40 regole per scrivere bene da Umberto Eco

40 regole per scrivere bene

Qualche giorno fa Umberto Eco ha lasciato questo mondo di imbecilli (come lui soleva definire in particolare il web).
Leggendo le varie note biografiche che tutti i quotidiani hanno riportato, mi ha stupito scoprire che Il nome della rosa, il suo romanzo più conosciuto e tradotto in tutto il mondo (quindici milioni di copie signori!), in realtà non fosse tra i suoi prediletti, anzi lo odiava proprio. Perchè ovviamente riteneva i libri successivi tecnicamente migliori, ma a volte è bene scrivere più col cuore che col metodo.

Oltre che romanziere, saggista, filosofo, brillante docente universitario, semiologo (studioso dei segni del linguaggio verbale), era anche un ironico editorialista, che sapeva trovare una visione diversa dei fatti della nostra società. Una di queste rubriche era La bustina di Minerva), pubblicata dal 1985 sull’ultima pagina dell’Espresso e poi raccolta in vari libri (Diario minimo, Il Secondo Diario Minimo, La bustina di Minerva e Pape Satàn aleppe di prossima uscita).

In una di queste “bustine” aveva scritto le 40 regole per scrivere bene in italiano, dalla grammatica alla struttura, in una stesura beffarda dove ogni singola regola contraddice se stessa. Ma non erano completamente sue.

 

La lista prima di Eco

Questo elenco girava per email, condivido e ricondiviso tra giornalisti e aspiranti scrittori, e probabilmente all’epoca Google era solo un cucciolo, non certo il segugio straordinario che è ora.
L’originale è addirittura del 1979 ed appartiene al giornalista William Safire del New York Times, che scrisse le sue “Fumblerules of Grammar” (letteralmente regole perse della grammatica, dove fumble è la perdita del pallone nel football americano) nella sua rubrica “On Language”. Alle prime 36 regole, se ne aggiunsero altre 18 nel suo libro “Fumblerules: A Lighthearted Guide to Grammar and Good Usage”.

Umberto Eco rivide quel testo, producendone una versione più comprensibile per la nostra lingua. Sebbene per qualcuno siano scontate, io le ripasso sempre volentieri.

 

Le 40 regole per scrivere bene

Ho trovato in internet una serie di istruzioni su come scrivere bene.
Le faccio mie, con qualche variazione, perché penso che possano essere utili a molti, specie a coloro che frequentano le scuole di scrittura.

1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
L’allitterazione è una figura retorica (ndr. accorgimento tecnico del discorso) per cui la ripetizione di una lettera o sillaba in parole successive genera omofonia (suonano simili, seppur diverse). In questo caso, la successione è tra “allit-“, “allet-” e “alloc-“. Nella poesia è ricercata per finalità stilistiche (la classica rima), nel marketing è un ottimo metodo mnemonico (slogan pubblicitari), nella scrittura creativa diventa il male assoluto. Recentemente ho scritto “…dalla Moglie Perfetta che sicuramente l’aspetta. Parla in fretta…” Purtroppo capita di accorgersene alla decima revisione.

2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
Qui il congiuntivo è volutamente sbagliato. “Che lo si usI quando necessario”, mentre “si usA” è indicativo presente. Il congiuntivo è quella brutta bestia che anche i nostri esimi politici sbagliano di continuo e che la maestra ci faceva iniziare col “che”: che io fossi, che tu fossi, che egli fosse.

3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
Una rondine non fa primavera. Non ci sono più le mezze stagioni. Si stava meglio quando si stava peggio. E tutte gli altri modi di dire e locuzioni di uso comune che possono anche passare in un dialogo tra personaggi, ma non sono il massimo della creatività nel resto del testo.

4. Esprimiti siccome ti nutri.
O semplicemente “parla come magni”. Punto oscuro: intendeva dire di evitare l’ostentazione di un lessico ricercato che non ci appartiene?

5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
A meno ché non siate in ufficio e la vostra sia corrispondenza tecnica. Personalmente evito di usarli anche negli sms telefonici, adesso che non sono più limitati a 160 caratteri. Non sono più trendy. Oramai se vuoi essere cool e distinguerti dalla massa, scrivi in Italiano corretto! 🙂

6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
Le parentesi sono di tre tipi: tonde, quadre e graffe. Le graffe sono ad uso esclusivo delle materie scientifico-tecniche. Le quadre a volte vengono utilizzate in sostituzione delle tonde, a seconda della convenzione stilistica utilizzata. In generale, le parentesi in un testo servono per racchiudere un’informazione che sta su un piano diverso rispetto al discorso principale: una data storica, la spiegazione di un riferimento, una nota dell’autore/redattore (ndr. come ho utilizzato sopra al primo punto). Difficile trovarle in un racconto.

7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
I punti di sospensione sono sempre e solo 3. Tranne quando siete particolarmente incavolati e sui social vi scappa un rafforzativo del tipo: ………………!!! Ma solo lì potete prendervi questa licenza poetica.

8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
Le virgolette servono per contraddistinguere un’espressione all’interno di una frase, per la sua natura gergale, tecnica, figurativa o ironica, per racchiudere una citazione o il titolo di un altro testo o per incorniciare un discorso diretto di un dialogo. Qui si riferisce al primo utilizzo, quando si vuole evidenziare il particolare utilizzo di una parola.

9. Non generalizzare mai.
Non avremmo nulla di cui scrivere, altrimenti.

10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
E poco sopra ho scritto “trendy” e “cool”. Diciamo che dipende dal contesto, anche se vanno evitate.

11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
Le citazioni sono come le amiche, poche ma buone.

12. I paragoni sono come le frasi fatte.
Ovvero la “minestra riscaldata” del punto 3. La scorsa estate ho letto un romanzo appena uscito dove l’autrice utilizzava continui paragoni a film classici e piuttosto famosi, da Via col vento a Ufficiale e gentiluomo, per descrivere gli atteggiamenti dei personaggi. Per me il riferimento era immediato, per lei anche troppo facile da scrivere, ma passata la mia generazione, cosa rimarrà di quel libro?

13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
Se siamo costretti a ripetere un concetto, è perché la nostra comunicazione non è adeguata al pubblico che abbiamo di fronte. (Non sono io che non capisco, sei tu che non ti spieghi!)

14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
E dato che il mondo è pieno di stronzi, anche i romanzi lo sono.

15. Sii sempre più o meno specifico.
E se non lo siete, vi toccherà essere ridondanti.

16. L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.
L’iperbole è una figura retorica (come l’allitterazione del punto 1) che consiste nell’esagerazione della realtà, per eccesso o per difetto. Ad esempio: “E’ un secolo che non ti vedo!”; “Il prezzo del petrolio è salito alle stelle.”; “Facciamo quattro passi?”; “Mi hai spezzato il cuore!” Rischiamo però di cadere nelle frasi fatte del punto 3.

17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
Obbedisco!

18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
Credo valga per le metafore quanto detto per i paragoni al punto 12. La metafora è una figura retorica dove viene sostituito un termine proprio con uno figurato, in seguito a una trasposizione simbolica di immagini. Le parole come “piume sulle scaglie di un serpente”.

19. Metti, le virgole, al posto giusto.
Capite bene che c’è un’enorme differenza dal scrivere “Vado a mangiare, nonna” a “Vado a mangiare nonna”. Salvate la nonna, per carità! 😀

20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
Ammetto che l’uso del punto e virgola non è semplice. L’Accademia della Crusca spiega: il punto e virgola (punto acuto, punto coma) segnala una pausa intermedia tra il punto e la virgola e il suo uso spesso dipende da una scelta stilistica personale; i due punti (punto addoppiato, doppio, piccolo) avvertono che ciò che segue chiarisce, dimostra o illustra quanto è stato detto prima.

21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
Ringrazio Eco per questa citazione (ma non erano proibite? Punto 11) direttamente dal dialetto veneto. Letteralmente significa: peggio la toppa del buco.

22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
Il cigno canta, il treno deraglia, ma soprattutto è l’asino che raglia (con voce sgraziata). Un’allitterazione mentale che ci frega.

23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
La domanda retorica è una figura retorica che consiste nel formulare una domanda la cui risposta è ovvia, non è una vera richiesta di informazione, quanto la richiesta di una conferma che è implicita nella domanda stessa.
Nella voce del subconscio ci facciamo continuamente domande retoriche, di cui conosciamo, ma non vogliamo ammettere, le risposte. Non sei d’accordo?

24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
Siate brevi, ma non troppo (punto 17).

25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
Sugli accenti ci sono un po’ (apostrofo, non accento!) da dire. L’Accademia della Crusca ha preparato un comodo vademecum.

26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
Quando si mette l’apostrofo è perché si taglia la A di UNA, ma nel maschile esiste UN senza la O. La lingua italiana è un po’ maschilista…

27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
Ha ragione!!!

28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
(No, io non ho niente a che vedere con i barbarismi, giuro!) In inglese, il plurale si ottiene aggiungendo una S finale. Quindi FAN diventa FANS. Ma questa, come altre parole, è oramai utilizzata nella lingua corrente italiana senza aggiungervi la S.

29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
Baudelaire, Roosevelt e Nietzsche. Se non siete sicuri, cercateli in Google che ve li corregge in automatico.

30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
Il Cinque Maggio è un’ode scritta da Alessandro Manzoni, appunto il maggior scrittore lombardo del XIX secolo. Le perifrasi sono giri di parole per esprimere meglio un concetto o per evitare di esprimerlo direttamente.

31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
Captatio benevolentiae significa catturare la benevolenza o accattivarsi la simpatia.

32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
(Correttore ortografico automatico. Ssssh, io non ho detto niente.)

33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
La preterizione è un’altra figura retorica con cui si finge di omettere quanto in realtà si sta mettendo in risalto. Sono espressioni tipiche del discorso comune: “Non ti dico cosa mi è successo…”; “Per non parlare di quel che ha detto!”

34. Non andare troppo sovente a capo.
Almeno, non quando non serve.
L’andare a capo, ovvero delineare un paragrafo, serve per introdurre un nuovo pensiero, una scena differente, un punto di vista diverso, un dialogo di un altro personaggio. Serve per facilitare la lettura e la comprensione.

35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
Il plurale majestatis (letteralmente, plurale di maestà) si ha quando chi scrive o parla si riferisce a se stesso usando il plurale. E’ utilizzato da sovrani e papi, anche se in disuso ai nostri tempi. Rimane in ambito universitario per atti ufficiali emanati dal Rettore.

E qui chiedo venia. Capita che in webnauta io utilizzi il plurale, ma non è un plurale majestatis: mi riferisco infatti ai collaboratori che mi danno un aiuto nella conduzione di questo blog-veliero, dal Nostromo in sala macchine, al Primo ufficiale di coperta, dal commissario addetto alla bussola seo al sottufficiale dei social. Un comandante non vale niente senza la sua ciurma.

36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
La parola PERCHE’ spiega la causa, il motivo di un evento; la parola PERCIO’ spiega la conseguenza, l’effetto, ciò che è accaduto dopo l’evento.

37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
L’ora è tarda e questa mi sfugge…

38. Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
Sostanzialmente, non usate parole che il vostro pubblico non può comprendere. Sembra una ripetizione del punto 4. Ma non dovrebbe esserci ridondanza proprio per il punto 13. Repetita iuvant? (ndr. le cose ripetute aiutano)

39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
Non siate ripetitivi (punto 13) e neppure usate frasi di una sola parola (punto 17).
Soprattutto, non confondete prolisso con prolasso… 😀

40. Una frase compiuta deve avere.
Un senso.

 

E la 41esima regola?

Secondo me, la 41esima regola è nascosta nella stessa modalità in cui ha scritto questo elenco. In ogni punto, ha contraddetto esattamente ciò che stava enunciando. Perché solo chi conosce le regole, può infrangerle e creare qualcosa di nuovo, e unico.
O forse è solo la mia anima pirata che mi fa intravedere un’altra via?

 

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Comments (11)

sandra

Feb 24, 2016 at 9:11 AM Reply

chi conosce le regole, può infrangerle e creare qualcosa di nuovo, e unico.
Concordo. Le basi ci devono essere, poi è pure chiaro che qui stiamo parlando di un intellettuale che poteva piacere o non piacere ma indubbiamente stava anni luce lontano dalla massa.
Buona giornata

Barbara Businaro

Feb 24, 2016 at 3:44 PM Reply

Quando se uscì con la frase sugli imbecilli («I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli») non la presi molto bene. Internet ed i social mi hanno facilitato lavoro e comunicazioni, ed ho conosciuto persone meravigliose che stanno dall’altro capo del mondo. Poi l’intervista proseguiva con: «I giornali dovrebbero dedicare almeno due pagine all’analisi critica dei siti, così come i professori dovrebbero insegnare ai ragazzi a utilizzare i siti per fare i temi. Saper copiare è una virtù ma bisogna paragonare le informazioni per capire se sono attendibili o meno». E su questo non posso che essere d’accordo. Dato che anche oggi ho visto circolare un paio di bufale spacciate per verità.

Mario

Feb 13, 2021 at 4:27 PM Reply

Io non mi sono inquietato affatto… Eco si riferiva a quella marea di ‘esperti’ che popolano il web, che oltretutto non riescono a mettere tre parole assieme e sanno usare solo❤️ ecc. Non si riferiva affatto ad altri.

Barbara Businaro

Feb 14, 2021 at 6:08 PM Reply

Quegli imbecilli lì però hanno diritto di opinione e di voto sia da prima, quando parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, sia ora, che hanno la possibilità di scrivere e di essere letti in una pubblica piazza virtuale. Ma quando, seppure in nome della scienza, si vuole limitare il diritto di parola, c’è di che essere preoccupati eccome. Da lì a bruciare i libri il passo è molto più breve di quel che s’immagina. Più che puntare il dito sui social media, bisognerebbe chiedersi qual è la responsabilità della scuola pubblica in merito all’esistenza degli imbecilli. Peggio ancora: considerato quanto facilmente sono manipolabili e come facciano comodo a certi poteri, politici in primis, c’è da chiedersi se l’imbecillità non sia addirittura coltivata. Infatti nella frase successiva Eco si rivolgeva alla stampa e agli insegnanti, per promuovere l’analisi critica delle informazioni.

Vittorio Beggi

Feb 24, 2016 at 9:34 AM Reply

Regola n.1: “Non esistono regole”
Regola n.2: “La regola n. 1 ha valore soggettivo”

Barbara Businaro

Feb 24, 2016 at 3:45 PM Reply

Perchè scrivere 40 regole quando ne bastano 2? 😀
Il problema è che vogliamo arrivare ad un vasto pubblico soggettivo!

silvia

Feb 24, 2016 at 12:20 PM Reply

E’ il vecchio discorso: conoscere bene le regole per poterle infrangere. Me lo stampo e me lo studio a memoria. 🙂

Barbara Businaro

Feb 24, 2016 at 3:47 PM Reply

Non hai idea di quanto ho studiato io per capire ogni regola! Che alcune sono ovvie, altre un po’ più sottili. E comunque anche oggi, che sono bella sveglia, la numero 37 ancora mi suona fumosa…

silvia

Feb 24, 2016 at 6:31 PM Reply

Sai perché penso di averla capita? Perché è un errore che commetto molto di frequente. Traggo conclusioni che non discendono direttamente dalle premesse. Dopo la finanza creativa, la mia è logica creativa.. 😛

Omar Al Deek

Nov 16, 2017 at 11:05 PM Reply

Regola 28: è assolutamente giusto quanto espone Eco. Non si discute che in inglese si debba aggiungere la “s” alla parola per ottenere il plurale, si discute di come nella lingua italiana sia previsto di utilizzare la forma singolare della parola straniera anche per il plurale; e di come sia letteralmente un barbarismo fare il contrario. Il discorso non ha niente a che vedere con le consuetudini linguistiche sbagliate che affliggono gli utilizzatori della nostra lingua. In quanto a consuetudini sbagliate, abbiamo già grossi problemi con la dizione 😉

Barbara Businaro

Nov 17, 2017 at 9:13 AM Reply

Benvenuto nel blog Omar! Alcune parole straniere sono state italianizzate, quindi diciamo “le email/mail” ma non “le emails/mails” ad esempio. Poi in alcuni settori che lavorano molto con l’estero (ma penso anche agli informatici come me, dato che l’inglese è la lingua madre dell’informatica) capita di usare “l’Engliano”, per cui le regole si confondono e scappano “s” plurali in ogni dove (ricevo posta elettronica con il termine “emails”).
La dizione è la mia disperazione! Sono alla ricerca di un buon corso per togliermi un po’ di flessione veneta. 🙂

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