Tu non sei il risultato del tuo esame. Vali molto di più.

Tu non sei il risultato del tuo esame

Tra i ricordi della mia vita universitaria ce n’è uno che mi torna spesso alla mente, quando mi trovo di fronte a qualche prova particolare, esami scritti, test attitudinali o qualsiasi altra valutazione che preveda un giudizio sulle mie capacità.
Mi trovavo a ricevimento presso lo studio del mio professore di Statistica Economica, nella sede storica della Facoltà, per completare la documentazione della mia tesi, lui era il mio relatore insieme al professore di Finanza. La nostra conversazione viene interrotta da una chiamata al suo cellulare personale. Osserva lo schermo stizzito. “A questa devo rispondere, scusi…”
Riesco a sentire una voce concitata dall’altra parte mentre il professore si passa la mano sugli occhi chiusi e si strofina le palpebre con i polpastrelli. Risponde stancamente. “Lo sapevamo che stava andando così… ma non è una tragedia, suvvia… ripeterà l’anno e andrà meglio… ma non esageriamo…” Conclude la telefonata con un sospiro. “Scusi ma mio figlio è stato bocciato e mia moglie è sul piede di guerra. In fondo è un ragazzino, seconda liceo. Certo ha sbagliato, poteva studiare di più, ma non vale la pena di prendersela così tanto. Non è una tragedia immane, si può sempre recuperare un anno…”
Rimasi davvero colpita dal suo atteggiamento. Il figlio di un professore universitario era stato bocciato, non rimandato, proprio bocciato, e già questo era considerato gravissimo nella mia famiglia. Invece per il mio professore non era poi chissà che catastrofe.
Per me, che provenivo da una stirpe di contadini con scarsi mezzi, poteva ancora essere giustificato di non riuscire nei miei studi, ma il figlio di un professore, universitario per giunta, uomo di cultura con possibilità ben maggiori, non aveva alcuna scusa per buttare un anno di scuola nel vuoto. In quel preciso momento però invidiai da matti quel ragazzino.
Avevo frequentato ogni classe delle mie superiori con l’ansia del risultato, perché tra le mura domestiche mi si paventava sempre un futuro catastrofico in caso di bocciatura. E non ce n’era nemmeno motivo, visto che i miei voti erano sempre più che buoni, se non ottimi. L’eccezione era solo per dattilografia, e fa davvero ridere adesso vedermi sfrecciare sulle tastiere dei computer.
Anche il carico di responsabilità sull’esame di maturità, perché è importante uscire con la miglior votazione possibile se vuoi ottenere subito il bel posto in banca, è stato talmente eccessivo da mandarmi completamente in crisi il giorno della prova orale: scena muta, blocco totale, cervello disconnesso, informazioni chiuse nella mia mente, assente per la stanchezza. Mi hanno salvato gli scritti, il tema d’Italiano sul futuro informatico della civiltà e un compito di Ragioneria impeccabile anche nelle virgole, e la media abbastanza alta durante l’intero quinquennio. Ma per anni ho continuato a sognare quel triste giorno.
La conseguenza di un voto mediocre alla maturità è stata quasi la mia fortuna: nessuna azienda mi ha offerto subito un posto da impiegata, costringendomi a iscrivermi all’Università. Sono oggi convinta che allora sarei morta dietro una scrivania, avrei soffocato tutti i miei sogni. Purtroppo però la fatica sui testi universitari, e mica roba da poco, mi sono incaponita sull’esame di Matematica per ben sette volte, era centuplicata dalla mancata serenità in famiglia, dove ad ogni esame non superato mi si ricordava quanto le altre ragazze della mia età stavano già guadagnando, rendendosi economicamente indipendenti. Il mio professore invece mi trasmetteva molta tranquillità, specie per il giorno di laurea imminente. “Non si preoccupi per la discussione, è già tutto deciso quel giorno, e lei se la caverà bene. Oramai sono solo formalità.”
Quel pezzo di carta però mi è costato veramente sudore e sangue. Quanto sarei riuscita a realizzare davvero se le persone accanto a me avessero creduto maggiormente nelle mie capacità? Non lo saprò mai, anche se durante la mia carriera lavorativa sono riuscita a compensare quell’handicap grazie a colleghi straordinari che sì, sono stati spesso la differenza. Ho anche compreso qualcosa di fondamentale, che ogni studente dovrebbe scrivere a caratteri cubitali nei suoi quaderni.
Tu non sei il risultato del tuo esame.
Vali molto di più e nessuno lo potrà mai davvero riassumere in un numero. Un esame può capitare anche in un periodo complicato della vita personale, pieno di imprevisti e questioni urgenti su cui concentrarsi, intoppi di salute che non si possono ignorare, carico di domande sibilline proprio su quelle pagine che hai saltato di ripassare, di definizioni sfuggenti alla tua memoria fisicamente stanca. Tanti pianeti si devono allineare nell’esatta combinazione astrale perché un esame sia davvero espressione delle sole tue capacità, non sempre ti è concesso un cielo favorevole. Allora devi proprio renderti conto che è andata così, sfortuna o destino, e non è detto che quella giornata storta non sia lì apposta per aprirti un’opportunità migliore altrove, dove nemmeno sognavi.
Non è così scontata questa riflessione, se pensi a chi giunge addirittura a farsi del male per non dover confessare una spiacevole bocciatura o una laurea ancora lontana. Per quanto sia importante lo studio, non potrà mai rappresentare tutta la tua personalità e non vale la pena di crucciarsi per un singolo esito negativo lungo tutto l’arco della tua esistenza.
Se vuoi ottenere dei risultati, non in termini numerici ma di soddisfazione personale, vale una sola piccola regola.
Non smettere mai di imparare, qualsiasi cosa tu voglia imparare.

 

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Comments (18)

Daniela Bino

Gen 18, 2023 at 9:15 AM Reply

Questo post dovrebbe essere letto da docenti e studenti. Un voto è un numero che non dice molto. Una ragazza mi raccontava che legge molto bene, speditamente ma il cervello non capisce quello che gli occhi hanno letto. La storia diventa un dramma e si sente persa davanti allo sguardo scettico e sprezzante del docente. Perciò, pensa a sé stessa come ad un’incapace inconcludente, senza speranze. Ma in realtà, chi è davvero incapace? Un giovane come lei in difficoltà oppure un adulto che non ci prova nemmeno a suggerire una soluzione? O un genitore che terrorizza il figlio paventando per lui un futuro assai misero?
Il genitore è quello che fa la differenza perché accoglie e consola e sdrammatizza. Una cosa ho imparato come figlia e poi come madre: il desiderio di imparare e la curiosità verso il mondo che ci circonda aiuta sempre a superare ogni ostacolo.
Grazie per questo post! Mi ha ricordato cose importanti.

Barbara Businaro

Gen 18, 2023 at 8:25 PM Reply

Purtroppo non tutti i docenti hanno scelto la scuola per la vocazione all’insegnamento. E poi ci sono scuole che aiutano a trovare la propria strada e scuole che selezionano i “migliori” (ma spesso la scrematura è sull’importanza del cognome della famiglia). Sulla dislessia e sulla mancanza di strumenti adeguati a supporto di questi ragazzi si potrebbe aprire una voragine. Purtroppo lì sono i genitori a sopperire il più delle volte a un sistema scolastico pubblico deficitario.
Ed è come dici tu: il genitore fa la differenza, soprattutto nel lasciare il figlio libero di seguire la propria strada e le proprie passioni. 🙂

Stefano Franzato

Gen 18, 2023 at 9:33 AM Reply

Hai perfettamente ragione! Il fatto è che per trovare un lavoro valgono di più i punteggi (della maturità, di laurea, di un concorso) che il tuo essere come persona che un breve colloquio non ti farà conoscere di certo. Io, per esempio, non ho avuto un alto punteggio di laurea – meno di 100 – eppure facevo domande che mettevano in crisi i giovani assistenti o professori. Il periodo della tesi di laurea è stato poi uno di cui ho dei ricordi peggiori.

Barbara Businaro

Gen 18, 2023 at 8:53 PM Reply

Valgono davvero i punteggi per trovare lavoro? Si e no. Probabilmente dipende anche da quale settore si cerca impiego, ma gli ultimi colloqui di lavoro nel privato per informatica prevedevano almeno tre colloqui, di diverso livello, compreso un test di inglese. Il primo filtro è sul curriculum, non solo nel contenuto ma anche nella forma. Poi vanno a vagliare come la persona si presenta sui social media, per capire personalità e atteggiamento. Se ci sono potenzialità, chiamano per un primo colloquio, solo con le risorse umane. Se il lavoro è tecnico, il secondo colloquio è per testare conoscenze e competenze, lingue straniere comprese. Se si supera quello, si arriva al terzo livello, organizzativo e contrattuale. Posso assicurare che in questo ambito, più che il punteggio di laurea, conta l’Ateneo che si è frequentato, perché i selezionatori sanno benissimo quali sono le Università serie.
Per quanto riguarda i concorsi, per l’ammissione non considerano il punteggio del titolo. Mentre è nella formulazione della graduatoria finale che, se ci sono risultati uguali nelle prove del concorso, si guardano in ordine: titoli, merito, maggior numero di figli, anni di servizio nella Pubblica Amministrazione, minore età. Quindi ci si gioca prima tutto nelle prove scritte e orali del concorso, ed è oramai prassi chiedere il curriculum prima della prova orale.
Se c’è una cosa che ho imparato all’Università è di non fare troppe domande. Se infastidisci assistenti o professori, rischi di non riuscire nemmeno più a laurearti. 🙁

Brunilde

Gen 18, 2023 at 10:31 AM Reply

Tutto quello che hai scritto mi è tristemente familiare. Mio padre veniva da una famiglia contadina, molto povera. Come orfano di guerra aveva studiato fino alla terza media, unico fra i suoi coetanei in paese, che lo schernivano ( ” Che cosa vuoi diventare, un professore? ” gli dicevano ).
Si portò dietro tutta la vita il rimpianto di non avere il “pezzo di carta “, almeno un diploma.
Quindi, per la sua personale rivalsa, io DOVEVO essere la prima della classe, diplomarmi, laurearmi, abilitarmi. Non capiva che avrebbe fatto molto meglio a lasciarmi studiare in pace, senza alitarmi sul collo.
Comunque, il principio è molto più ampio: noi siamo persone, anima, cuore, emozioni e desideri.
Non siamo un esame andato male, da studenti.
O un divorzio, se siamo sposati.
O una frattura familiare, se nostro figlio ci rifiuta o non ci parliamo più con nostro fratello.
O un fallimento, se perdiamo il lavoro.
O una malattia, se siamo malati.
Le cose accadono. Noi siamo altro.

Barbara Businaro

Gen 18, 2023 at 9:05 PM Reply

O come dicono gli anglosassoni: shit happens! 😛
Diciamo che io ho subìto anche il contrasto di due diverse idee: da una parte il desiderio di rivalsa e dall’altra la convinzione che studiare serva solo a lavorare. Come primogenita sono finita nel mezzo di questa guerra, di cui ovviamente oggi tutti si sono dimenticati, tranne me…
C’è del buono in questo: ho imparato a combattere fino in fondo le mie battaglie e se tengo a qualcosa, nessuno mi ferma. 😉

Sandra

Gen 18, 2023 at 12:35 PM Reply

Eh no, neppure io ero quel 5— (yes, 3 meno per non darmi 4, così diceva) che prendevo puntualmente al compito in classe di…
ta daaaa dattilografia
E così, abbiamo scoperto un’altra cosa in comune.
Pazzesco.
Crescendo ci si rende conto che no, non siamo i numeri, per esempio neppure lo stipendio che prendiamo.

Barbara Businaro

Gen 18, 2023 at 9:10 PM Reply

Eh no, ti batto signora mia. Io in Dattilografia avevo… tienti forte… 4—- (un 4 e quattro meno!!!)
E poi in ufficio mi dicono di rallentare che spacco la tastiera! La motivazione è che nella vecchia Olivetti della scuola non riuscivo in nessun modo a raggiungere i tasti più lontani con i miei mignoli corti corti. Mentre questo problema nelle tastiere a sfioro dei portatili non c’è proprio, tiè!
Ah beh, non parliamo degli stipendi nella Pubblica Amministrazione. Se i concorsi pubblici per informatici vanno deserti è perché lo stipendio è praticamente un quinto rispetto alle competenze richieste. E mi viene da ridere tutte le volte che giù a Roma quisquiliano di Transizione digitale…

Grazia Gironella

Gen 18, 2023 at 8:04 PM Reply

I valori nella mia famiglia erano gli stessi della tua, anche se più impliciti e meno pesanti: chi è bravo a scuola riesce nella vita, chi è un “somaro” (si diceva così) non combinerà niente di buono. Anch’io avevo ottimi risultati a scuola, perciò non ne soffrivo se non in maniera indiretta. Certo anche così non ho preso con filosofia i miei due fallimenti: l’esame di guida da privatista (primo tentativo) e il voto basso alla maturità, tipo 52 o 54. Ho comunque interiorizzato bene il concetto: il rendimento scolastico è importantizzzzimo! Quando però ho tentato di applicarlo a mio figlio, lui mi ha fatta tornare a casa, del che lo ringrazio. Ci sono già abbastanza educatori che traumatizzano gli educati, senza che mi ci mettessi anch’io. 😉

Barbara Businaro

Gen 18, 2023 at 10:19 PM Reply

Ho preso un voto molto più basso del tuo, credimi. Sono uscita dall’istituto piangendo e mi sono eclissata in casa, ci ho messo giorni ad uscirne, a parlare con le amiche. La rivincita me la sono presa alla discussione della tesi, dove sono andata avanti per 40 minuti (dicono, io non guardavo mica l’orologio!) Avevo il mio powerpoint da proiettare e la commissione particolarmente interessata all’argomento: analisi dei rendimenti dei fondi comuni d’investimento, che quando si parla di soldi sono tutti vispi! 😀 😀 😀
Il rendimento scolastico è importante, ma fino a un certo punto. Conosco un bel po’ di 110 e lode che non sanno scrivere un testo decente per una mail di lavoro…
Come diceva il mio professore di Ragioneria, che detestava le lezioni imparate a memoria: non ci sono formule per idee confuse. 😉

Giulia Mancini

Gen 19, 2023 at 6:28 AM Reply

Purtroppo i genitori non sempre sanno motivare i figli nel modo giusto, i tuoi erano troppo severi nel modo sbagliato, mentre se ci pensi i genitori di oggi (almeno alcuni di cui sento parlare) i figli sono dei geni e se vanno male a scuola è colpa dell’insegnante, anche questa modalità non porta buoni risultati. I miei genitori per esempio erano assolutamente neutrali con la scuola, mi lasciavano piena autonomia, mia madre diceva soltanto che dovevo essere promossa perché non potevano permettersi di pagare un professore per le ripetizioni, nel caso fossi stata rimandata, problema che non si è mai posto visto che avevo sempre il massimo dei voti, tranne in dattilografia (ah vedi che abbiamo un punto in comune). Il mio problema era che non avevo la macchina da scrivere a casa (sempre per il problema dei soldi) per potermi esercitare ed ero una schiappa, anche adesso lo sono rimasta però, non eccello in velocità quando scrivo al pc. Comunque se un esame va male può accadere ed è certo che tu non sei il tuo esame di maturità che è molto legato alla gestione dell’ansia e i tuoi genitori non ti hanno aiutato a gestirla bene. Del resto l’esame di maturità è il grande spauracchio di tutti i tempi per tutti i maturandi (ci hanno fatto anche un film!) nella vita poi accadono nuove cose come tu stessa hai potuto provare, trovando colleghi che ti hanno spronato e apprezzato.
Credo tuttavia che questa tua determinazione derivi anche dal tuo contesto familiare perché ti ha spronato a dare sempre il meglio per una sorta di rivincita nei confronti dei tuoi genitori così poco empatici, anche questo ha formato il tuo carattere di roccia, perché adesso sei tostissima in tutti in campi.
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Barbara Businaro

Gen 19, 2023 at 5:00 PM Reply

Conosco parecchi insegnanti, anche per via del blog, e mi raccontano cose assurde sul ricevimento dei genitori. Ai nostri tempi, quando prendevi un brutto voto o una nota scritta, te ne tornavi a casa e venivi rimproverato una seconda volta dal genitore, ti restava solo di metterti sotto a studiare o chiedere scusa per il comportamento. Oggi invece il genitore si reca a scuola e chiede delucidazioni, difendendo a spada tratta lo studente, anche contro prove evidenti, compito scritto compreso. Mi raccontano di ragazzini “dottor Jekyll/Mister Hyde”, pestiferi in classe, angioletti tra le mura domestiche. E non stento a crederlo, perché anche in classe con me all’epoca ce n’erano, solo che i genitori davano maggior fiducia e credito alle istituzioni scolastiche. Oggi contestano i metodi di insegnamento, ma senza avere una preparazione adeguata per farlo. E soprattutto senza avere obiettività e distacco per valutare il proprio figlio. La cosa grave è che questo atteggiamento in realtà danneggia i ragazzi! Primo, l’insegnante tenderà a sopravvalutarli per evitare discussioni e problemi col genitore. Risultato: il figlio impara di meno, non sviluppa capacità di studio. Secondo, i ragazzi si abituano a qualcuno che li protegge invece di assumersi le proprie responsabilità. Risultato: faticheranno a trovare, e mantenere, un posto di lavoro.
In sostanza, passiamo da un estremo educativo all’altro… 🙁
Dattilografia era proprio una materia ostica, diciamolo. Mia madre riuscì anche a recuperare una vecchissima Olivetti meccanica, in prestito, e mi esercitai anche, da farmi male le dita. Raggiunsi un misero 5– (un cinque e due meno) ma niente di più, non potevo mica allungarmi i mignoli! 😀

Marco Amato

Gen 21, 2023 at 9:15 AM Reply

Ciascuno non è il risultato di un esame, e questo è vero. Però è anche vero che noi siamo il risultato di ciò che ci capita. La reazione di quel professore alla bocciatura del figlio, per il figlio è un evento che lo plasma. Ogni conflitto, ogni atto d’amore, ogni ferita, ogni cosa contribuisce a scolpirci. Noi umani siamo come certe rocce che colpite dalle gocce della vita man mano si plasmano. A volte vorremmo che certi dolori del nostro passato scompaiano. Vorremmo tornare indietro nel tempo per rimediare, per vivere in maniera diversa quel dato evento. Poi però ci rendiamo conto che siamo quel che siamo proprio perché abbiamo vissuto certi dolori, perché non siamo stati in grado di respirare appieno quei dati momenti di felicità.

Barbara Businaro

Gen 21, 2023 at 3:42 PM Reply

Non siamo solo il risultato di ciò che ci capita, ma anche di come decidiamo di comportarci di fronte a ciò che ci capita. Questione di carattere, ma il carattere si forma o si eredita? Penso che in gran parte si formi, a piccoli passi, proprio durante l’adolescenza, ma che non sia così immutabile. Sta a noi decidere di cambiare i nostri atteggiamenti lungo il corso della vita. Non ho mai creduto infatti alla frase di mio padre, per me terribile: “sono fatto così e oramai non cambio.” Gli faceva comodo pensarlo, perché il cambiamento richiede comunque una certa fatica, mentre è molto più facile crogiolarsi nelle proprie abitudini. Sicuramente certe sofferenze ci hanno plasmato, ma se mi guardo intorno e osservo altre persone, scopro che non funziona così per tutti. C’è chi nel dolore sviluppa una maggiore empatia col prossimo, ma c’è anche chi invece diventa più cattivo e aggiunge dolore al dolore. Perché l’uno e perché l’altro? Temo sempre per una questione di carattere…

Luz

Gen 21, 2023 at 11:16 AM Reply

Riflessioni non solo importanti, ma fondamentali. Da insegnante, ho ogni giorno dinanzi tutta la fragilità dei miei alunni. Dagli 11 ai 14 anni, l’arco di età di cui mi occupo, accadono due cose straordinarie: comincia ad abbozzarsi una personalità e si affacciano le prime grandi fragilità. Quando arrivano, bambini appena usciti dalle elementari, o sono terrorizzati dal passaggio o come avviene nella maggior parte dei casi posseggono quella leggerezza utile, molto infantile, che li rende capaci di guardare al mondo con incanto e speranza. Poi avviene la mazzata, la crescita fisica e mentale in seconda media, la prima vera trasformazione. Dice bene Galimberti, fino ai 12 anni i bambini ascoltano i loro genitori, poi c’è il distacco. E il legame che si instaura con un insegnante è anch’esso fondamentale. Sono aggrappati ai voti, alle valutazioni, perché i loro genitori hanno aspettative, neppure un genitore su dieci è capace di trasmettere loro il valore di un voto. Dobbiamo andare a stime diverse per trovare ragazzi che, forti dell’insegnamento in famiglia, non si sentono ossessionati dal numero.
Quel professore era davvero molto molto intelligente, Barbara. Non mi stupisce che tu ancora ricordi quel momento così vividamente.

Barbara Businaro

Gen 21, 2023 at 3:59 PM Reply

Grazie per questo tuo contributo Luz, che porta il punto di vista di un’insegnante, soprattutto di quella fascia d’età dove, mi confermi, si lascia l’infanzia per affacciarsi al mondo adulto. Forse i ragazzi di oggi cominciano prima, o forse ero io in ritardo, ma credo di aver avvisato un distacco alla fine della terza media. Lì i genitori smettono di essere “super eroi”, ti chiedi se non stiano mentendo quando affermano “lo faccio per il tuo bene”. Per tutte le superiori, complice ahimè la battaglia ormonale di un corpo in pieno sviluppo e di un futuro a tratti luminoso, a tratti pieno d’incertezze, contesti le loro decisioni perché non collimano con i tuoi desideri di libertà e indipendenza. La maturità alla fine giunge quando ci si rende pienamente conto che anche i genitori sbagliano, che è normale e persino giusto pensare diversamente da loro, e che dobbiamo inseguire la nostra strada, non quella che ci indicano loro. Come dice Gibran nella poesia “I figli”: “Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce viventi, sono scoccati.” Ma poi la freccia prosegue da sola, l’arco resta in mano all’arciere.

Marina

Gen 22, 2023 at 3:51 PM Reply

Ottima considerazione. Sono passata anch’io dal vaglio di una famiglia che avanzava delle pretese da me in termini di studio: non era il voto che contava, quanto la capacità costante di andare avanti. Sto parlando dell’università: una facoltà che non ti piace e sai ti appartiene poco non è facilmente “attraversabile”. Io ho ingoiato bocconi amari, nonostante abbia sempre intascato (e portato a casa) risultati dignitosi, però, col senno del poi, ringrazio anche un po’ quella spinta emotiva che mi dava il non dovermi arrendere mai, perché se da una parte lo facevo molto di più per compiacere i miei, dall’altra, nel tempo, ho avuto la dimostrazione che il sacrificio era valso a farmi ottenere molte soddisfazioni.
Comunque, sono d’accordo che non siamo il risultato di un esame superato, no, certo che no: esistono mille variabili e tutte hanno un’importanza nella vita: tutto insegna a da ogni cosa possiamo trarre insegnamento. Inciampare è solo uno step che non frena la corsa.

Barbara Businaro

Gen 22, 2023 at 8:19 PM Reply

Inciampare fa parte del percorso, l’importante è rialzarsi dalla caduta e continuare a camminare. Anche perché, come sottolinei tu, è sulle lunghe distanze, di lavoro e sacrificio nello studio, che giungono i risultati veri, non il singolo esame. Sicuramente l’atteggiamento delle nostre famiglie ci ha insegnato la perseveranza, però avrei preferito evitare la dieta pesante, con tutti quei bocconi amari… 😉

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