Non dimenticarti il mio nome
Spengo la radio ancora prima di svoltare all’ultimo incrocio, sulla strada verso l’ufficio. Non posso sopportare le canzoni sdolcinate che trasmettono in questo periodo. Mancano due settimane a San Valentino e il mio umore è decisamente a terra. No, che dico, è nel sottosuolo e forse è lì che dovrei stare, in una bella confortevole caverna, da sola, tutto il resto del mondo fuori tra cioccolatini e cuoricini. Non ho proprio voglia di festeggiare l’amore, non ci credo più. Non solo perché Giorgio se ne è andato dal nostro appartamento, lasciandomi pure l’affitto da pagare. Ma pure perché sono qui a chiedermi in continuazione quante volte mi abbia mentito in questi due anni, quante trasferte di lavoro lo erano davvero e quante erano invece notti trascorse tra le braccia di altre donne.
“Stronzo!” grido ad alta voce mentre infilo a velocità sostenuta l’ingresso del parcheggio. Giro a destra senza scalare la marcia, proseguo dritta per avvicinarmi al primo dei sette edifici del centro direzionale, mi dimentico dello stop a metà via.
Con la coda dell’occhio vedo qualcosa di ingombrante giungere alla mia sinistra, ci fermiamo entrambi appena in tempo, con uno stridio di freni feroce. La mia piccola utilitaria, acquistata usata a rate, stava per essere accartocciata da un SUV nero gigante, lucidissimo, alto almeno il doppio. Gli ho proprio tagliato la strada, accidenti a me.
Eleonora, stai calma. Non è successo niente.
Alzo la mano in segno di scuse verso il proprietario del SUV. Sono sicura che dietro quegli occhiali scuri ci sia uno sguardo tagliente. L’uomo, capelli rossicci e barba curatissima, annuisce senza sorridere, freddo come il ghiaccio che stamattina luccicava sull’asfalto. Però mi fa cenno di passare comunque davanti al suo veicolo. Mi scuso ancora e proseguo, a capo chino.
Sospiro. Sono incastrata in una vita che non mi appartiene. Stava filando tutto liscio, avevo una carriera ben avviata come assistente del direttore, ci eravamo appena trasferiti in una sede lussuosa in centro, con l’occasione mi ero appena spostata dal mio bilocale in un appartamento più grande insieme a Giorgio, e mi aspettavo una proposta, di quelle serie, con un brillante dentro una scatolina.
E poi il disastro, repentino e inarrestabile. La società ha avuto un crollo in borsa, in seguito ad alcuni articoli sui giornali, di bilanci compromessi. In una settimana, il nostro comparto ha chiuso, tutti licenziati senza soluzione, non ci hanno nemmeno pagato gli ultimi stipendi. Mi sono ritrovata a ciondolare per casa, alla ricerca disperata di un nuovo lavoro. Come manager di una multinazionale, Giorgio era sempre in viaggio, si recava anche all’estero, lasciandomi sola. Aveva pure un appartamento a Roma, vicino al suo ufficio di riferimento, ma oramai lo usava pochissimo, appena poteva mi raggiungeva qui, nella nostra nuova casa insieme.
E poi quella notte, mentre ci stavamo baciando senza respiro e le nostre mani correvano frenetiche sotto le lenzuola, si era dimenticato il mio nome. Anzi, per un attimo mi pareva avesse sussurrato Sonia o Monia alle mie orecchie, ma poi ha iniziato a balbettare confuso, sembrava non ricordarsi come mi chiamo. Lì per lì non ci ho dato peso, era solamente stanco. Ma il dubbio si era insinuato oramai nella mia mente.
Alla fine mi ha lasciata lui. E la colpa non era delle sue scappatelle continue, di una pseudo fidanzata ad attenderlo praticamente in ogni città, no! La colpa, a suo dire, era mia! Perché da quando avevo perso il lavoro ero diventata poco appetibile, sempre preoccupata, un filo depressa, per niente divertente. Ma pensa! Così mi ha mollata, alle porte di San Valentino, con un tempismo perfetto. Non poteva aspettare almeno qualche settimana? Non cambiava niente tra noi, ma con la primavera forse mi avrebbe fatto meno male. Così invece è davvero terribile, il periodo peggiore in assoluto.
Avevo pensato di tornare a vivere per un po’ dai miei genitori, in campagna. Però lì non avrei nessuna opportunità di lavoro, devo rimanere in città. Grazie a un’agenzia interinale ho trovato intanto un impiego temporaneo, segretaria in uno studio di progettazione e realizzazione di stand fieristici. Mi permette di pagare affitto e bollette, in attesa di trovare di meglio.
C’è solo un problema. Renato, il mio nuovo capo, sulla cinquantina, profumatissimo, molto concentrato sulla sua immagine fisica, con pantaloni e camicie attillate, mi squadra come se dovesse spogliarmi da un momento all’altro…
Il venerdì successivo mi sveglio un po’ prima e porto la mia piccola auto nell’officina vicina al mio ufficio, per il controllo annuale. Mi assicurano di terminare tutto entro sera, così la recupererò all’uscita dal lavoro. Cammino poi per un paio di chilometri lungo i marciapiedi ghiacciati, con molta cautela, osservando di tanto in tanto le vetrine, allestite nei toni del rosso e del fucsia, con cuori di ogni grandezza e foggia. Manca poco più di una settimana a San Valentino ed è insopportabile. Ma niente in confronto a quello che mi attende quando entro nell’androne dello studio.
“Buongiorno Eleonora…” Renato, seduto al mio posto dietro la scrivania, mi saluta con una voce fin troppo suadente. “Oggi siamo soli soletti. Michela aveva una visita o non so che altro…” Alza una mano in aria con noncuranza, e poi torna a scrutarmi.
Deglutisco. Quest’uomo è imbarazzante, oltre che pericoloso. In qualche modo, la presenza di Michela di solito lo ostacola, non si azzarda più di tanto, mi sfiora una gamba con un ginocchio, mi tocca l’avambraccio fingendo di assicurarmi, anche se con gli occhi suggerisce ben altro. Ma senza di lei, diventerà davvero difficile. Mi muovo stando il più possibile lontana, rivendicando il mio spazio autonomo. Invece di sistemare il giaccone sull’attaccapanni, alle sue spalle, preferisco lasciarlo sulla poltroncina vicino all’ingresso. E anziché avvicinarmi al computer, fingo di dover riordinare la documentazione dell’archivio.
“Potremmo anche andare a pranzo insieme, per conoscerci meglio…”
Cerco di ostentare sicurezza, che in fondo questa è semplice da scansare. “Beh, veramente nella pausa mi vedo con un’amica. E’ in questa zona per una riunione d’affari e ne approfittiamo per salutarci…” Renato sta per obiettare qualcosa, ma viene interrotto dallo squillo del centralino. Un cliente mi salva da quest’impiccio, e siccome è pure un cliente importante, Renato è costretto a lasciarmi in pace, rifugiandosi nel suo ufficio in fondo al corridoio.
A metà mattina però me lo ritrovo di soppiatto alle spalle. “Eleonora,” mi sussurra piano, “potresti chiedere la modifica di date e orari in questi depliant? Hanno spostato nuovamente il calendario degli eventi alla fiera.”
Il suo alito, profumato alla menta da dare persino il voltastomaco, è sul mio collo. Fingo un attacco di tosse improvviso, che quasi sbatto il cranio sulla sua faccia. Contrariato si scosta, e mi porge un bicchiere d’acqua fresca stillato dal vicino distributore.
“Chiedo scusa… Con questo freddo, sono un po’ scombussolata. Vado subito all’agenzia e vedo se riescono a prepararceli per stasera.”
Afferro il giaccone e la borsa, e scappo oltre l’ingresso, giù lungo le scale, poi fuori dal palazzo.
Rallento solo quando sono sulla piazzetta, per godermi l’aria fresca di febbraio. Un pallido sole mi accompagna nell’edificio più avanti del complesso direzionale, completamente specchiato, dove c’è l’agenzia di pubblicità a cui si appoggia lo studio. Non sono mai stata qui, di solito se ne occupa Michela, sembra sempre cercare una scusa per venire in questo posto. Per la verità, sembra sempre cercare una scusa per non lavorare affatto. Come nipote del capo, corrisponde al profilo della raccomandata senza merito, una vera stronza, che cerca di addossare i propri errori a qualcun altro. Purtroppo me ne sono resa conto subito. “Per cortesia, Eleonora, puoi collaborare con Michela, senza discutere? Ho bisogno di questo lavoro terminato, grazie!” Su questo punto, Renato non voleva noie.
La porta automatica a vetri dell’agenzia mi lascia entrare in un salone che si apre fino al soffitto, con due piani di uffici vetrati su ogni lato. Tutto così trasparente e luminoso. Mentre avanzo verso la reception in fondo, scorgo alla mia sinistra, in una sala riunione con tavolo e sedie sgombri, le spalle di un uomo alto, con un fisico atletico, impegnato in una conversazione al cellulare. Per un attimo resto incantata dal suo fondoschiena, caspita. Mentre lo sto ancora osservando, lui si gira. E io resto senza fiato. E’ il proprietario del SUV a cui ho tagliato la strada. Mi scruta senza battere ciglio. Gli sorrido, ma sembra non sortire alcun effetto. Le mie batterie della femminilità devono essere completamente esaurite. O forse non mi ha riconosciuta, ed è meglio così.
“Tu sei la nuova giù allo studio di Renato? Benvenuta, io sono Simonetta, di solito mi occupo io dei vostri progetti.” La nostra assistente di fiducia accoglie tutte le richieste per le modifiche. “Vedo di farti avere tutto nel pomeriggio.”
Quando sto per andarmene, mi trattiene per un braccio. “Da quando se ne è andata la signora Ines, al tuo posto si turnano troppe ragazze… le voci corrono fino a qui, i ragazzi del magazzino ogni tanto mi riferiscono… stai attenta. Michela è una parente, non può permettersi, ma con le altre Renato non è proprio gentiluomo…”
“Sì, me ne sono accorta… ti ringrazio. Ma purtroppo ho bisogno di questo lavoro, finché non trovo altrove.”
Le racconto in breve le mie ultime traversie, carriera, fidanzato, tutto in fumo. Alla fine mi chiede di inviarle il curriculum via mail, forse riesce a rimediarmi un colloquio presso un’altra società del settore. Una lucina, flebile, ma pur sempre una lucina.
Quando torno sui miei passi nel salone, più serena, non c’è più traccia dell’uomo del parcheggio.
Il resto della giornata sembra filare liscia, ma è nel pomeriggio che accade l’irreparabile. Sto facendo delle fotocopie, per organizzare le cartelline di una presentazione al pubblico, quando Renato mi arriva da dietro, le sue mani mi afferrano per i fianchi e mi costringono a voltarmi. “Eleonora, che ne dici di una cena insieme questa sera?” Mi sovrasta, costringendomi ad arretrare il più possibile, la mia schiena inarcata sopra il piano della fotocopiatrice. Il suo viso si avvicina pericolosamente al mio, col tentativo di baciarmi. Il suo sguardo scivola sotto la mia camicetta aperta. In quel preciso istante, dalla porta automatica dell’ingresso principale, entra un uomo piuttosto alto e una voce tonante ci fa sobbalzare entrambi.
“Ti pregherei di togliere le mani di dosso dalla mia fidanzata.”
Capelli rossicci scarmigliati, una barba molto curata, profondi occhi azzurri, anche se in questo momento sono infuocati di rabbia, un panciotto a quadri e una camicia scura, che a malapena riescono a contenere torace e spalle muscolosi. Lo riconosco subito, è l’uomo del parcheggio, e quello dell’agenzia. La sua buona pronuncia non nasconde però l’accento straniero. Il suo fisico statuario e la sua espressione glaciale mi riportano agli antichi guerrieri vichinghi.
Renato si scosta subito da me, imbarazzato, lasciandomi andare. “Maximilian… hai frainteso…” Alza le mani in aria, avvampando per essere stato colto in flagrante. “Comunque non sapevo che Eleonora fosse la tua fidanzata… Non mi ha detto nulla!”
“Beh, adesso lo sai, Renato. Tienilo in considerazione.” Lo sguardo tagliente non lascia spazio a repliche.
“Certo, certo, assolutamente…” Renato se ne va, borbottando qualcosa. Sentiamo la porta del magazzino sbattere in lontananza.
Cerco di riprendermi, ma le mie gambe molli mi costringono ad accasciarmi sulla sedia girevole.
“Tutto bene? Simonetta mi ha raccontato che sei appena arrivata qui, che oggi non c’è l’altra ragazza, e purtroppo conosco la fama di Renato… Ecco perché ho pensato di portarteli io questi.” Poggia una risma di volantini, freschi di stampa, sul bancone. “Direi che sono arrivato proprio in tempo.”
“Grazie, davvero.” Le mie mani tremano, mentre afferro il plico e cerco di aprirlo.
Maximilian apre una tasca della sua borsa portadocumenti e tira fuori una piccola fiaschetta in acciaio. “Tieni, bevi un sorso, sembri un po’ scossa, questo ti aiuterà.”
“Cos’è?” chiedo con diffidenza.
“Whisky, della mia riserva personale.”
Afferro la fiaschetta e me la porto alla bocca, male non può farmi. Il liquido denso è fresco al palato, come il ghiaccio del Nord, ma poi scende e incendia la gola, irradiando un calore benefico lungo tutto il corpo. “Uhm… buono, davvero. Dolce.” In quel momento, i nostri sguardi si incrociano e scorgo un guizzo di interesse nel suo.
“Ti piace? Bevine un altro sorso.”
“Non posso. L’alcool purtroppo mi fa dormire subito. Meglio di no. Ho bisogno di restare sveglia in questo posto.”
Il mio cellulare trilla perentorio nella mia borsa e siccome attendo notizie dall’officina, rispondo subito.
“Pronto? Sì. Come? In che senso non è pronta? Ma io devo rientrare a casa stasera! Non avete un’auto sostitutiva? Cavolo… Ho capito, cercherò di prendere l’autobus. Si, grazie.” Chiudo la conversazione, sbuffando. “Accidenti!”
Maximilian è ancora lì. “Altri problemi che posso risolvere?”
“No, non credo. Ho portato l’auto per il tagliando stamattina, ma non hanno terminato il lavoro, non me la consegnano stasera. Sarà pronta solo domani, ma io domani non sono in zona. E comunque non so come tornare a casa. Anzi, peggio… ho paura che si offrirà Renato di portarmi a casa…”
Lui prende il suo telefonino dalla borsa, scorre la rubrica in velocità e si mette in attesa. “Ciao Samuele. Quell’auto bianca che hai lì, della signorina Eleonora… sì… puoi accelerare cortesemente per questa sera? No? Allora puoi portargliela direttamente a casa, domattina? Te lo chiedo come favore personale… Ottimo, ti ringrazio.”
Resto a bocca aperta, senza fiato e senza parole. Lui solleva appena un sopracciglio, senza scomporsi.
Prende un biglietto da visita dal taschino del panciotto e ci scrive qualcosa con la penna presa dal bancone. “Ecco, questo è il mio numero privato. Chiamami o scrivimi un messaggio quando sei pronta stasera, all’uscita. Ti accompagno io a casa. Non posso lasciare la mia fidanzata a piedi, ti pare?”
Sorride e caspita, che sorriso il suo. Ti scalda il cuore all’improvviso, proprio come un sorso del suo whisky.
“Per un po’ comunque, penso che Renato non ti darà più fastidio…”
E’ venerdì sera e io sto scrivendo a Maximilian di passarmi a prendere, tra cinque minuti. Non succederà niente, continuo a ripetermi. Non è successo niente e non succederà niente. Ma il mio cuore ruzzola di gioia lo stesso, credendo nell’impossibile.
Non faccio in tempo nemmeno a riordinare le ultime carte e spegnere il computer, che lui è già qui all’ingresso, con un cappotto scuro molto elegante. Mi aiuta a infilare il giubbotto prima di uscire. “E’ andato tutto bene poi? Altre noie?”
Capisco a cosa si riferisce. “No, non è più uscito dal suo ufficio per il resto del pomeriggio. Grazie a te.”
“Ottimo. Vieni, ho parcheggiato da questa parte.” La sua mano sulla mia schiena mi indica la direzione giusta, un gesto così intimo.
Attraversiamo il piazzale e poi svoltiamo a sinistra, dove riconosco il suo SUV gigante. Fa schioccare le serrature con il telecomando, ma si muove verso il lato passeggero. Apre la portiera e mi aiuta a salire, perché questo mezzo è decisamente più alto della mia piccola auto. Di solito mi abbasso per mettermi al volante, qui invece devo puntare i piedi e alzarmi. Dopo aver lasciato la borsa nel sedile posteriore, Maximilian si siede al posto del guidatore e mi chiede l’indirizzo di casa. Quando gli spiego dove abito, la zona e il civico del mio palazzo, sorride divertito. “Bene, sei di strada, non devo nemmeno deviare dal mio solito tragitto.”
Il mio respiro si ferma per un istante, quegli occhi poi mi incatenano se li guardo oltre il dovuto.
Mi allaccio la cintura e mi distraggo con il paesaggio fuori dal finestrino. Usciamo dal parcheggio, guida con molta calma, come se non avesse fretta di arrivare. Lungo il viaggio sono tante le domande che Maximilian mi rivolge, sugli studi, sulla carriera, sulla mia famiglia. Ogni tanto riesco a fargliene anch’io qualcuna. In realtà vorrei chiedergli qualsiasi cosa, ma mi trattengo. Riesco comunque a scoprire che viene dalla Scozia, ma ha vissuto e studiato per molti anni in Italia, vivendo presso una zia che risiede qui.
“Spero che domattina ti portino quanto prima l’auto, così sarai libera di muoverti per gli impegni del sabato…”
“Oh, non ho grandi progetti per domani. Devo inviare un paio di mail per dei colloqui, speriamo, vedrò se ci sono altri nuovi annunci interessanti, dovrei anche studiare un pochino, vorrei prendere una certificazione, mi sarebbe utile… e poi nel pomeriggio mi rilasserò con la partita del torneo Sei Nazioni di rugby.”
“Rugby? Sul serio?” Si volta verso di me, quasi sconcertato. Beh, una ragazza non può interessarsi di rugby?!
“E’ colpa di mio fratello,” ammetto malvolentieri. “Di solito seguo le partite con lui, gioca a rugby nella sua squadra universitaria. Sempre per quello la scorsa estate mi ha portato in Scozia, anche se non abbiamo visto poi moltissimo. Giusto lo stadio!”
“Interessante. Davvero interessante…” Lo sussurra appena, quasi distratto, concentrato in chissà quali altri pensieri.
Quando giungiamo di fronte al mio palazzo, vorrei uscire di corsa e togliere il disturbo, ma allo stesso tempo non vorrei andarmene.
“Grazie, per tutto, per avermi difeso… per il passaggio…”
“Aspetta Eleonora, ho una cosa per te.” Maximilian, scende un attimo, lo sento aprire il bagagliaio e cercare qualcosa. Poi torna dentro l’abitacolo con una lunga scatola in mano. “Ecco, questa bottiglia è tutta tua. E’ lo stesso whisky della mia fiaschetta. Lo produce la mia famiglia su nelle Highlands. All’inizio mio padre lo preparava solo per mia madre, è molto delicato, femminile. Non pensava potesse avere un mercato. Adesso è il prodotto più venduto della nostra azienda.”
“Grazie, non dovevi. E’ davvero buono, mi piace, e in effetti volevo proprio chiederti di che marca è…” Mi sento avvampare, per fortuna siamo in penombra del vicino lampione e lui non può accorgersene.
Le nostre dita si sfiorano quando prendo la scatola che mi porge. Avverto un brivido lungo la schiena.
“Anch’io domani guarderò la partita, come puoi immaginare. Di solito però vado in centro, nel pub di un amico, proprio in stile scozzese. Ti va di venire con me? L’unica avvertenza è che, insomma, tu non tifi spudoratamente contro la Scozia. Là dentro sono tutti più grossi di me…”
Mi sta forse invitando ad uscire? No dai, è solo una partita. Però, è comunque un appuntamento. Il mio respiro si blocca per un istante, prima di rispondere. “Si, mi piacerebbe. Io comunque parteggio sempre contro l’Italia, contro mio fratello!”
“Ah bene! Ti passo a prendere allora. Ti mando un messaggio per l’orario.”
Qualche ora dopo, con il cuore impazzito per le mille emozioni della giornata, e quelle che ancora verranno l’indomani, non riesco a prendere sonno. Apro allora la bottiglia di whisky di Maximilian e ne bevo due sorsi abbondanti, tanto sono già a letto. In un momento di coraggio, decido di mandargli un messaggio. “Questo whisky è davvero buono, grazie. Ora però vado a dormire. Buonanotte!”
Faccio in tempo a vedere una risposta prima di addormentarmi. “Cheers! Buonanotte!”
Oddio, cosa mi metto io per oggi?! Continuo a rovistare nell’armadio in cerca di qualcosa di appropriato per l’occasione. Non voglio essere troppo sportiva, ma femminile sì. Jeans, vanno sempre bene. Questi mi fanno anche un bel fondoschiena, almeno credo. Una maglia, ma che maglia? Apro cassetti, sposto pile e pile di indumenti, scorro le grucce appese. Questa fucsia! Morbida ma non troppo, evidenzia le mie forme. Scarpe… le sneakers direi che vanno bene. E’ un pub, Eleonora, mica l’incontro con la Regina!
La partita, a calendario proprio Italia-Francia, è nel tardo pomeriggio e Maximilian mi ha già detto che potremo restare al pub anche per la cena. Quindi, insomma, questo vale proprio come un appuntamento, di sabato sera per giunta. E vicino a San Valentino!
Arriva puntualissimo sotto il mio palazzo, scendo quasi volando per gli scalini. Indossa un paio di pantaloni scuri e un giubbotto casual, dal colletto spunta il cappuccio di una felpa blu elettrico. Sembra ancora più alto vestito così. Quando siamo vicini, mi accorgo che la mia testa gli sfiora appena le spalle, ma potrei benissimo appoggiarmi al suo petto e ascoltare il battito del suo cuore. Arrossisco all’idea, non riesco a fermarmi e in qualche modo se ne accorge. “Tutto bene?” mi chiede. Annuisco appena. Si, tutto benissimo, mi mandi solo su di giri, vorrei dirgli.
Giunti al pub ci sediamo presso un tavolino alto, in un angolo, e ordiniamo da bere, una pinta di birra per lui e una mezza per me, oltre a qualche bocconcino in accompagnamento. Il barista però ci porta anche due capienti bicchieri di whisky ambrato.
“Questo lo devi assaggiare, sono certo ti piacerà.” Maximilian solleva il suo, offrendosi al brindisi.
“Non posso bere troppo alcool, poi mi viene sonno, ricordi? Rischio di crollare qui, a dormire sul tavolo.”
“Meglio per te. Io il whisky lo reggo anche bene, ce l’abbiamo nel sangue, patrimonio genetico della Scozia. Purtroppo tendo a fare cose veramente stupide quando supero un certo livello…”
“Tipo? Vai a suonare ai campanelli di sconosciuti a tarda notte?” Si, questo whisky è delizioso, forte e deciso, ma alla fine dolce.
“No. Beh, ho fatto anche quello al college, sicuro!” Si lascia andare a una risata aperta, ricordando chissà quali peripezie.
“Intendo cose stupide tipo svegliarmi la mattina dopo con una ragazza che non faceva per me.” E’ molto serio mentre lo dice, un’ombra scura gli attraversa il volto, ma subito dopo si riprende guardandomi e sorridendo. Prego di non essere la prossima ragazza sbagliata su quella lista. Non devo bere troppo io, ma non deve bere troppo nemmeno lui.
La partita comincia, il pub si riempie di gente di ogni fisionomia e stazza, anche molte donne, quasi tutti stranieri. Capisco poco delle azioni in campo, di solito è mio fratello a tentare di spiegarmele, senza mai riuscirci. Ci prova anche Maximilian, prendendo una penna dal giubbotto e tracciando linee, puntini, schemi sui tovagliolini di carta. Un insegnante decisamente migliore.
Quando torno dalla toilette, Maximilian è un attimo rabbuiato. “Ti hanno cercato al cellulare, un certo Enrico. Scusa, non volevo sbirciare, ma era qui davanti. Ho pensato fosse il mio.”
“Nessun problema. E’ mio fratello. Adesso lo richiamo, vorrà sicuramente parlare della partita.” Non solo, vorrà sapere come stanno andando le cose con questo tizio scozzese, spuntato dal nulla, che oggi ha rapito la sua sorella maggiore.
“Allora? Ti stai divertendo?” sogghigna dall’altra parte.
“Io sì…” guardo Maximilian con complicità. “Ma voi in campo le state prendendo di santa ragione, eh!”
“Voi? Ma tu per chi tifi, scusa?”
“Per la Scozia!” Scoppio a ridere.
“Ma se non sono nemmeno in campo! Ho capito. Questo qui deve essere proprio uno tosto. Se poi ti ha convinto a vedere una partita insieme, senza reclamare la parentela… hai la mia approvazione. Quando posso conoscerlo?!”
“Il più tardi possibile!!” esclamo compiaciuta. Ci lasciamo con gli ultimi dettagli di famiglia, certi di sentirci l’indomani.
Nell’intervallo tra i due tempi del rugby, chiedo a Maximilian di uscire un po’, per una boccata di aria fresca. Temo che l’alcool mi stia prendendo alla testa, mi sento un po’ ciondolare, fin troppo rilassata. Nella piazzetta fuori dal pub, salgo in piedi sul muretto basso, così da guadagnare quindici centimetri in altezza. Posso guardarlo quasi dritto negli occhi. Il muretto però è viscido per il muschio, un piede scivola e mi trovo sbilanciata all’indietro. Due mani forti mi afferrano e mi riportano in equilibrio. E siamo vicini, terribilmente vicini. Sento il suo respiro caldo sul mio viso. Ci guardiamo fissi, potrei perdermi nelle sue iridi azzurre.
Un attimo dopo le nostre labbra si incollano, dapprima timide, morbide, insicure. Poi sempre più affamate, esigenti, insistenti. Le sue braccia mi accolgono, forniscono protezione senza stringere, libera ma sostenuta.
Quando torniamo al tavolino venti minuti dopo, non siamo più gli stessi di prima. Siamo seduti vicini, senza più alcuna distanza tra noi. Le nostre gambe si toccano, la sua mano destra è sul mio fianco, la mia schiena appoggiata al suo petto, il suo sguardo non mi molla un attimo.
Alla fine però ho bevuto, seppure a piccoli sorsi, tutto il bicchiere di whisky, non sono riuscita a trattenermi. E adesso una sonnolenza pesante si sta impadronendo del mio corpo. Maximilian se ne accorge quando poggio la mia testa sulla sua spalla e chiudo appena gli occhi, rispondendogli a scatti, sconnessa dal mondo.
“Stai veramente per addormentarti qui… Sarà meglio che ti porti a casa.”
Mi sostiene per le spalle lungo il tragitto verso l’auto. Con fatica salgo sul sedile del passeggero. Per la strada mi appisolo qualche istante, per poi sbattere le ciglia nel tentativo di riprendermi. Non ce la faccio a salire le scale. Mi solleva lui, di peso senza sforzo, come fossimo in assenza di gravità. Mi porta su fino al pianerottolo, tentiamo di recuperare le chiavi dalla mia borsa.
“Ce la fai da qui?”
“Uhm uhm…”
“No, non ce la fai…” ride divertito. Mi solleva di nuovo e mi porta fino in camera. Mi adagia sul letto. Credo mi abbia anche tolto le scarpe e alla fine sento qualcosa di caldo tutto intorno. Poi cado nel buio.
Domenica mattina mi sveglio rintronata, ma felice. Mi muovo tra le mille faccende di casa svolazzando allegra, come in una nuvoletta rosa leggera leggera. Ma l’effetto dura poco, la telefonata di mia madre mi riporta al presente. Cerco di resistere, una volta di più, alle sue suppliche per tornare a vivere con loro, in campagna, in attesa di qualcosa di meglio.
“Sei ancora in quel posto da segretaria? Non ti hanno trovato nient’altro? Riesci a pagarti tutte le spese in città, bambina mia?” Poi la conversazione vira sull’altro suo cruccio, la mancanza di un marito al mio fianco, che lei si è sposata molto giovane e alla mia età aveva già una bambina, cosa sto aspettando io ancora? Sospiro, perché lo so che mi vuole bene, ma è davvero difficile ascoltarla. Chiudo la conversazione promettendo di pensarci. Spero intanto che mio fratello Enrico li convinca a lasciarmi in pace.
Accendo il portatile e invio un altro paio di curriculum per delle selezioni, società nello stesso settore dove lavoravo prima. Scorro i nuovi annunci, ma non ci sono altre posizioni libere. Leggo anche le varie mail di rifiuto, con motivazioni inconsistenti.
Anche la lavatrice nel pomeriggio sembra non volermi più bene, mi trovo con il bagno allagato per colpa di un calzino infilatosi nella chiusura dell’oblò. Accidenti a me che non me ne sono accorta! Sbuffando, prendo il secchio e il mocio, tentando di rimediare al disastro.
Il cellulare suona imperioso dal salotto, è la suoneria che ho associato al numero di Maximilian, per riconoscerlo subito.
“Ciao. Spero di non disturbarti” esordisce con voce tranquilla.
“No, figurati. Stavo avendo una discussione con la mia lavatrice, dopo un’ora passata a tirare su acqua da terra…”
“Ahi. Giornataccia eh?”
“Un po’…” ammetto ridendo.
“Io ho voglia di una pizza, e conosco un posto dove la fanno magnificamente. Mi fai compagnia stasera?”
Oh cavoli, un altro appuntamento! E io sono in condizioni pietose, con i capelli sporchi di polvere e detersivo, per non parlare di tutto il resto del corpo. Ma ce la posso fare, restaurazione completa in quaranta minuti. Anche perché ho davvero bisogno di stare con lui, la sua presenza mi rende calma e sicura. “Sì, con piacere. Anche perché la pizza risolve sempre tutto!”
Decido di indossare una gonna al ginocchio, con gli stivali alti con il tacco. E una maglia nera luccicante, un po’ velata. Quando mi aiuta a togliere il cappotto in pizzeria, il suo sguardo tradisce compiacimento per lo spacco laterale della mia gonna. Si avvicina e mi bacia sulla fronte, sussurrandomi un “Sei bellissima.”
Quando il cameriere arriva al nostro tavolo per le ordinazioni, penso di stare lontana dall’alcool, nemmeno una birra piccola. Non voglio assolutamente perdere un solo istante di noi. Ma a quanto pare Maximilian la pensa allo stesso modo, perché all’unisono esclamiamo “Coca cola!” Scoppiamo a ridere, di fronte al cameriere basito per la nostra ilarità.
La serata è piacevole, siamo seduti vicini, le nostre ginocchia si toccano. Ci divertiamo come matti mangiando quella pizza, raccontandoci aneddoti della nostra diversa adolescenza, io nella campagna profonda, tra nebbie e acquitrini, lui lassù nelle terre del Nord, in luoghi mitologici che non conosco, ma posso immaginare bene dalle sue descrizioni particolareggiate. Qualche volta si lascia andare a espressioni nella sua lingua, che non comprendo, ma subito me le traduce e spiega.
Quando mi riaccompagna a casa, non c’è parcheggio davanti al mio palazzo, troviamo un posto solo a qualche chilometro. Così scende dall’auto per accompagnarmi lungo la strada buia. Mi stringe stretto per un fianco, perché il marciapiede è un po’ ghiacciato, o forse perché semplicemente non vuole lasciarmi andare. Quando siamo sul portone e stiamo per salutarci, imbarazzatissimi entrambi, si avvicina cauto, gli occhi incollati sui miei, con una domanda. L’ultimo spazio tra le nostre labbra lo chiudo io, con una risposta.
Qualcosa scatta tra di noi, una scossa elettrica ci avvinghia e non ci molla. Le sue mani sono sul mio viso e poi corrono, a cingermi sotto il mio cappotto. Anche le mie lo cercano sotto il suo giubbotto e poi corrono su, lungo il suo petto, verso il suo collo, accarezzano i suoi capelli sulla nuca. La mia schiena si inarca contro di lui. Solo per un istante, le nostre bocche si staccano, senza fiato. Non so con quale coraggio riesco a sussurrargli la richiesta. “Vuoi salire da me?”
“Sì, e ci tengo a sottolineare che sono sobrio…”
Le scale non sono mai state così lunghe, ogni scalino è un bacio, ogni pianerottolo qualcosa di più. A fatica apriamo la porta del mio appartamento. Poi i nostri vestiti volano per aria lungo il corridoio verso la camera da letto.
Quando mi addormento, sfinita tra le sue braccia, il mio ultimo pensiero è una supplica. Non potrei sopportare una delusione, adesso.
Ti prego, ti prego, ti prego. Non dimenticarti il mio nome.
Al risveglio qualcosa non torna. Sono nel mio letto e questo va bene, ma manca quel calore che mi aveva accolto per tutta la notte. Quando allungo la mano sotto le coperte, non c’è nessuno. Per un attimo penso di essermi sognata tutto, ma poi il mio corpo rilassato mi ricorda che no, è accaduto davvero. Resto in ascolto dei rumori dell’appartamento, senza sentire davvero nulla della sua presenza. Maximilian se n’è andato, perché? Speravo sarebbe rimasto e avremmo fatto colazione insieme. Il lunedì mattina i nostri rispettivi uffici sono chiusi. Afferro il cellulare dal comodino, nessun messaggio e nessuna chiamata persa. Recupero pantaloni e giacca della tuta e mi sposto in cucina in cerca di indizi.
Sopra il bancone, vicino al mio posto preparato con le stoviglie pulite, e può essere stato solo lui perché ieri sera il ripiano era sgombro, trovo un biglietto scritto a mano.
“Eleonora, sono dovuto partire di corsa, scusami. Problemi in famiglia, ti chiamo appena posso.”
Ok, può succedere, penso. Ma accidenti proprio adesso? Razionalmente lo capisco, ma il mio cuore è terrorizzato. La settimana lavorativa inizia così lentissima e pigra. La paura cresce sempre di più, man mano che scorrono i giorni. E se fossi l’ennesima ragazza sbagliata? E se pure lui, come Giorgio, mi nascondesse un’altra donna in ogni porto? Nel suo caso, lassù in Scozia, vicino alle sue origini? Più volte prendo il cellulare e provo a digitare un messaggio da inviargli, ma poi mi blocco, potrei disturbarlo, magari la situazione è veramente seria. Il mercoledì sera finalmente sento la suoneria che ho associato al numero di Maximilian. Rispondo al secondo squillo, non posso attendere oltre.
“Ciao Eleonora, come stai? Mi spiace di non averti chiamato prima.” La sua voce è stanca, distaccata. Forse qualcuno lo sta ascoltando, presente lì vicino a lui? Capisco che sta misurando le parole. Mi spiega solo che suo padre ha avuto una brutta caduta, in seguito a un malore, e sua madre era nel panico. Suo fratello Jonathan è negli Stati Uniti per una convention e l’unico che poteva raggiungerli velocemente era solo Maximilian. Mentre lo dice, è incredibilmente freddo e distante, mi sembra essere tornato l’uomo del parcheggio, di quel primo giorno. Un completo estraneo. “Non so quanto resterò, ma appena ho il volo di rientro in Italia, ti scrivo.”
In ufficio Michela si comporta più da stronza che mai, ogni tanto accenna alla mia situazione sentimentale con Maximilian, ma i suoi toni sono ironici. Fingo di non capire e mi concentro sul lavoro. Renato invece mi scruta sospettoso, temo purtroppo abbia subodorato l’inganno e cerchi l’occasione propizia per riprovarci con me. Di sicuro si sta avvicinando troppo ai miei spazi.
Il weekend successivo, poco prima di San Valentino, lo passo da sola, senza altre notizie di Maximilian. Sono così depressa che a un certo punto mi confido persino con mio fratello Enrico, per sfogare la mia frustrazione.
“Sei solo paranoica! Non hai alcun elemento su cui basarti. Andiamo, Giorgio era uno stronzo, e io te lo avevo detto, per inciso, tu non hai mai voluto ascoltarmi… Ma questo Maximilian mi sembra ok, diamogli un’opportunità… Lascia almeno che lo conosca prima, no?”
“Uhm… ti piace solo perché è scozzese e tu sei fissato con la Scozia…”
Una risata sguaiata dall’altra parte mi restituisce un po’ di allegria.
E’ martedì, è San Valentino e io mi sento di schifo. Non so più nulla di Maximilian e non so più cosa pensare. Gli ho anche mandato un messaggio ieri, un semplice “Tutto bene?” ma non ho ricevuto risposta. Non è possibile che non trovi il tempo per un messaggino!
Quando entro in ufficio, un grosso mazzo di rose rosse troneggia sul bancone dell’ingresso e riempie di intenso profumo tutto l’androne. Per un attimo spero che sia un pensiero di Maximilian, e il mio cuore esulta, ma subito dopo compare Renato, più infido che mai, a reclamare come sua l’idea. “Per le mie belle ragazze! Perché vi adoro!” e mi guarda languido, mentre Michela sorride sorniona nell’angolo opposto, esaltata da questa caccia del perfido gatto al misero topolino.
“Ho sentito che Maximilian è scappato in Scozia…” Decide di punzecchiarmi stavolta proprio con Renato ancora tra noi.
“Problemi di famiglia” rispondo tranquilla, sperando di dissimulare noncuranza.
“E non ti ha portato con sé?” sibila ancora a voce bassa.
“Io avevo altri impegni qui…” Mi giro e le rivolgo la miglior espressione felice che trovo.
“Peccato, non festeggerete San Valentino così!” conclude proprio Renato, ammiccando verso la sottoscritta. “Ci vediamo dopo, ora ho una riunione fuori. Magari festeggeremo al mio rientro…”
Di male in peggio, dovrò trovare una scusa per scappare da lì. Michela però non si dà per vinta e continua la sua offensiva.
“Ma sai, non mi stupisce che ti abbia lasciata in Italia. Maximilian è sempre allegro nelle sue frequentazioni. Sembra metterti al centro del mondo e poi sparisce in un lampo.”
Si muove piano, ancheggiando, tra la sua scrivania e il fotocopiatore. Mi aspetto il colpo di grazia, so che ce l’ha pronto. “Ti ha detto no, che siamo stati insieme?”
Il mio cuore salta un battito… No, lei no! Ma perché?!
“Mi ci ha trascinato lui, nel suo letto, non sembrava dispiacergli affatto…”
Deglutisco. Mi siedo prima di avere un giramento.
“E poi, guarda caso, non voleva più saperne. Mi ha fatto ubriacare, si è approfittato di me, come se fossi uno straccetto…”
Un lampo attraversa la mia mente. “E dimmi, era ubriaco anche lui? Quando si è svegliato si ricordava almeno il tuo nome?”
Sbuffa, ma non risponde. Colpita e affondata. Lei era una di quelle cose stupide, una di quelle ragazze sbagliate, non io.
Però la mattina trascorre veloce, senza alcun segno di Maximilian. Quando controllo la mia posta privata in pausa pranzo, trovo un’email di conferma per un colloquio di lavoro, in un’azienda di consulenza alquanto rinomata. Dovrei essere al settimo cielo, ma la notizia non mi risolleva l’umore. Sto aspettando altro, mi sto illudendo, lo so. Che stupida.
A metà pomeriggio, vedo Michela vestirsi per uscire. “Ciao cara, io vado a festeggiare col mio ragazzo, tanto rimani tu qui, no?”
Esattamente in quell’istante, si avvicina Renato e la saluta con fin troppo calore. “Vai Michela, Eleonora è qui in buone mani.” Appena lei esce dalla porta e restiamo soli, me lo ritrovo incollato alla schiena, stretta tra il suo corpo e l’archivio alto.
“Allora, potremmo andare a cena, ti pare? Siamo da soli, facciamoci compagnia, no?” Le sue mani sono sui miei fianchi.
“Allora non ci capiamo… TOGLI LE MANI DI DOSSO DALLA MIA FIDANZATA!!” La voce di Maximilian è talmente alta e possente che saltiamo tutti e due dalla paura. Persino i vetri sembrano essersi mossi al suo ordine perentorio.
“Io… non… Ah, non ci crede nessuno che è la tua fidanzata, andiamo! Non ha nemmeno uno straccio di anello!”
“Su questo hai ragione, ma rimediamo subito.” Tira fuori una scatolina di velluto scuro dalla tasca. “Sono andato a ritirarlo ieri, tesoro…” mi guarda intensamente, mentre con un braccio gentile mi toglie dalle sgrinfie di Renato. “Finalmente l’hanno sistemato, sulla tua misura, e la pietra non si muove più. Ecco.”
Le mani mi tremano, e per un attimo le nostre dita si sfiorano. Resto senza fiato quando apro la scatola. Un cerchietto di oro bianco e una stupenda pietra azzurra, come i suoi occhi del Nord. Non oso nemmeno toccarlo.
Prende lui l’anello e delicatamente lo infila alla mia mano destra. “Perfetto!”
Si volta verso Renato. “Immagino che tu non abbia problemi se oggi esce un po’ prima, vero?” Le sue parole suonano come una minaccia.
“No, no, affatto. Non abbiamo urgenze. Godetevi la serata…” Sguscia fuori dall’ufficio, lungo il corridoio, lasciandoci soli.
Scoppio a piangere, non so nemmeno io se di gioia o di disperazione.
Maximilian tira fuori un fazzoletto ricamato dal suo taschino e mi asciuga le lacrime. “Mi spiace… ma anche tu, perché il tuo telefonino è spento? Avrò cercato di chiamarti non so quante volte da ieri sera!”
Stranita, recupero il mio cellulare dalla borsa, e in effetti, non so come, si è messo in modalità aereo. Appena lo riporto in linea, ricevo una valanga di messaggi, sia di testo che della segreteria occupata. Oh che disastro!
“Ho provato anche qui stamattina, ma mi ha risposto Michela e quella stronza mi ha detto che ti eri presa un giorno di ferie. Ho capito subito che mentiva, ma non sapevo come altro rintracciarti…”
Mi porge la sua fiaschetta di whisky e ne prendo un piccolo sorso.
“Tuo padre sta meglio?” riesco solo a dire alla fine.
“Si, direi di sì. Non voleva che tornassi, ma gli ho detto che a San Valentino devo stare con la mia fidanzata…”
Usciamo in silenzio dal mio ufficio. Mi stringe al suo fianco, mentre camminiamo verso la sua auto. Mi apre la portiera, mi sorride mentre mi scosta una ciocca di capelli dal viso, prima di aiutarmi a salire al mio posto.
Quando sale dall’altra parte e finalmente siamo soli, lontani da orecchie indiscrete, riguardo l’anello brillare in penombra al mio anulare. Un gesto davvero carino, da parte sua, fin troppo.
“E’ davvero bello, chissà chi sarà la fortunata…” e vado per toglierlo e rimetterlo nella scatolina di velluto.
“Cosa fai?” mi sussurra lui, avvicinandosi al mio viso.
“Te lo restituisco. Non può essere un anello di fidanzamento…”
Lui blocca le mie mani, gentilmente. “No, è vero, non è un anello di fidanzamento. Sarebbe prematuro, me ne rendo conto. Ma è comunque il mio regalo di San Valentino per te, Eleonora. Non toglierlo, per favore.”
Il cuore mi ruzzola impazzito dentro il petto. Non era solo una scenetta per difendermi dal capo?
“A meno che tu non lo voglia… e allora mi dispiace di avere frainteso.”
“No io… cioè sì, lo voglio… ma è troppo… cioè io…non vorrei che…” farfuglio perché non riesco a fermare i pensieri, correre impazziti per la mia testa. E’ stata una settimana decisamente difficile e ora sto vivendo questo sogno.
La sua bocca è sulla mia, prima che possa dire altre sciocchezze. E allora ci parliamo davvero, in un altro modo. Le nostre lingue si cercano, si stuzzicano, si esplorano. Le nostre labbra sono roventi, i nostri respiri si fondono l’uno nell’altro.
Ci scostiamo dopo un tempo infinito, accaldati e senza fiato.
“Ho prenotato un ristorante per questa sera” mi sussurra. “Vuoi venire a cena con me, Eleonora? Poi vediamo come va.”
Annuisco, felice oltre ogni misura. “E poi vediamo come va.”
Un ultimo, incredibile bacio mi dice che andrà benissimo.
(C) 2023 Barbara Businaro
Note:
Questo racconto è figlio del Bronchenolo e del Tachifludec. Una settimana e mezza fa oramai, quando avevo in mente un altro tipo di storia ma sentivo che non era il momento giusto per svilupparla, mi sono presa una bronchite, subito degenerata in raffreddore sgocciolante, tosse persistente e voce bella profonda, da spirito maligno infestante… Ho dovuto cedere alle medicine e ho rubato una bustina di Bronchenolo, non l’avevo mai provato. Ho dormito intensamente e ho sognato a colori (non sono quelli che si avverano, i sogni a colori?!) Ed ero lì quando Maximilian è entrato, sbattendo il plico di fogli sul bancone, uno sguardo fiero che uccide, mentre tuona perentorio di togliere le mani dalla sua fidanzata. Non sono una fanatica delle donzelle in pericolo e dei fulgidi cavalieri in soccorso, ma la scena era bellissima. Mi sono svegliata la domenica mattina sorridendo contenta. Questa è una storia da San Valentino, eccome! Perfetta! Ma accidenti, non posso scriverla!! Non posso, non posso, non posso!!
La scena richiama forte alla memoria un momento della prima stagione di Outlander, quando un Jamie Fraser compare alla finestra del castello, dove Black Jack Randall sta brutalmente interrogando Claire, e grida “I’ll thank ye… to take yer hands… off my wife!” (“Vi ringrazierò… di togliere le mani… da mia moglie!”) Il Bronchenolo ha pescato da lì, direi. Sono quindi andata avanti qualche giorno litigando fra me e me. Scrivila! No, non posso! Perché no? Scrivila, accidenti! Noneeee, non posso scrivere di Scozia e di scozzesi, ti pare?! Non so esattamente cosa alla fine mi ha fatto capitolare, forse perché la storia era lì, persistente, non se ne voleva andare.
Nel frattempo ho anche letto il romanzo rosa “Il mio regalo inaspettato” di Felicia Kingsley, proprio uno dei miei regali di Natale, ambientato proprio in Scozia. Tutto sommato non c’è moltissima ambientazione scozzese, questo mi ha dato forse un po’ più sicurezza. La mia storia comunque è rimasta in Italia, e Maximilian ha l’aria più vichinga rispetto al protagonista di Outlander. Sono salva! 😀
Sfortuna vuole però di essermi ritrovata a scrivere il racconto di nuovo sotto Bronchenolo e Tachifludec. I brividi lungo la schiena di Eleonora sono in realtà i miei brividi per la febbre, per un’influenza pestifera che mi ha sorpreso dallo scorso venerdì. Sono però contenta, perché se riesco a scrivere in queste condizioni, vuol dire che questa storia lo esige e non potevo proprio tenerla chiusa.
La canzone non era nemmeno la sua, all’inizio. Avevo optato per un’altra, ma poi YouTube mi ha proposto questa Bittersweet. Si incastrava a perfezione, quando lei canta “Makes my heart beat, Like a drum.”(trad. fa battere il mio cuore, come un tamburo). Quel “Like a drum” si pronuncia praticamente allo stesso modo di “like a dram”, dove il “dram” è invece un piccolo sorso di whisky. E niente, non sono più riuscita di togliermi questa melodia dalla testa. Penso ci stia molto bene nella salita all’appartamento di lei, quando poco dopo decidono di arieggiare le lenzuola… 😉
Comments (12)
Sandra
Feb 14, 2023 at 12:31 PM ReplyLetto prima di cominciare la giornata in ufficio, torno in pausa pranzo per commentare.
Piaciuto molto, ho trovato perfette le dinamiche lavorative e chiaramente non posso che fare il tifo per Eleonora che finalmente si è disincastrata da una vita non sua.
Barbara Businaro
Feb 15, 2023 at 10:41 PM ReplySono contenta ti abbia fatto compagnia allora! 🙂
Beh, chi non ha una Michela in ufficio? In ogni posto di lavoro che ho frequentato ce n’era una, con altri nomi ma uguali modi…
Brunilde
Feb 14, 2023 at 7:04 PM ReplyE così sei riuscita a infilare la Scozia anche nel racconto di san Valentino!
Ho letto tutto d’un fiato, la tua scrittura è fluida e scorrevole, i personaggi ben definiti e un pizzico di ironia diluisce il romance.
Bel racconto, bella storia, ma non sono sicura che sia tutto merito del Tachifluidec, anzi sono convinta che sia semplicemente il tuo talento narrativo che per ora hai messo in stand by, essendo tu in altre faccende affacendata.
Quando sarà il momento, confido che gli darai lo spazio che merita, e finalmente potremo leggere il tuo romanzo. Ogni cosa a suo tempo…
Intanto, buon san Valentino a tutti!
Barbara Businaro
Feb 15, 2023 at 10:52 PM ReplyGrazie Brunilde! 🙂
Sì, alla fine ho ceduto alla Scozia, anche se giusto appena una spolverata. I personaggi così definiti hanno richiamato ai lettori qualcuno di conosciuto. Qualcuno mi ha detto ridendo “Io ce l’ho una Michela!” Mentre in ufficio mi hanno chiesto se Maximilian non sia il ragazzo che rifornisce la macchinetta del caffè. No, proprio per niente! Quello è biondo con accento dell’est, Maximilian è rossiccio con accento scozzese. Maximilian è proprio frutto del Bronchenolo e Tachifludec, lo giuro! 😀
Però è sempre particolare vedere come i lettori aggiungano al testo, riempiano i buchi lasciati scoperti, appositamente, dalla scrittura.
Comunque alla rilettura di oggi ho trovato parecchi refusi, appena sistemati. Quindi si può dire che è venuto anche bene, nonostante la febbre!
Giulia Mancini
Feb 16, 2023 at 6:26 AM ReplyL’ho letto in due round perché sono diversi giorni che crollo sul divano a fine giornata. Molto carino e, come Brunilde, commento sulla Scozia che è finita anche in questo racconto, in fondo capisco bene, lo scozzese Maximilian sembra proprio un tipo irresistibile.
Barbara Businaro
Feb 16, 2023 at 6:24 PM ReplyGrazie Giulia! Come dico sempre, quando qualcuno sospira sognante in direzione di Jamie Fraser, protagonista maschile di Outlander, praticamente perfetto: ricordatevi che non esiste ed è scritto da una donna! Vale lo stesso per questo Maximilian. 😀 😀 😀
Marina
Feb 19, 2023 at 3:04 PM ReplyMa a me aspirine o antinfiammatori non fanno questo effetto, devo consultare il medico! 😛
Questo lui scozzese è proprio la classica apparizione onirica: giusto lì ne trovi uno così “performante” 😀 😀
Noi ci accontentiamo di festeggiare il San Valentino con i nostri uomini pieni pieni di difetti, vero?
Comunque, se l’effetto di raffreddore e seminfluenza è una bella botta di fantasia, quasi quasi non è male stare cautelati sotto le coperte… a sognare!
Barbara Businaro
Feb 19, 2023 at 4:25 PM ReplyQuando siamo innamorati, non vediamo i difetti dell’altro, si incastrano talmente bene con i nostri, che li scambiamo per pregi. 😀 Maximilian sarà anche perfetto per Eleonora, ma per Michela sicuramente no, e viceversa. La magia è negli occhi, e nel cuore, di chi guarda.
Non ho festeggiato San Valentino, se non scrivendo e pubblicando questo racconto. Sono innamorata della vita e quella la festeggio ogni giorno, non solo il 14 febbraio. 😉
Daniela Bino
Feb 20, 2023 at 10:31 AM ReplyCe l’ho avuta pure io una Michela nella ditta dove lavoravo una volta.
Però, a mia memoria, non c’era uno scozzese alto e bello da svenire, né tra i soci né tra i clienti. Una situazione pensosissima!
Meno male che ci sei tu, Barbara, che con i tuoi racconti ci fai sognare. Sempre ben scritti e molto “umani”. La descrizione di sentimenti, persone e situazioni coinvolgono il lettore. Mi sembrava di essere in ufficio con Eleonora, mentre leggevo!
BRAVA!!!
Barbara Businaro
Feb 22, 2023 at 10:28 PM ReplyGrazie Daniela!
Tutte abbiamo avuto una Michela, se non due, al lavoro. Uno stereotipo nato da una costante.
Qui lo Maximilian è un fornitore, ma no, nemmeno io ho mai avuto uno scozzese tra soci, clienti o fornitori. Ti saprò dire nel nuovo posto di lavoro… 😉
Paola Sposito
Ott 16, 2023 at 3:57 PM ReplyPer una che scrive e legge storie che di romantico non hanno nulla ma che nei film cerca le storie d’amore più complicate ed appassionanti, questa è stata una ottima lettura. Una storia coinvolgente sia per la trama che per lo stile scorrevole con cui è presentata. Avercelo a portata di mano un gentiluomo bello come Maximilian! Complimenti.
Barbara Businaro
Ott 16, 2023 at 10:48 PM ReplyBenvenuta nel mio blog Paola e grazie, grazie, grazie di questo commento! 🙂
Proprio in questi giorni, che sono di nuovo sotto Bronchenolo e Tachifludec per un raffreddore fastidioso, ho ripensato a questa storia, scritta con l’ispirazione dei medicinali. Eh sì, avercelo un gentiluomo come Maximilian, gli occhi azzurri del Nord. Almeno nelle storie che scrivo, lasciatemi sognare in grande. Non costa niente!