La pazienza di Meryl Streep ne Il diavolo veste Prada - vanityfair.com - Vanity Fair from collection CHRISTOPHEL/ALAMY

Quel che resta del giorno
La mia scrittura

Non ho pazienza per alcune cose, non perché sia diventata arrogante, semplicemente perché sono arrivata a un punto della mia vita, in cui non mi piace più perdere tempo con ciò che mi dispiace o ferisce. Non ho pazienza per il cinismo, critiche eccessive e richieste di qualsiasi natura. Ho perso la voglia di compiacere chi non mi aggrada, di amare chi non mi ama e di sorridere a chi non mi sorride. Non dedico più un minuto a chi mente o vuole manipolare. Ho deciso di non con-vivere più con la presunzione, l’ipocrisia, la disonestà e le lodi a buon mercato. Non tollero l’erudizione selettiva e l’arroganza accademica. Non mi adeguo più al provincialismo e ai pettegolezzi. Non sopporto conflitti e confronti. Credo in un mondo di opposti. Per questo evito le persone rigide e inflessibili. Nell’amicizia non mi piace la mancanza di lealtà e il tradimento. Non mi accompagno con chi non sappia incoraggiare o elogiare. I sensazionalismi mi annoiano e ho difficoltà ad accettare coloro a cui non piacciono gli animali. Soprattutto, non ho nessuna pazienza per chi non merita la mia pazienza.
José Micard Teixeira

Questa frase l’avrete sicuramente vista viaggiare per i social, accompagnata dal bellissimo viso dell’attrice Meryl Streep (che io adoro tra l’altro, la sua interpretazione ne Il diavolo veste Prada è insuperabile, ed è uno dei pochi casi in cui ho preferito il film al romanzo!).
Lei però non ha mai pronunciato queste parole, non sono sue. Nell’estate del 2014 qualche buontempone su Facebook ha trovato la frase interessante, ma non ha ritenuto la figura dello scrittore portoguese José Micard Teixeira abbastanza celebre da acchiappare con facilità il click del pubblico. Meryl Streep invece appariva in molti eventi, interviste, film, premiazioni, con discorsi il cui tono in fondo poco si discostava da queste riflessioni, ed era conosciuta in tutto il globo, fu un attimo approfittare della sua popolarità.
Trovate l’errata attribuzione anche nell’enciclopedia delle citazioni Wikiquote (a conferma che non ci si può fidare di alcune fonti scritte senza verifica), alla voce italiana di Meryl Streep, mentre un commento di chiarimento è stato inserito nella versione inglese, probabilmente più attenta al diritto d’autore, sempre tra le frasi di Meryl Streep.
Dal canto suo, lo scrittore si è detto divertito della situazione, che gli ha portato di rimbalzo una certa risonanza: senza la foto di Meryl Streep il suo pensiero avrebbe raggiunto così tante persone?

Al di là di chi sia o meno questo testo, il suo contenuto mi ritorna spesso alla mente in questo periodo. Devo essere giunta anch’io in quel punto della mia vita per cui “non ho più pazienza per chi non merita la mia pazienza”.
Da gennaio in qua ho accumulato parecchia stanchezza, non fisica, che oramai per quella ho buoni muscoli, ma stanchezza mentale. Non è tanto dovuta ai miei impegni di lavoro, quanto alla mancata serietà che ho riscontrato nelle persone in questi mesi. Mancanza che non riesco più a scusare, nemmeno per le persone in difficoltà, perché se lo sei davvero, chiedi aiuto invece di lasciare le giornate scorrere una dopo l’altra solo lamentandoti.

Ragioniamo spesso della mancanza di affidabilità da parte degli editori, quando garantiscono una risposta certa che invece non giungerà mai, mancanza di affidabilità che ho visto pure in aziende degli altri settori (del resto, gli editori di oggi sono meramente imprenditori, ne più ne meno), ma ho trovato questa mancanza anche nelle relazioni personali: troppo spesso si fanno promesse e si prendono incarichi sull’onda dell’entusiasmo per poi rinunciare all’ultimo momento, svalutando il tempo degli altri che si erano invece vincolati. L’imprevisto può capitare, l’imprevisto seriale no, dimostra una volontà precisa.

Alla fine di tutte queste corse e affanni per stare dietro agli altri, la mia scrittura che fine fa?
In un angolino della giornata, dove arrivo sempre più stanca e arrabbiata.
E questo non va affatto bene. Lo dice anche il medico, il dottor Gordon Livingston…

 

La mia scrittura e
le tre componenti della felicità

Leggendo non ricordo più quale newsletter, mi sono ritrovata davanti a questo articolo curioso: Life Lessons From a Psychiatrist Who’s Been Listening to People’s Problems For Decades (trad. Lezioni di vita da uno psichiatra che sta ascoltando i problemi delle persone da decenni) di Thomas Oppong su The Startup, la raccolta delle pubblicazioni più lette su Medium.

Ho scoperto così l’esistenza di questo libro singolare, Too Soon Old, Too Late Smart: Thirty True Things You Need to Know Now (trad. Troppo presto vecchio, troppo tardi furbi: Trenta cose vere che devi sapere ora) del dottor Gordon Livingston. Sembra esserci anche una traduzione italiana del testo, ad opera della casa editrice Armenia, ma la vedo fuori catalogo negli store principali, in ogni caso l’ebook è solo per la versione inglese.

Dal ritorno della guerra in Vietnam, per cui gli conferirono anche la stella di bronzo come chirurgo sul campo, il dottor Gordon Livingston iniziò a lavorare come psichiatra, ascoltando le persone parlare delle loro vite, cosa funziona, cosa no e gli infiniti modi, alcuni dei quali autoinflitti, che queste persone trovavano per sentirsi infelici.
Dovette anche affrontare due gravi lutti famigliari: in un periodo di tredici mesi perse il figlio maggiore di ventidue anni per suicidio, forse dovuto al disturbo bipolare, e il più giovane, di soli sei anni, per una leucemia. Queste esperienze lo segnarono sicuramente nel profondo, ma gli permisero anche di comprendere meglio i suoi stessi pazienti.
In questo libro, il dottor Gordon Livingston spiega le sue riflessioni sui temi della felicità, della paura e del coraggio.

Le persone vengono spesso da me per chiedere medicine. Sono stanchi del loro umore triste, della stanchezza e della perdita di interesse per le cose che in precedenza davano loro piacere.[…] I loro giorni sono di routine: lavori insoddisfacenti, pochi amici, tanta noia. Si sentono esclusi dai piaceri di cui godono gli altri.
Ecco cosa dico loro: la buona notizia è che abbiamo trattamenti efficaci per i sintomi della depressione; la cattiva notizia è che i farmaci non ti renderanno felice. La felicità non è semplicemente l’assenza di disperazione. È uno stato affermativo in cui le nostre vite hanno sia significato che piacere.

Sulla considerazione che spesso la mancanza di infelicità è scambiata per felicità, io ci ho scritto un racconto alquanto particolare, chiedendomi se non possa esistere un metodo per insegnare la felicità. Ma a quale prezzo poi? Lo potete leggere qui: Formiamo persone felici 
Nel suo libro il dottor Gordon Livingston va oltre e spiega da cosa è composta la felicità:

Le tre componenti della felicità sono qualcosa da fare, qualcuno da amare e qualcosa da guardare avanti. Pensaci. Se abbiamo un lavoro utile, relazioni di sostegno e la promessa di soddisfazione, è difficile essere infelici. Uso il termine “lavoro” per comprendere qualsiasi attività, pagata o non retribuita, che ci dà una sensazione di significato personale. Se abbiamo un’avventura irresistibile che conferisce un senso alle nostre vite, questo è il nostro lavoro.

Non è il primo in effetti a dire che la felicità è una questione interiore e dipende da ciò che scegliamo per noi stessi (un lavoro, un amore, un progetto per il futuro). Non dipende dagli altri, se abbiamo selezionato bene le nostre amicizie, e non dipende nemmeno dai soldi, dato che i sorrisi veri abbondano proprio tra le persone più povere del pianeta.
Dobbiamo essere noi a cambiare le nostre abitudini quotidiane, privilegiando ciò che più ci avvicina ai nostri obiettivi di felicità.
Si tratta anche di lasciare il certo per l’incerto: la paura porta infatti a scegliere la stabilità, l’ordinario, il conosciuto e facilmente prevedibile; l’incerto porta ansia, preoccupazione, i sensi all’erta per eventuali pericoli di una strada mai battuta.
Ma non possiamo ottenere nessun risultato rimanendo nella nostra – infelice – zona di comfort.

Il vero segreto di una vita felice è l’attenzione selettiva.

Se scegliamo di focalizzare il nostro impegno e le nostre energie su cose e persone che ci portano piacere e soddisfazione, sarà più facile sentirsi appagati e felici. E qui torniamo alle considerazioni in apertura di questo mio post, ovvero non avere più pazienza per situazioni sgradevoli, scegliere di non perdere più tempo con ciò che ci dispiace o ferisce. Lasciare invece spazio alle attività che ci rendono contenti e realizzati: per questo la mia scrittura non merita di finire in un angolo, di quel che resta del giorno lavorativo.

E le trenta cose vere che devi sapere ora? 😀
Il dottor Gordon Livingston ha riservato ad ognuna un capitolo del libro, ma sono riassumibili brevemente con i loro titoli:

  1. Se la mappa non corrisponde al terreno, la mappa è sbagliata.
  2. Noi siamo ciò che facciamo.
  3. È difficile rimuovere per logica un’idea che non è nata dalla logica la prima volta.
  4. I termini di prescrizione sono scaduti per la maggior parte dei nostri traumi infantili.
  5. Qualsiasi relazione è sotto il controllo della persona che si preoccupa di meno.
  6. I sentimenti seguono il comportamento.
  7. Sii audace e forze potenti verranno in tuo aiuto.
  8. La perfezione è il nemico del bene. (ndr. Ne avevo scritto proprio qui: Quick and dirty! Il perfezionismo non aiuta la scrittura)
  9. Le due domande più importanti della vita sono “Perché?” e “Perché no?” Il trucco è sapere quale chiedere.
  10. I nostri più grandi punti di forza sono le nostre più grandi debolezze.
  11. Le prigioni più sicure sono quelle che costruiamo per noi stessi.
  12. I problemi degli anziani sono spesso gravi ma raramente interessanti.
  13. La felicità è il rischio ultimo.
  14. Il vero amore è la mela dell’Eden. (ndr. Se ne mangerai, niente sarà più come prima…)
  15. Solo le cose brutte accadono rapidamente.
  16. Non tutti quelli che vagano sono persi.
  17. L’amore non corrisposto è doloroso, ma non romantico.
  18. Non c’è niente di più inutile, o comune, che fare le stesse cose e aspettarsi risultati diversi.
  19. Scappiamo dalla verità invano.
  20. È una cattiva idea mentire a se stessi.
  21. Siamo tutti inclini al mito del perfetto sconosciuto.
  22. L’amore non è mai perso, nemmeno nella morte.
  23. A nessuno piace sentirsi dire cosa fare.
  24. Il principale vantaggio della malattia è che fornisce sollievo dalla responsabilità. (ndr. Nel senso che qualcuno usa la malattia come scusa per non rischiare dei cambiamenti)
  25. Abbiamo paura delle cose sbagliate.
  26. I genitori hanno una capacità limitata di modellare il comportamento dei bambini, tranne che in peggio.
  27. Gli unici veri paradisi sono quelli che abbiamo perso.
  28. Di tutte le forme di coraggio, la capacità di ridere è la più profondamente terapeutica.
  29. La salute mentale richiede libertà di scelta. (ndr. Anche la felicità è determinata dalla libertà di scegliere la propria vita, come ha evidenziato il World Happiness Report 2019)
  30. Il perdono è una forma di lasciarsi andare, ma non sono la stessa cosa.

 

Quel che resta del giorno

In questi mesi ho messo da parte la scrittura in favore di altro. Non sono nella mia zona di comfort, tutt’altro: sto cercando il cambiamento tale per cui potrò avere più tempo per scrivere o maggior serenità per scrivere meglio. Mi sono purtroppo resa conto che alcune persone non considerano quanto la mia scrittura sia per me importante (eppure lo dico, e un blog così elaborato dovrebbe darne atto, ma saranno mai venuti a leggerci qualcosa?!), dovrò dunque divenire più selettiva.

Ritornando a Meryl Streep, forse c’è qualcosa che possiamo imparare proprio dalla sua tirannica Miranda Priestly de Il diavolo veste Prada. C’è una scena particolare che ricordo con esattezza del film, ed è quella del maglioncino ceruleo. Non azzurro, non turchese, nemmeno lapis, ma effettivamente ceruleo, selezionato con cura dagli stilisti che hanno voluto proprio quel colore tra tante gradazioni.
Miranda Priestly non lascia nessuno ridere dell’apparente vacuità del mondo della moda, milioni di dollari e di posti di lavoro che arrivano alla fine pure ai grandi magazzini dietro casa, anche a chi vuole ostentare indifferenza o superiorità.
La stessa cosa deve valere per le nostre parole. Nessuno può permettersi di ridere dell’impegno che mettiamo nelle nostre storie.
E chi lo fa, non merita la nostra pazienza, e soprattutto non merita il nostro tempo.

 

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Comments (33)

Nadia

Lug 21, 2019 at 8:47 AM Reply

A volte anche poter selezionare amicizie, scelte lavorative, spazi personali… diventa un piccolo lusso, impreziosito ancora di più dalla difficoltà. Se ne guadagna in prima persona il tuo equilibrio, la tua serenità, la tua percezione globale è di certo la cosa migliore da fare. Si tratta di coerenza e coraggioso, una duplice dimostrazione di rispetto verso la persona più importante : noi stessi. Quindi, go Barbara go.

Barbara Businaro

Lug 22, 2019 at 11:45 PM Reply

Non è solo un lusso, ma ci vuole anche una certa capacità per rendersi conto quando famiglia, lavoro, amicizie fagocitano tutto il nostro tempo, lasciandoci il nulla.
Pensi di aver capito con l’età a distinguere le persone e concedi fiducia centellinandola. E invece…
Probabilmente a ottant’anni, se ci arrivo, farò gli stessi errori, mi ritroverò a giocare a canasta da sola! 😀

Elena

Lug 21, 2019 at 9:06 AM Reply

Mi sfugge qualcosa. Bello l’articolo, bella la citazione iniziale, favoloso il file e lei (credo lo rivedrò dopo questo assaggio). Bella e utile la lista delle 30 cose. Ma in questo momento per te mi pare azzeccata una citazione, guarda guarda, evangelica “In qualunque città o villaggio entrerete, informatevi se vi è qualcuno degno e dimorate presso di lui fino alla vostra partenza.
Entrando nella casa salutatela; e se la casa ne è degna, scenda la vostra pace sopra di essa;
ma se non ne è degna, ritorni la vostra pace a voi.
Se qualcuno non vi riceve né ascolta le vostre parole, uscendo da quella casa o da quella città, scuotete la polvere dai vostri piedi.”
Matteo, nella parte in cui istruisce gli apostoli.
La ascoltai tanti anni fa e da allora ci medito sopra, è un faro. Qualche volta nella vita per tornare a essere felici dobbiamo togliere qualcosa. Riprenditi la tua scrittura

Barbara Businaro

Lug 22, 2019 at 11:45 PM Reply

Non ti è sfuggito niente, sono riflessioni scaturite dagli ultimi mesi di affanni.
Molto bella la tua citazione, grazie di avermela lasciata, davvero non l’avevo mai sentita. O non ci avevo posto la giusta attenzione.
Scuoterò la polvere dalle mie Nike.

Grazia Gironella

Lug 21, 2019 at 9:14 AM Reply

Nella lista dei consigli del dottor Gordon Livingston ho trovato una buona dose di saggezza. Sul fatto che le tre componenti della felicità siano qualcosa da fare, qualcuno da amare e qualcosa da guardare avanti, però, non sono d’accordo. Certo sono elementi importanti della nostra vita, ma finché la nostra felicità – e su cosa intendiamo con questo termine già ci sarebbe da ragionare – è legata a fattori esterni a noi, non saremo mai liberi, sia in linea di principio, sia dal punto di vista pratico, perché tutto può andare a ramengo a prescindere dalle nostre cure, e allora? Per me è importante cercare qualcosa di indipendente dal resto, che mi renda centrata, ed è quello che trovo in un percorso spirituale, senza per questo nulla togliere al valore del lavoro e dell’amore. Mi sa che il libro lo leggerò, comunque. 🙂

Grazia Gironella

Lug 21, 2019 at 9:16 AM Reply

Dimenticavo: sulla parte di José Micard Teixeira, non solo sono d’accordo, di più!

Barbara Businaro

Lug 22, 2019 at 11:45 PM Reply

Senza pazienza anche tu! 😀

Barbara Businaro

Lug 22, 2019 at 11:45 PM Reply

Credo che il dottor Gordon Livingston, proprio perché dice che la felicità dipende dai nostri comportamenti, intenda quelle tre componenti in altro modo: qualcosa da fare, qualcuno da amare e qualcosa da guardare avanti, che ci dia soddisfazione nel farlo, in maniera indipendente dal risultato. Certo, sul qualcuno da amare senza essere ricambiati, la vedo dura trarre beneficio… Forse, e dico forse, dobbiamo impegnarci in quello che ci fa piacere, senza aspettarci niente in cambio. E’ l’aspettativa a fregarci.

Giulia Mancini

Lug 21, 2019 at 4:44 PM Reply

Se noi siamo ciò che facciamo allora sono messa male, visto che passo la maggior parte del tempo a fare un lavoro che non amo, il lavoro amministrativo mi opprime sempre più. È per questo che cerco di occupare il mio tempo libero a scrivere tirando fuori quella parte di me più creativa e in cui mi riconosco un po’ di più. Comunque ti capisco, anch’io ho esaurito la mia pazienza da un pezzo, tanto che sono anche diventata un po’ misantropa, tendo a sfuggire la compagnia di alcune persone per le quali non ho, appunto, più pazienza. A volte è questione di sopravvivenza, ma è anche un lusso certe volte, come afferma Nadia.

Barbara Businaro

Lug 22, 2019 at 11:45 PM Reply

Giulia, siamo in tanti a fare un lavoro che non ci rispecchia ma che, castigo, ci riesce pure bene e ci paga le bollette.
Non credo di essere misantropa, al contrario, ho bisogno di un contatto umano (e lo sento di più da quando telelavoro). Però non mi piace buttare via il tempo, come quando le persone mi arrivano in ritardo di un’ora, o fanno saltare gli impegni per cui io magari ho pure preso permesso dal lavoro, o mi riempiono di pettegolezzi su Tizio, Caio e Sempronio, che non so manco chi siano, invece che andare al sodo e tornare ognuno alle proprie incombenze (un libro sul comodino magari o una camminata salutare).

Marco

Lug 22, 2019 at 7:18 AM Reply

Che gli altri non considerino il tuo impegno per la scrittura degno di attenzione o rispetto è ovvio: lo hai scelto tu, nessuno te lo ha chiesto 🙂
Avranno un po’ di considerazione se (e ripeto: se) passerai in televisione. Allora avrai tutta la loro stima, e affetto e “Io lo dicevo che eri straordinaria!”. È così che funziona.
Se perciò vuoi rispetto per la tua scrittura: vai in televisione.
Altrimenti, fai quello che faccio io. Scrivo, e non me ne importa un accidente degli altri.

Barbara Businaro

Lug 22, 2019 at 11:46 PM Reply

Ah, ecco perché tu sei su YouTube, perchè adesso YouTube si può vedere anche nei nuovi televisori, quindi Marco Freccero è in televisione! 😀 😀 😀
Si, capisco quello che dici, però perché noi portiamo comunque rispetto per gli hobby altrui? Se a qualcuno piace il giardinaggio, il cake design, l’uncinetto, il restauro, la pittura ad olio, mica ci mettiamo lì a ridergli dietro. O sarà che le parole non hanno “consistenza” finché non diventano un libro da tirargli sul coppino?! 😉

Sandra

Lug 22, 2019 at 8:53 AM Reply

Eccomi, dopo aver letto il tuo post dal cell ieri, torno a commentare. Non conoscevo il brano citato, ma ricordo bene il discorso del maglioncino, scena che piacque molto anche a me.
Un aspetto che mi sento di sottolineare è che tutti odiano l’ipocrisia e nessuno dice di esserlo, eppure gli ipocriti esistono, quindi qualcosa non torna.
Nessuno di noi ama perdere tempo, né ne ha da perdere, con i succhia energia che non considerano importante ciò che per noi lo è es. la scrittura, ma talvolta temo sia inevitabile, nel senso con l’editoria, potrei dire “me ne frego, non mi avrete!2 Benissimo, allora self, perché altrimenti le regole sono queste, che non rispondo e io perdo tempo a sollecitare. Nel lavoro è lo stesso anzi peggio perché non si può non lavorare, a meno di essere stra ricchi e non è il mio caso. Morale: tocca trovare soluzioni che spesso sono solo compromessi.

Barbara Businaro

Lug 22, 2019 at 11:46 PM Reply

Beh, probabilmente gli ipocriti lo sono fino in fondo e fingono pure di odiare l’ipocrisia!
Tocca trovare soluzioni che sono compromessi, vero. Penso occorra anche dare maggior valore a chi dimostra affidabilità: alle persone che mantengono gli impegni, alle aziende che rispettano la parola data, agli editori (piccolini) che onorano le scadenze.

SILVIA

Lug 22, 2019 at 11:26 AM Reply

Post molto interessante, in cui affronti tanti temi e apri a molte considerazioni.
La prima cosa che ho pensato, finito di leggere il post, è la stessa cosa che dice Grazia. Anch’io penso che la felicità, per quanto non sia una condizione duratura, arrivi più da dentro che da fuori e che le cose esterne potrebbero influire molto meno di quanto invece permettiamo che sia.
E questo viene a sostegno del consiglio di Marco: scrivi e non occuparti di chi non dà la giusta importanza alla tua scrittura.
Noi, per quanto può valere, diamo molta importanza, come ben puoi vedere dal fatto che ti seguiamo costantemente. 😉

Barbara Businaro

Lug 22, 2019 at 11:46 PM Reply

Beh, questo blog esiste solo grazie ai lettori e ai commentatori, non c’è dubbio. Nato quasi per una scommessa, ero convinta di chiuderlo dopo un paio di mesi e giusto qualche commento di spam. Se sono ancora qui è perché c’è comunque un pubblico a cui devo massimo rispetto per il sostegno che ricevo. Non solo oggi.

Marco Amato

Lug 22, 2019 at 11:53 AM Reply

Post lungo, complesso, interessante. Tocchi vari livelli di profondità, e verità nude dell’esistenza che spesso scorticano la carne viva.
Ti domandi che fine fa la tua scrittura all’interno del tritacarne della vita, della società complessa che non lascia spazi, degli altri che non ci comprendono, dei limiti che ci poniamo noi stessi come muri invalicabili.
Ti dico questo perché da ragazzo ero un sognatore, un creativo probabilmente privo di concretezza. Sognavo di diventare uno scrittore, un compositore e un pittore. Ma poi la vita mi ha sbattuto nell’agone dell’arena e ho dovuto imparare a fronteggiare i gladiatori per sopravvivere ai giorni. Ho passato la gran parte della mia vita senza avere cinque minuti per scrivere. Anni avvilenti in cui il mio sogno della scrittura si infrangeva nella necessità quotidiana delle cose da sbrigare. Anni immerso nello scetticismo di chi mi stava accanto, che anziché essere un alleato, era il primo a sminuire i miei desideri. Bollava i miei sogni con: “le tue cose. Stai sempre a perdere tempo a pensare alle tue cose!”
Quello che sono oggi proviene da quella ribellione. Per mesi, prima della rivolta, rientrando dal lavoro stanco, privo di voglia, mi stendevo sulla panchina in balcone per guardare il cielo. Le nuvole che vedevo scorrere erano la metafora dei miei sogni che sfuggivano via con gli anni sprecati: giorni tutti uguali che non mi rendevano né pago, né felice.
A volte, a voi sui social, ma anche nella realtà, dico cose che fanno storcere il naso. E molti ritengono il mio il ragionare di un illuso, uno che non si rende conto della difficoltà concreta delle cose.
Ma io posso sorridere a quei giudizi, perché gli altri non sanno che tali opinioni non riescono a intaccare la mia corazza d’acciaio. Io so chi sono. So cosa ho realizzato nel mio passato senza l’aiuto di nessuno. So cosa significa avere sul collo il fiato della sfiducia, dello scetticismo, il biasimo di chi mi diceva: sei folle, molli il certo per l’incerto, sei uno sconsiderato.
Ma poi, quando ho realizzato quel che molti ritenevano impossibile, nessuno di quegli scettici è venuto a dirmi: avevi ragione a osare. Chi non crede in te non crederà a prescindere, mai, anche se dimostri la Luna. E se ci son rimasto male per il mancato riconoscimento, comprendevo che quella battaglia io non l’ho mica combattuta per gli altri. Io l’ho combattuta per me.
Il passare da non avere cinque minuti per scrivere, al poter scrivere quando voglio, a scegliere io quando lavorare, quando scrivere, quando andarmene in giro perché tutta la giornata è a mia disposizione, non ha prezzo. 
A chi mi dice: tu sei fortunato ad avere tanto tempo, io rispondo eh no, caro bello. Il sapore della libertà io me lo sono conquistato fra lacrime e sudore e sangue, da solo, contro tutto e tutti. E adesso grazie alla corazza che indosso, con la spada e lo scudo che ho forgiato in anni di fatica, posso cimentarmi nella difficilissima battaglia dell’ultimo traguardo, di realizzare il mio sogno di vita attraverso la scrittura.
Affronto questa nuova guerra non da sprovveduto, ma da veterano che ha conosciuto la sconfitta e la vittoria. Che conosce i propri punti di forza e tiene sotto controllo le proprie debolezze. Io so il prezzo che bisogna pagare. E dopo un primo tentativo e due anni di preparazione, sono pronto ad affrontare di nuovo il mondo.
Non mi lamento della società, dell’editoria storta, degli altri. Ci sarà sempre qualcosa o qualcuno a non credere in me. Per questo faccio da solo. Per questo stringo il mio scudo e mi getto a capofitto con la spada. Sono cosciente di poter perdere, ma la sconfitta sarà sempre meno dolorosa del rinunciare perché difficile.

Ti racconto questo, perché nel tuo grido di dolore (almeno io lo avverto così): “La mia scrittura che fine fa dopo una giornata stanca e arrabbiata… Nessuno può permettersi di ridere dell’impegno che mettiamo nelle nostre storie”, vedo e sento ciò che io ho vissuto per anni.
Ciò che mi ha fatto soffrire terribilmente, ciò che mi ha tenuto incatenato ai dettami altrui.
Ribellati all’andazzo delle cose, se puoi. Infuriati contro il divenire degli eventi. Lotta con tutte le risorse che hai e cattura le risorse che non hai. Sono cose difficili, lo so, e ti capisco, perché ancora oggi porto le cicatrici della mia guerra. Il salto più importante è psicologico. Bisogna essere abbastanza stufi, nel mio caso disperati, per lasciarsi andare incontro all’impossibile.
Ma se si combatte per i propri sogni, per la felicità di realizzare ciò che si desidera, niente ripagherà mai la bellezza della lotta per il cambiamento.

Cara Barbara, non so se potrò aiutarti in qualche cosa, ma ti dico ciò di cui io avrei avuto bisogno nei miei anni oscuri e che nessuno mi ha mai detto: ricorda sempre che per quanto piccolo, io credo in te. Io faccio il tifo per te.

Barbara Businaro

Lug 22, 2019 at 11:47 PM Reply

E perché io abbia stanato Marco, che mi scriva il post del post, devo proprio averlo fatto preoccupare!!
Intanto adesso me lo stampo e lo attacco qui in bella vista per i momenti di sconforto futuri, che nella scrittura non mancano mai.
Per il resto…
Conosco moooooooolto bene le frasi del tipo “Stai sempre a perdere tempo a pensare alle tue cose!”, e similari. Anzi, nel mio archivio c’è pure “Piantala di leggere, fai qualcosa di utile!” E m’è venuto un nodo alla gola enorme quando il Vecchio viaggiatore di panchine mi inviò questa da pubblicare: Chi ti credi di essere?
Purtroppo però “con i sogni non ci paghi la spesa al supermercato”, quindi “torna con i piedi per terra” e “smettila di darti delle arie, vedremo cosa riuscirai davvero a fare tu della tua vita!” (In effetti, non sarà mica Marco che abbiamo dei parenti in comune?! 😀 )
Per quanto riguarda il cambiamento, dimentichi che sono una peaker, e che il My Peak Challenge serve proprio per andare oltre i propri limiti, anche e soprattutto mentali. Il blog stesso è nato con la mia prima iscrizione all’MPC, non è un caso. E da allora ho cambiato dieta, ho perso (se è giusto il conto) 6 kg, buttato via circa 10 paia di jeans/pantaloni diversi (due paia anche settimana scorsa), guadagnato due bicipiti che non avevo nemmeno a vent’anni, accantonato i miei attacchi di panico e ansia, arrivata a fare una corsa da sola (e sotto la pioggia!), preso un aereo, anzi due col ritorno, per abbracciare la mia beneamata Scozia. E tutto mi è stato recentemente rinfacciato, anche da chi mi era stato di ispirazione.
Perché? Eh, perché non c’è niente di peggio che vedere negli altri il cambiamento che noi non riusciamo ad ottenere. In qualche modo, l’aver abbattuto i miei limiti, da sola per giunta (senza alcun obbligo, ma con convinzione), è insopportabile per queste persone.
Morale: la sbagliata sono io. 😀
Comunque, lo seguo il tuo consiglio, mi sto ribellando, e mi sto infuriando. Infatti ho scritto questo post! 😉

Marco Amato

Lug 23, 2019 at 10:39 AM Reply

E comunque anche tu mi sei stata d’ispirazione, con le tue avventure peaker. Ora è chiaro che non basta che qualcuno ti dica fai questa cosa, o che tu pensi: ah, effettivamente dovrei farla.
Il cambiamento comincia prima di tutto dentro di noi e soltanto quando si supera il proprio limite di soglia, scatta la magia che ti fa compiere il passo. Resta il fatto che per la mia attività sportiva mi sei stata da stimolo. Dici d’aver perso sei chili, in realtà saranno almeno otto o nove, perché hai sostituito la massa grassa con la massa muscolare. Io in due mesi ho perduto soltanto quattro chili, ma probabilmente alla fine del percorso peserò di più perché la massa muscolare di un uomo è più massiccia rispetto a quella di una donna. Io però non sono come te, metodica da peaker (forse voi perché avete quel fustacchio di Sam Heughan da seguire XD), io sono anarchico a mio modo. Faccio pesi, corpo libero, ciclismo, tennis e da poco ho introdotto pure la boxe, forse la migliore di tutte le discipline. Quando ho dei dubbi esistenziali o una fase di depressione perché vedo l’obiettivo troppo difficile, dopo la sessione di boxe ho una carica agonistica e un’energia mentale, che mi portano ad affrontare con grinta qualunque ostacolo.
Comunque credo che sia proprio questa la via. Quando si vuol cambiare, il cambiamento deve diventare l’obiettivo principale di ogni giornata. Solo se si lavora ogni giorno per un fine, dopo anni di fatica e metodo, è quasi impossibile non c’entrare l’obiettivo. Chiaramente bisogna anche andare oltre, tenere a mente la teoria dei giochi di Nash, essere dentro al pezzo della società, evitare le cose che apportano minimi o nulli risultati e massimizzare lo sforzo nelle azioni più producenti.
E soprattutto bisogna avere dei obiettivi chiari in mente. Credo che il sunto di tutto questo sia nel mitico discorso Dare Greatly di Theodore Roosevelt:
“It is not the critic who counts; not the man who points out how the strong man stumbles, or where the doer of deeds could have done them better. The credit belongs to the man who is actually in the arena, whose face is marred by dust and sweat and blood; who strives valiantly; who errs, who comes short again and again, because there is no effort without error and shortcoming; but who does actually strive to do the deeds; who knows great enthusiasms, the great devotions; who spends himself in a worthy cause; who at the best knows in the end the triumph of high achievement, and who at the worst, if he fails, at least fails while daring greatly, so that his place shall never be with those cold and timid souls who neither know victory nor defeat.”

Barbara Businaro

Lug 23, 2019 at 11:00 PM Reply

Sono contenta di esserti d’ispirazione, magari andrà a finire che ti iscrivi pure tu al My Peak Challenge, devi solo trovare la giusta motivazione, mora o castana, non lo so… 😀 😀 😀
Che il cambiamento inizia da noi è assolutamente vero, perché altrimenti avrei ispirato anche altre persone, che ne hanno bisogno molto più di te, sono soggetti a rischio per le loro brutte abitudini alimentari e zero attività fisica. Tu sei molto più lanciato in realtà, 4 kg in soli due mesi sono tanti, io sono a 6 kg ma in 4 anni, è vero che vado piano perché voglio evitare l’effetto yo-yo, le nuove abitudini devono essere resistenti e durature. Si, in teoria dovrebbero essere più chili, per la sostituzione parziale di massa grassa in massa muscolare, ma no, sono proprio quelli lì, infatti ancora non entro in quel maledetto completo di Motivi fermo là da 16 anni, quello è il mio target: entrarci di nuovo! 😀
Ed è molto bello il discorso di Roosevelt (devo leggermi qualcosa di suo prima o poi, è sempre citato da qualsiasi coach motivazionale).
Lo riporto in italiano a favore di pubblico:
Non è il critico che conta, né l’individuo che indica come l’uomo forte inciampi, o come avrebbe potuto compiere meglio un’azione.
L’onore spetta all’uomo che realmente sta nell’arena, il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue; che lotta con coraggio; che sbaglia ripetutamente, perché non c’è tentativo senza errori e manchevolezze; che lotta effettivamente per raggiungere l’obiettivo; che conosce il grande entusiasmo, la grande dedizione, che si spende per una giusta causa; che nella migliore delle ipotesi conosce alla fine il trionfo delle grandi conquiste e che, nella peggiore delle ipotesi, se fallisce, almeno cade sapendo di aver osato abbastanza. Dunque il suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta.

Sandra

Lug 22, 2019 at 1:41 PM Reply

Torno perché il discorso “imprevisti seriali” mi sta a cuore.
Lo scorso dicembre ho rescisso un contratto di pubblicazione con un editore che mi piaceva solo per la loro incapacità di dirmi quando il mio romanzo sarebbe stato pubblicato. Si è passati da: probabilmente tra 13 mesi dalla firma del contratto a non so. E alle mie rimostranze la frase – che mi mandò in bestia e fece virare verso un “lasciamo perdere!” – la pubblicazione di un romanzo è soggetta a tante di quelle variabili che lei nemmeno immagina.
Eh no, io le immagino benissimo perché son le stesse che influenzano ogni impresa e ogni vita. Se non sai fronteggiare malattie dei dipendenti, problemi informatici e di liquidità non fare l’imprenditore, che sono più seria io come dipendente di certi imprenditori. Non mi pagano la reperibilità ma do sempre una mano quando sono in part time, in caso da casa non retribuita. E la Sandra che gira per l’hospice, dove è ricoverato il padre morente, al telefono con collegafigo per spiegare un lavoro io non me la dimentico.
Gli imprevisti seriali di certi amici sono diventati la scusa facile per non uscire, ma all’ultima ho detto basta, e al successivo “ci vediamo?” è stato un “non posso. ciao!” Un altro whatsApp di vaga insistenza a cui non so più se ho risposto oppure no. Gente così non mi interessa e purtroppo ce n’è in giro troppa, ma dopo un po’ la stani e di conseguenza la eviti.

Barbara Businaro

Lug 22, 2019 at 11:48 PM Reply

Confermo Sandra, sono più seri certi dipendenti che certi imprenditori, editori compresi.
E anche per gli imprevisti seriali, ti seguo a ruota. Sagittari siamo, e Giove ci fa cucù quest’anno…

Darius Tred

Lug 22, 2019 at 1:56 PM Reply

Quel che resta del giorno, spesso è poco o nulla. Io ho preso l’abitudine a prendere un pezzettino della notte. Che, detto così, sembra una battuta pessima. Ma la notte porta consiglio, dicono. E mi trovo più a mio agio a scrivere di notte, tra le dieci e l’una. Ovviamente durante il weekend.

Quanto al resto non saprei che aggiungere: intravedo una vena di negatività, ecco. Non che ci voglia un genio della lampada per vederla. Però, dunque… diciamo che magari non è il periodo migliore per leggere Frankenstein… 😉

P.S.: pensa che un mesetto mi son detto: “Ci vorrebbe un bel contest estivo di Webnauta!”.
(come farsi bannare senza capire il motivo…)

😀 😀 😀 😀 😀

Barbara Businaro

Lug 22, 2019 at 11:48 PM Reply

Eccomi Darius, sono le 23.48 e sto ancora terminando di commentare. Abbiamo gli stessi orari in pratica, io però scrivo tutte le sere, anche se cerco di finire per le 00.00 sennò mi trasformo in zucca, vuota. 😀
Ah, ma Frankenstein penso di portarmelo in ferie, pensa te. Dici che è troppo? O quello o The Martian, vediamo. Se mi porto uno degli Outlander poi non guardo manco più il mare, e inizio a cianciare di Scozia, meglio di no.
In quanto al contest, ci avevo pensato, in realtà poi è sopraggiunta una mezza idea per una collaborazione importante anche, però non ho al momento lucidità per seguirlo bene. Vediamo con settembre. Tu tieniti pronto e inizia a studiare gli elfi… 😉

massimo

Lug 22, 2019 at 10:59 PM Reply

io è già da un pezzo che faccio cosi’.
ma non me ne ero ancora reso conto. ci hai pensato tu a farmelo capire. tra chat, impegni sportivi, social vari, ho perso il senso delle cose, l’importanza di ognuna di esse.e cosi’ sono passato da tanto sicuramente frugale a poco ma bello pieno. compreso i conoscenti, il rispondere sempre e comunque, il voler partecipare a tutti i costi a voler essere onnipresente. e pian pianino ho eliminato chat, ho eliminato conoscenti, ridotto all’osso. mi infastidiscono quelli che leggono tutto ma non scrivono mai. non li sopporto. se stai leggendo e perchè qualcuno ha perso tempo a scrivere ed il mio tempo è uguale al tuo.
grazie per avermi fatto capire cosa stava succedendo

Barbara Businaro

Lug 22, 2019 at 11:49 PM Reply

Ecco massimo, hai scritto una cosa sacrosanta: “il mio tempo è uguale al tuo”.
E aggiungiamo: il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo, inestimabile, nel senso che non possiamo “stimarlo” perché non sappiamo quanto ce ne resta e non possiamo comprarne altro. Perciò occorre dare valore alle persone che ci danno, a loro volta, valore con il tempo.
Ps. Ho letto la tua mail, bellissima, con calma ti rispondo, ma arrivo eh! 🙂

Barbara Businaro

Lug 22, 2019 at 11:50 PM Reply

Sapete che c’è? Che vi ringrazio tutti. Non volevo scriverlo questo post, che è un po’ lamentone se vogliamo, e non è più nelle mie corde lamentarmi (un tempo non avrei fatto altro!) Ma nei vostri commenti ci sento una forte pacca sulla spalla. Beh, non esagerate eh, sennò mi tocca andare di Voltaren dopo e non mi muovo più!
Grazie. Vento in poppa, alte le vele e via andare!

Marina Guarneri

Lug 23, 2019 at 6:08 PM Reply

Sposo le tue considerazioni: dare importanza a quello che faccio quando scrivo? Ma figurati! Poiché è un’attività che non produce reddito, viene dopo tutto il resto: la casa, la spesa, i figli. Ho scelto di essere felice in questo modo e non mi lamento, però mi piacerebbe che qualcuno, in famiglia, anche fra gli amici che non hanno la mia stessa passione, riconoscesse il valore del mio impegno. Io stessa, ormai, cerco di sminuire la mia scrittura agli occhi di chi non la capisce: non mi piace sprecare fiato (nell’ottica del “non ho più pazienza per chi non la merita”)
Ti ricordi un certo signore, quando diceva: “non ti curar di loro, ma guarda e passa”?
Ecco, io ci provo tutte le volte che qualcuno fa spallucce di fronte a quella che per me è un’attività giornaliera al pari di letti, pranzi e tappe al supermercato.

Barbara Businaro

Lug 23, 2019 at 11:17 PM Reply

Ahimè Marina, come ti capisco. Perché non credere: se lavori fuori casa, non ti decurtano di star dietro a pulizie, lavatrici, stiraggio, spesa, cucina, giardino, condominio… Io poi sono telelavoratore in questo momento, figurati!
Però ho imparato a metterci lo stesso impegno degli altri lavoratori di casa: quando loro fanno, io faccio; quando loro non fanno, anch’io non faccio (e leggo, scrivo, studio). Le lenzuola non le stiro più, le magliette nemmeno, polvere sei e polvere ritornerai quindi non toccare lo zio per favore, e che si mangia stasera? Non lo so, apri il frigo e inventa. Non c’è niente? Oh cavoli… il supermercato è qui dietro, lasciano entrare anche te sai?
Altro che fitness tracker, per noi donne ci vorrebbe il casalinga tracker: raggiunti i passi obbligatori, sono straordinari da retribuirsi (magari si può contrattare con un intero weekend in cui fanno tutto gli altri famigliari e noi in completo relax). Qualcuno dovrebbe proprio crearlo, il casalinga tracker! 😉

Luz

Lug 28, 2019 at 5:02 PM Reply

Mi piaceva pensare che quel bellissimo passaggio appartenesse in effetti alla maestosa Streep, ma tant’è.
Il principio sottinteso alle tue osservazioni, utilissime, che sono nucleo di questo post, è qualcosa che a un certo punto diventa necessaria. Pare appartenere per altro a un’età che ha superato la boa degli anta, ed eccomi.
Imparare a selezionare non è ciò che di primo acchito si potrebbe ritenere una ripicca. O meglio, il senso di una ripicca avvertivo quando ero molto giovane e qualcuno mi deludeva moltissimo. Mi allontanavo, la persona mangiava la foglia, e bon.
Oggi invece ritengo come te che in fondo sia qualcosa di “esistenziale” e aggiungo necessario.
L’esperienza di vita si infittisce, le relazioni significative si rarefanno, come è giusto e fisiologico che sia. Sento dentro di me una grande serenità a riguardo. Oggi mi spendo per chi rappresenta o ha rappresentato qualcosa di importante nel mio percorso. Le persone che mi hanno mortificato o deluso, dalle quali non mi sono sentita compresa o valorizzata… le ho progressivamente abbandonate. E si sta benissimo così.

Luz

Lug 28, 2019 at 5:08 PM Reply

Aggiungo: chi ha sminuito o ridicolizzato la mia creatività (quando da ragazzina disegnavo e facevo fumetti, dopo quando ho iniziato a scrivere, adesso che faccio teatro) per me, letteralmente, ha cessato di “esistere”. Il giudizio di queste persone né viene ricercato né per me riveste significato alcuno. Un tempo la cosa mi fece soffrire, oggi vale nulla.
Ricordo che uno zio – avrò avuto una ventina d’anni – guardò un mi fumetto e disse: “Ancora con queste cazzate?”.
Ecco, oggi quella stessa persona, per una cosa così grave e lontana dal mio mondo, non costituisce alcuna importanza. Non muove in me alcun sentimento (ovviamente non solo per quella espressione infelice ma per un modo di vivere molto calzante a quella espressione). La stessa cosa una mia zia, che si permise di paragonare un mio lavoro teatrale sulla Woolf a un film horror. Per me questa gente è “nulla”.

Barbara Businaro

Lug 29, 2019 at 12:03 AM Reply

Le ricordo tutte le volte in cui qualcuno in famiglia derise la mia creatività, dai disegni alle poesie, o i miei hobby, dai manga alla musica. Oggi mi rendo conto che, mancando una cultura di base, si può solo deridere ciò che non si comprende. E osservo quanto sia noiosa una vita senza vere passioni creative.

Barbara Businaro

Lug 28, 2019 at 11:52 PM Reply

Credo che questa selezione “naturale” si possa attuare da una certa età non tanto per l’esperienza accumulata, o per il tempo rimanente che statisticamente si assottiglia, quanto perché è da quell’età (non necessariamente gli anta) che ci si può permettere una certa indipendenza dalle persone. Soprattutto visto che siamo in un paese dove il mercato del lavoro funziona ancora più per passaparola e conoscenze, ahimè.
Da certe figure poi è difficile distaccarsi, sia nel lavoro che in famiglia. Ma come dici tu, ci si spende meno tempo. E non si sta benissimo, di più! 🙂

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