L'arte di correre di Haruki Murakami. Il legame tra corsa e scrittura

L’arte di correre
di Haruki Murakami

Ho imparato molte cose riguardo alla scrittura facendo jogging ogni mattina sulle strade. In maniera naturale, con la pratica. Quanto posso mostrarmi severo verso me stesso? Ho sviluppato adeguatamente il mio fisico? Mi sono riposato abbastanza? Fino a che punto la mia coerenza è giustificata, a partire da quando diventa ristrettezza mentale? In che misura devo prestare attenzione al paesaggio esteriore, e in che misura posso invece dedicarmi all’introspezione? Quanta fiducia posso avere nelle mie capacità, devo dubitare ancora di me stesso? Se all’inizio della mia carriera di scrittore non avessi cominciato anche quella di maratoneta, ho l’impressione che le mie opere sarebbero state diverse. In che modo diverse concretamente non lo saprei dire. Però sarebbero state un’altra cosa.
L’arte di correre, Haruki Murakami

Ho letto L’arte di correre di Haruki Murakami diversi anni fa, quasi per caso. Volevo comprendere lo stile di questo autore, lo scrittore giapponese più conosciuto al mondo, con i suoi romanzi tradotti in cinquanta paesi e venduti per milioni di copie, acclamato dalla critica anche internazionale, spesso dato per vincitore del Premio Nobel per la Letteratura e invece niente, sembra sempre sfuggirgli all’ultimo minuto.
Non sapevo decidermi tra i suoi titoli più conosciuti, da Norwegian Wood a Kafka sulla spiaggia, dalla serie 1Q84 a Nel segno della pecora, il primo ad essere tradotto e pubblicato in Italia. Invece trovo una promozione per l’ebook di questo saggio, L’arte di correre, “una riflessione sul talento, sulla creatività e più in generale sulla condizione umana, l’autoritratto di uno scrittore maratoneta, di un uomo di straordinaria determinazione, di profonda consapevolezza”, e mi lascio convincere all’acquisto, incuriosita da come uno scrittore famoso potesse diventare pure un maratoneta. Perché nella mia mente allora il termine “scrittore” veniva associato a una persona per lo più sedentaria, con interminabili ore passate alla scrivania, scarabocchiando fogli consunti, battendo in una vecchia macchina da scrivere, non perché non abbia un computer portatile ma il rumore dei tasti meccanici aiuta la concentrazione, fumando senza sosta, una tazza di caffè nero per unica compagnia. Il più terribile degli stereotipi, quanto mai lontano dalla realtà odierna. E Murakami era proprio lì a testimoniarlo.

L’ho letto davvero d’un fiato, non riuscivo a staccarmene, me ne ricordo bene. Avevo anche sottolineato nell’ebook parecchi paragrafi importanti, perché questo è un saggio illuminante non solo per chi vuole cominciare a correre, con alcuni consigli sull’allenamento, basati sull’esperienza dell’autore stesso, e il lucido racconto dei momenti di debolezza, che inevitabilmente occorre affrontare in gara. Ma soprattutto è un’analisi attenta e meditata sul legame tra corsa e scrittura, l’una indispensabile all’altra secondo Murakami stesso. La sedentarietà dell’atto creativo, dunque la necessità di mantenersi in salute, e lo sforzo di affrontare i suoi lati oscuri, inevitabile durante la sua scrittura, gli richiedono attività fisica per eliminare le tossine dal corpo e liberare la mente.
Purtroppo però l’ereader mi ha giocato un brutto scherzo, perdendosi tutte le sottolineature in un aggiornamento di sistema… !!! Motivo per cui preferisco il libro cartaceo e i miliardi di fogliettini segnapagina, o addirittura segnariga, che non si perdono mai! Mi era dunque rimasta la voglia di rileggerlo, per recuperare quegli appunti preziosi. Lo farò, lo farò, assolutamente lo farò, ma rimandavo sempre.

Nel frattempo ho scoperto di avere ben tre cose in comune con Haruki Murakami.
Ho iniziato a correre, anche se non parteciperò alla Maratona di New York, 42 km di corsa e tutte quelle ore, meno ancora a una gara di triathlon, che a nuotare sono una schiappa. Ma chi può dirlo?!
Ho iniziato a scrivere, anche se dubito arriverò mai ai livelli di Murakami, sono già in ritardo per cominciare in un mercato editoriale sempre più in difficoltà. Ma chi può dirlo?!
Il mio armadio è pieno di magliette, però non le colleziono, loro collezionano me. Anche se dubito avrò mai una mia linea di magliette. Ma chi può dirlo?!
Perché oltre a collezionare ben diecimila vecchi dischi in vinile (quei cosi neri e grandi con i solchi, che bisogna maneggiare delicatamente, soffiare via la polvere, ma che riproducono la migliore qualità sonora possibile, se ben tenuti), ha pubblicato un libro sull’enorme quantità di magliette accumulate nel suo guardaroba, dal titolo T. Le mie amate T-shirt con tanto di bellissime fotografie, e poi ha disegnato lui stesso una serie esclusiva di magliette per Uniplo, richiamando titoli, ambientazioni o copertine dei suoi romanzi. E in effetti, adoro la sua eccentricità, il suo essere così particolare. In qualche modo, lo sento affine, soffriamo dello stesso entusiasmo un po’ matto.

Comunque, ora che corro un pochino anch’io, alla velocità della tartaruga con i miei 5 chilometri in 45 minuti sul tapis roulant, volevo proprio rileggere questo saggio, stavolta più interessata alla parte relativa alla corsa. Che possibilità ho di diventare anch’io uno scrittore maratoneta?!
Così mi sono messa alla ricerca del cartaceo, ma non quelle brutte copertine con illustrazioni in bianco, nero e rosso troppo moderne per i miei gusti. Ho recuperato tra l’usato un’edizione di Einaudi collana Numeri primi, con la fisionomia di un corridore al tramonto, molto più evocativa e poetica. Appena consegnata, mi sono subito immersa nella lettura, con un bel blocchetto di post-it colorati per fermare i paragrafi perduti dalla prima volta. E per non rischiare di smarrirli nuovamente, arrivo a fissarli qui sul blog, così da poterli ritrovare in un solo click, all’occorrenza. Sperando siano utili anche a voi lettori.
L’unica cosa che non ho in comune con Murakami è che lui ha scritto un bel po’ di romanzi, io non ne ho terminato ancora uno. Ma chi può dirlo?! 😉

Se riesco a scrivere dei libri è perché in un paesaggio vedo cose diverse da quelle che ci vede un altro, sento cose diverse e scegliendo parole diverse riesco a costruire storie che hanno una loro originalità. Si creano così delle circostanze straordinarie per cui un numero non esiguo di persone si procura i libri in cui queste storie sono narrate e li legge. Il fatto che io sia io, e non un altro individuo, per me costituisce un patrimonio prezioso. Le ferite spirituali non rimarginate sono il prezzo che gli esseri umani devono pagare per la propria indipendenza.
L’arte di correre, Haruki Murakami

Haruki Murakami
da barista a scrittore

Stavo per compiere trent’anni. Ero arrivato a un’età in cui non potevo più definirmi “un giovane”. Così ho concepito il proposito di scrivere dei romanzi – una cosa che non mi era mai passata per la mente prima di allora.
Posso indicare con estrema precisione il momento in cui ho deciso di mettermi a scrivere. Era il 10 aprile 1978, verso l’una e mezzo del pomeriggio. Quel giorno, seduto da solo sulla gradinata dello stadio di Jingù, guardavo una partita di baseball bevendo una birra. L’appartamento in cui vivevo era a pochi minuti a piedi dallo stadio, e a quel tempo ero un ardente tifoso degli Yakult Swallows. Nel cielo non c’era nemmeno una nuvola, soffiava una brezza leggera, insomma era una splendida, perfetta giornata di primavera.[…]
Hilton fece una battuta a terra lungo la linea sinistra del campo – il suono secco della palla contro la mazza risuonò nello stadio – poi a velocità pazzesca girò la prima base e si fermò sulla seconda. Ecco, fu in quel momento che mi colpì il pensiero: “Voglio scrivere un romanzo”.[…]
Non è che avessi veramente l’ambizione di diventare uno scrittore. Per quel che mi riguardava, volevo soltanto, in tutta innocenza, scrivere un romanzo. Non avevo un’immagine concreta di cosa desiderassi raccontare, ma sentivo che a quel punto potevo creare un’opera che per me costituisse un risultato. Tornai a casa, mi sedetti alla scrivania con l’intenzione di buttar giù qualcosa, e solo allora mi resi conto che non possedevo nemmeno una penna stilografica decente. Allora mi recai in una cartoleria di Shinjuku, comprai una risma di fogli e una stilografica da circa mille yen. Un piccolo investimento di capitale.
Questo succedeva in primavera, in autunno avevo finito di scrivere un’opera di duecento fogli da quattrocento caratteri. Mi sentivo molto soddisfatto. Non sapendo bene cosa fare del romanzo che avevo appena finito di scrivere, nel mio entusiasmo lo proposi a un premio letterario per scrittori esordienti indetto da una rivista letteraria.
Considerando che quando lo consegnai non ne avevo fatto una copia, evidentemente non mi importava molto che in caso di rifiuto venisse buttato via. E’ il romanzo che venne poi pubblicato con il titolo “Ascolta la canzone nel vento”. Ciò che mi interessava era la scrittura in sé, non tanto che il libro vedesse o meno la luce. […]
L’anno seguente, all’inizio della primavera, quando dal comitato del premio Gunzò mi telefonarono per comunicarmi che il mio romanzo era tra i finalisti, mi ero del tutto scordato di averlo proposto. […]A trent’anni, senza rendermi ben conto di quanto succedeva, e senza averne davvero l’intenzione, facevo il mio debutto come autore innovativo.

A leggere questo passo di Murakami, non riesco a trattenere un moto d’invidia. Sembrerebbe uno scrittore nato quasi per caso, però non è affatto così. Se andiamo a sbirciare la sua biografia, il padre insegnava letteratura giapponese, dunque un certo amore per i libri era sicuramente di casa, anche di autori europei e americani, influenze che ancora oggi distinguono Haruki Murakami dagli altri scrittori giapponesi. Al liceo Kobe il giovane Murakami scriveva per il giornalino della scuola, il suo primo approccio alla scrittura, ma soprattutto si è laureato in Drammaturgia, presso la Facoltà di Lettere all’Università Waseda, con una tesi sull’idea del viaggio nel cinema statunitense. Insomma, la sua carriera scolastica non era del tutto estranea all’idea di scrivere, ancora più quella universitaria ruotava intorno al proposito di scrivere storie.

Tuttavia cominciavo a provare il desiderio sempre più forte di creare un’opera più importante, più consistente.
Avevo scritto i miei due primi romanzi, “Ascolta la canzone nel vento” e “Il flipper” del 1973, fondamentalmente per il puro piacere di farlo, senza essere davvero convinto di ottenere qualche buon risultato. Cercavo di ritagliarmi degli intervalli di tempo nel lavoro – un’ora, mezz’ora -, mi sedevo davanti ai fogli bianchi e, stanco com’ero, buttavo giù quel che mi veniva in una sorta di competizione contro l’orologio, senza veramente concentrarmi. Anche supponendo che in questa maniera frettolosa riuscissi a scrivere qualcosa di divertente, non potevo certo creare nulla di profondo, nulla che avesse un certo spessore. Visto che mi veniva offerta l’occasione di diventare uno scrittore (non c’è bisogno di dire che mi è capitata una fortuna straordinaria) volevo mettercela tutta e fare del mio meglio. L’ambizione di creare almeno un’opera che mi convincesse nacque in me in modo del tutto naturale, anche perché sapevo di potercela fare.

Quindi lui sapeva di potercela fare, e non è una convinzione da poco.
Così, in un momento cruciale della sua vita, proprio quando il jazz-bar “Peter Cat” all’uscita della stazione di Kokubunji a Tokyo cominciava a fruttargli un discreto reddito, dopo tanti debiti e sacrifici superati insieme alla giovane moglie, Murakami prende una decisione rischiosa, contro il parere contrario di parenti e amici: chiudere temporaneamente il locale e concentrarsi nella scrittura, almeno per un paio d’anni. Tentare di vivere del lavoro di scrittore, azzardato con soli due romanzi pubblicati e di discreto successo, non certo bestsellers mondiali.

[…] e nell’aprile dell’anno seguente avevo finito di scrivere un lungo romanzo, Nel segno della pecora. Dal momento che era la mia unica chance, mi ci misi d’impegno, mobilitai tutta la mia energia, e forse anche quella che non avevo. Era un’opera molto più lunga delle prime due, più profonda, e anche di natura più vigorosa.
Quando finii di scrivere il libro, avevo ottenuto un risultato: crearmi uno stile personale. Inoltre avevo compreso con tutto il mio essere che cosa fantastica fosse – e che fatica – sedermi ogni giorno alla scrivania dimenticando l’orologio, e concentrarmi nella scrittura. Acquisii la sensazione che dentro di me dormisse un elemento simile a una vena di minerale non ancora sfruttata, e cominciai a credere che, in tal caso, avevo delle buone prospettive per il mio futuro di scrittore. […] Penso che questo romanzo sia stato il vero punto di partenza della mia attività letteraria. Se avessi continuato a scrivere occupandomi al tempo stesso del bar, a buttar giù le cose così come mi venivano, credo che avrei finito col rinunciare.

Due punti in particolare mi hanno colpito della vita di Haruki Murakami, e mi fanno capire come le sue scelte possano sembrare inconsuete agli occhi altrui ma sono invece ritagliate nei suoi valori: un carattere decisamente introverso, che l’ha portato da un’esistenza completamente “aperta” come la gestione di una jazz-bar, con clienti diversi fino a notte fonda, ad una conduzione più “chiusa”, dall’andare a letto presto per alzarsi all’alba e frequentare un ristretto cerchio di amici; la decisione di coppia di non avere figli, di non sentire quindi la responsabilità di garantire un benessere economico per la prole, per il loro futuro e per gli imprevisti. Questo gli ha permesso di rischiare la chiusura di un’attività ben avviata, quando la maggior parte degli altri è preoccupato di pagare le rate del mutuo o l’affitto, i libri scolastici, il vestiario dei bambini che crescono, il dentista per tutta la famiglia.
Potrebbe sembra una scelta egoistica, sempre che sia davvero una scelta e non il destino. Da una vecchia intervista del 2006 sembra una riflessione alquanto meditata: Alla domanda sulla sua decisione di non avere figli, Murakami dice di non condividere l’idealismo postbellico dei suoi genitori: “Non sono così ottimista”. Nota anche che “i libri sono più importanti per me”. Fa una pausa, pensieroso, poi fa un mezzo sorriso, forse lasciando intendere che si tratti di semplici equivoci: “Non volevo essere un genitore perché sapevo che i miei figli mi avrebbero odiato”. (Fonte: The Age )

Ciò che penso, semplicemente, è che, una volta usciti dalla prima giovinezza, nella vita è necessario stabilire delle priorità. Una sorta di graduatoria che permetta di distribuire al meglio tempo ed energia. Se entro una certa età non si definisce in maniera chiara questa scala dei valori, l’esistenza finisce col perdere il suo punto focale, e di conseguenza anche le sfumature. A me non interessava avere tanti amici in carne e ossa, privilegiavo il bisogno di condurre una vita tranquilla in cui potermi concentrare nella scrittura. Perché per me le relazioni umane veramente importanti, più che con persone specifiche, erano quelle che avrei costruito con i miei lettori. Se dopo aver posato le fondamenta della mia vita ed essermi creato un ambiente favorevole al mio lavoro, avessi scritto delle opere di un certo valore, un gran numero di persone le avrebbe accolte con gioia. E dar loro questa gioia non era forse per me, in quanto scrittore professionista, il primo dovere, il compito che aveva precedenza assoluta su tutto? Ancor oggi non ho cambiato opinione in proposito. I lettori non li posso vedere in faccia, e in un certo senso la relazione con loro è soltanto concettuale, tuttavia per me quell’invisibile relazione «concettuale» è qualcosa della massima importanza, e con questa convinzione ho vissuto finora

Leggendo le sue parole, potrebbe sembrare che la scrittura sia per lui qualcosa di semplice e naturale, pura ispirazione che fa volare la penna sul foglio, o le dita sulla tastiera. Assolutamente no. La scrittura lo ha portato a molte ore seduto alla scrivania, una sedentarietà forzata in netto contrasto con la vita attiva di quando gestiva il jazz-bar di Tokyo, sempre in movimento dietro al bancone e seguendo i clienti. Murakami ha sempre avuto una tendenza a ingrassare facilmente nell’inattività, contro sua moglie che invece resta in forma anche senza praticare sport. Ecco perché ha cominciato a correre, per mantenersi in forma. Certamente ci sono persone fortunate che non ne hanno bisogno, ma lui ritiene che in fondo questa sia stata una benedizione, essere costretto al movimento, controllare l’alimentazione ed evitare gli eccessi. Gli ha consentito di restare sempre in buona salute.
Ed è interessante confrontare questo aspetto con il talento, o la sua assenza, in uno scrittore.

Gli autori benedetti da un talento innato, anche senza fare nulla – o diciamo qualunque cosa facciano – riescono a scrivere con facilità. Parole e frasi vengono fuori dalla loro penna spontaneamente, come acqua che sgorghi abbondante da una fontana, e l’opera si completa da sola. Nessun bisogno di sforzarsi. Questo genere di scrittore a volte esiste. Purtroppo però io non sono così. Non c’è da andarne fiero ma, per quanto mi guardi intorno, fontane non ne vedo. Se non scavo in profondità, piccone alla mano, non arrivo alla sorgente della creazione letteraria. Scrivere un romanzo, a me richiede molta energia fisica, molto tempo e molta cura.
Ogni volta che mi accingo a produrre una nuova opera, devo ricominciare da capo a scavare un’altra buca. Tuttavia, a forza di condurre per anni e anni questa vita, sono diventato bravo, sia dal punto di vista artistico che da quello energetico, a trovare nuove vene d’acqua anche nella roccia più dura.
E quando sento che una vena si sta prosciugando, riesco a spostarmi subito, senza esitazioni, a un’altra.
Mentre le persone che si sono affidate soltanto al loro talento naturale, se di punto in bianco cercano di fare come me, è possibile che non ci riescano con tanta facilità.

Un’altra riflessione interessante è la sua risposta all’eterna domanda: “Qual è la qualità più importante per uno scrittore?”
Secondo Haruki Murakami sono tre le qualità essenziali per la scrittura: il talento innanzitutto, anche se ha ammesso di averne poco, la capacità di concentrazione e la perseveranza. Su quest’ultimo elemento, Murakami può sentirsi più che preparato, perché la corsa è uno sport che richiede costanza.

La qualità più importante per uno scrittore, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, è il talento. Se uno non ha il minimo talento letterario può scervellarsi finché vuole, metterci tutto il suo ardore, non scriverà mai nulla di valido. Più che una qualità necessaria, questa è una condizione preliminare.
[…]Il problema però con il talento, nella maggior parte dei casi, è che chi lo possiede non riesce a controllarne bene la quantità e la qualità. Mettiamo che uno pensi: «Non ne ho abbastanza, devo potenziarlo», oppure: «Meglio economizzarlo, farlo durare il più a lungo possibile usandolo poco per volta…» Bè, le cose non funzionano così. Il talento se ne frega delle nostre intenzioni. Fa di testa sua, viene fuori quando gli pare e piace, finché c’è, poi quando è esaurito non si fa più vedere.[…]
Se mi chiedessero qual è la qualità più importante per uno scrittore dopo il talento, direi senza esitare la capacità di concentrazione. La facoltà intellettuale di riversare tutto il talento di cui siamo dotati, intensificandolo, su un unico obiettivo. Chi non è capace di fare questo non riuscirà a portare a compimento nulla di buono. Invece usando in maniera efficace l’energia mentale, in una certa misura si compensa un talento carente. Io di solito mi concentro nel lavoro tre o quattro ore al giorno, al mattino. Mi siedo alla scrivania, e rivolgo la mia mente soltanto a ciò che voglio scrivere. Non penso a nient’altro. Non vedo nient’altro.[…]
Dopo la capacità di concentrazione, viene la perseveranza. Ammettiamo che uno riesca a concentrarsi nella scrittura per tre o quattro ore al giorno: se dopo una settimana si stufa, non potrà mai creare un’opera di una certa lunghezza. A uno scrittore – per lo meno a chi non si accontenta di buttar giù poche pagine – occorre la capacità di continuare a concentrarsi giorno dopo giorno per sei mesi, un anno, due anni di fila.[…]
Per fortuna la capacità di concentrazione e la perseveranza, al contrario del talento, con l’allenamento si possono acquisire e coltivare, anche potenziare. Si svilupperanno naturalmente esercitandosi ogni giorno a stare seduti alla scrivania e a focalizzare la propria attenzione su un punto. Come ho già detto, questo processo è simile all’allenamento muscolare.

Photo signed by Haruki_Murakami
Haruki Murakami (signature), CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

L’arte di correre
e l’arte di scrivere

Sono diversi i paragoni tra la corsa e la scrittura che Haruki Murakami spiega in queste sue pagine, tra il ricordo di una maratona e la fatica di una gara di triathlon, della lunga preparazione durante le diverse stagioni, rigidissimi inverni compresi, e in differenti nazioni, spostandosi tra Giappone, Stati Uniti come pure le vacanze alle Hawaii, non così calde come si crederebbe.
Un primo punto è quello dell’allenamento costante, di mantenere un impegno giornaliero e lavorare sulla continuità, invece di cedere al momento e proseguire, tanto nel correre quanto nello scrivere, finché non ci abbandonano le forze e l’ispirazione.

Sono nella fase in cui devo lavorare sulla resistenza e aumentare la distanza che percorro, mentre il tempo che impiego per il momento è irrilevante. Basta che copra in silenzio il numero di chilometri che mi sono prefisso, mettendoci le ore necessarie. Se desidero arrivare più lontano aumento in proporzione la velocità, ma se accelero il ritmo, riduco la durata dell’allenamento, perché l’essenziale per me è ritrovare domani il piacere fisico che provo oggi.
Quando scrivo un romanzo è fondamentalmente la stessa cosa. Anche se sento che potrei continuare, a un certo punto poso la penna. Così mi sarà più facile mettermi al lavoro il giorno seguente. Ernest Hemingway ha detto qualcosa di simile. L’importate è la continuità – non spezzare il ritmo. Nel caso di un’opera molto lunga è fondamentale. Se si riesce a mantenere un ritmo costante, qualche risultato bene o male lo si ottiene. Ma bisogna insistere finché il volano non comincia a girare regolarmente a velocità fissa.

Un secondo punto è il risultato: che si tratti di correre o di scrivere, per Murakami non c’è vittoria o sconfitta, non si tratta di arrivare per primi, in mezzo a tanti altri corridori, a tagliare il traguardo, come di giungere in cima alle classifiche di vendita o essere premiati dalla critica letteraria. L’unico risultato è personale, essere soddisfatti di ciò che si è raggiunto, come tempo totale per una maratona o come qualità del testo scritto.

Il corridore non professionista si prefigge a ogni gara un suo obiettivo personale, arrivare al traguardo in tot ore.[…] E anche nel caso che non riesca a terminare la gara nel tempo che si è prefissato, sarà contento di avercela messa tutta […] In altre parole, sentirsi o meno fieri di sé una volta arrivati al traguardo, per chi corre su lunga distanza, costituisce un criterio di valutazione.
La stessa cosa si può dire accada nella professione di scrittore. In questo lavoro – per lo meno per quanto mi riguarda – non c’è vittoria o sconfitta. Può darsi che il numero di copie vendute, i premi letterari, le recensioni dei critici costituiscano dei criteri in base ai quali giudicare il risultato, ma non sono l’essenziale. Ciò che conta, più di ogni altra cosa, è che l’opera compiuta corrisponda ai criteri che lo scrittore ha stabilito, e in questa valutazione non gli sarà facile barare. Davanti agli altri bene o male si possono trovare dei pretesti, ma ingannare se stessi è impresa ben più ardua. In questo senso scrivere un libro è un po’ come correre una maratona, la motivazione in sostanza è della stessa natura: uno stimolo interiore silenzioso e preciso, che non cerca conferma in un giudizio esterno.

E in effetti Haruki Murakami, nonostante ogni anno sia dato per favorito, non ha ancora vinto un premio Nobel per la Letteratura. Parliamo, ad oggi, dello scrittore giapponese più conosciuto al mondo, i cui romanzi hanno venduto milioni di copie fuori dal Giappone. Ha ricevuto già altri prestigiosi riconoscimenti, come World Fantasy Award, il Frank O’Connor International Short Story Award, il Franz Kafka Prize e il Jerusalem Prize. Notevole anche il suo lavoro di traduzione dall’inglese al giapponese, da Raymond Carver a J.D. Salinger.
Intervistato nel 2012 da Roland Kelts su The New Yorker, proprio in merito al mancato premio Nobel, Murakami ha ammesso di non essere interessato: “No, non voglio premi. Significa che sei finito. Ogni libro che pubblico, ancor prima di essere promosso o recensito, vende trecentomila copie in Giappone. Quelli sono i miei lettori. Se sei uno scrittore e hai dei lettori, hai tutto. Non hai bisogno di critici o recensioni.”
Però non è del tutto insensibile ai giudizi degli altri, anzi. E la corsa è per lui, ma in effetti anche per me, un modo per scaricare la rabbia e la delusione accumulate per qualcuno che ci ferisce. Anche questa una cosa che ho in comune con Murakami. Quando sono arrabbiata, corro di più e meglio! 🙂

Quando ricevo una critica immotivata (a mio parere, s’intende), o quando vengo biasimato da qualcuno di cui davo per scontata l’approvazione, correndo copro sempre una distanza un po’ più lunga del solito. Così faccio consumare al mio corpo la parte di delusione. E’ un modo per riconoscere, nel limite delle mie capacità, la mia debolezza di essere umano. Di riconoscerla al livello più basso, quello fisico. E a quel livello i chilometri percorsi in più mi rinforzano, seppure in minima misura. Se mi arrabbio, è bene che sfoghi la collera contro me stesso. Se ho dei pensieri tristi, è bene che me ne liberi da solo. E’ così, con questa convinzione, che ho sempre vissuto. Ho mandato giù così com’erano le cose che si possono ingoiare in silenzio, e mi sono sforzato di riversarle (esagerandole quanto più possibile) in quel contenitore che è la letteratura, in quanto parte di una storia.

Un terzo punto in comune tra corsa e scrittura è la fatica: che sia mentale o fisico, si tratta comunque di uno sforzo, anche se in molti sottovalutano l’energia richiesta nell’atto di scrivere, dato che si è semplicemente seduti, senza problemi di muscolatura, di respirazione o di battito cardiaco.

Scrivere un romanzo, fondamentalmente, è una sfacchinata, io ne so qualcosa. In sé, l’atto di redigere delle frasi è forse uno sforzo mentale. Ma scrivere fino in fondo un libro intero è qualcosa che si avvicina alla fatica fisica.
Naturalmente non richiede esercizi preparatori come sollevare pesi, correre per chilometri o saltare a grande altezza.
Di conseguenza la maggior parte della gente, giudicando solo dall’apparenza, pensa che il lavoro dello scrittore sia un’attività tranquilla, puramente intellettuale. Basta che uno abbia la forza di sollevare una tazzina di caffè, e prima o poi scriverà qualcosa. Quando si prova a farlo sul serio, però, ci si rende conto che scrivere un romanzo è tutt’altro che riposante. Dovrebbe essere una cosa evidente.
Seduti alla scrivania, si focalizzano i nervi su un punto, si solleva la fantasia dal livello terra come un raggio laser, si fa nascere una storia, si scelgono le parole a una a una, si mantengono tutti i fili della trama nella posizione giusta – questo genere di lavoro richiede per un lungo periodo di tempo una quantità di energia molto maggiore di quanto di solito si pensi.
Non ci si muove concretamente, eppure si fa uno sforzo che consuma carne e ossa all’interno del corpo. E ovvio che è la testa, il cervello, a formulare i pensieri. Ma lo scrittore assimila quell’apparato che si chiama «racconto» e lo pensa con tutta la propria persona, azione che lo obbliga a usare la propria resistenza fisica in misura adeguata – in molti casi a sfruttarla senza pietà.
Gli scrittori benedetti da un talento naturale possono compiere quest’impresa quasi inconsciamente, in alcuni casi senza nemmeno saperlo.[…]
Al contrario, gli scrittori che non hanno la fortuna di possedere uno straordinario talento naturale – o diciamo quelli che raggiungono un livello appena sufficiente – fin da giovani devono acquisire a proprie spese una certa energia fisica. Con l’allenamento riusciranno a sviluppare capacità di concentrazione e perseveranza. E per loro sarà necessario usarle – entro certi limiti – in sostituzione del talento. Ed ecco che mentre si resiste con tutte le proprie forze, succede di incontrare per caso il vero talento che se ne stava acquattato dentro di sé. Mentre si scava con una pala una buca ai propri piedi sudando sette camicie, ecco che per caso si scopre una vena d’acqua segreta che dormiva in profondità. Un bel colpo di fortuna davvero! Ma se si è verificato, fondamentalmente è perché con l’allenamento si era acquisita la forza fisica di scavare una buca profonda. Gli scrittori che hanno visto fiorire il loro talento in tarda età non sono forse passati più o meno tutti attraverso questo processo?

L’unica vera differenza tra corsa e scrittura è che la prima è salutare per il nostro corpo mentre la seconda, nel pensiero di Haruki Murakami, è un’attività proprio malsana, in contrapposizione. Non è proprio il concetto di “genio e sregolatezza” a cui si associano per stereotipo gli scrittori più brillanti, distaccati dalla morale corrente, con uno stile di vista dissoluto e pieno di eccessi. Come quel Compagno di sbronze di di Charles Bukowski, per intenderci.
No, l’elemento dannoso della scrittura di Murakami sta nei meandri oscuri in cui la sua mente deve addentrarsi mentre scrive le sue storie.

Fondamentalmente, concordo con l’affermazione che scrivere è un’attività malsana. Quando decidiamo di scrivere un libro, cioè di creare una storia dal nulla servendoci di parole e frasi, necessariamente estraiamo e portiamo alla luce un elemento tossico che fa parte del nucleo emotivo dell’essere umano. Lo scrittore se lo trova di fronte e, pur sapendo di correre un pericolo, deve maneggiarlo con abilità. Perché senza l’intervento di quell’elemento tossico, un atto creativo dal significato autentico non è possibile – scusate l’esempio terra terra, ma è un po’ come quando si dice che la parte più buona del pesce palla è quella più vicina al veleno. Quindi, comunque la si rigiri, non si può dire che la scrittura sia un’attività sana.[…]
Proprio per questo tra gli scrittori – tra gli artisti in genere – non sono pochi quelli che nella vita quotidiana si comportano in maniera sregolata e asociale.[…]
Ciò che io penso, tuttavia, è che se speriamo di scrivere a lungo in maniera professionale, dobbiamo costruirci un sistema immunitario specifico che possa neutralizzare quel pericoloso, se non fatale, elemento tossico che abbiamo dentro di noi. Riusciremo così a trovare un antidoto più efficace contro un veleno tanto potente. In altre parole, potremo creare delle storie più forti. E per conservare a lungo questo sistema immunitario personale, è necessaria un’energia non superficiale. Un’energia che dobbiamo cercare da qualche parte. E dove altro possiamo trovarla, se non nella nostra forza fisica di base?[…] Per manipolare qualcosa di veramente malsano è necessario condurre una vita più sana possibile. Questa è la mia tesi.

Allora viene semplicemente da chiedersi: come mai proprio la corsa? E perché impegnarsi così tanto da correre anche una maratona?
La risposta è nel carattere passionale di Murakami, perché per lui le cose che sentiamo di dover fare, non solo scrivere una storia, meritano di essere fatte con tutto il nostro ardore, con tutta la nostra energia, anche a rischio di esagerare. Correre, ogni giorno, per lunghe distanze, è pura passione.

La letteratura che ho in mente io è qualcosa di più spontaneo, di più vigoroso. Deve essere una forza vitale che tende naturalmente in avanti. Per me scrivere consiste nell’arrampicarmi su monti impervi, scalare pareti rocciose e, al termine di una lunga lotta accanita, giungere in vetta. Vincere o perdere contro me stesso: esistono soltanto queste due possibilità. E un’immagine interiore che ho bene in mente quando scrivo.

Infine, mi ha fatto solo che piacere scoprire anche un pizzico d’Italia nella vita di Haruki Murakami. Contrariamente a me, che proprio non ci riesco, ha preso la buona abitudine di un breve sonnellino pomeridiano, la classica pennichella postprandiale. E da chi ha imparato? 😀

Io dormo benissimo dopo pranzo. Quando mi viene sonno mi sdraio sul divano e mi addormento seduta stante. Dopo una mezz’oretta mi sveglio, il torpore è sparito, la mia mente è lucidissima. Nel Sud dell’Europa questo si chiama “fare la siesta”. Mi pare di ricordare di aver preso quest’abitudine quando abitavo in Italia, ma può darsi che non sia così, che per natura fare un pisolino mi sia sempre piaciuto.

L'arte di correre - What I talk about when I talk about running - Haruki Murakami

L’avete letto? E avete mai pensato alla corsa?

Anche stavolta l’ho riletto con piacere, questo libro è una vera chicca, una riflessione sulla corsa che diventa un saggio sulla scrittura, indissolubilmente legate per Murakami. Mi sono forzata di leggere con calma e attenzione, segnandomi alcuni passi, non solo sulle questioni scrittorie. Ho messo un foglietto sulla musica che ascolta mentre corre, come la marca di scarpe da running, le Mizuno, come evitare i problemi alle ginocchia, come affrontare l’ansia durante una gara. Lui però svuota la mente mentre corre, io invece penso di tutto, mi si affollano millemila pensieri!
Avete letto niente di questo scrittore? Il mio prossimo romanzo sarà Dance dance dance, mi è stato regalato a Natale e la quarta di copertina promette molto bene!

D’altronde, non è che io mi sia messo a correre perché qualcuno mi abbia detto: “Ehi, perché non diventi un maratoneta?” Così come non mi sono messo a scrivere perché qualcuno mi abbia chiesto di diventare uno scrittore. Un giorno, così, mi è preso il desiderio di scrivere un libro. E un altro giorno, così, mi è preso il desiderio di correre.
L’arte di correre, Haruki Murakami

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Comments (18)

Sandra

Giu 14, 2024 at 9:36 AM Reply

La mia twin ha studiato giapponese, oggi sarebbe una laurea triennale, ai tempi era un diploma superiore, post maturità, all’Istituto per il medio e estremo oriente, giapponese, sempre ai tempi, come facoltà c’era solo a Venezia e Napoli. Stiamo parlando dei primi anni ’90, Manga e Sushi ancora pressoché sconosciuti da noi, la sua passione era davvero particolare, questo preambolone per dire che i libri di Murakami in casa nostra giravano in tempi non sospetti, quindi io ho:
sviluppato una totale avversità per il Giappone (coi gemelli devi diversificarti, ti uniscono già molte cose, nonché il perenne confronto degli altri), però ho letto Norwegian Wood che inizialmente era intitolato Tokyo Blues. Piaciuto? Sì, ma troppo sesso troppe morti, anche se non sono refrattaria al tema morte, c’è questa connotazione molto jap sui suicidi che mi trattiene.
Corsa? Se tu sei una tartaruga io sono 10000 tartarughe messe insieme ma sì, corro. E le assonanze tra scrittura e corsa o più in generale atletica che hai ben evidenziato le ho sempre fatte nella mia testa, ma c’è una differenza enorme: la corsa dà risultati oggettivi, i tempi della prestazione sono lì evidenti per tutti, la qualità di un atleta esula dal gusto personale di chi caldeggia e scegli i titoli da pubblicare e li porta al successo.

Barbara Businaro

Giu 14, 2024 at 5:08 PM Reply

Eh sì, per quegli anni era davvero una passione particolare. Il mio primo manga risale mi pare al 1996, quando andavo all’università e in stazione c’era un’edicola fornitissima, un intero scaffale di fumetti e soprattutto manga giapponesi, con la lettura all’orientale (a rovescio, per noi). E il primo sushi non saprei, probabilmente intorno al 2001, quando iniziarono ad aprire i primi sushi restaurant a Padova.
Capisco anche la tua avversione, perché i gemelli hanno davvero necessità di distinguersi, è naturale cercare la propria unicità. Su Norwegian Wood non posso dire nulla, in generale vedo e sento che Murakami è molto divisivo nei giudizi: o lo si adora o lo si detesta. Però mi hai messo curiosità e metterò in lista pure quello. 🙂
Sui risultati oggettivi: tu stai paragonando corsa e pubblicazione, mentre Murakami confronta corsa e scrittura. Ammette lui stesso di avere avuto una fortuna straordinaria, l’occasione di diventare uno scrittore, pur avendo alle spalle delle solide basi universitarie di partenza (l’università Waseda è un istituto privato, forse potremmo considerarla una sorta di Scuola Holden della sua epoca). Avendo letto quasi tutti i tuoi romanzi, posso dire che l’evoluzione del tuo stile – il risultato oggettivo – è tangibile, ma la pubblicazione segue anche altri criteri, specie al tempo dei social media. Murakami avrebbe avuto la stessa opportunità al giorno d’oggi? Non ne sono certa…

IlVecchio

Giu 14, 2024 at 7:07 PM Reply

Sono convinto che l’idea della corsa ti accarezzasse già allora, alla prima lettura di questo libro. Nessuno sceglierebbe un titolo così esplicito, L’arte di correre, se non coltiva un minimo di interesse.
Sulla scrittura, qualsiasi paragone con altre attività, sportive e non, dipende dalla personalità dello scrittore. Murakami mi sembra disciplinato, quasi maniacale, in linea con la cultura giapponese. Altri scrittori non lo sono, ma non sono di meno scrittori. Offro i miei servizi per un futuro L’arte di cucinare, oppure L’arte di mangiare. Qualcosa con la scrittura lo troviamo. : -)

Barbara Businaro

Giu 17, 2024 at 9:55 PM Reply

Ero sicuramente incuriosita dalla corsa. Probabilmente era lo stesso periodo dell’uscita del film Brittany non si ferma più, il primo ad essere girato proprio durante la maratona di New York, la prima domenica di novembre. E’ uno dei film che viene spesso consigliato dalle “vecchie” peakers alle giovani appena entrate per trarne motivazione e ispirazione. Guardando il trailer, penso che dovrei rivedermelo. La motivazione non è mai abbastanza!
…L’arte di cucinare non tanto, cerco di stare poco ai fornelli. Ma sull’arte di mangiare, ahimè, sono sono ben allenata nel sollevamento della forchetta!! XD

Grazia Gironella

Giu 14, 2024 at 8:56 PM Reply

Ho letto il libro anni fa, e ne ho anche parlato sul mio blog. Mi era piaciuto molto l’approccio di Murakami verso la scrittura, pratico e sensato. Credo che in parte la traduzione dal giapponese mi renda più gradevole la lettura: lo stile risulta semplice e diretto, e non ho mai l’impressione che l’autore si compiaccia delle parole che gli escono. A parte questo, secondo me correre (cosa che non faccio, se non come piccolo trotto con il cane) è, in qualche modo, come camminare (cosa che invece faccio). I passi si susseguono, i muscoli si scaldano, la mente si libera, il respiro prende un ritmo più vivace… E’ una pratica quasi ipnotica, che purifica.

Barbara Businaro

Giu 17, 2024 at 10:02 PM Reply

Anche a me piace il suo stile asciutto, senza fronzoli. Non si compiace mai di se stesso, né sulla scrittura né sulla corsa. Ammette le sue debolezze, per emtrambe le discipline, con una lucidità disarmante. Non pensa di avere talento nella scrittura, si ritiene molto fortunato, lo dice subito. Come altrettanto onesto è nell’affermare che invecchiando anche i tempi delle maratone non sono più gli stessi, occorre accettarlo. Secondo lui anche la scrittura risente dell’età, ma almeno si può compensare con l’esperienza.
Ho cominciato con la camminata veloce, andavo fuori sull’argine vicino a casa, specie d’inverno al sabato primo pomeriggio. Però tra pioggia e nebbia, diventava difficile. Il tapis roulant l’ho preso per essere costante nella camminata, mai e poi mai avrei pensato di riuscire a correre! 🙂

Brunilde

Giu 16, 2024 at 10:18 AM Reply

Ovviamente, ” L’arte di stare sul divano” lo scriverò io!
Ciò detto, per me Murakami è un mondo a parte, che non credo si possa identificare o sovrapporre tout court alla cultura giapponese. Io adoro i suoi romanzi, ognuno dei quali richiama gli altri, ma per qualche aspetto se ne discosta totalmente. Lo trovo geniale, onirico, fantasioso e al tempo stesso intimamente legato alla poetica del quotidiano. Ne ” Il mestiere dello scrittore” in cui racconta un po’ di sè mi ha dato l’impressione di essere assolutamento centrato sul presente, e quindi sereno, risolto. In questo, anche la passione per il correre, o per la siesta pomeridiana: vivere appieno l’esperienza del momento, anche in senso psicofisico, con lo sforzo della corsa e l’abbandono del sonno. Non a caso è un grande amante dei gatti…
Non vado oltre, parlerei dei suoi romanzi per ore.
Grazie per questo post, Barbara!

Barbara Businaro

Giu 17, 2024 at 10:05 PM Reply

Ricordati che un capitolo de L’arte sul divano ti tocca dedicarlo allo yoga da divano! XD
Non sapevo ti piacesse Murakami, e le tue parole mi hanno incuriosito ancora di più sui suoi romanzi. Per altro mi hai ricordato che ho pure il cartaceo de Il mestiere dello scrittore, è in fondo a una delle pile del tavolino, devo recuperarlo e metterlo in cima.
Sul suo amore per i gatti, Murakami ha scritto: “Non so perché mi piacciono così tanto i gatti. Mi piace il fatto che siano morbidi e caldi, e individualisti, un po’ come me”. Da un’altra parte mi pare di aver letto che del titolo Kafka sulla spiaggia, quel Kafka è il nome che aveva dato a un suo gatto (che poi nel romanzo i gatti sono ben presenti, un altro suo libro che voglio leggere).
E niente, al nostro prossimo incontro parleremo di Murakami per ore! 😉

Giulia Mancini

Giu 16, 2024 at 5:10 PM Reply

Non ho letto nulla di Murakami, avevo iniziato a leggere un estratto di 19Q4 intenzionata a comprare l’ebook ma poi dopo le prime pagine non mi ha preso e ho lasciato perdere, forse potrei riprovare con qualche altro romanzo in prestito alla libreria digitale, chissà. Quello che mi colpisce della sua storia è che ha iniziato a scrivere e ha avuto un successo istantaneo (non è da tutti vincere subito un premio letterario con la pubblicazione) che dire, ho un moto di invidia anch’io, insomma genera più simpatia la storia della Rowling con Harry Potter. Capisco però che un mestiere sedentario come la scrittura possa essere abbinato giustamente con l’attività della corsa, è un ottimo modo per scaricarsi e mantenersi in forma, io ho corso per diversy anni prima di dover rinunciare a causa dei menischi rotti, era un modo per mantenermi in forma e anche per staccare la mente dopo il lavoro (lavorando 8 o 9 ore alla scrivania era un modo per scaricarmi, perché la fatica della corsa mi faceva dimenticare i problemi lavorativi). Correvo al parco due o tre volte alla settimana e la corsa mi faceva stare bene. Però non scrivevo, ho smesso (lentamente ma inesorabilmente) proprio per ritagliarmi il tempo per scrivere, non puoi lavorare 8 ore al giorno, correre e scrivere e poi magari anche vivere. Murakami ha smesso di gestire il bar per dedicarsi alla scrittura (e ha fatto bene visto il successo che ha avuto) ma non è una scelta fattibile per tutti. Io oggi ho ripreso a muovermi dopo un paio di anni di inattività, non corro ma faccio la camminata veloce, cosa che però non libera la mente come la corsa, almeno per me. Poi quando non correvo, almeno fino alla pandemia, facevo comunque un po’ di attività fisica (aerobica, corsi di pilates).
Su una questione sono d’accordo con Murakami: per scrivere serve talento, la capacità di concentrazione e la perseveranza. Puoi avere talento ma senza concentrazione e perseveranza si fatica a scrivere un romanzo.

Barbara Businaro

Giu 17, 2024 at 10:06 PM Reply

Il successo istantaneo di Murakami è sì frutto del suo talento, ma purtroppo è anche una questione di tempi e mercati editoriali. Murakami ha esordito nel 1978 in un mercato giapponese dove le sue trame erano decisamente innovative, un po’ meno nel mondo occidentale (la sua fortuna è stata avere un padre insegnante e l’accesso alla letteratura europea e americana). Rowling ha terminato il primo Harry Potter nel 1995, in mezzo a grandi difficoltà personali e solo nel 1997, dopo i famosi dodici rifiuti, è stato pubblicato da Bloomsbury, piccola casa editrice indipendente. Ci sono quasi vent’anni di differenza, il salto dalla macchina da scrivere al computer e l’arrivo di internet, i primi siti web ma anche un mondo in via di connessione e globalizzazione. Da un certo punto di vista, scrivere un romanzo e proporlo per la pubblicazione è diventato accessibile a più persone, complicando tutto il processo di selezione dei manoscritti da parte delle case editrici, che a volte scelgono più in base ai follower dell’autore che al testo stesso. Troppa offerta, tra esordienti e nuove uscite continue, con una domanda scarsa, sempre meno lettori in proporzione. Purtroppo dobbiamo fare i conti con i tempi odierni, tra social media e serie televisive.
Sul talento non lo so, sulla perseveranza me la cavo, è la capacità di concentrazione che mi frega… 😛

Darius Tred

Giu 18, 2024 at 8:56 PM Reply

Non ho mai letto nulla del tuo amico giapponese, per un motivo molto semplice: le sinossi su cui ho buttato l’occhio finora non mi hanno mai entusiasmato. Poi, se devo proprio dirla tutta, non mi convince nemmeno questa “leggenda” secondo cui abbia deciso di punto in bianco di scrivere romanzi. L’ho letto qui ma l’avevo letto anche da qualche altra parte. E visto il suo profilo pregresso (padre docente, laurea in drammaturgia e via dicendo) mi puzza un po’…

Se ce l’hai nel sangue, ce l’hai nel sangue. Punto.
E’ inutile che fai il finto modesto, dicendo “Ho deciso di punto in bianco…”, “Ricordo il giorno esatto in cui l’ho deciso…” e via dicendo… 😉

Ma chi può dirlo?!?

Barbara Businaro

Giu 19, 2024 at 4:50 PM Reply

Non lo so, sono disposta a concedergli il beneficio del dubbio, semplicemente perché… ricordo bene il momento in cui anch’io ho avuto una sorta di illuminazione.
Che non era proprio una decisione convinta, tipo “Adesso mi siedo e scrivo un romanzo”. Era più un guardare quei fogli sparsi scritti di getto, considerare quell’idea che mi aveva preso e attanagliato il cuore, ferocemente e pensare “Oh cazzo! Questo potrebbe essere un romanzo!” 😀
Qualche anno dopo, quando ho ripreso in mano quei fogli, sono tornata indietro sulle mie agende e sono riuscita a risalire alla data esatta.
Non era una partita, ma una cena al ristorante per un compleanno di un amico. Qualcosa ha attirato la mia attenzione e da là è partito tutto.
Purtroppo è ancora fermo là, in un angolo, perché forse …nel mio sangue c’è più whisky scozzese che altro! XD

Daniela Bino

Giu 21, 2024 at 3:15 PM Reply

Vita sedentaria; una pessima compagnia! Murakami (mio figlio ne è un vorace lettore) iniziò a correre e guarda cosa ha partorito la sua mente cre-attiva (con due “T”)! Vorrei averlo fatto pure io, prima, quando, per fuggire ai miei fantasmi, sognavo di correre sorridente. Abito in un posto molto bello, che invita a sperimentare ottime camminate, soste all’ombra degli alberi e con un buon libro in mano. E l’immaginazione vola. Riprenderò non appena sarò guarita, seguendo l’esempio di questo maestro. Anche senza NOBEL, i suoi lettori sono sicuramente, come lui stesso afferma, il miglior premio.

Barbara Businaro

Giu 21, 2024 at 5:04 PM Reply

Ci sono tanti altri modi per combattere la vita sedentaria, non solo la corsa o la camminata all’aperto. Si parte dagli esercizi di respirazione (che muovono muscoli, addominali in primis) alle posizioni base dello yoga, che risvegliano la muscolatura senza forzarla troppo. Si può attivare la parte superiore del corpo (braccia, spalle, schiena) stando seduti su una sedia quando si hanno problemi alle gambe. Viceversa, si può allenare la parte inferiore (gambe, glutei, addominali) stando distesi su un tappetino. Perché attendere la guarigione, che non sia malattia grave e invalidante, rischia di diventare una scusa, uno degli alibi per non cominciare mai. Lo dico per esperienza personale. Prima di My Peak Challenge aspettavo sempre la fine di qualcosa. Invece bisogna iniziare adesso, nel mentre di tutto il resto, anche stando seduti sul divano. 😉
Vale anche per la scrittura. Come quelli che aspettano di avere più tempo libero per scrivere… 😛

Daniela Bino

Giu 24, 2024 at 7:25 PM Reply

Hai ragione! Prima stavo lavorando e Marito se ne è uscito a correre. Lui ha più tempo ma soprattutto ama correre in solitaria. A me piace anche da sola, a dirla tutta. Correre non posso, al momento, ma gli esercizi che consigli tu sono una buona idea. Cara Barbara, alla via così!

Barbara Businaro

Giu 27, 2024 at 9:41 PM Reply

Non avere tempo, tanto per camminare per te, quanto per scrivere per me, è solo un inganno. Stiamo probabilmente dando priorità ad altro. Dobbiamo solo rivedere le nostre abitudini e cercare di infilarci, un pochino alla volta, quello che stiamo procrastinando. Eh lo so, facile a dirsi. Io faccio prima a correre per 40 minuti ogni sera, che a mettermi a scrivere per finire quel manoscritto in un angolo. 😛

Luz

Lug 02, 2024 at 7:57 PM Reply

Mi è capitato di apprezzare moltissimo Murakami, e anche questo libro inaspettatamente bello, che annovero fra i miei saggi preferiti. Ne ho un ricordo bellissimo, risalente al 2015, quindi come te letto molti anni fa. Rileggere sarebbe bello.
Di Murakami ho apprezzato Kafka sulla spiaggia (il mio preferito fra quelli letti) e Norwegian wood. Ma anche l’altro saggio Il mestiere dello scrittore è davvero imperdibile. Se questo è già in fondo un manuale anche di scrittura, l’altro offre una visione molto più completo sul suo stile e metodo. Non so perché mi sia fermata con Murakami, e da molto tempo.

Barbara Businaro

Lug 03, 2024 at 4:49 PM Reply

Mi chiedo sempre anch’io perché, pur apprezzando uno scrittore e il suo stile, poi non continuo a leggere i suoi romanzi.
La risposta che mi sono data finora è che “siamo in esplorazione”. Ci sono talmente tanti libri che, una volta “assaggiato” un autore, lo teniamo da parte come una “coccola certa” per il futuro, per i momenti bui, per recuperare la bellezza dopo una lettura snervante e insoddisfacente. Ma intanto andiamo avanti con la nostra curiosità per altri stili e altre trame, un po’ assecondando le nostre vite quotidiane, e un po’ intrappolati dalle novità editoriali.

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