
L’ordine delle cose
Finito. Mi allontano un attimo, qualche metro all’indietro per osservare bene il risultato. Uhm, questo albero di Natale sembra sempre storto. Provo a tirarlo leggermente verso destra, nel tentativo di raddrizzarlo. Già meglio, però le decorazioni non sono distribuite uniformi. Qualche palla grande è finita nei rami di mezzo, creando uno squilibrio. Sospiro. Che faticaccia. Con pazienza, le tolgo, le sposto più in basso, cerco di coprire i buchi lasciati spostando le altre. Indietreggio nuovamente. Sì, forse ci siamo.
Quest’anno non volevo nemmeno farlo, stavo per cedere all’acquisto di uno di quegli alberelli piccolini già pronti, da tirare fuori dalla scatola, attaccare la spina delle luci alla presa elettrica e via. E invece eccolo qui, in tutta la sua maestosità dei due metri, oltre il vaso pesante di ghiaia vera, a occupare un terzo del mio salottino. Illumina tutta la stanza, per ricordarmi i tempi bui.
Mi occorre sempre un giorno intero per completare l’albero di Natale, tirare fuori tutto l’occorrente dalla cantina nel seminterrato del condominio, trascinarlo su al terzo piano, togliere tutto dalle confezioni, prepararlo con cura. E mi servirà un altro giorno al termine delle festività per smontarlo con ordine, ogni decorazione imballata dentro la sua scatolina, i rami compattati con cura, le luminarie chiuse senza grovigli, e riporre tutto quanto di nuovo in cantina. Ma il capoufficio mi ha obbligato a consumare un po’ di ferie, io che raramente mi prendo giornate a casa, e in qualche modo devo occupare il mio tempo, mentre tutti gli altri fremono per lo shopping natalizio e si ammassano per le strade del centro. Annalisa voleva trascinarmi là in mezzo. “Dai Emma, usciamo per un pomeriggio tra ragazze, mi aiuti a scegliere un paio di cose, tu hai buon gusto. Poi magari a cena ti fermi da noi…” Sono mesi che cerca di farmi conoscere un loro amico, o un parente, non ricordo, ovviamente single e disponibile. Così io la sto evitando.
Il ding secco del microonde mi salva dai miei pensieri. La mia cena è pronta, riscaldata in due piatti distinti, uno per l’arrosto e uno per le zucchine trifolate. Ma tolgo solo la carne e lascio le verdure ancora al caldo. Non riesco a mangiare il secondo insieme al contorno, deve tenere i cibi separati, in due momenti distinti, due compartimenti stagni. Come le emozioni, mi ha detto la psicologa. Anche se poi finisce tutto insieme nello stomaco, ma questo la mia mente lo ignora.
Il mio posto a tavola è già pronto, mi siedo e accendo la televisione sul telegiornale, giusto per sapere cosa accade là fuori. Guerra, devastazione, problemi economici, un cadavere ritrovato in fondo a una scarpata, l’ennesima donna uccisa dal compagno, si preannuncia un Natale ricco, i commercianti sono soddisfatti della ripresa, nonostante il caro energia. Confortante. Dopo le previsioni del meteo, cambio canale su un vecchio classico, “Il mago di Oz” con Judy Garland. Mentre canta “Somewhere Over the Rainbow” sistemo le stoviglie e bevo la mia camomilla bollente a piccoli sorsi.
Finalmente tutto è tornato in ordine, pulito e disinfettato. Osservo le piastrelle lucide del pavimento, perfette. Posso andarmene a dormire tranquilla. Come ogni sera, controllo tre volte la chiusura del gas in cucina, sotto il lavello. Poi il portoncino dell’ingresso, uno sguardo allo spioncino, tutto tranquillo.
Nella mia camera da letto, preparo le scarpe allineate davanti alla poltrona, pronte per il mattino. In bagno mi strucco, anche se non c’è molto sul mio viso, e mi infilo nel box per una doccia calda veloce. Spero sempre che l’acqua si porti via le mie angosce per una nottata serena. Alla fine mi lavo i denti e ho cura di lasciare spazzolino e dentifricio ai lati opposti del bicchiere di vetro. La simmetria degli oggetti mi conforta. Mi infilo il pigiama e prima di coricarmi sotto le coperte controllo che il tappeto scendiletto sia allineato con i listoni di legno del pavimento. Spengo la luce.
Certi giorni vorrei morire solo per vedere se ci sarà qualcuno al mio funerale. I miei genitori e mio fratello non contano, sarebbero obbligati dalle convenienze. Annalisa ci sarebbe di sicuro, probabilmente lo organizzerebbe lei. Qualcuno dell’ufficio, forse. Al lavoro sono un’impiegata molto apprezzata, per la mia precisione e affidabilità, ma trovo qualche ostilità nelle colleghe, nonostante mi offra sempre per coprire le loro assenze, io che non ho impegni famigliari assillanti. Anzi, non ne ho affatto.
Loro non immaginano proprio quanto io invidi le loro vite.
Un rumore dall’altra parte del muro, cadenzato ma mai uguale, disturba il mio tentativo di assopirmi. Qualcuno mormora “Basta” e cerca di spostare qualcosa per ridurre il fastidio. I nuovi vicini di casa sono un po’ chiassosi, ma hanno appena traslocato. In fondo, mi sento meno sola, mi fa bene sentire un po’ di vita e spegnere i miei pensieri.
Il cuore sobbalza, la camomilla tarda a fare effetto. Lo so cos’è. L’ansia delle feste. L’ansia di andare a pranzo dai miei, di vedere i parenti, le loro famigliole felici, tutte sorrisi e carezze, e di subire le solite, inutili, fastidiose, terribili domande.
Speriamo che questo Natale passi in fretta, senza altri danni permanenti.
Il giorno dopo, il giovedì prima di Natale, mi sveglio con calma, senza il cicaleccio dell’orologio elettronico sul comodino. Lascio che sia la luce filtrata dalla persiana a riportarmi nel mondo dei vivi, anche se un certo tramestio dall’altra parte del muro ha contribuito a interrompere il mio sonno. Mi giro verso quei numeretti rossi sotto la lampada e vedo che sono già le dieci. Non ho mai dormito così fino a tardi, ma del resto non ho proprio nessun appuntamento impellente, devo solo rilassarmi.
Infilo la mia vestaglia in morbido pile rosso, quella che dovrebbe aiutarmi con un po’ di allegria natalizia, e me ne vado in cucina per la colazione. Ho assoluto bisogno di un buon caffè caldo. Mentre attendo che si scaldi la macchinetta, mi preparo un paio di fette con la marmellata, usando il mio cucchiaino porta fortuna per la colazione. Ha il manico bianco, con un intarsio colorato, oramai stinto. L’ultimo di un prezioso set di posate di nonna Adelaide, prezioso solo per me perché è uno dei pochi oggetti dai ricordi buoni. Se mi dimentico di lavarlo la sera prima, rigorosamente a mano, il giorno dopo è una tragedia. Mi tocca prenderne un altro, un cucchiaino stupido qualunque, e la mia giornata comincia davvero storta.
Accendo la radiolina sul pensile e ascolto un po’ di musica classica. Oggi devo impacchettare gli ultimi regali per la famiglia, ma di sicuro mi toccherà uscire per recarmi al negozio di elettrodomestici. Dovrebbe essere arrivato il frullatore per mia madre e spero le vada bene, marca e modello li ha scelti lei, ma è capace di trovarci dei difetti comunque. Alle colleghe ho già pensato, i pacchetti consegnati già lunedì, dei morbidi cuscini cuciti a mano, con decorazioni natalizie in feltro. Li ho presi tutti a un mercatino solidale e sono proprio stupendi. Uno l’ho tenuto anche per me, il musetto di una renna mi guarda dalla poltrona nell’angolo.
Terminata la colazione, mentre attraverso il salotto per andare verso le camere a vestirmi, ho un improvviso déjà vu.
Un profumo di biscotti al burro e terra bagnata colpisce le mie narici. Lei è lì, seduta nel mezzo del divano, con uno dei suoi libricini tra le manine. Indossa lo stesso completino e le scarpette colorate di quel giorno. Quelle chiuse adesso dentro la scatola in cima all’armadio, nascosta. Mi guarda, chiude il libricino e lo lascia da parte. La vedo scendere dal divano con difficoltà, con le sue gambette paffute. Vorrei aiutarla ma non mi muovo, ho paura che svanisca troppo presto. Camminando la vedo crescere, i capelli le crescono sulle spalle, la sua figura si allunga, il viso cambia forma. Mi sorride, gli occhi le brillano di felicità. E alla fine esce in un soffio dalla porta principale. La stessa dalla quale anche mio marito se ne è andato, quando l’abbiamo perduta, per sempre. Il dolore che provo è così grande che l’universo non riesce a contenerlo. E non mi abbandona mai, nemmeno per un istante.
Qualcuno però bussa forte alla porta proprio in quel momento. Possibile che…? Sto sognando. La mia mente mi gioca spesso strani scherzi. Mi riscuoto, ma qualcosa continua a battere sul legno là fuori, nella parte bassa del serramento. Perché non suonano?
Sconcertata, avanzo cauta verso l’ingresso. Apro la porta e lì, accovacciata sul tappetino di benvenuto, c’è una bambina piccola in pigiamino. I capelli arruffati dal sonno, con i ricciolini scomposti, e lo sguardo birichino, da marachella in corso.
“E tu chi sei?” riesco solo a dire. Scatta in piedi e si nasconde dietro le mie gambe, infilando la testa sotto la mia vestaglia. Dal portoncino di fronte giunge trafelato il vicino di casa, presumo il genitore della bimba, l’unico ben vestito.
“Scusi, ha mica visto una bambina… Tania!” Scorge subito il visetto che fa capolino tra le mie ginocchia. “Mi spiace le abbia dato fastidio. Vieni subito in casa Tania!” La piccoletta si ritrae sotto la mia vestaglia, sento le sue manine stringere forte la mia coscia.
“Mi sono dimenticato la porta aperta, quando sono entrato in casa con tutte quelle borse. L’ho lasciata un attimo per andare giù in portineria, e stava dormendo…” La guarda minaccioso, anche se non riesce a trattenere un sorriso.
“Nessun problema…” gli rispondo. La piccola Tania intanto si discosta dalle mie gambe. Si piazza davanti, mi guarda, leggo una domanda nei suoi occhietti vispi.
“Io sono Emma” le dico.
Annuisce e poi si aggrappa alle ginocchia del papà.
“E io sono Francesco.” Avrà la mia età, penso. Forse qualche anno di più, con quei piccoli solchi a fianco dei suoi occhi verdi.
Tania scoppia a ridere e scappa di nuovo, stavolta verso casa sua. Il padre le corre dietro, lasciando nuovamente la loro porta spalancata. Risate, fruscii, pure un miagolio arrabbiato.
Poi sento Francesco chiamarmi. “Scusa Emma, puoi venire a darmi una mano? Per favore…”
Così mi ritrovo in pigiama, vestaglia e ciabatte invitata dai nuovi vicini.
La loro casa è davvero molto disordinata. No, anche il disordine sarebbe ordine qui dentro. Questo invece è caos puro, il regno assoluto della confusione e probabilmente l’anarchia indiscussa dei batteri. L’ingresso è intralciato da scarpe di ogni tipo, qualcuna infangata ha sporcato il parquet. Nel loro soggiorno, un bellissimo open space con la cucina aperta, ci sono giocattoli sparsi ovunque, una seduta del divano rovesciata a terra, piena di briciole. Avanzo cauta per osservare ai miei piedi delle stelline appiccicose, residuo di qualche pranzo consumato rincorrendosi, immagino. Infatti sul tavolino ci sono un piatto e un cucchiaio dispersi. E quando mi giro trovo l’albero di Natale abbattuto, lungo disteso a terra, con tutti gli addobbi e pure le lucine accese, ma adagiato sul tappeto orientale. Alla base, o quella che dovrebbe essere la sua base, alcuni regali impacchettati, con la carta tutta sgualcita, graffiata e squarciata. Pure qualche scarabocchio occasionale con un pennarello nero.
“Ma che è successo?!” La mia voce acuta trasuda d’ansia.
Francesco ai fornelli, si volta verso di me. “Ah, l’albero? Beh, il nostro gatto continuava a salirci sopra, con danni ingenti, sia per l’albero che per il gatto. Quindi alla fine abbiamo deciso di lasciarlo lì. Male non fa. E finalmente Max sembra tranquillo.”
“Max?” chiedo sovrappensiero, senza fiato di fronte alla visione del loro angolo cottura, un campo di combattimento devastato.
“Quello. Il gatto.” Francesco indica con la testa un punto dietro di me, mentre continua a rigirare un mestolo su un pentolino di latte. Un felino rossiccio, bello in carne, giunge placido alle mie spalle, mi degna appena di un’occhiata, e poi si ferma davanti alla sua ciotola stracolma di croccantini. Ogni tanto sbuffa, giusto per far notare la sua presenza.
“Scusa, mi prendi Tania? Così tolgo questo dal fuoco.” La piccolina infatti vorrebbe scappare, ma il papà la tiene stretta per un braccino. “Sto cercando di prepararle la colazione, ma stamattina sembra impossibile. Di solito, ci pensa la baby sitter, ma sotto le feste ce la dobbiamo cavare da soli.”
Quando mi avvicino, lei mi salta quasi addosso. La prendo in braccio, è così leggera. Si stringe al mio collo con energia, odora di tenerezza. Aspetto che Francesco le prepari la tazza con il latte caldo, il Nesquik e i biscottini a forma di animaletti, poi la metto a sedere al suo posto. Lei mi offre una giraffa e un elefante, li accetto volentieri e devo dire sono buonissimi.
Lui mi offre un caffè, e sono quasi tentata, anche se ne ho appena bevuto uno a casa. Però mi ricordo di essere ancora in vestaglia e quindi li saluto entrambi, non senza qualche curiosa domanda nella mia testa, che decido di tenere per me.
Nel pomeriggio, al ritorno dagli ultimi acquisti di Natale, mentre salgo gli scalini, c’è un visetto che mi scruta dalla porta accostata dei vicini. Quando mi vede arrivare, lancia un acuto, ride e mi corre incontro, stavolta con una tutina verde da perfetto elfo birbantello. Afferra un angolo del mio cappotto e comincia a tirare.
“Cosa c’è Tania? Dove mi vuoi portare?” Capisco che mi vuole trascinare a casa sua e così la seguo.
Francesco è di nuovo ai fornelli, decisamente più in ordine di stamattina, e c’è un profumo intenso di cacao nell’aria. “Sei arrivata per fortuna. Ti stava aspettando da un po’ seduta per terra… Ti va una cioccolata calda? Sono riuscito a non bruciarla.”
“Oh si, grazie. Fuori si gela stasera e avevo parcheggiato lontano dal centro.”
“Tania, mostra a Emma dove sono i biscotti delle fate.” La bimba zampetta verso di me tutta sorridente. Per un attimo mi manca il respiro, la mia mente torna al passato, ma poi Tania prende la mia mano e mi riporta al presente.
“Eccola, adesso parte” mormora Francesco a voce bassa.
La testa di Tania ciondola pesantemente sopra il piattino di biscotti, gli occhietti tentano di rimanere aperti, ma si chiudono senza controllo. Lui fa appena in tempo a spostarle la tazza da davanti, che la testolina ricciuta cade lì sopra il tavolo a dormire.
“Ma come…?” sussurro incredula. Pochi secondi prima era tutta risolini e facce buffe.
“Eh, ha scaricato le pile. Succede sempre a quest’ora. Non vuole fare il pisolino dopo pranzo, testarda come sua madre. E poi crolla così alle cinque, puntualissima.”
La prende con delicatezza dalla seggiolina, se la appoggia sulla spalla e la porta fino al divano. La adagia tra i cuscini e la copre con la copertina di pile con gli orsetti. “Adesso dormirà per mezz’oretta, poi tornerà a carica completa, vivace come prima.”
“Beh, ogni tanto ci sarà la madre a darti il cambio, no?” La frase mi sfugge, prima che riesca a mordermi la lingua per trattenerla. Non occorre sapere, anche se è facile intuire qualcosa, si avverte un’assenza.
“La madre non c’è” risponde Francesco un po’ mesto.
“Non c’è più” aggiunge di fronte allo sguardo interrogativo che non ho saputo nascondere. “Sono vedovo.”
Oh. Oh cavoli. “Mi spiace” riesco solo a dire. Credevo fosse solo divorziato.
“Beh, io sono a posto. E’ più per Tania, anche se non ricorda sua madre poi molto.” Si alza e versa sulle nostre tazze il resto della cioccolata rimasta sul pentolino. Non credo molto alle sue prime parole, conosco bene le bugie che si dicono per tacere il dolore.
“Mi spiace tanto. Crescere una bambina piccola, da solo. Posso chiedere come… No, scusa, lascia perdere!”
“Un incidente. Guidava troppo veloce, la strada bagnata, ha perso il controllo in curva.” Beve un altro sorso dalla tazza, sta evitando il mio sguardo. “Avevamo appena litigato. Mi aveva lasciato, se ne stava andando di casa, senza Tania.”
Mi sento mancare il respiro. Il mio pensiero va a quella puffolina, che ronfa beata là sul divano. Come si può lasciarla? Non riesco proprio a immaginarlo. Ma del resto qualcuno ha abbandonato me, e nemmeno quello avevo potuto immaginarlo.
“Sei la prima persona a cui lo dico, scusa.” China la testa sulla tazza della cioccolata, affranto. “I genitori di mia moglie, e nemmeno i miei, non sanno nulla. Non ho avuto il coraggio di dirglielo. Ma stavo passando l’inferno, con Elisa, mia moglie. A volte penso che è stato meglio così, e mi sento anche peggio.”
Gli poggio una mano sull’avambraccio. Tendiamo sempre a colpevolizzarci su tutto, e siamo quelli con meno colpe.
Dopo qualche minuto di silenzio e un paio di biscotti sgranocchiati in silenzio, arriva una domanda, una di quelle che mi fanno tanta paura, che evito con tutte le mie forze perché non ho mai una risposta adeguata.
“E tu? Qual è la tua storia Emma? Ho visto due cognomi sul campanello, ma abitiamo da due mesi qui e non ho visto nessun altro al nostro piano.” Mi scruta con quei suoi occhi verdi, molto belli per altro. Potrei innamorarmi di uno sguardo così intenso, se il mio cuore riuscisse ancora a battere dopo così tanto tempo.
“La mia storia è triste quanto la tua, credo. Solo che io non riesco ancora a parlarne.”
Il giorno dopo è il campanello di casa, suonato con una certa urgenza, a farmi sobbalzare mentre sto stendendo gli indumenti appena tolti dalla lavatrice. Quando mi avvicino all’ingresso, sento dal pianerottolo l’eco della voce di Francesco mormorare disperato. “Speriamo sia in casa, Tania, sennò siamo proprio fregati.”
Tolgo la catenella e apro la porta. “Buongiorno. Che succede?” Tra i due non so chi abbia una faccia più afflitta. Tania si agita capricciosa tra le braccia del padre, finché non si accorge di me. Allora avanza le mani per venire coccolata dalla sottoscritta.
“Emma, mi spiace disturbarti. Ma devo proprio andare d’urgenza in ufficio, hanno combinato un pasticcio con un fornitore, il quale minaccia di ritardarci i pagamenti. E non ce lo possiamo proprio permettere. Potresti…”
Non lo lascio terminare la frase. “Vai pure. Non preoccuparti. Non ho nessuna uscita oggi, solo qualche lavoretto in casa, ma posso rimandare senza problemi.” Mi passa Tania, che vola letteralmente al mio collo con slancio.
“Queste due ragazze,” aggiungo sorridendole “se la caveranno benissimo da sole, vero?”
“Perfetto. Mi faccio perdonare con la cena, giuro! Cosa vuoi? Pizza, hamburger, piadine, sushi?
“Pissaaaaaa!” esclama Tania battendo le mani entusiasta.
“Direi che la pizza va bene, qualsiasi tipo, mangio quello che mangiate voi, senza problemi.” Penso che sarà una serata divertente, anche se in mezzo al loro disordine. Ma in qualche modo mi ci sto abituando. Potrebbe persino essere terapeutico.
Francesco dà un bacio sulla guancia alla figlia e senza pensarci si sposta a darne uno pure a me. Ci saluta mentre trafelato salta gli scalini due a due per correre al lavoro. Ha lasciato la porta di casa loro aperta, e così decido di spostarci di là, anche perché da qualche parte ci sarà pure Max da tenere sott’occhio. Nonna Adelaide aveva un gatto e ci stavamo abbastanza simpatici.
Il resto del pomeriggio decidiamo di fare i biscotti insieme, proprio con la vecchia ricetta di nonna, burro, uova, farina, la scorzetta di limone, un po’ di lievito, la vaniglia, che loro non hanno e allora la prendiamo dalla mia cucina, dove rinvengo anche le formine natalizie, regalo fino ad oggi inutile di mia madre. Ci divertiamo come pazze, entrambe impiastricciate di farina, capelli compresi. Quando inforniamo, Tania si appiccica al vetro per osservare la magia dei biscotti che si gonfiano e cambiano colore. Il profumo invade tutto l’appartamento, svegliano anche Max dal suo torpore. Scodinzola tra le mie gambe, alquanto curioso.
Dopo il nostro latte caldo e biscotti fatti in casa, ci mettiamo sul divano e Tania crolla puntualissima alle cinque, tra le mie ginocchia. La lascio tranquilla e pulisco un po’ la cucina, ma il mio telefonino inizia a squillare imperioso. E’ la suoneria che ho associato alle chiamate di mia madre, per sapere all’istante cosa mi attende.
“Ciao mamma” rispondo già rassegnata.
“Dove sei? Ti ho cercato al fisso di casa ma niente.” Il suo solito tono accusatore.
“Sono da amici, ci sentiamo più tardi.”
“Amici? Quali amici? Li conosco?”
“No, sono dei nuovi vicini, di quartiere.” Meglio non farle sapere che è l’appartamento di fronte al mio.
“Bene, allora puoi venire via anche subito. Dobbiamo metterci d’accordo per il pranzo di Natale, dovresti proprio darmi una mano, abbiamo invitato anche gli zii e c’è parecchio da cucinare.”
“Mamma, adesso non posso. Sto facendo da baby sitter, c’è stata un’urgenza.”
Avverto un silenzio pesante dall’altra parte della linea. “Mamma? Ci sei?”
“Da baby sitter… questa poi. Ma chi sono?”
Quasi mi venisse in auto, Max rovescia la ciotola dell’acqua, combinando un disastro per tutto il pavimento, coperto di farina.
“Scusa, devo andare, il gatto ha appena vomitato per terra…” Bisogna esagerare sempre con mia madre, proprio come fa lei.
“Il gatto? Quale gatto? C’è pure il gatto?!”
Le chiudo praticamente il telefono in faccia.
Tania si sveglia dal suo riposino tardivo, la sento mugugnare sul divano e vado a sedermi con lei. Ma il telefonino squilla di nuovo, stavolta con una suoneria più lenta e subdola. E’ mio fratello.
“Cos’è questa storia che adesso fai la baby sitter? Non hai mai accudito i tuoi nipoti. Perché degli estranei si?”
Non riesco nemmeno a rispondergli, non so nemmeno con quali parole, perché le sue mi hanno ferito all’istante.
Premo il tasto rosso e stacco la conversazione. Ma la suoneria di mia madre si fa sentire quasi subito.
“Ma da quanto li conosci esattamente? Stai attenta. Che tu sei troppo buona, e poi di fai fregare…”
Il dolore mi travolge come una valanga e non riesco a trattenere le lacrime.
Tania seduta vicino a me afferra il mio cellulare.
“Batta! Batta!” grida imperterrita e nasconde l’apparecchio sotto i cuscini della poltrona lì a fianco.
Poi si avvicina al televisore e prende la custodia del dvd di “Frozen”, il cartone animato delle due principesse sorelle. Me lo poggia in grembo e mi abbraccia forte.
Quella sera, quando torna a casa Francesco, stiamo cantando a squarciagola parole senza senso, inseguendo le note di una delle melodie di “Frozen”. Tutte e due sul divano, Tania in piedi tra i cuscini, il telecomando come microfono improvvisato del nostro concerto. Ancora con la farina nei capelli, le mani profumate di burro, qualche sbuffo di cioccolata sui nostri visi sorridenti. Il gatto ci osserva incuriosito, seduto sulle zampe posteriori, ogni tanto un miagolio di complicità.
“Però! Ve la intendete proprio voi due!” esclama quando ci sorprende alle spalle. La sua entrata riempie il soggiorno del profumo intenso del pomodoro e dell’origano. Appoggia i cartoni sul tavolo, che io e Tania abbiamo già preparato per la cena, i piatti sono già caldi nel forno acceso. La bambina scende veloce dal divano, perdendosi un calzino e gli corre incontro, soprattutto per la pizza.
“Tutto a posto in ufficio?” chiedo sistemandomi un po’, devo essere proprio un disastro, fortuna non ci sono specchi in soggiorno.
“Si, sono riuscito a tamponare la situazione e calmare il cliente. Grazie, dico davvero!” Mi appoggia una mano sulla spalla e sento tutta la sua gratitudine in quel tocco lieve. “Allora… ho preso tre pizze, e le ho fatte fare con ingredienti diversi per ogni metà. Quindi spero ce ne sia almeno una che ti piaccia, Emma.”
Prendo i piatti dal forno, tagliamo le nostre fette e ci sediamo a tavola. Come una vera famiglia, penso per un attimo. Ma poi scaccio quel pensiero pericoloso dalla mia mente. Ho già avuto la mia occasione, non sono certa di meritarne un’altra.
Mangiamo ridendo e scherzando, mentre la televisione manda le immagini animate di un altro classico del Natale, La Bella e la Bestia. La piccolina lancia acuti divertiti per il cagnolino poggiapiedi e io la immagino già vestita di giallo per il prossimo carnevale.
“Eccola, di nuovo le pile scariche.” Tania si è addormentata sulla sedia, con la testa reclinata all’indietro, il visino impiastricciato di pomodoro. “Un po’ mi dispiace, ma devo ricaricarmi anch’io. Certe volte mi sento troppo vecchio per la sua vivacità” dice piano Francesco, mentre si alza per portarla a dormire.
“Dammi dieci minuti, la metto a letto nella cameretta e torno. Max!” Il gatto si alza dal bracciolo della poltrona, stiracchiandosi la schiena, salta giù con un balzo e li segue placido. “Dormono insieme questi due…” Francesco alza gli occhi al cielo ridendo.
Nel frattempo sgombero la tavola e rassetto un po’ la cucina, infilo i piatti nella lavastoviglie, già piena e puzzolente. Rovisto in qualche cassetto finché scovo le pastiglie detergenti e decido di accenderla, così domattina troveranno tutto pulito. Anche il fornello ha conosciuto giorni migliori. Sotto il lavello scopro lo sgrassatore e in pochi minuti pulisco anche il ripiano, splendente. Dentro uno stipetto alto rimedio una scopa e una paletta, raccolgo le briciole da terra. E poi già che ci sono, passo velocemente anche il soggiorno, riponendo i giochi di Tania nella loro cesta e sistemando i cuscini dei divani.
“Oh ma… hai pulito tutto! Grazie! Non dovevi!” Francesco mi rivolge uno sguardo dolce, e un po’ triste. “Questa casa è sempre un disastro. Devo aspettare che dorma, ma poi sono troppo stanco anch’io…”
Si gira per ammirare il risultato e poi si blocca. “L’unica nota stonata è quell’albero.”
“No, mi piace il vostro albero” dico con convinzione. “E’ particolare…” E’ molto più vero di tanti altri, penso tra me.
“Già. Tutto merito di Max… Scommetto che il tuo è bellissimo, curato, e in piedi.”
“Si. Ma io non dovrei nemmeno farlo l’albero di Natale… la psicologa me l’ha sconsigliato” replico con una punta di malinconia.
“E perché mai?” Si avvicina per togliermi scopa e paletta, poi li ripone nell’armadietto.
“Troppi ricordi…” Mi scappa un sospiro. “Brutti ricordi…” La mia voce si rompe, la gola stretta in un morso di dolore.
Francesco torna veloce verso di me e mi avvolge tra le sue braccia, energiche e calde. E’ più alto di me, così la mia testa finisce appoggiata al suo cuore. Non c’è niente tra di noi, ma non ce n’è bisogno. A volte un abbraccio è solo un abbraccio, non ha altri scopi o significati particolari, non risolve i problemi, non li fa scomparire. Ma il potere di un abbraccio, un semplice abbraccio, è enorme. Ci fa sentire meno soli. Questo è il primo vero abbraccio che ricevo dopo tanti anni.
Non mi chiede altro, beviamo una camomilla insieme, in silenzio, ma comunque vicini.
Torno nel mio appartamento e vado a letto sfinita. Tania richiede davvero uno sforzo fisico non indifferente, anche se non me ne sono accorta affatto. Mi dimentico di controllare il gas, la porta, il tappeto, le scarpe. Semplicemente spengo la luce e dormo, sognando un paese ghiacciato, pupazzi di neve che parlano e gli occhi sorridenti di una puffolina deliziosa.
E’ finalmente sabato, la vigilia di Natale. Una giornata un po’ uggiosa alla finestra, ma le luminarie natalizie sono accese fin dal mattino e il panorama non è così male. Non ho impegni, niente uscite, tutto è pronto per il pranzo di domani dai miei. Preferisco non arrivare all’ultimo giorno impreparata, perché mi metterebbe ancora più ansia di quella che già stanca il mio cuore. Lo sento ogni tanto perdere un colpo, un ritmo disconnesso per dirmi che il mio posto non è là, che quelle persone non mi fanno stare poi così bene.
Sento del trambusto provenire dall’altra parte e mi tranquillizza, in qualche modo. Mi sembra quasi di sentire i risolini di Tania, ma quella dev’essere la mia immaginazione.
Mi metto a sistemare documenti e conti di casa, rimasti in arretrato, ma il telefono squilla in continuazione. Talvolta sono amici e parenti per i consueti auguri natalizi, ma troppo spesso sono mia madre, mio fratello, mia cognata e pure i messaggi di mio padre, lui non chiama mai, scrive solamente, a tartassarmi sui nuovi vicini. Chi sono, cosa fanno, perché fai la baby sitter, quando vieni da noi, ricordati di portare questo e quello, come ti vesti, ci sono anche gli zii, ricordati di non nominare quella vecchia faccenda, mi raccomando niente politica, non cominciare con i tuoi soliti discorsi di etica, ambiente e quelle cose lì, che è Natale e vogliamo stare tranquilli, e per favore niente musi lunghi, cerca di sorridere almeno domani. Quando chiamano lascio il cellulare con il vivavoce e continuo ad occuparmi delle mie faccende, possibilmente senza ascoltarli, come mi ha consigliato la psicologa. Ma è difficile, certe frasi si insinuano comunque nella mia mente, e scavano, scavano, scavano solchi profondi nelle solite ferite.
Alla fine esco per qualche altra spesa, non urgente, del pane e del latte freschi, una rivista all’edicola, giusto per svagare la mente. Passo davanti a un negozio di giocattoli e mi viene un’idea. Perché aspettare carnevale per quel vestito giallo di Belle?
Entro e in mezzo alla folla di genitori disperati, una commessa gentilissima in magazzino trova proprio quello che mi serve. Dovrei cercare un regalo anche per Francesco, ma ho paura di azzardare qualcosa di impegnativo, in fondo lo conosco solo da qualche giorno. Quando mi presento in cassa però, c’è un oggetto che cattura la mia attenzione: un piccolo albero di Natale di peluche, con la base pesante, non cade mai, torna sempre in piedi quando lo si colpisce. Perfetto!
Quando salgo le scale del nostro condominio, decido di suonare all’altro campanello. Mi apre Francesco, con i capelli arruffati e la barba non fatta. Questa volta mi colpisce, è un bel ragazzo, non c’è dubbio, ma mi riprendo subito.
“Ciao! Vi va una cioccolata calda da me?”
Non faccio in tempo a finire la frase che Tania è già sotto al mio cappotto, e ride sorniona sulla mia pancia.
Ci mettiamo nella mia cucina, al tavolino piccolino, ma Tania dura pochissimo seduta sulla sedia. Svuota la sua tazza in fretta,e poi sgattaiola nell’altra stanza. La vediamo dalla porta scorrevole aperta. E’ impalata a guardare il mio albero di Natale, seduta per terra sul tappeto del salotto, lo sguardo all’insù, incantata dalle luci intermittenti. Ogni tanto alza la mano, per toccare una palla brillante, un angioletto, una campanella.
“Sarà dura riportarla di là…” Francesco la osserva un po’ preoccupato.
“Basterà aspettare le cinque!” Indico l’orologio a parete ridendo. “Guarda, manca poco!”
“Già! Ah, questo mi ricorda una cosa… aspettami qui.” Si alza e se ne va nell’altro appartamento. Un minuto dopo lo vedo arrivare con due sacchetti colorati. “Ecco, questi sono per te. Quello grande lo ha scelto Tania, quello più piccolino è da parte mia.”
Il mio cuore sobbalza d’entusiasmo. “Oh, io… grazie!” Temo di arrossire e non riuscire a frenarmi.
“Anch’io ho pensato a voi. Tania!” La bambina si gira verso di me. “Prendi quel pacchetto rosso vicino a te, sì, quello lì, in basso. Brava! E poi quell’altro verde scuro, col fiocco blu… Si, esatto. Portali qui per favore.” Arriva sgambettando, fingendo di portare due pesi faticosi, ma in realtà sono leggeri. “Questo è per te” le dico, lasciandole la confezione rossa. “Mentre questo è un pensiero per te” e consegno l’altro a Francesco, la mano mi trema un po’.
“Grazie… gentilissima. Li apriamo domani, insieme?” mi chiede. “Noi avremo i miei genitori qui a pranzo. Beh, è mia madre che cucina e porta tutto, ma tu suona quanto rientri dal tuo pranzo, noi ci siamo.”
“Non so quando sarò a casa, non ne ho idea.” Non ci vorrei nemmeno andare, se è per quello.
“Va bene a qualsiasi ora. Per favore, non farti problemi. Li apriamo insieme.” Francesco insiste e non mi lascia scuse.
“Ok, li apriamo insieme.”
Finalmente Natale. Una pallida luce fa capolino dalla finestra del bagno. Sono in ritardo, ritardissimo. Ieri sera ho dimenticato di puntare la sveglia, sono già le dieci e ho tutto da fare. Incespico rischiando di cadere, mentre mi muovo frenetica per recuperare il tempo perduto. Mi vesto in fretta e furia, per fortuna avevo già scelto cosa indossare oggi, una lunga gonna in lana grigia, un maglioncino rosso con fili d’argento, che mi cade molto bene sui fianchi, gli stivali lucidi che mi slanciano un pochino. Da quando l’ho acceso, il cellulare non mi dà tregua, rallentando le mie capacità cognitive. Mia madre mi ha già chiamata tre volte, lamentandosi del mio ritardo e ricordandomi sempre le stesse cose. Sento il cuore pulsare impazzito dall’ansia ogni volta che partono gli squilli di un’altra telefonata in arrivo. Cerco di truccarmi, ma la mano trema così tanto dall’agitazione che rischio di infilarmi il mascara in un occhio. Calma Emma, calma. E’ solo uno stupido pranzo. Vai, sorridi, non ascoltare nessuno, mandali a quel paese tutto il tempo, mangia, buttati sul cibo, e pazienza per la linea. Appena puoi, subito dopo il caffè, scappa con una scusa. Continuo a ripetermi questo, fino a farmi venire una terribile emicrania.
Con un vero miracolo, alle undici sono pronta per uscire, tutti i pacchetti regalo pronti, anche la borsa con le vettovaglie di supporto per il pranzo, come richiesto da mia madre. Esco di corsa, chiudendomi il portoncino alle spalle e scendo le scale. Sul pianerottolo del primo piano, mi ferma Francesco che sta parlando con i vicini del piano di sotto. In braccio al signor Giulio, Tania batte le mani al mio arrivo. Bellissima nel suo vestitino rosso fuoco e le calze bianche.
Ci scambiamo gli auguri tutti quanti. Non so chi abbia il profumo più buono tra Francesco e la piccolina. Forse l’emozione per quegli abbracci, forse l’inquietudine per il pranzo, mi sento sempre più accaldata, la testa mi scoppia di pensieri ingarbugliati. Mentre sto per staccarmi da questa lieta compagnia, suona nuovamente il mio telefonino. Cerco l’apparecchio nel fondo della mia borsetta.
“Scusate… oh, è di nuova mia madre…”
Premo lo schermo per rispondere, ma qualcosa all’improvviso mi manca sotto i piedi. La vista mi si appanna, non vedo più i loro visi, l’aria diventa rarefatta, annaspo in cerca di un equilibrio. Sento solo la voce di Francesco in lontananza, sempre più indistinta.
“Emma! Emma!”
Poi due braccia forti mi afferrano prima di toccare il pavimento. E tutto diventa buio.
Mi ritrovo stesa sul divano a casa di Francesco, con la copertina di Tania addosso e la bambina che mi scruta attentamente. Appena apro gli occhi infatti, la piccolina mi dà un bacio in fronte e scappa via verso la cucina, da dove mi giungono rumori di pentole e mestoli.
Mi metto a sedere, cauta, aspettandomi il peggio. Invece la testa non gira più, il cuore sembra tranquillo. Mi hanno tolto gli stivali, sono lì accanto, e mi hanno preparato un paio di pantofole, un po’ maschili, devono essere di scorta.
“Come ti senti?” Francesco si avvicina, asciugandosi le mani in uno strofinaccio.
“Che è successo?” Mi massaggio le tempie e il collo, nel tentativo di risvegliare cervello e muscoli.
“Sei svenuta. Ti ho portato qui. Per fortuna il dottor Amedeo non era ancora uscito per il pranzo dalla figlia ed è venuto a visitarti. Ha detto che stavi comunque bene, battito regolare, respiro normale. Stavi dormendo e ti abbiamo lasciato riposare.”
“Oddio, che ore sono?” esclamo spaventata. Il pranzo, mia madre, che disastro!
“Tranquilla. Stai tranquilla. E’ passata un’oretta.” Si siede accanto e mi trattiene per un braccio. “Ha chiamato tua madre e ho risposto io. Senza entrare in dettagli, ho detto che avevi problemi con l’auto e rimanevi a pranzo da me, un amico. Mi è sembrato persino contenta di non poter fare domande…” Ride divertito.
“Eh, lo immagino…”
“Poi però continuava a chiamare e chiamare, ho spento il tuo cellulare. E poi ha iniziato a suonare il tuo telefono fisso, ho preso le chiavi dalla tua borsa, sono andato da te e ho staccato anche quello. Se ne farà una ragione. Il dottore ha detto di evitare situazioni stressanti, e tua madre mi pare ci vada molto vicino. O sbaglio?”
“Non conosci ancora mio fratello. E mia cognata. E mio nipote che sta imparando bene…” Sospiro però di sollievo. Intanto sono qui.
Tania sta armeggiando con qualcosa al fianco del loro albero di Natale caduto, sposta pacchetti, muove alcune borse di cartone, curiosa i biglietti, finché trascina per il tappeto due grandi sacchetti e me li mette davanti. Li riconosco subito.
“Abbiamo anche recuperato i tuoi regali sotto l’albero. Tania ha deciso che oggi sei nostra ospite. Purtroppo i miei genitori non ci sono, quindi nemmeno il pranzo preparato da mia madre. Loro sì, hanno davvero avuto un problema con l’auto, per cui arrivano nel pomeriggio, in treno. Così il menù per oggi l’ha scelto Tania, abbiamo minestrina con le stelline e poi pollo arrosto con patatine fritte! E fortuna che avevo preso qualcosa di sopravvivenza!”
Sorrido per questo dono improvvisato dal destino. “Penso sia il miglior pranzo di Natale!”
“Questo regalo lo ha scelto lei eh, io non c’entro.” Tania mi offre una busta con la stampa di varie principesse Disney. Prendo il pacco all’interno e lo scarto con cura, mentre lei non finisce di agitarsi, saltando e battendo le mani. Dentro ci sono una copertina in pile con la stampa di “Frozen”, le due principesse, e un paio di ciabattine morbidose, di peluche, sempre di “Frozen”.
“Credo sia il suo modo di dirti che sei la benvenuta in questa casa…” mi sussurra Francesco. “E queste le possiamo nascondere adesso.” Prende le sue vecchie pantofole e le caccia sotto il divano.
“Questo invece è mio” e mi guarda intensamente mentre mi pone in grembo quest’altro regalo.
Mi tremano le mani mentre apro questo pacchetto, perché… perché, non voglio nemmeno sapere perché. Le mie dita all’interno toccano qualcosa di ancora più morbido e soffice della copertina, lo tolgo dalla confezione: un maglioncino. Soprattutto, quel maglioncino fucsia, non uno a caso, ma quello che stavo rimirando proprio ieri, durante il mio giro di svago. Come poteva saperlo?
“Ti ho visto, eravamo in auto, fermi al semaforo. Tu eri davanti alla vetrina nell’angolo opposto. C’era solo questo in esposizione, lo stavi fissando, ti sei anche spostata varie volte, come se nel riflesso della vetrina tentassi di vedere come ti poteva stare addosso. Spero di aver indovinato la taglia, non sono bravo per queste cose…” Arrossisce un po’, appena appena.
“Grazie…” Non riesco a dire altro, sono sopraffatta dall’emozione, ma Tania mi salta in braccio e scaccia con un sorriso tutte le mie paure. “E i vostri regali? Li avete già aperti?”
“Assolutamente no, li apriamo insieme.” Francesco si alza per prendere i pacchetti che ho preparato per loro. La prima è Tania, che lancia un acuto micidiale alla vista del suo costume giallo da Belle, con tanto di rosa rossa e guanti lunghi. Max invece reagisce con un miagolio stizzito e si sposta verso le camere da letto, siamo troppo rumorosi oggi per lui.
“Tocca a me” Francesco scarta incuriosito il suo e scoppia in una risata divertita quando vede il contenuto.
“Questo non cade mai, torna sempre al suo posto. A prova di gatto!”
“Grazie di avermi pensato…” e mi abbraccia forte, insieme a Tania.
Poi cerchiamo a turno di abbattere quell’alberello impertinente, senza proprio riuscirci.
E’ un Natale diverso, senza ansie o preoccupazioni, senza il passato di mezzo. Un Natale sereno e divertente, tra amici. Un Natale dolce come gli occhi di questa bambina. Un Natale quasi felice, come non ce l’avevo da molto tempo.
(C) 2022 Barbara Businaro
Note:
Questo racconto parte da molto lontano, anche se la stesura finale l’ho scritta scena per scena solo da giovedì pomeriggio.
Emma mi ricorda un po’ la protagonista di “Eleanor Oliphant sta benissimo“, libro di Gail Honeyman letto qualche anno fa. Quel romanzo mi ha colpito molto perché la solitudine tocca un po’ tutti, prima o poi. Ma in questo periodo ho conosciuto molte persone che non vivono bene il Natale e hanno ammesso che per loro è il momento più buio dell’anno, in assoluto contrasto con quanto le pubblicità ci propongono in modo assillante, tra quadretti di famiglie felici, tutte sorrisi, attorno a una tavola imbandita e scintillante, scartando montagne e montagne di regali, bellissimi e costosissimi. Il Natale è dei bambini, per loro è gioia pura, la magia dell’infanzia li protegge, ma il mondo reale degli adulti è ben altro. Non solo c’è chi soffre in ospedale, senza sapere se tornerà mai a casa, ma anche chi soffre in silenzio, per una persona malata, per una perdita recente, per una famiglia disgregata, per un affetto troppo lontano, per un amore finito e il cuore distrutto. Sono intorno a noi, ci sorridono anche, ma se vi fermate un momento ad osservare, il loro sorriso termina con una piega di malinconia e amarezza. Quest’anno, a inizio dicembre, ho deciso di partecipare a un gruppo che si organizza per spedire cartoline di auguri natalizi a perfetti sconosciuti, intorno al mondo. E’ un piccolo gesto, a volte non riesce completamente a causa dei soliti ritardi postali, per non dire delle spedizioni smarrite, ma ci proviamo. Intorno alla vigilia e anche dopo, queste persone ricevono biglietti colorati da ogni parte del globo, con auguri sinceri, perché lo sono davvero. E questo piccolo gesto aiuta, come ci scrivono di rimando, con le fotografie dei loro caminetti addobbati di vivaci cartoline natalizie.
Poi anch’io sono un po’ verde Grinch da qualche anno, ma in questo dicembre devo dire che i pianeti tutti si sono scatenati a rendermi le festività ancora più faticose. Tra problemi con l’officina, con la carrozzeria, con il lavoro, con le peakers, con la scrittura, con il blog, con le poste, e pure con il cuore, vorrei solo nascondermi sotto il piumone e ci rivediamo al 7 gennaio. O direttamente a fine letargo, in primavera. Però non mi arrendo, tiro fuori i muscoli, non perdo la speranza, che anche stavolta ho dovuto contenere il finale, perché stavo per lasciarmi trascinare da Emma e Francesco…
La canzone che accompagna questo racconto, qui sotto, è presa dalla colonna sonora di uno dei miei – tanti – film preferiti, soprattutto sotto Natale (perché non l’ho ancora visto in televisione, eh?!): L’amore non va in vacanza con Cameron Diaz (bionda), Kate Winslet (un’altra bionda), Jude Law (eh si, mi ha ispirato Francesco, che ci volete fare…) e Jack Black, che scrive una colonna sonora stupenda per un immenso Eli Wallach (praticamente interpreta se stesso, uno sceneggiatore con tanto di Oscar, sua questa frase stupenda: “Nei film c’è la protagonista e c’è la migliore amica. Tu, te lo dico io, sei una protagonista. Ma per qualche ragione ti comporti da migliore amica…”). “Cold Hands, Warm Heart” (trad. Mani fredde, cuore caldo) di Brendan Benson è una canzone triste nelle parole, due persone che si lasciano, attendendo momenti migliori, ma la melodia in qualche modo stride, perché nasconde speranza nel futuro. Perché la speranza non ci molla proprio mai.
E con questo vi auguro un felice Natale, con qualsiasi persona, animale o libro decidiate di passarlo, non necessariamente in quest’ordine, né per affetto né per importanza. Semplicemente cercate di passarlo con chi vi fa stare bene. 🙂
Comments (14)
Giulia Mancini
Dic 25, 2022 at 10:11 AM ReplyBuon natale Barbara, L’amore non va in vacanza è un film delizioso, io l’ho già visto due volte, aiuta un po’ a restituire l’ottimismo, del resto il Natale può essere una trappola quando le cose non vanno come dovrebbero…
Barbara Businaro
Dic 26, 2022 at 10:37 AM ReplyBuon Natale Giulia. Pensa che giusto ieri era in programmazione L’amore non va in vacanza su Canale 5 nel primo pomeriggio, ma ahimè hanno cambiato all’ultimo ridando il concerto de Il Volo, che se ne poteva proprio fare a meno… Peccato, perché tra il panettone, il torrone, il sorbetto, il caffé, l’ammazzacaffé, il dram di whisky e le chiacchiere, avrei volentieri rivisto qualche scena del film. Alla fine abbiamo visto Improvvisamente Natale con Diego Abatantuono su Amazon Prime, e girato in Veneto, tra le Dolomiti, il lago è quello di San Vito di Cadore. “Quest’anno Natale lo facciamo a Ferragosto!” era una frase che mi aveva incuriosito. 😉
Brunilde
Dic 25, 2022 at 11:30 AM ReplyChe bel racconto! Molto dolce, e ricco di speranza e di rinnovamento.
La tua scrittura è molto fluida, i personaggi ben delineati ( la povera Emma ossessiva compulsiva, la deliziosa Tania tenera e ricca di slanci ), l’intera storia è davvero ben riuscita. Mi unisco a quelli che aspettano il tuo romanzo…
In sottofondo, una famiglia asfissiante e una madre insopportabile. Ecco, chi ha famiglie, e madri, così ( lo so che esistono, purtroppo) deve imparare ad andare oltre, perdonare e credere nel vero messaggio del Natale, ovvero la possibilità per ciascuno di cogliere nuove opportunità, senza rimanere impigliati nelle pastoie di un passato infelice. Questo è il mio augurio di Natale a tutti gli amici del blog!
Barbara Businaro
Dic 26, 2022 at 10:55 AM ReplyGrazie Brunilde, sono contenta che il racconto ti sia piaciuto. Avevo paura fosse un po’ sottotono, vista la trama, non è proprio la classica storia natalizia. Ma l’ho voluto scrivere proprio così, per rappresentare la grande illusione del Natale indotta dalle pubblicità commerciali. Un’illusione che ogni anno fa persino stare peggio chi a Natale deve affrontare ben altri problemi. Il confronto continuo con quelle immagini di festa, allegria e divertimento nelle riunioni famigliari è devastante per molti, costretti pure a soffrire in silenzio per non rovinare l’atmosfera altrui. E’ un argomento uscito fuori tra peakers, poi anche con alcuni amici italiani, e mi ha ovviamente colpito. Del resto anch’io ho ricevuto dei messaggi gran poco natalizi in questi giorni, pieni zeppi di ricatti morali, volti a scatenare dei sensi di colpa per la mia indipendenza e obbligarmi a soddisfare i desideri altrui, anziché seguire la mia strada (c’è parecchia letteratura in psicologia sui ricatti emotivi, interessante ma non confortante).
Grazie quindi per il tuo augurio, credo sia proprio quello il significato del Natale: andare avanti, nonostante tutto. 🙂
IlVecchio
Dic 27, 2022 at 9:42 AM ReplyMi sono preso del tempo in solitudine per leggerlo in tranquillità. Con un paio di pennellate hai reso la protagonista al primo paragrafo e con un altro paio hai introdotto gli altri personaggi. Non indugiare oltre, sei pronta. 🙂
Barbara Businaro
Dic 27, 2022 at 1:12 PM ReplyCome vorrei avere le tue certezze… 😛
Grazie e ancora Buone Feste!
Stefano Franzato
Dic 27, 2022 at 11:27 AM ReplyRacconto molto bello. Anch’io ne ho scritti con ambianazioni quasi natalizie: uno accade proprio il giorno di Natale un’altro finisce alla vigilia. E non sono così rassicuanti come il tuo.
Barbara Businaro
Dic 27, 2022 at 1:21 PM ReplyGrazie Stefano, e con l’occasione Buone Feste! Che ancora non sono finite, solo l’Epifania se le porta tutte via, come dice il proverbio.
Cosa vuoi, non mi andava di scrivere un racconto senza speranza, non ci riesco. Della speranza ne ho bisogno innanzitutto io, ma credo anche i miei lettori.
Citando Lo Hobbit, non il romanzo di Tolkien ma il film scritto da Jackson, perché questa scena non c’è proprio nel libro: “Ho scoperto che sono le piccole cose, le azioni quotidiane della gente comune che tengono a bada l’oscurità. Semplici atti di gentilezza e amore.” A Natale abbiamo bisogno di piccole cose e tanta luce. 😉
Daniela Bino
Dic 27, 2022 at 6:39 PM ReplyLeggere questo racconto mi ha fatto fare un tuffo nel Natale in cui c’è speranza per tutti: per chi ha perso una persona importante, per chi si sente solo, per chi ha nodi da sciogliere a causa di un passato di sofferenza. Il tuo racconto, cara Barbara, è delicato nell’affrontare un problema che mi ha sempre pesato sul cuore: il dover trascorrere un Natale di “convenienza”, solo perché è così che si fa, che deve andare. La famiglia in primis, il “dovere” che deve sembrare centrale nei pensieri dell’individuo. DOVERE, DOVERE, sempre DOVERE! Invece, se si vuole che Natale sia, allora la festa va condivisa, a mio modesto parere, con chi ci ama per davvero e ci fa sentire bene con loro e con noi stessi. Perché dobbiamo iniziare una festa così magica sperando che invece finisca presto? Non lo trovi assurdo pure tu? Ecco perché questo tuo scritto mi ha ridato la speranza di un Santo Natale di pace e tanta, tantissima serenità, con le persone che amiamo, anche se inaspettatamente.
Buon Natale, Barbara. E grazie per averci donato questo racconto.
Barbara Businaro
Dic 27, 2022 at 9:57 PM ReplyTutto nasce dal vecchio adagio “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, le cui origini sono per altro incerte, ma che viene sempre interpretato con l’obbligo di passare il Natale in famiglia, contro la libertà di trascorrere la Pasqua con chi ci pare. Ma c’è famiglia e famiglia: se la nostra non ci fa stare bene, non ci può essere alcun obbligo. In questi ultimi anni, forse perché ci faccio più caso, le giornate seguenti ascolto narrazioni terribili da parte di amici e conoscenti su come hanno vissuto il Natale. Qualche fortunato ha partecipato a un pranzo in serenità e condivisione, ma la maggior parte raccontano di frecciatine, situazioni spiacevoli, conversazioni antipatiche. E sì, lo ritengo assurdo. Gli unici che si vivono bene il Natale sono i bambini. Anche se la prima volta che da bambina mi hanno presentato Babbo Natale io ero spaventata a morte e ho pianto disperata… 😛
Paola Sposito
Ott 26, 2023 at 1:11 PM ReplyHo letto questo tuo bellissimo racconto in più riprese. La prima volta gli ho dato una lettura a ‘balzelli’ dando la priorità all’ascolto della colonna sonora del film che ti ha ispirato il racconto e poi ovviamente sono andata a cercare il film che non avevo mai visto. Ovviamente, folgorata dalla bellezza ancora acerba di Jude law (sono passati ben 25 anni dall’uscita del film!) Ora che ho ultimato la lettura rimango affascinata soprattutto dal personaggio di Emma che comprendo e compatisco dato che la mia famiglia in passato ha avuto nei miei confronti lo stesso comportamento ossessivo ed angosciante. Ancora oggi quando arriva Natale vorrei trovarmi da qualche altra parte. Che dire di queste due povere anime, così provate dalla vita, che si sono trovate? Mi piace pensare che si faranno compagnia per il resto dei loro giorni. Complimenti Barbara!
Barbara Businaro
Ott 26, 2023 at 10:47 PM ReplyGrazie Paola, sono contenta ti sia piaciuto. 🙂
L’ho riletto un po’ in corsa anch’io adesso e caspita, ancora oggi mi emoziona tanto. A parte le ritrosie di Emma, comprensibili, sono convinta che Tania sia un ottimo collante per questa famigliola improvvisata. In fondo, ognuno di loro arriva proprio dove l’altro ha bisogno. Qualche volta il destino – l’autore – raddrizza le cose.
Per altro, ora sono in scrittura del mio racconto-serie di Halloween, ma dopo dovrò mettermi a cercare una nuova storia per Natale.
Non avevi mai visto il film L’amore non va in vacanza?! Eh, quello è Jude Law al suo meglio, non per l’età, ma per la storia in sé, come vederlo piangere in cucina dopo che lei è appena partita. E io lì, sul divano, sommersa dai fazzoletti… 😉
Paola Sposito
Ott 30, 2023 at 9:57 AM ReplyHo visto tanto di Jude Law ma questo mi mancava. Una bella scoperta veramente.
La serie di racconti su Halloween sono quelli dal titolo ‘la storia di Liam e Caitlyn’? Li ho visti ma non ho ancora iniziato a leggere.
Barbara Businaro
Nov 01, 2023 at 11:20 AM ReplySì, la mia serie di Halloween è proprio La storia di Liam e Caitlyn. Ho appena pubblicato il racconto numero 8. Pensare che tutto è nato per caso. 🙂