Vecchio viaggiatore di panchine

Vecchio viaggiatore di panchine

Questo è il mio parco, questa la mia panchina.
Le idee migliori mi vengono qui, col vento, con la pioggia, con la neve, ma sempre qui.
Non è granché bello a guardarlo: in alcuni punti manca l’erba, la stradina tortuosa che l’attraversa è rovinata dal gelo, le panchine sono consumate dal tempo e rovinate dai vandali, le piante cercano invano la luce in mezzo al cemento che le sovrasta.
Eppure è il mio parco e non vedo l’ora di tornarci ogni volta che posso. Nonostante tutto, c’è pace e serenità. Le auto sono sufficientemente lontane. L’unico rumore è quello dei bambini delle scuole elementari che giocano più in là, durante la pausa pranzo. Un dolce sottofondo.
Qui le persone sono un po’ più se stesse perché c’è quel silenzio che permette di ascoltarsi.
C’è la signora anziana in carrozzina in compagnia della badante che cerca di conversare con lei. C’è la ragazza che corre di fretta per la sua ora di jogging nell’unico pezzo verde rimasto in città, senza sentire il suono delle foglie, ma concentrata nelle sue cuffiette. C’è la baby sitter col passeggino ed il bambino che sorride curioso ai pallidi raggi di sole.
Oggi è una meravigliosa giornata, ma non sempre è così limpida. Eppure questo parco lo adoro anche quando non c’è nessuno, anche quando i suoi spogli rami grigi mi parlano dell’inverno, del freddo, della solitudine e della morte.
Sono pensieri bui, ma sono comunque pensieri e preferisco udire quelli che il fragore vuoto della frenata di un’auto.
Quel che mi piace di più è trovare una panchina, la mia panchina, e rifletterci su.
Anche chiacchierare al telefono mi sembrerebbe uno sgarbo.
Ci sono solo io, la mia penna, i miei appunti all’occasione, qualche passante curioso, qualche colombo affamato.

 

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Di lui sappiamo poco o niente. Se non che viaggia parecchio, ci scrive da luoghi lontani, a volte anche senza muoversi affatto. Colleziona foto di panchine, ognuna delle quali ha contribuito al suo spirito ed alla sua penna.

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