Comporre un puzzle senza l'immagine. Come scrivere una nuova storia.

Comporre un puzzle senza l’immagine

Molti anni fa, quando ancora vivevo con i miei genitori, e forse era addirittura durante il periodo universitario, con tutta la famiglia ci siamo impegnati in un’impresa a dir poco eroica: comporre un puzzle di 5000 pezzi senza avere l’immagine originale come traccia.
Non ricordo quale amico o parente avesse rinvenuto in qualche soffitta questo sacchettone trasparente pieno di piccoli pezzettini colorati, orfano della sua scatola che riporta sempre il risultato finale al termine del lavoro di rimetterli tutti insieme, al posto giusto.
Non avevamo nemmeno un indizio su cosa dovevamo aspettarci, nessuno si ricordava di quel puzzle abbandonato e che fine avesse fatto la confezione, e con 5000 pezzi minuscoli anche il colore di ogni singolo pezzo non è sufficiente a rivelare almeno una parte dell’immagine. Avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, dal Ponte di Brooklyn alle spiagge dorate dei Caraibi!
Però ci avevano portato il sacchetto per sapere se eravamo magari interessati, prima di farlo finire senza rimpianti nella spazzatura.
A quei tempi infatti ci piaceva comporre dei bei puzzle, le classiche fotografie di montagna, le vedute di qualche spiaggia incontaminata o illustrazioni di fantasia, alcune addirittura con inserti che fluorescenti, che brillavano di magia al buio.
Usavamo il grande tavolo in legno della taverna, dove preparavamo già un pannello di compensato dove lavorare i vari pezzi, così da spostarli velocemente e liberare il tavolo per qualche pranzo d’occasione. Il pannello sarebbe poi diventato il fondo dove incollare il puzzle finito, così da diventare un quadro da appendere a tutti gli effetti.
Chi di noi passava di là e aveva voglia di distrarre un po’ la mente, poteva sedersi qualche minuto e aggiungere qualche nuovo pezzo alla composizione, per poi tornare felicemente alle proprie occupazioni. Era un lavoro collettivo a tutti gli effetti, senza pressioni o scadenze. Mio padre ne approfittava durante le partite di calcio, almeno quelle più noiose, mia madre invece ci provava la sera, giusto prima di coricarsi, mentre io e mia sorella dipendevamo più dai nostri rispettivi umori scolastici.
Qualche volta partecipavano pure gli amici in visita: da una parte del tavolo il caffè e dall’altra un puzzle in allestimento, con la sua scatola in bella vista. Qualcuno se ne tornava a casa soddisfatto di aver trovato posto a una bella fetta del quadro, qualche altro sbuffava tutto il tempo per l’impazienza e chiedeva altro caffè in soccorso.
Fino a quando non ci siamo trovati di fronte a quel sacchettone pieno di pezzi, senza la sua immagine di accompagnamento. Ci siamo guardati un po’ smarriti. E’ impossibile, ci siamo detti. Però è un vero peccato, chissà cosa si nasconde lì in mezzo. Il sacchetto era stato messo in un angolo, in attesa del verdetto, che nessuno di noi aveva il coraggio di pronunciare.
Poi ci abbiamo ripensato, non ricordo chi di noi per primo ha preso l’iniziativa. Beh, proviamo e vediamo come va.
Siamo partiti con il nostro solito metodo, dalla base di tutti i puzzle classici: la cornice. Dal sacchettone abbiamo isolato tutti i pezzi con un lato tagliato di netto, anche se alcuni non sono proprio della cornice perché i produttori inseriscono questo taglio anche in mezzo al quadro, per maggiore difficoltà durante il gioco. Con molta pazienza, provando a incastrarli seguendo i colori, abbiamo composto la cornice, dando così forma e dimensione: un rettangolo di un metro e dieci per ottanta centimetri di altezza. Un bel colosso.
E adesso? In basso c’è della terra marrone e in alto il cielo azzurro con qualche nuvola bianca, però cosa ci sia nel mezzo ancora non si capisce. Senza l’immagine come direzione per la nostra ricerca del pezzo giusto nel punto esatto, abbiamo proseguito nell’unico modo possibile: per colore e forma. Abbiamo suddiviso tutti i pezzi, prima secondo il loro colore o la sfumatura prevalente, poi di nuovo in sottogruppi per il loro taglio, le puntine in fuori o l’aggancio in dentro. Poi li abbiamo disposti vicino alla cornice, lì dove pensavamo che quel colore sarebbe servito, senza doverci spostare continuamente intorno al tavolo.
E con una pazienza disumana abbiamo cominciato a provarli, uno ad uno, ruotandoli per ogni verso. Continuavamo a credere che fosse un’impresa impossibile, uno spreco di tempo assurdo, eppure nel giro di un mese si erano create delle zone ben distinguibili all’interno del quadro: c’erano una baita in legno, un bosco fitto e un’alta montagna innevata, in piena costruzione. Non ricordo quanto ci abbiamo messo per finire tutta la composizione del puzzle, non avevamo né fretta né scadenza. Però, rispetto a tutti gli altri completati in precedenza, ci avevamo messo decisamente più impegno. Avevamo accettato la sfida oramai. E beh, siamo sempre stati alquanto cocciuti in famiglia.
Anche quando si presentò l’imprevisto proprio sul finale: mancava un pezzo!
Il sacchettone era vuoto, eravamo stati molto attenti a tenere in ordine i mucchietti sopra il grande tavolo, eravamo certi non fosse caduto nulla, ma comunque abbiamo perlustrato tutta la stanza, in ogni angolo. Niente da fare. In alto a destra del puzzle c’era un buco bianco che stonava. Di solito non è un problema, perché basta scrivere al produttore, inviando il codice articolo del prodotto e una foto che mostri la posizione del pezzo mancante. In genere, inviano proprio quel pezzetto. Ma di questo puzzle non conoscevamo nulla, né all’epoca era possibile effettuare una ricerca accurata in Internet.
Un vero peccato, ma come potevamo rimediare? Era un minuscolo angoletto del bosco frastagliato. Così abbiamo provato a rimpiazzarlo con del bricolage artistico: abbiamo preso del cartone dello stesso spessore, ricalcata e ritagliata la sagoma mancante, posizionato al suo posto questo nuovo pezzo e usato dei pennarelli per colorarlo, scegliendo la tonalità dai pezzi vicini. Una volta appeso il quadro, non si notava affatto. Era diventato il puzzle di maggior valore proprio perché, dall’inizio alla fine, rappresentava la realizzazione di un’impresa impossibile.

Perché vi sto raccontando questo?
Questo episodio mi è tornato alla mente qualche giorno fa, perché con la scrittura è la stessa identica esperienza.
Hai una storia da scrivere, ma ancora non conosci il risultato finale. Anche quando hai già deciso la tua direzione e sai come finirà alle ultime pagine, perché è quello che senti vuole la storia stessa da te, c’è tutto il quadro nel mezzo da completare. E hai tutti questi pezzettini, di diverse forme e incastri, con i personaggi, i loro caratteri, i luoghi dove si muovono, gli eventi, i particolari, da mettere tutti insieme. E mentre cerchi di comporre il puzzle, ci sono pure delle svolte improvvise, quando l’immagine mostra delle sfumature inattese che regalano maggiore profondità a tutta la trama. Erano lì, sotto i tuoi occhi, in attesa.
Un lavoro complesso, sfiancante, al limite della follia. Ma una volta concluso, quando ogni pezzetto è al posto giusto, l’unico possibile, è una vittoria che supera qualsiasi aspettativa. La trama è completa, la vista dell’insieme è meravigliosa.
Poi si ricomincia con una nuova scatola. 😉

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Comments (20)

Marco

Mag 13, 2025 at 7:56 AM Reply

Be’, è vero. Io non so mai cosa c’è precisamente nel mezzo e il solo modo per scoprirlo è andare avanti. Scrivendo scopro che cosa voglio dire.

Barbara Businaro

Mag 13, 2025 at 3:50 PM Reply

Oppure a volte hai anche un’idea di ciò che è in quel mezzo (se hai la fotografia della scatola, no?), però man mano che metti insieme i pezzettini, noti dei particolari che l’immagine da lontano non ti aveva mostrato davvero. 😉

Lisa

Mag 13, 2025 at 10:01 AM Reply

va beh però non puoi incuriosirci così poi non mettere la foto del puzzle!

Barbara Businaro

Mag 13, 2025 at 3:51 PM Reply

Eh Lisa, purtroppo la foto proprio non ce l’ho, nemmeno del puzzle finito.
L’ho cercata tra le foto digitalizzate, ma evidentemente quel “molti anni fa” corrisponde più a “molti eoni fa”, quando non c’erano i cellulari con le fotocamere sempre pronte, ma nemmeno le prime fotocamere digitali. Era l’epoca del rullino da portare a sviluppare in studio e quindi si prestava più attenzione a cosa fotografare, con parsimonia. Ho anche provato a cercare in rete, tra le immagini dei puzzle venduti nei primi anni ’80, ma niente da fare. Resta solo il ricordo nella mia mente. 🙂

Brunilde

Mag 13, 2025 at 6:03 PM Reply

Qualcuno sostiene che quando hanno distribuito la pazienza io fossi malata, assente, o forse distratta…
Non sono proprio una da puzzle!
Quando scrivo ho in mente la storia, o almeno so dove voglio andare a parare. Poi, certo, mettendo insieme tutti i vari pezzettini, il quadro d’insieme si fa più preciso.
Non ho mai associato la scrittura alla pazienza. Per me, è un processo creativo, con gli inevitabili stop and go. Credo che se occorresse essere pazienti, non avrei mai prodotto neanche un biglietto di auguri per Natale!

Barbara Businaro

Mag 13, 2025 at 6:46 PM Reply

Beh, in questo momento non sono da puzzle nemmeno io! Credo siano fasi della vita, e in effetti all’epoca studiavo tomi di economia e statistica, a volte incomprensibili, per cui il cervello stesso mi urlava di smettere. Mettersi lì a provare i pezzettini era qualcosa di rilassante, non era richiesto pensare troppo, giusto guardare gli incastri e i colori.
Mia madre era abituata a lavora invece con i ferri da maglia, ma ecco, quell’attività lì non fa per me, è già troppo pensare. A questo punto, decisamente meglio il puzzle!
Nemmeno per me scrittura è pazienza, direi che è piuttosto… ansia!! XD

Sandra

Mag 13, 2025 at 6:55 PM Reply

L’impresa ha oggettivamente dell’eroico soprattutto per chi, come me, non va oltre i 500 ovviamente poi con la foto. Se tu ora non sei in fase puzzle, al contrario io ci sono arrivata molto tardi, ma le immagini con pochi colori le abbandono subito, abbiamo qua un puzzle con un mosaico di Ravenna su cui ci siamo arresi molto in fretta. Adoro quelli natalizi della Disney.
Detto ciò, similitudine assai azzeccata, ciò che si crea scrivendo è assai mutevole, in divenire, anche quando ci sembrava di avere la storia sotto controllo non lo è mai.

Barbara Businaro

Mag 13, 2025 at 8:44 PM Reply

Beh, sui pochi colori la vera sfida è stato un Ravensburger fluorescente, con non tanti pezzi, forse un 1000 o 1500, con il mare di notte (quindi acqua e cielo tutti e due blu scuro) e in mezzo i delfini che saltano (giusto un po’ di nero e le striature bianco-grigie dei fianchi). I riflessi delle stelle sull’acqua ti facevano confondere con i pezzi del cielo stellato. Gli inserti fluorescenti (che di giorno sono verdognolini) erano gli unici a venire in aiuto! XD
Quello ce l’ho qui, ma chiuso in un sacchettone con altri, in attesa di un trasloco su una casa con più pareti… che poi, il problema dei puzzle, è che non ti bastano più le pareti per appenderli!!

Darius Tred

Mag 13, 2025 at 10:56 PM Reply

Sì, vabbé! Sono d’accordo con Lisa: un post così e poi nemmeno la foto.
Come scrivere un racconto senza il finale…
😉

Barbara Businaro

Mag 14, 2025 at 4:00 PM Reply

Come ho risposto a Lisa, la foto proprio non ce l’ho e non ho modo nemmeno di fotografare adesso quel puzzle.
Però eh, leggere un post che si focalizza sul procedimento simile alla scrittura creativa e fermarsi solo alla foto finale del puzzle…
è come scrivere un romanzo storico con dei tartufi viola! 😀

Marco Amato

Mag 14, 2025 at 11:21 PM Reply

Perdere pezzi dei puzzle è sempre di buon auspicio, come nella vita, quando ci perdiamo pezzi, ci smarriamo, e quel vuoto diventa una nuova presenza, un perché da spiegare e spiegarsi.
Anch’io ho avuto il periodo dei puzzle. Bel periodo. Spero che ritorni, ma con uno spirito nuovo.
In ogni caso, come un puzzle da ultimare, qui si aspetta il tuo romanzo. Giusto per rimanere in tema. XD

Barbara Businaro

Mag 16, 2025 at 3:13 PM Reply

Ma in effetti, caro Marco, il tema di questo post è proprio quello del mio romanzetto (etto etto). 😉
Dopo aver sistemato altre impellenze, sono tornata su quel progetto, stavolta però con un piano organizzato.
Ho un blocco nuovo dove segnarmi le cose da fare, ho stampato l’attuale versione e talvolta appunto a matita anche là, oltre che sul filone (failone, grande file 😀 ) sul computer.
Ho ripreso il cartellone – storyboard con i post-it cartacei e lo sto ricopiando in uno strumento online. Nel frattempo rivedo la linea temporale e l’organizzazione delle scene, quelle che ci sono già e quelle che ancora devo scrivere.
E al termine di ogni sessione (una volta a settimana per ora, ma un intero pomeriggio) devo effettuare l’accounting, ovvero riferire alla mia “writing coach” che ho fatto qualcosa. Non entra nel merito del cosa, è ancora presto per parlarne, ma attesta che ho fatto, mi sono impegnata nel progetto. Questo è importante per la mia mente, che così è obbligata a muoversi (se funziona con gli allenamenti di My Peak Challenge, deve funzionare anche per la scrittura, no?)
Sono solo all’inizio, ma sento che mi sto innamorando di nuovo della storia. Sento anche di avere più “muscoli”, perché non mi spaventa più muovere, allungare, tagliare le scene già scritte, anche se mi dispiace.
Vedremo. E’ ancora presto. Per ora non ho ancora completato la cornice del puzzle e il tavolo è ingombro di pezzettini, almeno diecimila stavolta! XD

Marco Amato

Mag 17, 2025 at 9:14 AM Reply

E’ una bella notizia. A questo punto definirei quel che stai facendo un vero e proprio: the puzzle project. 😉

Barbara Businaro

Mag 17, 2025 at 5:22 PM Reply

The puzzle pazzo project 😀 😀 😀

Marina

Mag 15, 2025 at 4:02 PM Reply

Adoravo i puzzle, da bambina, ne avevamo molti anche noi ed eravamo soprattutto io, mio fratello e mio padre a dedicarci a quella minuziosa ricerca del pezzo giusto (mia madre non ha mai avuto pazienza). Quando, poi, ho avuto miei figli ho continuato la tradizione e ho riempito anche loro di puzzle, prima con poche tessere e grandi, poi con pezzi piccoli e sempre più numerosi. Naturalmente mi divertivo con loro.
Bella la tua storia, anche perché mi piace immaginare la famiglia unita in questa attività. Il tuo parallelismo con la scrittura regge, anche se io, ormai, non riesco più a immaginare storie lunghe e scrivere racconti è un po’ come avere per le mani uno di quei puzzle che regalavo ai miei figli, da piccoli, con poche tessere, di grandi dimensioni.

Barbara Businaro

Mag 16, 2025 at 3:14 PM Reply

Ricordo i puzzle da bambini, ce ne dovrebbe essere uno mio vecchio dei Puffi, ancora nella sua scatola. Lo scopo però in quel caso è differente: ti diverti a farlo, perché è semplice, anche di dimensioni contenute, e poi lo “distruggi” e rimetti tutti i pezzi nella scatola, per il prossimo giro. Aiuta i bambini nella manualità e nella logica, oltre che a farli stare tranquilli per qualche oretta. 😀
Ma non sono convinta che rappresentino i racconti, in questa metafora con la scrittura. Se il romanzo è un lungo percorso, il racconto è una fotografia, diciamo spesso, che potrebbe proseguire in un romanzo, ma decidiamo di fermarci lì, all’essenziale. Ecco perché vedo un racconto più come un dettaglio, un’area di un centinaio di incastri, del grande puzzle da 5000 pezzi. La piccola baita incastonata sul bosco di pino sullo sfondo di un intero villaggio delle Dolomiti. Il piccolo pesce pagliaccio all’interno del quadro sottomarino che riprende anche tartarughe, delfini, orche e persino una balena. Il punto in cui la palma accarezza l’acqua nella baia di un’isola hawaiana.
Pochi pezzi che già da soli rendono la poesia del tutto. Solo che bisogna sceglierli bene.

Giulia Mancini

Mag 15, 2025 at 8:40 PM Reply

Confesso che non sono abbastanza paziente per affrontare un puzzle e non mi sono mai cimentata, del resto serve anche una casa con uno spazio dedicato come la tua taverna. Tuttavia questo puzzle senza immagine mi ha fatto pensare che è una metafora perfetta della vita: non sappiamo quale sarà il disegno finale, ma ogni piccolo pezzo che troviamo ha un senso.
Se poi facciamo il collegamento con la scrittura di un romanzo ci sta, di solito si parte da un’idea per sviluppare una trama, incastrando un pezzo alla volta, capitolo dopo capitolo, con passione e costanza.

Barbara Businaro

Mag 16, 2025 at 3:14 PM Reply

Il puzzle della vita è ancora più complesso: parte dal centro e si compone, in direzioni diverse e con ritmi incomprensibili verso l’esterno, senza avere l’immagine e, soprattutto, senza avere il confine definito di una cornice! 😉
Nel caso del romanzo, come rispondevo sopra a Marco, sto proprio incastrando pezzi, e i miei sono pure malandrini, perché cambiano forma man mano che li guardo! XD

Luz

Mag 22, 2025 at 7:21 PM Reply

La immagino la scena in cui diversi componenti di una famiglia sono alle prese con questa sfida titanica. Non avevo mai pensato al fatto che possono esistere dei puzzle riposti semplicemente in un sacchetto, chi li trova senza nessun riferimento. Un bel ricordo, lo hai saputo ricostruire nei dettagli. 🙂
Sono d’accordo, la scrittura funziona allo stesso modo, tranne probabilmente quando hai già in mente un quadro generale, ma anche lì, riempire di tessere il tanto spazio in mezzo è una bella incognita che si svela man mano.

Barbara Businaro

Mag 23, 2025 at 4:01 PM Reply

Non eravamo sempre tutti e quattro attorno a quel tavolo, forse giusto all’inizio, quando abbiamo aperto il sacchetto. Poi era più facile, anche per questioni di spazio, mettersi lì in due, ai lati grandi del tavolo e della cornice del puzzle. Ma spesso era un lavoro solitario, al massimo conversando con qualche altro nella stanza, intento in altre faccende (in genere, mia madre che stava stirando).
Sulla scrittura, il quadro generale della tua trama proprio è l’immagine della scatola del puzzle con cui ti confronti. Nel mio caso, avendo ripreso quel mio romanzetto abbandonato, sono senza quell’immagine. Era una scrittura prematura, di getto, ingenua. Con molta pazienza, sto cercando di completare le parti mancanti e vedere cosa ne esce. 🙂

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