Elogio dell'imperfezione di Rita Levi-Montalcini

Elogio dell’imperfezione
in questo tempo di false perfezioni

Considerando in retrospettiva il mio lungo percorso, quello di coetanei e colleghi e delle giovani reclute che si sono affiancate a noi, credo di poter affermare che nella ricerca scientifica, né il grado di intelligenza né la capacità di eseguire e portare a termine con esattezza il compito intrapreso, siano i fattori essenziali per la riuscita e la soddisfazione personale. Nell’una e nell’altra contano maggiormente la totale dedizione e il chiudere gli occhi davanti alle difficoltà: in tal modo possiamo affrontare problemi che altri, più critici e più acuti, non affronterebbero.
Senza seguire un piano prestabilito, ma guidata di volta in volta dalle mie considerazioni e dal caso, ho tentato, come risulterà dalla lettura di questo libro, che è una specie di bilancio o rapporto finale, di conciliare due aspirazioni inconciliabili, secondo il grande poeta Yeats: “Perfection of the life, or of the work”. Così facendo, e secondo le sue predizioni, ho realizzato quella che si può definire “imperfection of the life and of the work”. Il fatto che l’attività svolta in modo così imperfetto sia stata e sia tuttora per me fonte inesauribile di gioia mi fa ritenere che l’imperfezione nell’eseguire il compito che ci siamo prefissi o ci è stato assegnato, sia più consona alla natura umana così imperfetta che non la perfezione.
Elogio dell’imperfezione, Levi-Montalcini (pp. 17–18)

Non ho buoni ricordi del mio esame di maturità, specialmente dell’esposizione orale che mandò in black out la mia mente, dopo un periodo di studio eccessivo. Volevo essere perfetta, così la notte prima degli esami l’ho passata a sudare ogni mia fibra sopra i libri di testo, mentre i compagni si divertivano sul campo di calcetto o chiacchierando al baretto vicino. Il mio fu uno sforzo completamente inutile, solo le prove scritte ineccepibili mi hanno salvato dal completo disastro. La frase “Lei è parca di parole, signorina…” mi ha perseguitato per lungo tempo, diventando persino un incubo ricorrente negli anni successivi, finché altri esami ed altre esperienze hanno consolidato meglio le mie capacità, di analisi, di improvvisazione e un po’ anche la sfrontatezza.
Resto comunque in disparte, concentrata in altri pensieri lavorativi ma soprattutto vacanzieri, quando ogni fine anno scolastico cominciano le scommesse sugli argomenti dell’imminente maturità, un po’ come Superman preferisce lasciare la kryptonite in un’altra galassia…
Però nel mio nuovo ufficio ci sono un paio di mamme maturande, in questi giorni in fervida apprensione per il futuro dei loro pargoli e quella frazione numerica finale che determinerà il loro ingresso nel mondo degli adulti, lavorativo o universitario che sia. Così quella mattina mi sono ritrovata a cercare subito in diretta le tracce della prima prova scritta, il fatidico tema d’Italiano, da scegliersi tra Letteratura, Storia e Attualità. Un brivido freddo correva lungo la spina dorsale mentre osservavo incuriosita le foto scattate in anteprima dai giornalisti fuori dalle aule: il dramma della guerra e della sofferenza umana nell’analisi e interpretazione della poesia “Pellegrinaggio” di Giuseppe Ungaretti; gli effetti dello sviluppo tecnologico partendo da un brano di Luigi Pirandello con i suoi “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”; la guerra fredda, l’equilibrio del terrore e le armi atomiche nell’attuale quadro geopolitico, dalle considerazioni di Giuseppe Galasso nel testo tratto da “Storia d’Europa”; considerazioni sul diritto costituzionale della Bellezza del nostro paese, quale preziosa amalgama di arte, musica, paesaggio, letteratura, in un’interessante riflessione di Maria Agostina Cabiddu, dall’Associazione italiana dei costituzionalisti (e questa era forse la prova più ardua da sviluppare tra le proposte); la relazione tra parola, silenzio e pensiero nella comunicazione odierna, dal brano “Riscoprire il silenzio” di Nicoletta Polla-Mattiot; l’elogio dell’imperfezione come valore di vita, dall’autobiografia illuminante del nostro Premio Nobel per la Medicina, Rita Levi-Montalcini; e dulcis in fundo un tema nato già vecchio, anacronistico per i ragazzi quel giorno sotto esame, ovvero la scrittura del diario che nella rivoluzione digitale passa per blog e social media, con un testo preso dal libro “Profili, selfie e blog” del 2014 di Maurizio Caminito. Peccato che la Generazione Z al banco della maturità non abbia la più pallida idea di quella rivoluzione, loro sono nativi digitali, non hanno vissuto quel passaggio e, al contrario di noi “boomers” (in realtà siamo ufficialmente Generazione X), loro non si espongono così tanto in rete. Sono più furbi.
Se volete approfondire le diverse tracce, potete leggere il documento ufficiali agli atti sul sito del Ministero dell’Istruzione. Devo ammettere però di aver provato un po’ di invidia, e non solo per una giovinezza che non tornerà più indietro, nonché quel futuro tutto da colorare nel loro orizzonte. In questa prova avevano ben sette possibilità diverse di tracciare il proprio destino, tre in più di quelle che mi sono state offerte alla mia maturità, e soprattutto un’indicazione minima, tra domande puntuali e possibili collegamenti, sullo svolgimento del tema. Compresa quella magica frase finale: “Puoi articolare il tuo elaborato in paragrafi opportunamente titolati e presentarlo con un titolo complessivo che ne esprima sinteticamente il contenuto.” Come sono cambiati i tempi!
Quel che mi ha colpito di più, quasi da mozzarmi il fiato, è stato proprio quell’Elogio dell’imperfezione di Rita Levi-Montalcini. Mi ci sono ritrovata subito nelle sue parole, un paio di scarpe che mi calzano perfette, tanto da farmi sentire in ben lieta compagnia. Non conoscevo questa sua autobiografia, pubblicata per la prima volta nel 1987 e tornata in questi giorni in classifica con l’ultima edizione di Baldini + Castoldi, dove ripercorre parte della sua avventura, dalla città di Torino dove è cresciuta, alla tragica esperienza della guerra, costretta a nascondersi con la famiglia ebrea, e poi il viaggio negli Stati Uniti, da dove partirà la ricerca che le porterà, dopo anni di intensi studi e sacrifici in un mondo accademico ancora troppo maschile, la scoperta del fattore NGF e il Premio Nobel per la Medicina.
Di lei, nelle foto e nelle interviste degli ultimi anni, mi colpivano quegli occhi accesi di curiosità, di vitalità, di entusiasmo e di gioia, così lontana dall’immaginario dello scienziato scontroso, rinchiuso nel suo laboratorio solitario. Le ho sempre invidiato quel suo spirito indomito.
Concordo con lei quando afferma che né il grado di intelligenza né la perfezione dell’esecuzione portano al successo e alla soddisfazione personale. E un esempio pratico l’ho avuto proprio dal mio esame della maturità: rincorrendo la perfezione, sono caduta rovinosamente a terra e per anni ho combattuto la mia frustrazione. Il mio voto finale non era quello che ci si aspettava, era nella fascia dell’imperfezione per quei tempi, più in basso della mia media scolastica. Eppure mi ha salvato, mi ha offerto l’opportunità di indirizzare la mia vita proprio dove volevo, anche se questa è una riflessione che ho potuto elaborare solo qualche decennio più tardi. Uscendo dalla maturità tecnica con la votazione massima si veniva chiamati subito dalle aziende del territorio e nel giro di un paio di anni si poteva già essere assunti come impiegati a tempo indeterminato, la serenità di uno stipendio fisso e una lunga carriera lavorativa davanti a sé. Qualcosa in quella visione non mi era mai piaciuta. Purtroppo, ma dirò per fortuna, ho perso quell’occasione e mi sono trovata costretta a inseguire un titolo universitario per risollevare le mie sorti compromesse. Già nella scelta, l’imperfezione mi ha di nuovo condotto per sentieri angusti, una facoltà pesante quella di Statistica, ma l’unica all’epoca ad offrire anche un approccio all’Informatica che mi aveva conquistato. L’imperfezione mi ha spinto ad allenare pure la flessibilità: mentre i miei compagni di corso salivano rapidi gli scalini verso la laurea, supportati e sostenuti dalle proprie famiglie lungo il cammino, senza preoccupazioni di ordine economico, io ho dovuto faticare almeno il triplo per ogni gradino, con uno zainetto piuttosto pesante sulle spalle, che mi trascinava verso il basso. Ci sono stati giorni bui, carichi d’ansia e apprensione, me li ricordo molto bene, ma hanno forgiato la mia forza e la mia perseveranza. Un po’ meno la mia pazienza…
Non avevo un piano prestabilito e nessuno, soprattutto all’inizio, che potesse guidarmi. Ho imparato a navigare a vista, a correggere la mia rotta secondo gli imprevisti e le opportunità sul mio tavolo di gioco. Avrei potuto ottenere risultati migliori solo se avessi avuto condizioni differenti. Fuori dall’ambito universitario, ho avuto modo di conoscere persone capaci, abili collaboratori e stimati professionisti, dai quali imparare proprio il valore della mia imperfezione. Avevano già superato difficoltà simili alle mie e si sono offerti di illuminare il mio percorso accidentato, per evitarmi qualche altra buca profonda. E come Rita Levi-Montalcini alla fine sento di aver raggiunto anch’io un insolito equilibrio, un’imperfezione della vita e del lavoro. Non ho sacrificato le mie passioni per una carriera di successo senza respiro. Ma al contempo non ho trascurato la mia professione e l’indipendenza economica per una tranquillità casalinga, poco consona al mio carattere. Se mi guardo intorno, non sono una fortunata eccezione: dei miei compagni di studio, quelli che hanno realizzato di più nella vita partivano da voti mediocri.
Tornando ai nostri giorni, sono convinta che oggi l’imperfezione abbia un valore ancora maggiore perché ci pone in una posizione di rilievo, offrendoci quasi un vantaggio. Mentre in ogni angolo della rete e dei social media, si insegue il mito del viso e del corpo perfetto, ricorrendo non solo ai ritocchi estetici ma soprattutto ai filtri della tecnologia, ciò che ci colpisce è quel particolare dissonante che si distingue dal resto. Tra le imperfezioni che mi hanno affascinato penso alla straordinaria Barbra Streisand e quel suo naso lungo e aquilino, come il profilo disarmonico di Lady Gaga, in netto contrasto con la sua voce potente. L’asimmetria dei loro volti, caratteristica che poteva minare la loro carriera artistica, in realtà ha permesso loro di porsi in cima alla classifica proprio per l’unicità di quell’imperfezione, lasciando spazio libero al puro talento. Iconico e immortale quanto la sua musica, Freddie Mercury ha preso l’imperfezione, della sua dentatura quanto della sua genialità artistica, e ne ha fatto un vessillo. Sembra addirittura che la patologia dentale gli conferisse una maggiore estensione canora, un difetto che lo ha portato alla gloria. Bohemian Rhapsody, un capolavoro senza tempo dei Queen, all’inizio non piaceva ai discografici, la consideravano troppo lunga per essere trasmessa in radio e soprattutto visionaria, l’opera lirica confusa con la ballata rock, assolutamente imperfetta secondo i canoni musicali di quegli anni.
L’imperfezione ci offre infatti soluzioni differenti, fantasiose, elaborate, innovative. Lo spray impermeabilizzante, la penicillina, il forno a microonde, il kevlar dei giubbotti antiproiettile, le patatine fritte a bastoncino, la Coca cola, i foglietti adesivi Post-it, il ghiacciolo fruttato e pure la nostra italianissima Nutella sono tutte invenzioni nate per imperfezione, mentre si cercavano ben altri risultati nell’esperimento. Se si fossero accorti della potenzialità dell’imperfezione, sarebbero finite nel cestino del fallimento. Probabilmente proprio perché la natura umana è imperfetta e abituata a convivere con le proprie pecche, qualcuno si è accorto che quell’imprecisione di laboratorio aveva caratteristiche peculiari per un altro scopo.
In quanto alla scrittura, i personaggi migliori sono quelli imperfetti, perché proprio nei loro difetti li sentiamo più vulnerabili e vicini alle nostre fragilità. Il viaggio dell’eroe di Christopher Vloger, una delle strutture narrative più utilizzate, il protagonista deve affrontare diverse sfide e avventure, talvolta solo interiori, prima di migliorare la propria condizione, confidando anche nelle proprie imperfezioni come qualità in battaglia. Se non fosse intralciato, se tutto gli riuscisse semplice e immediato, senza alcuno sforzo, non ci sarebbe nessuna identificazione da parte nostra, e non ci sarebbe alcuna storia interessante da leggere. Anche Superman diventerebbe terribilmente noioso se non sapessimo che la kryptonite può annullare in un istante tutti i suoi super poteri. L’imperfezione è un valore aggiunto di cui fare tesoro.
Concludendo, ai ragazzi che si trovano di fronte alla prova della maturità, oggi come lo ero io allora, e come lo saranno ancora le future generazioni, non ho molto da aggiungere, rispetto a quanto non abbia già sottolineato, a ragion veduta, Rita Levi-Montalcini in questa sua riflessione.
Non abbiate paura. Le difficoltà di oggi sono le vostre conquiste di domani. Sfruttate il vento.

“Dico ai giovani: non pensate a voi stessi, pensate agli altri. Pensate al futuro che vi aspetta, pensate a quello che potete fare e non temete niente. Non temete le difficoltà: io ne ho passate molte e le ho attraversate senza paura, con totale indifferenza alla mia persona”.
Rita Levi-Montalcini, Università di Torino, 7 ottobre 2009

 

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Comments (24)

Stefano

Giu 28, 2024 at 8:25 AM Reply

Bello il tuo post ma mi fiderei più di un chirurgo che ama la perfezione che di un chirurgo che si affida all’imperfezione quando opera (pensa se operasse agli occhi o al cervello o a qualsiasi altra parte del TUO corpo). L’mperfezione che tu ami quanto ha da spartire in termini di responsabilità verso te stessa e, soprattutto, verso gli altri?

Barbara Businaro

Giu 28, 2024 at 10:15 AM Reply

Caro Stefano, il chirurgo perfetto, che ha studiato per filo e per segno sui libri di Medicina, e conosce così bene tutta la teoria, non sa come affrontare un’operazione su un corpo imperfetto, ogni volta differente da quello che si aspetta. Se hai estremizzato l’esempio pensando di cogliermi in fallo, sei invece caduto in qualcosa che ahimè conosco fin troppo bene. Ho avuto un periodo terribile di ospedali, quasi un quinquennio di entrate e uscite da diversi nosocomi, anche fuori regione, rincorrendo il centro più specializzato e le percentuali migliori di successo. Ho pure staccato assegni a tre zeri per vedere se nell’ambito privato, vergognosamente con la stessa equipe medica del servizio pubblico ma con tempi di attesa nulli, avessi maggiori probabilità. Ho subito diversi interventi, anche in anestesia totale, e dall’ultimo ho fatto anche fatica a risvegliarmi. Ho visto terrore e sollievo negli occhi di chi mi stava a fianco del letto. In realtà un intervento pesante l’ho avuto ad appena dieci anni di vita, ho chiesto che mi operasse un chirurgo “bello come Terence Hill”, all’epoca il mio attore preferito. A soli dieci anni già sapevo che qualcosa poteva andare storto e certo il compressore dell’anestesia dietro la testa non era una gran bel modo di salutare il mondo. Non che da adulta sia stato tanto meglio. Eh beh, il chirurgo migliore è quello che, pur avendo ben presente la teoria, usa tutta la propria esperienza e intuizione di fronte all’imperfezione. I libri di Medicina non sono sufficienti. L’ultima operazione l’hanno sbagliata, sai? Ospedale universitario, servizio pubblico, sono diventata – nonostante i numeri della mia cartella clinica chiedessero maggior rispetto – la cavia di una studentessa, preparata sui libri ma inesperta sul tavolo operatorio. Ero in anestesia parziale, in stato di semi-coscienza, e così ho sentito la sua incertezza, dalla voce del suo mentore (“No, non così, vai piano, non vedi qui?”) e soprattutto sul mio corpo. Imperfetto e quindi diverso da ciò che aveva studiato. La Medicina non è una scienza esatta, sappiamo davvero poco o niente del corpo umano. L’esperienza un chirurgo la acquisisce sul campo, tenendosi pronto veramente a tutto, anche di prendere decisioni improvvise.
Non ci si immagina mai quanto può essere pesante la vita degli altri e quanto dolore si celi dietro un largo sorriso, vero?

Brunilde

Giu 28, 2024 at 12:10 PM Reply

La perfezione non esiste: nulla è perfetto, tutto è perfettibile. Credo che il principio guida debba esattamente essere questo: dare il meglio in ciò che facciamo, lavorare su noi stessi per diventare la nostra migliore versione , e di conseguenza dare alle nostre performance ( studio, lavoro, sport, scrittura ) un buon livello qualitativo.
L’etica dell’impegno, del cercare di fare sempre il meglio possibile è qualcosa di molto più utile e prezioso della tensione verso un modello di perfezione irraggiungibile.
La mia maturità si è svolta in un’era geologica lontana, quando gli scritti si facevano a inizio luglio, e gli orali a fine luglio, se pescavano la lettera immediatamente successiva alla tua, come successe a me.
Mentre i dinosauri passeggiavano in strada noi ci scioglievamo dal caldo e continuavamo più o meno a studiare, guardando l’ultimo film di Nanni Moretti ” Ecce Bombo “, nell’indifferenza dei nostri genitori: In fondo, “era solo un esame” , “stavamo solo facendo il nostro dovere”, così si diceva all’epoca.
L’anno della maturità era mancata mia madre, a cui ero legatissima, e avevo fatto molte assenze: forse perchè la vita mi aveva messa alla prova con un’esame molto più difficile, affrontai tutto con determinazione ma senza particolari patemi. E soprattutto, quando mi trovai a sostenere gli orali davanti a una commissione di sconosciuti ( all’epoca c’era solo un membro interno ) mi resi conto di non avere nessuna difficoltà a mostrarmi sicura di me, a parlare in pubblico soprattutto mantenendo l’attenzione degli interlocutori.
Fu un orale brillante, che confermò il mio proposito di iscrivermi a giurisprudenza e fare poi l’avvocato.
Questa fu per me la prova più importante: trovare la forza di andare avanti, nonostante la vita mi avesse ferita a sangue.

Barbara Businaro

Giu 28, 2024 at 3:06 PM Reply

Sottoscrivo con ogni tua singola riga.
Anche nella mia epoca, poco prima dell’estinzione dei dinosauri, c’era un solo professore della scuola come membro interno della commissione. E come classe avevamo pure faticato a trovarlo, non ci voleva nessuno. Era il professore di Matematica, giovanissimo e solo con un anno di permanenza nell’istituto. Non ci conosceva affatto, e per questo, nonostante la sua buona volontà, non è stato determinante durante tutti gli esami di maturità. Non penso tanto a me, ma agli altri miei compagni che avevano numeri risicati già dagli anni scolastici precedenti e un supporto attivo avrebbe fatto maggior differenza.
La tua determinazione, dopo un lutto così prematuro e feroce, è (stata) straordinaria. “stata” tra parentesi perché ancora lo è oggi. 🙂

Sandra

Giu 28, 2024 at 1:15 PM Reply

Adesso è tutto un vedere nei social bottiglie stappate e genitori che prendono permessi sul lavoro per accogliere i figli al cancello della scuola.
Noi col pifferi, si andava, si sostenevano le varie prove e si tornava a casa, fine, sotto la canicola, come sottolinea giustamente Brunilde, oltre al fatto della commissione esterna, coi tuoi prof. scusate generazione Z è tutta un’altra faccenda.
Mai confondere l’imperfezione con la superficialità o il pressapochismo, sono cose completamente diverse.
Migliorarsi ed essere generosi sono due valori fondanti di tutta la mia imperfetta vita nei suoi molteplici aspetti.

Barbara Businaro

Giu 28, 2024 at 3:18 PM Reply

Si usciva esauriti dopo 7 ore di compito scritto, quello di Italiano e la seconda prova il giorno successivo, in un edificio rovente anche con tutte le finestre aperte, che col cavolo avevamo il condizionatore.
Dopo il mio tragico orale, ricordo solo mio padre che mi ha visto piangere e cercava di tirarmi su di morale. Abitando in campagna, usciva dal lavoro e andavamo a casa in auto insieme, ma io ero sotto shock e cercavo solo silenzio. Altro che bottiglie e brindisi. Poi i miei zii hanno organizzato un pranzo, e sì, mi hanno festeggiato, con tanto di cartellone disegnato e la poesia in rima, ma serviva ad esorcizzare l’accaduto e andare avanti.
Però, ti dirò, non riesco a capire se erano troppo rigidi ai nostri tempi o se siamo eccessivamente morbidi oggi… 

Darius Tred

Giu 28, 2024 at 11:21 PM Reply

L’imperfezione è l’essenza della diversità: guai se non ci fosse, perché la diversità è sempre ricchezza.
Se fossimo tutti perfetti, in fondo saremmo tutti uguali.

Barbara Businaro

Giu 30, 2024 at 3:30 PM Reply

Però tu hai il dono della sintesi perfetta! 😀
E se fossimo tutti perfetti e tutti uguali, sai che noia?!

Darius Tred

Giu 30, 2024 at 8:45 PM Reply

Noia a mille, direi!
Senza ombra di dubbio.

Barbara Businaro

Lug 03, 2024 at 4:47 PM Reply

Pure le letture condivise sarebbero noiose… tutti d’accordo su qualsiasi romanzo! 😛

Giulia Mancini

Giu 29, 2024 at 9:20 AM Reply

Ricordo con piacere il mio esame di maturità, ero ansiosa ma non troppo, ogni mattina mi svegliavo alle sei e studiavo fino a ora di pranzo, anche perché nel pomeriggio rallentavo moltissimo per il caldo e la sera uscivo con le amiche di allora (tutte maturande come me) senza fare troppo tardi. Ero proiettata soprattutto all’idea di quello che avrei fatto dopo, l’iscrizione all’università di Bologna per lasciare finalmente il paese noioso e soffocante. Era il 1983 (aiuto, quanti anni) c’era la commissione di esterni con un solo professore interno, il nostro professore più severo e più bravo, ne ho accennato in un mio post sulla scuola. Allora si aspettava il primo luglio per fare gli scritti ed era davvero una sofferenza passare i mesi più caldi a studiare, io non ricordo se fui tra le prime estrarre oppure no, sicuramente tra scritti e orali si arrivava a luglio inoltrato. L’esame andò molto bene e presi il massimo dei voti, 60/60, ci speravo, ma a me interessava soprattutto perché con il voto alto avrei ottenuto la borsa di studio (che poi bastava anche un voto più basso, ma più era alto più eri alta in graduatoria).
In fondo l’esame di maturità non lo vissi mai come un trauma, in realtà fu più duro affrontare l’università da fuori sede, quando per studiare dovevo cercarmi un posto tranquillo tra biblioteche e sale studio, cercando di non farmi distrarre dai miei compagni di studio e di appartamento più lavativi e festaioli (questo deve avermi temprato il carattere). Capisco bene però quello che ti é successo all’orale, a me è successo qualcosa di analogo una volta che dovevo parlare in pubblico al lavoro, erano i primi tempi e mi sono bloccata, una figuraccia, mi sono salvata solo proiettando le slide e commentando a monosillabi.
La perfezione non esiste cara Barbara, ma è proprio questo il bello della vita, chi appare perfetto non lo è, se appare sicuro è perché in cuor suo lo sa e possiede consapevolezza di quello che é, ossia un essere imperfetto ma tenace. Quando qualcuno arriva a dei risultati importanti è perché dietro c’è tanto impegno e lavoro, anche per la bellezza, chi ha un corpo tonico è perché si allena e segue una corretta alimentazione, tu lo sai bene.
Bello questo post, tra l’altro per me la Montalcini è un mito assoluto.

Barbara Businaro

Giu 30, 2024 at 3:47 PM Reply

Hai affrontato la maturità con lo spirito giusto direi, senza l’ansia per il futuro che respiravo io. Non ricordo nemmeno quando poi ho deciso l’iscrizione a Statistica, credo a settembre (non c’è mai stato numero chiuso, la selezione viene fatta dagli esami del primo anno), dopo aver passato anche la prova scritta per la patente di guida (compiendo gli anni a dicembre, ho dovuto attendere la fine della maturità, per non aggiungere ulteriore stress. Il corso della teoria della patente è stato quasi un buon metodo di decompressione. Ci andavo in bici tutti i pomeriggi, verso sera, credo fosse agosto, ed eravamo un bel gruppetto.
Ho sempre stimato Rita Levi-Montalcini proprio per essere una scienziata donna in un modo prettamente maschile, ma devo recuperare questa autobiografia, pensavo avesse scritto solo testi scientifici e non qualcosa di così personale.

Luz

Lug 02, 2024 at 8:05 PM Reply

Avrei tantissimo da rispondere a questo tuo interessante post, mi ci devo dedicare in seguito, ora il tempo stringe.
L’imperfezione, è vero, è qualcosa da elogiare e non ne siamo sempre consapevoli. Ed è proprio questo l’ambito dove si collocano tanti genitori, è verissimo. Ah, quanto avrei da dire.

Barbara Businaro

Lug 03, 2024 at 4:50 PM Reply

Sarò curiosa di leggere le tue risposte, quando ne scriverai. Da insegnante tu coglierai meglio di tutti le particolarità di ogni singolo studente, le sue imperfezioni che possono diventare il suo vero valore e aprirgli la strada per il futuro.
Ma i genitori, lo so bene perché certi discorsi li ascolto anch’io tra le mie amicizie con prole, non riescono a trattenersi dai continui confronti con i risultati degli altri ragazzi, senza comprendere l’unicità di ognuno.

Marina

Lug 06, 2024 at 5:21 PM Reply

Chissà perché nel tempo ha preso il sopravvento la sciagurata idea che la perfezione premi sempre nella vita; idea che si è trasformata in ossessione e le plasticacce della chirurgia estetica, oggi, ne sono la riprova. Tu citi la Streisand e lady Gaga, a me viene in mente una ballerina di “Ballando con le stelle” che io adoravo perché aveva un viso reso particolare proprio dal naso e ora si è totalmente banalizzata ritoccandolo. La perfezione! Quanto vale la particolarità. Avevo un compagno di scuola, al liceo, pluribocciato, non ne voleva manco a brodo di scuola e studio, adesso è una delle persone più brillanti che conosca (cioè lo è sempre stato, brillante, ma ha dimostrato il valore negli anni). Un bel tema sull’elogio dell’imperfezione, forse lo scriverei. Un po’ come hai fatto tu adesso: te lo do io, va, il bel 60/60 (naturalmente con la valutazione dei nostri tempi!) 🙂

Barbara Businaro

Lug 08, 2024 at 8:36 PM Reply

Un altro che mi viene in mente, che ha fatto la sua carriera sull’imperfezione, è l’attore Owen Wilson, il biondino col naso tutto svirgolato (risultato di cadute e pugilato), il cowboy mignon di Una notte al museo, il giornalista protagonista di Io & Marley e addirittura modello da passerella insieme all’amico Ben Stiller nei due film Zoolander. L’ho appena visto come marito improvvisato di Jennifer Lopez nell’ultimo film Marry me-Sposami. Guai se dovesse ritoccarsi il naso!
Caspita, un 60/60 pieno! E adesso mi prenoto un Interrail – direzione Scozia – per festeggiare!! XD

Daniela Bino

Lug 10, 2024 at 3:10 PM Reply

Ricordo con amarezza l’esame di maturità perché coincideva con un periodo estremamente difficile per me. Stavo vivendo un trauma di abbandono incredibile e quindi… nessun bel ricordo da serbare gelosamente nel mio cuore. Ma mi sarebbe piaciuto che questo tema di italiano venisse assegnato anche a me: sarebbe stata l’occasione per riflettere su quella che per altri era un’imperfezione; ma soprattutto, perché avrei avuto modo di mettere nero su bianco quello che pensavo degli “adulti” che vivevano attorno a me. Riflettete, cari miei: senza quella che viene chiamata “imperfezione”, non ci sarebbe creatività né colore nè arte. Pensiamo a Salvador Dalì e alla sua perfetta imperfezione. Scrisse: “Non aver paura della perfezione: non la raggiungerai mai” (e mio figlio ce l’ha scritto oure su una sua T-shirt). E, per concludere, pure il Manzoni si espresse, nei suoi “Promessi sposi”, sulla perfezione presunta: “Que’ prudenti che s’adombrano delle virtù come de’ vizi, predicano sempre che la perfezione sta nel mezzo; e il mezzo lo fissan giusto in quel punto dov’essi sono arrivati, e ci stanno comodi.”. Meglio l’imperfezione, dai!

Barbara Businaro

Lug 10, 2024 at 5:04 PM Reply

Eh, Manzoni l’aveva scritta proprio per benino. Avrei anche io diversi esempi di “perfezione per convinzione” tra gli adulti della mia maturità, ma li ho lasciati comodi nel loro mezzo. Preferisco decisamente avventurarmi nelle imperfezioni ai lati e scoprire anche soluzioni non perfette ma affascinanti. 😉

Daniela Bino

Lug 10, 2024 at 6:26 PM Reply

E con questa tua riflessione, anch’io ti promuovo con 60/60 cum laude e baciuss accademico in fronte.

Barbara Businaro

Lug 10, 2024 at 8:52 PM Reply

Ma grazie!! 😀 😀 😀

Luz

Lug 11, 2024 at 11:46 AM Reply

Eccomi. Innanzitutto, chapeau. Hai scritto un articolo magnifico. Come non restare estasiati poi dinanzi alle parole della grandissima Levi Montalcini e quanto autorevoli possono essere proferite da lei?
L’imperfezione. Ho finito con l’adorare questa caratteristica dopo averla detestata per gran parte della mia vita perché, come te, l’ho vissuta sulla mia pelle. Anche il mio esame di stato fu imperfetto. L’orale no, andò molto bene, ma fra gli scritti sbagliai il compito di greco. Greco scritto uscì dopo moltissimi anni, fu una doccia fredda appena sapemmo. La classe era alquanto traballante in traduzione dal greco e fu una mazzata un po’ per tutti. Il mio voto finale risentì degli errori ma mi presi pure la soddisfazione di ricevere il secondo voto più alto dopo il 60/60 della solita bravissima in tutto.
E poi un po’ quello che è capitato a te. Tutto in salita. Non eravamo tutti uguali, noi figli di quel proletariato al di sotto da un punto di vista della forza economica rispetto ai miei compagni figli di medici, avvocati e borghesi eredi di proprietà. Ho faticato in tutto, perché non ebbi le stesse opportunità e a pensare a ciò che sono oggi, ho compreso da tempo che era solo tutta questione di opportunità e non di mie carenze intellettive o particolare lentezza nel fare le cose. Siamo il prodotto anche della nostra collocazione economica, senza se e senza ma.
L’imperfezione oggi è ritenuta inaccettabile, a cominciare dalle orde di cattivi genitori che popolano questa società odierna. Mammà e papà che li difendono in tutto, che li aiutano in tutto, che non permettono loro nemmeno di procedere con una banalissima iscrizione, mamme agguerrite contro il corpo docente, mamme che fanno costruire coroncine di alloro e portano il prosecco a scuola il giorno dell’orale del pargolo, come se quello non fosse un momento tutto solo loro, nel bene e nel male, un rituale di passaggio fondamentale e imprescindibile, un modo per capire di essere lì, solo, e cavarsela da solo e con le proprie forze. Sta andando tutto in vacca, Barbara, e io sono preoccupata.

Barbara Businaro

Lug 11, 2024 at 1:15 PM Reply

Capisco e sento bene la tua preoccupazione. Che futuro ci sarà per questi ragazzi iperprotetti da genitori omnipresenti che non li lasciano camminare con le proprie gambe?! Dal mondo del lavoro, dove ho diversi amici nella selezione del personale, mi dicono che gli effetti si vedono. Magari escono anche dalle superiori, e pure dalle università, con un buon punteggio per la teoria, ma quando si tratta di mettere in pratica e applicare tutte quelle formule in casi che sono presenti nei libri di testo, il buio. Nemmeno tentano l’azzardo di una soluzione fantasiosa, che arriva invece da chi è stato lasciato libero di sperimentare la vita, magari con due genitori lavoratori a tempo pieno e problemi più seri del portare il prosecco a scuola all’uscita dell’esame. I ragazzi iperprotetti non crescono, e non riesco a capire se dietro ci siano genitori ugualmente non cresciuti (e dunque replicano l’educazione ricevuta) oppure genitori lasciati troppo da soli in adolescenza, che vogliono evitare lo stesso trauma ai loro figli.
Comunque sì, noi siamo il risultato dell’ambiente dove siamo cresciuti, la famiglia in cui siamo nati. Mi torna sempre in mente la parabola dei talenti nel Vangelo di Matteo; a un servo viene dato 5 talenti, li impegna e ne guadagna altri 5; a un altro 2 talenti e pure lui li fa fruttare, ricavando altri 2 talenti; all’ultimo 1 solo talento, ma per paura, lo nasconde sotto terra e rimane con 1 unico talento. Non ne ho ricevuti 5, ma solamente 2, ma ho fatto tutto il possibile per farli fruttare. Avrei potuto ricavarne di più? Me lo chiedo spesso, ma la conclusione è no, perché non ne ho ricevuti 5, ma solo 2. Sono comunque la prima laureata di tutto il mio albero genealogico, sia da parte di padre che da parte di madre. Tenendo conto che i miei genitori hanno solo la quinta elementare, all’epoca era quella la scuola dell’obbligo, e i miei nonni, chi aveva studiato, solo la terza elementare del dopoguerra, quando già bambini lavoravano i campi duramente.
E’ un vero peccato vedere oggi tanti talenti sprecati.

Luz

Lug 12, 2024 at 10:17 AM Reply

Esattamente, il gap sta proprio in quel buio dinanzi alla ricerca di una soluzione o nell’applicazione di una competenza. Il bla bla bla ricavato da studi mnemonici o la bambagia nella quale i genitori li tengono fino almeno ai 26-27 anni sono un danno enorme per il loro futuro, e se pensiamo che si tratta degli adulti ai quali lasciamo la gestione della cosa pubblica dopo di noi… beh, mala tempora currunt ora e nel futuro. 🙁

Barbara Businaro

Lug 12, 2024 at 10:55 AM Reply

Si svegliano tardi nel mondo del lavoro, a furia di sbattere pesantemente la testa contro il muro. Perché al lavoro i genitori non arrivano con la giustificazione (a parte di un amico nelle risorse umane che mi ha raccontato di aver avuto un colloquio con ragazzo ventenne e mamma al seguito, il massimo dell’imbarazzo).
Per fortuna ci sono anche genitori in gamba che prendono subito l’occasione di mandare i figli a studiare all’estero, questo per forza di cose li responsabilizza e li rende indipendenti. Però anche lì, è una questione di opportunità economica, non tutti ce l’hanno. 🙁

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