag 26, 2021 at 12:33 AM Reply

Sì, ho ragionato su due personaggi ma in realtà intendevo i due nomi dello stesso personaggio.
Come vedi anche il mio neurone si è ingrippato… 😀

Barbara Businaro

Mag 26, 2021 at 11:29 PM Reply

Neuroni da informatici… 😎

Marina

Mag 23, 2021 at 11:45 AM Reply

Se dovessimo fare una gara di “esordi”, non so chi avrebbe la meglio! Più che esordi veri e propri, sono “prime volte”, “primi esperimenti” e lì tutto è perdonato, pure la prima persona! Credo che chi si accinge a scrivere, parta spesso dalla prima persona, perché, in qualche modo, si è portati a raccontarsi, la prima ispirazione viene più facilmente da esperienze personali. Comunque, le cose che hai rilevato sono giuste: a parte Massimo (che capita anche quando si è più esperti), la cosa che io ti avrei detto è che il racconto non suscita reazione alcuna nel lettore: stupore, curiosità. È più un resoconto, manca la “narratività”, non so se si può dire così. Ma in nuce c’è la volontà di costruire una storia: ripreso, con le giuste dritte acquisite negli anni, potrebbe essere un bel racconto. E lascerei la prima persona, perché quanno ce vò ce vò!

Barbara Businaro

Mag 24, 2021 at 1:39 PM Reply

Dovessi riscriverlo adesso, partirei con la terza persona, non lo so, mi viene più naturale proprio.
O non sarà che scrivendo in prima, se mi viene scritto bene, con la giusta dose di tensione, inquietudine, mistero… rischio di farmi paura da sola poi?! 😀 😀 😀

Stefano

Mag 23, 2021 at 12:04 PM Reply

È uno dei tuoi primi racconti? Sei molto migliorata. Dopo. Ti sarai letta “Il cuore rivelatore” di E.A. Poe (https://www.youtube.com/watch?v=ngbGz3g_Wm4)?

Barbara Businaro

Mag 24, 2021 at 1:39 PM Reply

Si, è uno dei miei primissimi esperimenti. No, non mi pare di aver letto ancora nulla di Edgar Allan Poe, ma del resto l’occhio è da sempre un elemento simbolico, quale specchio dell’anima, quale divinità protettiva, quale potere dominante sopra tutti, quale coscienza che vede e giudica. 😉

Stefano Franzato

Mag 26, 2021 at 8:52 AM Reply

Leggitelo, leggitelo il racconto di Poe. Anche lì parte tutto da un occhio…

Elena

Mag 23, 2021 at 2:49 PM Reply

Credevo fosse un horror, con quella foto che hai messo in copertina! Il racconto è carino mi sarebbe piaciuto saperne di più del fantasma bambino.

Barbara Businaro

Mag 24, 2021 at 1:39 PM Reply

Uhm, mi sono persa… quale fantasma bambino? La protagonista pensa al fantasma del nonno, ma il bambino è vivo. 🙂

Brunilde

Mag 23, 2021 at 9:21 PM Reply

Massimo è l’amante della vicina di casa, ricercato dalla polizia per crimini assortiti, che si nasconde e, se scoperto, potrebbe uccidere …
L’occhio della foto è suo: ha la pupilla dilatata, forse è anche un pericoloso psicopatico, oppure si droga.
Insomma: sei pronta per un remake?

Barbara Businaro

Mag 24, 2021 at 1:39 PM Reply

Però, interessante l’amante psicopatico nascosto, ma gli psicopatici migliori (in letteratura) sono quelli che di giorno sono persone normali, non te li aspetteresti mai diventare assassini al calar del sole.
Più che un remake, qua è “butta via tutto e tieni solo lo spioncino”! 😀

Delia

Mag 24, 2021 at 5:37 PM Reply

Ciao Barbara, le prime esperienze di scrittura sono sempre una tragedia XD
Io ho iniziato da bambina e se rileggessi adesso quei quaderni penso che non mi riprenderei più dal trauma. Il mio più grande errore erano i troppi dialoghi, tanto che adesso cerco di scriverne il meno possibile. Per fortuna il tempo, lo studio e soprattutto la pratica mi hanno fatto fare passi da gigante.
La strada è ancora lunga, ma quella già percorsa lo è altrettanto e questo mi conforta molto 🙂

Barbara Businaro

Mag 25, 2021 at 10:41 PM Reply

Benvenuta nel blog Delia. 🙂
Se ricordo bene, ancora prima di questo mio esperimento, io tendevo a scrivere invece senza dialoghi. Buttavo giù sinossi di storie, per così dire, che poi morivano là perché a rileggerle già non mi prendevano più. Qualcuna l’ho conservata, metti mai che un giorno mi torni l’ispirazione, ma quella buona. 🙂

Luz

Mag 24, 2021 at 7:12 PM Reply

Per essere un racconto di 24 anni fa (eri una ragazzina, immagino), direi che è venuto piuttosto bene.
Anch’io ho pensato a come si potesse vedere un occhio attraverso uno spioncino… 😀

Barbara Businaro

Mag 25, 2021 at 10:57 PM Reply

Nel 1997 avevo ripreso a studiare all’università, dopo una “pausa” lavorativa di un anno circa. Ragazzina sì, anche se non più adolescente. 🙂
Eh, dallo spioncino non si può. Si potrebbe però pensare ad un modello di porta con un inserto vetrato, una finestrella in vetro smerigliato a mezza altezza e lì la protagonista potrebbe vedere delle ombre, scorgere solo per un attimo un occhio che sembra fissarla severo…

Paola

Mag 24, 2021 at 8:09 PM Reply

La stoffa della narratrice già c’era e si intravede anche la giallista che è in te. Da persona di piccola taglia quale sono mi è subito saltato al famoso occhio un particolare: ma quanto è alto sto’ bambino??? confesso che mi è capito più di una volta, nel mio cambiare frequentemente appartamento, di dovei alzare sulla punta dei piedi per arrivare allo spioncino. Momento “nanetto”. Secondo anno di università, fuori sede, condominio piuttosto fatiscente. Una notte, saranno state le 2, io ed una coinquilina sentiamo degli strani rumori provenire dal pianerottolo in corrispondenza della nostra porta d’ingresso. Forti della nostra anzianità (le altre ragazze erano matricole), silenziose come gatti andiamo a guardare dallo spioncino ma fuori buio completo, in compenso i rumori erano vicinissimi. Ci scambiamo un’occhiata d’intesa e scalze e in camicia da notte ci precipitiamo in cucina, ci armiamo di matterello una e padellone l’altra e degne di Starsky ed Huch torniamo alla porta. Basta un cenno per capirsi: spalanchiamo di botto la porta e piombiamo “armate” sul pianerottolo e…per poco non facciamo morire d’infarto il vicino ottantenne che cercava di sostituire l’interruttore della luce condominiale posto vicino alla nostra porta d’ingresso, preoccupato che qualcuno si facesse male salendo di notte a piedi al buio.

Barbara Businaro

Mag 25, 2021 at 11:01 PM Reply

L’ottantenne l’avete quasi fatto morire d’infarto, qui quasi mi fate morire dal ridere, sono alle lacrime a immaginare la scena!!! 😀 😀 😀
Il bambino sicuramente usa uno sgabello o una sedia. Noi piccoli siamo abituati a ingegnarci. Io in cucina ho uno sgabello che si apre a scaletta per raggiungere i pensili più in alto. Perché ovviamente qualcuno li ha anche voluti maxi…

Grazia Gironella

Mag 26, 2021 at 8:36 PM Reply

Non è poi così male questo raccontino. Certo ora ci siamo tutti abituati a come scrivi adesso, ma giudicare in base al confronto non vale, anche se l’analisi che fai ha un suo perché. Lo spioncino è stato una vera trappola, però. 😉

Barbara Businaro

Mag 26, 2021 at 11:53 PM Reply

Anch’io mi sono abituata a come scrivo adesso, che quasi sento estraneo questo testo. Soprattutto la scivolata sullo spioncino! 😀

Maria Teresa Steri

Mag 27, 2021 at 9:38 AM Reply

Dai, sei spietata verso te stessa! Non era poi tanto male per essere un racconto d’esordio. Per come la vedo io, scrivere racconti brevi è molto, molto difficile, perché devi condensare la tensione in pochissimo spazio. Nel tuo racconto, la cosa che a me ha lasciato più perplessa è proprio lo spioncino, perché all’inizio non si capisce che l’occhio che ti guarda arriva da lì (a parte l’impossibilità “tecnica” della cosa) e quindi riesce un po’ difficile esserne turbati o immaginarsi la scena. E poi arrivi al colpo di scena in modo troppo soft, senza un vero “colpo”.
Sulla prima persona ci scriverò presto un post. Secondo me non ci stava male, visto il genere di racconto e la sua brevità, puntare sulla prima persona era la cosa migliore.

Barbara Businaro

Mag 28, 2021 at 10:11 PM Reply

Ecco, non me ne ero accorta che in realtà lo spioncino viene nominato solo a riga 9! Per me che l’ho scritto l’informazione è nota a priori, è mancata una lettura approfondita da parte di un esterno. Probabilmente c’era prima, in bozza, e per rispettare il numero di battute è stato tagliato.
A rileggere direi che la storia manca di tensione perché non ho utilizzato la regola del tre (come ho poi imparato qui: E adesso prendimi. Come scrivo le scene di sesso di Outlander di Diana Gabaldon), mi sono concentrata solo sulla vista senza aggiungere qualche altro senso, un dettaglio per l’olfatto (un odore particolare che poteva provenire dall’appartamento), uno per il tatto (i brividi per la schiena che le facevano sentire la presenza dell’occhio anche se dava di spalle) e soprattutto per l’udito (magari uno stridio metallico di qualcosa trascinato all’interno). Chissà, magari più avanti mi metterò come esercizio la riscrittura di questo pezzo. 🙂

Franco Battaglia

Lug 31, 2021 at 10:40 AM Reply

In effetti non fa impazzire il racconto (e qua rischio subito di veder cestinato il commento..), ma l’analisi e i commenti valgono l’impresa di soggiorno sul blog.. io scrivo in prima persona principalmente, probabilmente perché lo ritengo più efficace, e riedito compulsivamente: correggo, riposto, scambio frasi, le riformulo.. un delirio di insicurezza direbbe qualcuno. E probabilmente ha ragione.. ahah

Barbara Businaro

Ago 01, 2021 at 12:16 PM Reply

E come vedi il commento è qui, nessun cestino! 😀
Del resto, io per prima dico che questo racconto è acerbo, ingenuo, insapore. Un po’ come il disegno di un bambino che per il cielo fa solo una striscia di colore azzurro blu e poi lascia un enorme spazio bianco prima della striscia verde che rappresenta il prato. Un po’ per risparmiare i colori, che si esauriscono subito, e un po’ perché colorare tutto il foglio è una bella fatica. Elaborare bene un racconto è altrettanta fatica. 😉
Scrivere editando non è, secondo me, sinonimo di insicurezza (e non lo dico perché spesso lo faccio anch’io). Credo sia piuttosto che nella nostra mente abbiamo per lo più immagini, ma ci rendiamo conto se le parole per trasportare quelle immagini su carta sono giuste solo quando vediamo la frase completa. Scriviamo e leggiamo, e se quello che leggiamo non ci piace, ritocchiamo subito, con l’immagine ancora fresca in mente.

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