C'è posta per te - Meg Ryan alla scrivania - Warner Bros (C)

La scrittura è un lavoro per ricchi,
ma non ricchissimi

L’avevo scritto due anni fa, in un post decisamente amaro, dopo mesi di lunghe riflessioni: La scrittura è un lavoro per ricchi. Dove la parola “ricchi” contiene un duplice significato: ricchi di tempo (e il tempo è denaro), perché la scrittura necessita della nostra presenza, stare lì seduti alla scrivania per ore e ore prima di completare anche solo una pagina decente, figuriamoci un manoscritto finito; e ricchi di competenze, perché se si vuole pubblicare, sia col self-publishing che con l’editoria tradizionale, ci sono diverse attività complementari alla scrittura (ne avevo scritto qui: Le diverse competenze richieste dalla scrittura), e se non abbiamo tempo o dimestichezza per occuparcene direttamente, occorre pagare dei professionisti (ed è ancora denaro).

All’epoca soffrivo della mancanza cronica di tempo, più che di competenze (essere un informatico ha effettivamente l’enorme vantaggio dell’abitudine all’autoapprendimento, è tutto talmente veloce che stai studiando in continuazione). Avevo persino cambiato lavoro, dopo la bellezza di sedici anni nello stesso ufficio, per ritrovarmi in una nuova azienda con ancora meno spazio e quiete, per colpa dei nuovi contratti nazionali che ci hanno rubato il tempo libero, già poco che era. Manovra per altro poco intelligente dei nostri burocrati, dato che mi era impossibile persino a spendere il denaro guadagnato e far girare un po’ l’economia. Ero stressata per la perenne corsa, insoddisfatta sia della vita lavorativa che di quella personale, con un calo dell’efficienza dopo una certa soglia di ore accumulate. L’esatto contrario di quanto sperimentano alcuni miei amici all’estero, Germania, Danimarca, Belgio, Inghilterra, con la settimana lavorativa di 4 giorni…

In quel mio vecchio post raccontavo anche di un articolo del The Guardian: A dirty secret: you can only be a writer if you can afford it (trad. Un segreto sporco: puoi essere uno scrittore solo se te lo puoi permettere) firmato da Lynn Steger Strong, insegnante di scrittura creativa. Partendo dalla propria esperienza e facendo qualche conto in tasca agli scrittori, Lynn spiega ai propri studenti che non è la scrittura a mantenere queste persone serene, vestite e nutrite. Sono già di famiglia ricca e possono permettersi di scrivere per diletto. Come conclude poi il suo discorso?
Consiglia di trovarsi un lavoro che dia tempo e spazio anche per scrivere, un lavoro che, tra dieci anni, non ci renda tristi, un lavoro che economicamente ci sostenga abbastanza da poter scrivere in libertà, senza ansie per le bollette da pagare.

Ed è quello che ho fatto lo scorso anno. Ho cambiato lavoro, di nuovo. 😀
Dopo mesi di studio intenso, tutte le sere dopo una giornata già frenetica alla scrivania, su materie lontane ai tempi dell’Università o completamente ignote sulle amministrazioni statali, ho partecipato a un concorso pubblico per tecnico informatico e mi sono ritrovata quarta in graduatoria. Non male per essere la mia prima esperienza di questo tipo! Vi ho raccontato tutto qui: Gli esami non finiscono mai
La chiamata però è arrivata ben prima di quanto avevo previsto, grazie all’aumento delle assunzioni degli informatici nella Pubblica Amministrazione per poter affrontare la sfida della transizione al digitale. Così da un anno oramai sono un dipendente comunale, con un orario ridotto sulla carta di sole 4 ore rispetto al privato (da 40 a 36 ore), gestito in maniera differente (inizio alle 8.00 invece che alle 9.00), così da avere quasi tre pomeriggi liberi. Il tutto però mi è “costato” la bellezza del 38% di stipendio in meno, a pari professionalità, e l’azzeramento di qualsiasi benefit aziendale. Il tempo è denaro, appunto.

Con ben 4 ore in più di libertà sono riuscita finalmente a dedicarmi alla scrittura come volevo? Ehm…no.
Forse non è ancora questa la soluzione giusta per me, forse dopo due anni di pandemia e di lavoro senza pause ho parecchio arretrato personale da smaltire, forse si sono infilate altre attività alle quali non posso rinunciare o non riesco a delegare.
Mi viene quindi da pensare, ancora una volta in più, che per scrivere bisogna essere ricchi, ma ricchissimi sul serio, avere tutto il tempo libero del mondo e nessuna preoccupazione, nemmeno la più banale. Vivere di rendita e concedersi di scrivere quasi per sfizio.

Invece no. La scrittura è sì un lavoro per ricchi, perché qualcuno deve pagare i tuoi conti finché sei concentrato a scrivere, ma in realtà non per ricchissimi. L’ho capito leggendo una vecchia testimonianza, alquanto divertente, della regista e sceneggiatrice Nora Ephron.
Ma come Chi?! Nora Ephron, l’autrice di Harry, ti presento Sally… e di C’è posta per te! E questi due solo per cominciare!! 🙂


La scrittura romantica di Nora Ephron

Nora Ephron era una brillante giornalista, scrittrice, sceneggiatrice e regista. Nata a New York e poi vissuta a Beverly Hills, era figlia di due sceneggiatori, ma non possiamo considerarla figlia d’arte, conquistò da sola tutti i suoi traguardi. Aveva anche tre sorelle più piccole: Hallie, scrittrice di romanzi gialli e insegnante di scrittura creativa; Delia, scrittrice e sceneggiatrice, ha collaborato con Nora ad alcuni soggetti come C’è posta per te; e Amy, scrittrice per ragazzi e redattore collaboratore di Vogue. Una famiglia ricca di talenti, senza dubbio.

Dopo una laurea in Scienze Politiche al Wellesley College e uno stage alla Casa Bianca ai tempi di JFK, cominciò la sua carriera come giornalista, prima al settimanale Newsweek nella rubrica dell’angolo della posta, poi al New York Post per ben cinque anni. Approdò infine alla rivista Esquire scrivendo pezzi completamente suoi, in una colonna dedicata alle questioni femminili. In seguito a una collaborazione sulla sceneggiatura per Tutti gli uomini del presidente, viene ingaggiata come sceneggiatrice per la televisione. Qui inizia la sua seconda carriera e la scrittura romantica di Nora Ephron arriva anche al cinema.

Sua era la frase “Take notes, everything is copy” (trad. Prendi appunti, tutto è trama), anche se l’aveva presa in prestito dalla madre, come insegnamento che tutto quel che ti accade nella vita e tutte le persone che incontri sono dell’ottimo materiale per le tue storie.
Così trasformò l’infedeltà del suo secondo marito, il premio Pulitzer Carl Bernstein che aveva condotto l’inchiesta sul Watergate, infedeltà diventata evidente su tutte le riviste patinate, in un bestseller di successo, Heartburn (in Italia tradotto in Affari di cuore) e subito dopo, nonostante la richiesta del marito in tribunale di non scrivere più del loro matrimonio, divenne pure un film con protagonisti gli strepitosi Meryl Streep e Jack Nicholson.

Forse il suo nome non lo ricordate (è stata chiamata Nora in onore della protagonista dell’opera teatrale A Doll’s House di Henrik Ibsen), ma le sue commedie romantiche le conoscete di sicuro, perché sono diventate dei cult: Harry, ti presento Sally…, Insonnia d’amore e C’è posta per te (queste ultime due la vedono anche alla regia). Le sue erano sceneggiature da candidature all’Oscar e ai BAFTA, anche se poi erano gli anni in cui Hollywood concedeva davvero poco alle donne. La sua ultima pellicola al botteghino è un altro dei miei film preferiti, Julie and Julia, con Amy Adams, Meryl Streep e Stanley Tucci, sulla vita di Julia Child, la prima cuoca televisiva d’america.

Il suo terzo marito era un italiano, Nicholas Pileggi, lo scrittore di Quei bravi ragazzi. Pare venissero in Italia almeno una volta l’anno, amavano il nostro paese e soprattutto la nostra cucina. Partecipando ad una raccolta di memorie in sei parole, “Not quite what I was planning: six-word memoirs by writers famous and obscure” di Larry Smith, lei sintetizzò così la sua felicità coniugale, finalmente raggiunta: “Il segreto della vita è sposare un italiano”. 😀

Purtroppo ci ha lasciati nel 2012, a soli 71 anni. Malata di leucemia mieloide da tempo, le sue condizioni si erano aggravate per una polmonite.
L’ultimo suo capolavoro, a detta di chi lo ha letto, è il suo libro autobiografico Non mi ricordo niente, le sue ultime memorie, dall’impossibilità di ricordare i nomi delle persone alle feste, alle difficoltà con le nuove tecnologie, ciò di cui farebbe volentieri a meno e ciò che invece le mancherà, compresa la ricetta dei suoi pancake alla ricotta.
L’ho messo nella mia lista di prossimi acquisti, sperando in una futura ristampa. Perché il suo stile è un toccasana al nostro malumore.

Come dicevo sopra nell’introduzione, stavo riflettendo sulla mia scrittura e su come non avere impicci economici potesse essere un gran sollievo, convita che solo i ricchissimi possano davvero concedersi di vivere e scrivere quanto e come gli pare.
Finché non ho letto questo post scritto direttamente da Nora Ephron nell’ottobre del 2010 per il New Yorker: My Life as an Heiress. The will that wouldn’t. (trad. La mia vita da ereditiera. Il testamento che non volevo.)
Ne traduco qui di seguito per voi lettori la parte più importante: l’eredità che stava per rovinare la sua carriera!

Nora Ephron. Foto originale di Prachatai. Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic License

Nora Ephron. Foto originale di Prachatai
Creative Commons License Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic License.

Le diverse fasi della ricchezza
e il corniolo di zio Hal

Non ho mai saputo perché mia madre non fosse vicina a suo fratello Hal. Posso indovinare. È possibile che lui non avesse aiutato finanziariamente con i loro genitori. È possibile che non le piacesse sua moglie Eleanor. È possibile che fosse risentita del fatto che i suoi genitori avevano trovato i soldi per mandare lui alla Columbia, ma avessero spedito lei in un college pubblico. Chi lo sa? Il segreto è morto e sepolto.
In ogni caso, sono cresciuta senza incontrare mio zio Hal. Vivevamo a Los Angeles e Hal viveva a Washington DC, con la già citata Eleanor. Erano entrambi economisti governativi, e poi, negli anni Cinquanta, hanno lasciato. Si vociferava di affiliazioni alla sinistra.

Quando ero al college, mio ​​zio Hal e zia Eleanor non erano più vicini al comunismo, se mai lo erano stati: erano nel settore immobiliare ed erano molto, molto ricchi. Nel 1961, quando ero a Washington per uno stage politico, mi portarono a cena da Duke Zeibert. Hal era un uomo dolce e adorabile, ed Eleanor era insolita. Aveva un viso lungo da cavallino e capelli biondi, e adorava ridere. Nei fine settimana andavo a stare a casa loro a Falls Church, una splendida casa nuova che avevano costruito nell’ambito di un grande progetto. Eleanor e Hal non avevano figli, ma avevano molte case: le compravano e le vendevano senza voltarsi indietro. Possedevano arte, antichità cinesi e tappeti persiani, e la loro casa era gestita magnificamente da una governante di nome Louise. Cito Louise per un motivo, come vedrai.

Ai miei genitori non piaceva davvero la famiglia – non avevo mai incontrato i fratelli di mio padre, o i miei cugini di primo grado – ma Hal ed Eleanor erano in contatto con un sacco di persone dal lato di mia madre, e quell’estate a Washington mi fecero conoscere alcuni cugini di mia madre, i miei cugini di secondo o terzo grado, a seconda di come li contate. Uno era Joe Borkin, un noto avvocato di Washington, un esperto degli antecedenti familiari e non riusciva a credere che fossi cresciuta senza avere la minima idea di dove fossero nati i miei nonni materni. Me lo disse e, per lealtà verso mia madre che non aveva alcun interesse in queste cose, me ne dimenticai subito. Un altro era Artie Lautkin, un medico senza maniere che si era saggiamente dedicato alla radiologia. Era sposato con Fredda, al cui nome ero profondamente affezionata.[…] Hal ed Eleanor mi hanno anche presentato il nipote di Eleanor, che chiamerò Irwin perché, a dire il vero, non ricordo il suo nome; Irwin alla fine entrò in affari con Eleanor ed Hal. Lo cito anche per una ragione.

Nel 1974 Eleanor morì. Passarono gli anni. Vedevo lo zio Hal a Washington e a New York. Mio padre e lui erano entrambi vedovi; ogni tanto parlavano al telefono e poi mio padre chiamava per aggiornarmi.[…] I bollettini di mio padre su mio zio Hal non riguardavano mai Hal stesso, ma la vasta proprietà di Hal, che, secondo mio padre, era stata lasciata interamente alle mie tre sorelle e a me.
“Ho parlato con Hal e tu sei nel testamento”, diceva.
“Sei ancora nel testamento”, diceva.
“Divisa in quattro tra voi quattro ragazze”, diceva.
“Un sacco di soldi”, diceva.

Non mi è mai passato per la mente credere che mio padre stesse dicendo la verità, che sarei stata il destinatario della ricchezza ereditata. Inoltre, lo zio Hal era in ottima salute. Ma poi, un giorno d’estate del 1987, mentre ero seduto alla mia scrivania alle prese con una sceneggiatura da scrivere per pagare le bollette, il telefono squillò; era un amministratore di un ospedale di Washington DC, chiamava per dire che Hal stava morendo di polmonite e avrei dovuto, come suo parente più prossimo, essere pronta a prendere una decisione di fine vita. Ho riattaccato, stordita, e il telefono ha squillato di nuovo. Era Fredda Lautkin, moglie del radiologo, a chiamarmi per la seconda volta nella mia vita per dirmi che l’appartamento di Hal a Washington era pieno di tappeti e opere d’arte estremamente preziosi e avrei dovuto chiuderlo immediatamente con un lucchetto, altrimenti Louise la governante poteva scappare via con tutto. Ho detto a Fredda che dubitavo seriamente che Louise avrebbe fatto qualcosa del genere, ma aveva lavorato per Hal ed Eleanor per la maggior parte della sua vita adulta ed era la benvenuta a scappare con qualsiasi cosa volesse. Poi il telefono squillò di nuovo. Era l’ospedale. Hal era morto.
Ho chiamato Delia (ndr. la sorella di Nora). “Preparati a diventare un’ereditiera” dissi.

Nessuno di noi due aveva la più pallida idea in cosa fosse consistesse effettivamente il testamento di Hal. C’erano profitti dalle case che lui ed Eleanor avevano ristrutturato, e dai grandi complessi che avevano costruito a McLean e Falls Church, un isolato dopo l’altro di lussuose case suburbane da sogno, con piscine coperte e sale giochi, angoli per la colazione e simili. E c’era anche la famosa faccenda portoricana. Hal ed Eleanor avevano acquistato un enorme appezzamento di terreno da qualche parte a Porto Rico e lì avevano iniziato una costruzione, in collaborazione con il nipote di Eleanor, Irwin. Ogni tanto gliene chiedevo ad Hal, e lui rispondeva che stava andando alla grande, che era appena stato a Porto Rico, che stavano incontrando l’architetto, che i progetti erano fantastici, che avrebbero visti i modelli, che stavano cercando più investitori.

Mi sembrava che dovesse valere almeno tre milioni di dollari. Che all’epoca erano un sacco di soldi. Diviso per quattro, sarebbero arrivati settecentocinquantamila dollari per ciascuno di noi. Non potevo crederci. Era una fortuna. Cambiava tutto. OK, forse erano solo due milioni di dollari. Sarebbe ancora mezzo milione di dollari ciascuno. D’altra parte, forse erano quattro. Un milione di dollari ciascuno. Un milione di dollari ciascuno! Continuavo a stimare, dividere per quattro e spendere mentalmente i soldi. Mio marito ed io avevamo recentemente comprato una casa a East Hampton e la ristrutturazione era costata molto più di quanto avessimo mai immaginato. Non c’era più niente per il giardino. Sono uscita e ho fatto il giro della casa. Ho piantato mentalmente diversi alberi. Strappavo il prato frastagliato e immaginavo gli enormi camion di zolle che ora sarei stata in grado di pagare. Ho pensato di fare una gita al vivaio per vedere le ortensie. Il mio cuore correva. Ho allontanato mio marito dal suo lavoro e abbiamo discusso sul tipo di alberi che volevamo. Un corniolo, decisamente. Un grande corniolo. Costava una piccola fortuna, e ora stavamo per averne una.

Sono andata di sopra e ho guardato la sceneggiatura che stavo scrivendo. Non avrei mai più dovuto lavorarci su. Lo stavo solo facendo per soldi e, ammettiamolo, non sarebbe mai stata realizzata, e inoltre era davvero difficile. Ho spento il computer. Mi sono sdraiata sul letto a pensare ad altri modi per spendere i soldi di zio Hal. Mi è venuto in mente che avevamo bisogno di una nuova testiera.
Così, in quindici minuti, avevo attraversato le prime due fasi della ricchezza ereditata: Allegria e Pigrizia.

Il telefono squillò.
Era mio padre. “Hal è morto” disse.
“Lo so”, dissi.
“Stava lasciando i suoi soldi a voi quattro”, proseguì mio padre, “ma gli ho detto di escluderti dal testamento perché avete già abbastanza soldi”.
“Che cosa?” Ho detto.
Ha riattaccato.
Ho guardato fuori il prato. Questo per quanto riguarda la zolla.
Ho chiamato Delia. “Aspetta di sentire questo sviluppo”, ho detto, e le ho detto cosa era successo.
“Beh, lo sistemeremo”, disse Delia. “Ognuno di noi ti darà una percentuale di ciò che erediteremo e questo lo renderà equo”.
“Un quarto” dissi.
“Sei sempre stata più brava in matematica”, disse. “Chiamerò gli altri”.
Ha chiamato gli altri e mi ha richiamato.
“Amy è disposta”, ha detto. “Hallie non lo è.”
Non potevo crederci. Noi quattro eravamo sempre stati d’accordo che se qualcuno di noi fosse stato tagliato fuori dalle volontà di mio padre, gli altri l’avrebbero divisa di nuovo. Sicuramente questo valeva per lo zio Hal.
La giornata non era nemmeno finita, ed eravamo entrati nella terza fase della ricchezza ereditata: il Dissenso.

Il giorno dopo ho ricevuto una telefonata dall’avvocato di Hal. Mio padre si era sbagliato: dopotutto Hal non mi aveva escluso dalle sue volontà. Aveva lasciato metà della sua proprietà a noi quattro e l’altra metà a Louise, la governante.
Ero felice per Louise. Si meritava i soldi.
Quanto a me, ero scesa a un ottavo. Non all’altezza di un quarto, ma, se la proprietà si fosse rivelata di quattro milioni di dollari, erano comunque un mucchio di soldi.
“Quanti soldi ci sono?” Ho chiesto all’avvocato.
“Non molto” disse.
“‘Non molto’ cosa significa?” Ho detto.
“Meno di mezzo milione”, ha detto.

Meno di mezzo milione, si è scoperto. Grazie al nipote di Eleanor, Irwin, Hal aveva perso quasi tutti i suoi soldi nell’avventura portoricana. Ciò che restava, diviso per otto, avrebbe comprato delle zolle, ma non mi avrebbe salvato dalla sceneggiatura che stavo scrivendo.
“La buona notizia”, ​​disse l’avvocato, “è che se erediti meno di settantacinquemila non ci sono tasse di successione”.
Ho chiamato Delia e Amy e gliel’ho detto. Non ho chiamato Hallie. Non ho mai più parlato con Hallie.
Sono andata di sopra, ho acceso il computer e sono tornata al lavoro.

La settimana successiva, mia sorella Amy chiamò per dire che aveva sentito dall’avvocato di Hal e poteva esserci un Monet. C’era un dipinto nell’armadio e lo stavano mandando a un perito. A quel punto, io avevo smesso di sperare, ma questo non ha impedito ad Amy di entrare nella quarta fase della ricchezza ereditata: il Possibile Capolavoro nell’Armadio.

Probabilmente non c’è bisogno che ti dica che non era un Monet.
Alla fine, noi quattro abbiamo ereditato circa quarantamila dollari ciascuno da zio Hal.
Quindi non sono mai entrata nella quinta fase della ricchezza ereditata: la Ricchezza.

Ho finito la sceneggiatura ed è stata realizzata. Sono sempre pronta a trarre lezioni dalle mie esperienze e la lezione tratta da questa è stata che sono stata estremamente fortunata a non aver mai ereditato soldi veri, perché non avrei finito di scrivere “Harry, ti presento Sally…”, che ha davvero cambiato la mia vita.

Abbiamo comprato un corniolo. È davvero bello. Fiorisce a fine giugno e mi ricorda il mio dolce zio Hal.

"Abbiamo comprato un corniolo. È davvero bello. Fiorisce a fine giugno e mi ricorda il mio dolce zio Hal." Nora Ephron
Un corniolo così maestoso piacerebbe anche a me!

 

Cosa comprereste con una ricchezza improvvisa?

Questa storia mi ha fatto sorridere. Qualcun altro l’avrebbe presa davvero male, illudersi di avere mezzo milione di dollari e trovarsi invece con appena quarantamila dollari. Ma Nora Ehpron no, la sua infallibile ironia le mostra il lato comico di tutta la vicenda.
Mentre io penso quale terribile perdita sarebbe stata per noialtri se avesse finito quella sceneggiatura!!!
Ma voi, cari lettori, come spendereste l’eredità giunta dal vostro zio Hal? Quali sogni vorreste realizzare subito?
Io ce l’ho.
Ed è molto semplice, risolverebbe tutti i nostri problemi, di noi autori squattrinati.
Compro una casa editrice, una di quelle big ovviamente, poi faccio pubblicare i miei romanzi e tutti quelli dei miei amici blogger. 😀 😀 😀

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Comments (13)

Daniela Bino

Ago 31, 2022 at 5:32 PM Reply

Con l’eredità di zio Hal mi comprerei una casetta, possibilmente in riva al mare; una semplice casetta, senza fronzoli ma con tanti libri.
E comprerei anche un po’ di terra attorno, con qualche albero per potermi rifugiare sotto le sue fronde. Penso che la felicità non si possa comprare e che il denaro non sempre serve… ma aiuta!
Grazie per avermi riportato alla memoria Nora Ephron, che stimo per le sue sceneggiature eleganti e ironiche. Ricordo “Heartburn”, storia di tradimenti magistralmente interpretata da due mostri sacri di Hollywood.

Barbara Businaro

Set 02, 2022 at 4:50 PM Reply

Eh il tuo sogno non è tanto diverso dal mio. Dopo aver comperato la casa editrice, anch’io mi vedo in una casetta, più che altro un cottage, forse in riva al mare o forse affacciata a un lago. Anche tanta terra sì, magari un boschetto e una collina per le passeggiate alle spalle. Del resto, lì dove me la immagino io, le colline non mancano. In Scozia. 😀 😀 😀
Non ho visto “Heartburn”, ma sono tentata di leggere il romanzo.

Marco Freccero

Ago 31, 2022 at 6:57 PM Reply

Con quello che ti è successo negli ultimi 2 anni hai materiale per almeno 2 romanzi 😉
Comprerei un maso in Trentino. Ma probabilmente non farei nulla, nemmeno un maso comprerei. Starei lì, a pensare a come non sperperare tutto. Finendo per diventare mezzo matto. 😀
Meglio non ereditare nulla

Barbara Businaro

Set 02, 2022 at 5:04 PM Reply

Beh, anche quello che mi è successo prima di questi due anni sarebbe materiale da romanzo, e ce n’è parecchio. Però certe cose non si possono scrivere (a meno di non avere un avvocato che controlla continuamente le bozze…) Soprattutto non le voglio scrivere. Cerco la leggerezza nella scrittura.
Un maso in Trentino può anche rendere bene, se ti dai alla produzione del formaggio, tra la stesura di un libro e l’altro. 😉

Sandra

Ago 31, 2022 at 9:41 PM Reply

Commento dal cellulare, quindi sarò più breve di quanto vorrei, ma non ho un pc qui.
Nora Ephron è uno dei miei miti, ho una copia di Affari di cuore, romanzo iconico e stupendo in montagna. Lei incarna la commedia come la vorrei fare io e la sua storia personale è notevole.
E comunque direi di buttarci sui gratta e vinci per puntare su quella casa editrice.

Barbara Businaro

Set 02, 2022 at 5:30 PM Reply

Allora devo proprio leggere questo Affari di cuore, per capire qual è il tuo riferimento stilistico come scrittura. Peccato che Feltrinelli non lo ristampa più, ma ci sono davvero tantissime copie nel mercatino dell’usato, con pochi euro si porta a casa.
Con la fortuna che ho io ai giochi Sandra, sono capace di trovare il gratta e vinci che sotto l’argento mi chiede altri soldi… 😀 😀 😀

Giulia Mancini

Ago 31, 2022 at 10:09 PM Reply

Con un’eredità consistente mi piacerebbe poter vivere i prossimi anni senza lavorare in attesa della pensione (visto che 35 anni di contributi li ho già maturati, versati e sudati, mica ci rinuncio) poi nel tempo libero – oltre a godermi la vita – continuerei a scrivere, ma senza troppo stress…
Comunque lo zio ricco non ce l’ho, quindi per sognare mi concedo ogni tanto un gratta e vinci

Barbara Businaro

Set 02, 2022 at 5:41 PM Reply

Qualche lontano cugino emigrato in America? Ne parlavano sempre i miei nonni quand’ero bambina, di un lontano parente che forse era negli Stati Uniti o forse in Canada, non se ne era più saputo nulla. E si fantasticava che tornasse in Italia, in cerca delle sue radici, magari senza eredi… 😀
In ogni caso, non rinuncerei nemmeno io alla pensione, con tutto quello che ci costa in busta paga per tutta una vita.

Marco Amato

Set 01, 2022 at 12:00 PM Reply

Molto divertente la storia dell’eredità. Conosco ovviamente Harry ti presento Sally e C’è posta per te. Ma non conosco l’autrice; quindi chicca da approfondire.
E detto sinceramente io non la vorrei una eredità. Un mio amico che vorrebbe fare lo scrittore sì, dice che sarebbe la soluzione alla sua vita ereditare una ricchezza.
Io no. Io voglio farcela con le mie forze. Non a diventare ricco, che i soldi quando hai quelli giusti, il surplus non serve a niente. Io vorrei vivere senza più dover lavorare, creandomi da solo o il gruzzoletto giusto, o una rendita giusta.

E col mio amico discutendo fra eredità sì per lui e eredità no per me, rispondo con l’esempio dello scalatore.
In montagna si può arrivare in vetta in due modi. O con l’elicottero o con una dura e lunga scalata. Io sono convinto che guardare il panorama, quello stesso panorama, avrebbe due sapori differenti se guardato di sfuggita e riposato dal volo dell’elicottero o guardato con le ossa delle gambe rotte, col fiato corto, con la mente che si libera in una gioia incontenibile, con la gioia del dire: è stata dura, mi dicevano che sarebbe stato impossibile, ma io ce l’ho fatta.

Eppure l’eredità non la disdegnerei. Posseggo un desiderio. Dovessi avere una eredità o un giorno grazie ai miei romanzi dovessi diventare ricco, molto ricco, farei questo: Finanzierei sogni.
Tu sogni di scrivere un romanzo ma non puoi farlo perché devi pagare le bollette? Ti finanzio io tre anni di spese e tu scrivilo il romanzo.
Tu sogni di mettere su una commedia teatrale? Te la finanzio, falla, se è il tuo sogno, provaci.
Tu sogni di aprire una pizzeria e con quella creare la pizza più buona del mondo? Te la finanzio io la pizzeria, crea la tua pizza.
E per ogni sogno finanziato, se il sogno dovesse andare bene, non vorrò restituito nulla, neanche un centesimo. Soltanto un patto, chiederei. Se con i soldi che io ti ho finanziato tu realizzi il sogno, con quei soldi cerca qualcun altro che possiede un sogno che non può realizzare e finanzialo. Dai agli altri la possibilità che io ho dato a te.
Niente contratti, niente imposizioni, per finanziare un sogno basterebbe una stretta di mano. Certo, qualche malizioso direbbe: ma se con i soldi che tu gli hai dato per realizzare il sogno, quello se li spendesse in viaggi e divertimenti? Risponderei facendo spallucce. Io ho creduto in lui e nel suo sogno. Gli ho dato la sua occasione. Se l’ha sprecata non è un problema mio, ma suo.

Ecco. Probabilmente non erediterò mai una fortuna e sicuramente non diventerò mai ricco con i miei libri. Però sì, dannazione, se diventassi ricco finanzierei sogni. Questo sì che sarebbe un bel modo di spendere la propria vita. Dare agli altri, l’opportunità che avrei voluto avere per me a venti anni, quando ero giovane e imbottito di grandiosi sogni mai realizzati.

Barbara Businaro

Set 02, 2022 at 6:22 PM Reply

Tutti noi vogliamo farcela con le nostre forze, in linea generale. Ma sai anche tu, meglio di me, che ci sono alcuni settori dove il mercato è “dopato”. Mancanza di meritocrazia e dubbi interessi economici, nonché cronica scarsità della domanda, fanno sì che, riprendendo l’esempio dello scalatore (e qui gioco in casa, come peaker 😉 ), c’è qualcuno che in vetta ci arriva con l’elicottero e qualcun altro è lì che corre in salita, si appiglia, ansima, convinto di essere diretto verso la vetta mentre… sta faticando sopra un tapis roulant, con la pendenza al massimo, e un proiettore gli mostra il percorso e la cima, lassù sempre alla stessa distanza. Fatichi, fatichi e non arrivi mai da nessuna parte. Il mercato è il tapis roulant.
Come dice Tess (Melanie Griffith) al termine del film “Una donna in carriera” (ma vale anche per i maschietti): “Si possono cambiare le regole una volta arrivati in cima, non mentre si sta cercando di arrivarci. E se sei come me, non puoi arrivarci senza prima cambiare le regole.” 😉

Detto questo, è molto bello e poetico il tuo progetto di finanziare sogni. Che quasi quasi, dovresti scriverci un romanzo. Pensa che incredibile destino se fosse proprio quello poi a renderti sul serio un finanziatore di sogni! 😀
E l’unico compenso dell’aiuto è “Passa il favore”, come nel film Un sogno per domani con Kevin Spacey, Haley Joel Osment (il bambino de Il sesto senso o A.I.) e Helen Hunt. Nemmeno là aveva la certezza che la persona aiutata avrebbe aiutato qualcun altro, ma non era importante perché comunque, essendo una diffusione esponenziale (le 3 persone aiutate avrebbero a loro volta aiutato altre 3 persone ciascuno), il metodo avrebbe garantito comunque ottimi risultati.
Adoro quel film, anche se detesto il suo finale…

Luz

Set 07, 2022 at 12:15 PM Reply

Conosco bene Nora Ephron, perché penso che When Harry meet Sally sia un capolavoro (che conosco praticamente a memoria). Mi affascinò fin da subito e sulla scia del film mi misi a leggere tutti gli articoli di giornale in cui mi imbattei, quindi il nome della sceneggiatrice fu qualcosa che conobbi fin da subito. Ho amato la storia di questa donna, il suo sorriso aperto. Mi dispiacque molto quando morì perché avrebbe potuto donarci molto altro ancora.
Non conoscevo questa storia della sua eredità, dapprima stratosferica e poi assottigliatasi a una cifra più vicina al nostro mondo. E concordo, probabilmente non avremmo avuto quel grandissimo capolavoro.
Riguardo a cosa farei… dipende. Si tratta di un’eredità “importante”, magari di un paio di milioni di euro?
Anch’io vorrei essere attiva e creativa, senza adagiarmi a scialacquare. Non avrebbe senso portare al dito un anello di diamanti da 100.000 euro, sono oggetti di cui non mi è mai importato nulla. Così come possedere automobili rombanti e beni futili, più consoni a chi possiede imperi finanziari. Io vorrei:
1. una casetta in montagna, in Trentino, di medie dimensioni e tale da poter ospitare persone a cui voglio bene;
2. mi disferei della casa acquistata pochi anni fa (e dei debiti che comporta) per comprarne una non a schiera;
3. acquisterei un immobile in cui fondare una specie di piccola accademia di arti: teatro, canto e danza;
4. acquisterei un immobile per fondare una piccola casa editrice scopritrice di talenti;
5. viaggerei moltissimo, in tutto il mondo, ma senza scialacquare, spendendo il giusto;
6. mi doterei di una squadra di persone di fiducia, lasciando spazio a giovani talenti;
7. mi doterei di personale assistente, perché io nel frattempo dovrei occuparmi anche di eventi (una mia grande passione);
8. aprirei un teatro in una periferia disagiata, con tanto di scuola di recitazione;
9. donerei alla ricerca:
10. aiuterei un familiare in difficoltà.

Va bene come programmino? 🙂

Barbara Businaro

Set 08, 2022 at 3:36 PM Reply

Direi che è un programmino proprio eccellente!
Potrei anche passare in moto su in Trentino per prenderci un caffè insieme! 🙂

Barbara Businaro

Set 10, 2022 at 12:37 AM Reply

E mentre stavo programmano il mio post per domani, arriva questo tag su Facebook e quest’altro post illuminante e divertente di Darius Tred: Ecco cosa farebbe lui con una vagonata di milioni piovuti dal cielo. 😀

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