Done is better than perfect. Quick and dirty! Perché il perfezionismo non aiuta la scrittura

Quick and dirty!
Il perfezionismo non aiuta la scrittura

I miei professori alle superiori non davano mai 10, arrivavano fino all’8 e mezzo, “perché la perfezione non esiste” dicevano.
Peccato che ci fossero altre scuole dove i 10 volavano come i coriandoli a carnevale e non con lo stesso merito, come si è visto poi nel mercato del lavoro.
Col senno dell’età adulta penso che quei professori però ci abbiano fatto un enorme favore: la ricerca della perfezione può essere un terribile fardello. Molto meglio impegnarsi al massimo, perché migliorare è sempre possibile, ma senza drammatizzare un voto andato storto.

Proprio di questo tratta l’articolo uscito tempo fa su L’internazionale, Il perfezionismo che ci rovina la vita che è la traduzione dell’originale inglese sul Guardian, Do we need an antidote to perfectionism? firmato da Oliver Bukerman nella sua rubrica This column will change your life (chissà se riesce davvero a cambiarci la vita!).

L’intervento di Bukerman nasce da una serie di studi riferiti al World Economic Forum per cui i millennial, la generazione nata tra il 1980 e il 2000, sono ossessionati dal perfezionismo, dai risultati di esami e valutazioni, dall’approvazione altrui sia personale che lavorativa, sebbene il loro sia più un perfezionismo di facciata, estetico, esibito sui social per dimostrare continuamente il proprio valore.
Questo comportamento scivola facilmente in quello che gli psicologi chiamano “perfezionismo disadattivo”, arrivando ad accusare stati d’ansia e depressione, disordini alimentari, autolesionismo, comportamenti ossessivo-compulsivi, stanchezza cronica e altri problemi clinici, fino ai casi più estremi con i tentativi di suicidio. A lungo andare, il fisico ne risente così tanto da non essere più produttivo, alimentando i sensi di colpa in un giro vizioso.

La rivista americana Psychology Today, nel suo articolo Pitfalls of Perfectionism, arriva persino a descrivere il perfezionismo come un crimine contro l’umanità stessa:

“Potreste dire che il perfezionismo è un crimine contro l’umanità. L’adattabilità è la caratteristica che consente alla specie di sopravvivere, e se c’è una cosa che il perfezionismo fa, irrigidisce il comportamento. Costringe le persone, proprio quando il mondo in rapido movimento richiede più flessibilità e ambivalenza che mai. Trasforma le persone in schiavi del successo.”

Posto il fatto che il successo editoriale non si raggiunge per capacità del solo autore (lol!), che impatti può avere il perfezionismo sulla scrittura?
Se è vero che un testo può essere sempre migliorato, arriva comunque il momento in cui occorre congelarlo e consegnarlo ai lettori.
Ma se lo scrittore insegue la perfezione e non si ritiene mai soddisfatto, il suo lavoro rischia di rimanere per l’eternità nel cassetto della scrivania. Perdendo anche l’opportunità di migliorarsi nel romanzo successivo, di concentrarsi in nuove emozionanti storie.
La perfezione non sembra andare d’accordo con la creatività.

La soluzione proposta da Bukerman nel suo articolo è alquanto lapidaria:

“Un antidoto ottimo al perfezionismo sarebbe rendersi conto che è già troppo tardi.
…se avete più di vent’anni, il vostro corpo e la vostra mente probabilmente sono già in declino. Quindi rassegnatevi.”

La rassegnazione è la filosofia dei soddisfatti, diceva Gaetano Salvemini. Come lui vorrei essere un rassegnato, ma continuo ad essere un ribelle.
Ho decisamente più di vent’anni, il mio corpo e la mia mente saranno anche in declino, ma non sono mai stati meglio di ora. Quindi l’idea non funziona. 🙂
Piuttosto contro il perfezionismo che ci blocca, occorre provare nuove modalità.
Il Quick and dirty, ad esempio.

 

Quick and dirty

Letteralmente “veloce e sporco”, Quick and dirty indica qualcosa di fatto o costruito in modo frettoloso, approssimativo, adeguato ma non completamente formato. Lo si usa per indicare soluzioni rapide ed efficaci, anche se non stilisticamente bellissime.
Il Quick and dirty non è perfetto, ma fa il suo sporco lavoro senza problemi. Più che la perfezione, si ricerca la funzionalità.

Il concetto di Quick and dirty mi è tornato in mente leggendo questo contenuto di Riccardo Scandellari, marketer e giornalista, sul suo profilo Linkedin (grazie a lui sto infatti imparando ad utilizzare quella piattaforma): Fatto è meglio che perfetto da cui ho preso l’idea per la foto di questo mio post 😉

Grazie al suo intervento sono giunta a quest’altro interessante articolo: Perfection Is A Virus, Don’t Let It Infect You
L’autore è Jason Zook, l’inventore di IWearYourShirt.com, quando lui veniva pagato per indossare una maglietta diversa ogni giorno dei suoi sponsor, progetto ora chiuso ma che ha generato ben 1 milione di dollari di entrate. Era un progetto perfetto? Assolutamente no!
Quand’è partito con questa idea pazza, semplicemente metteva la maglietta del giorno e pubblicava online foto e video, bruttissimi: immagini sgranate, inquadrature storte, riprese troppo movimentate, luci mal posizionate. All’inizio si era reso conto di non avere una qualità professionali e perdeva molto tempo in prove estenuanti, ma questo lo rallentava. Alla fine, ha scelto il Quick and dirty.
La qualità è arrivata col tempo, di giorno in giorno, di foto in foto.

Un altro esempio, citato sia da Scandellari che da Zook, lo conoscete bene anche voi, ed è il primo smartphone della storia.
Il primo iPhone uscito sul mercato nel 2007 non era perfetto, come potrebbero ammettere i loro reparti post-vendita e assistenza tecnica, ma l’hanno lanciato nel momento più opportuno, se avessero ritardato di un altro mese o due avrebbero lasciato troppo vantaggio alla concorrenza. Alcuni problemi qualitativi li hanno risolti nei mesi successivi, ma oramai il successo del prodotto era già stato decretato perché erano arrivati per primi al pubblico, a tal punto che ancora adesso ne godono i benefici. Cercare la perfezione li avrebbe lasciati indietro.

Jason Zook nel suo articolo usa poi un paragone molto efficace per spiegare il meccanismo di continua insoddisfazione del perfezionismo:

Inseguendo il perfetto in ogni cosa, stai essenzialmente girando su una ruota panoramica. Non appena pensi di aver raggiunto la fine, sorge una nuova serie di “problemi” e continui a girare in un cerchio infinito. Invece di girare e girare, concentrati sulla creazione e sulla fiducia nel percorso che crei per te stesso. L’unico che non sarai in grado di vedere sistemato perfettamente di fronte a te.

Anziché cercare la perfezione, ci suggerisce di concentrarci sul completamento dell’attività.
Non dobbiamo preoccuparci di terminare un compito nel modo perfetto, ma di terminarlo. E procedere con un compito successivo, in un miglioramento continuo.

Del resto questo stesso principio lo avevamo visto in quest’altro post qui sul blog: La differenza tra obiettivi e sistemi
Perché focalizzarsi sui sistemi, su un processo regolare, piuttosto che su un singolo obiettivo (ma perfetto), la soddisfazione è costante.

Perfezionismo o procrastinazione?

Per quanto riguarda la scrittura, l’autore David Foster Wallace, intervistato da Leonard Lopate nel 1996 per la WNYC (potete ascoltare l’intervista qui: David Foster Wallace on Ambition | Blank on Blank) a proposito del perfezionismo disse:

“Sai, tutta la faccenda del perfezionismo. Il perfezionismo è molto pericoloso. Perché se la tua fedeltà al perfezionismo è troppo alta, non fai mai niente. Perché fare qualcosa si traduce in… in realtà è un po’ tragico perché sacrifichi quanto è bello e perfetto nella tua testa per ciò che è veramente. E ci sono stati un paio di anni in cui ho davvero faticato con questo.”

La ricerca del perfezionismo rischia effettivamente di divenire una procrastinazione continua della scrittura.
Se le parole non ci sembrano mai quelle giuste, se continuiamo a modificarle in un lavorio di editing incessante, se attendiamo il momento opportuno per metterci a scrivere e questo sembra non giungere mai, forse stiamo solo tergiversando.
E questo potrebbe in realtà nascondere un blocco dello scrittore, come ne avevo scritto in questo vecchio articolo, citando la scrittrice Rosa Montero dal suo La pazza di casa (come Santa Teresa d’Avila definiva la fantasia, l’immaginazione che vaga continuamente): Il blocco dello scrittore

Concetto ripreso dallo stesso Oliver Bukerman in un altro articolo, L’ossessione per la perfezione ci fa rimandare le cose, anche questo traduzione
dall’originale inglese sul Guardian: The pessimist’s cure for procrastination, il quale semplicemente conclude:

“Ogni creazione è imperfetta per definizione, realizzare qualcosa significa inevitabilmente rovinare tutto”

Cercando in rete approfondimenti sui motivi psicologici della procrastinazione, mi sono imbattuta in questo esilarante video TED, del blogger americano Tim Urban:

Questo è in assoluto il TED che mi ha fatto più sbellicare dalle risate!
Per poi finire con un tonfo amaro su quelle caselline là in fila. Ha ragione, accidenti.
Non abbiamo molto tempo per realizzare i nostri sogni.

Non troppo dirty!

L’opposto del perfezionismo non è l’imperfezione o la mediocrità, ma la realtà delle cose e le sue possibilità, la capacità di trovare un compromesso tra le nostre aspettative e il mondo reale, con i suoi imprevisti, errori e difetti.

Nel suo articolo How to Overcome Perfectionism: 8 Strategies for Making a Better Life la psicologa Tamar Chansky ci indica otto preziose strategie per non lasciarsi imbrigliare dal perfezionismo, senza cadere nella mediocrità:

  1. fai una valutazione accurata: non staccare la spina sul progetto, ma staccarla sul perfezionismo
  2. aumenta la tolleranza tra crescita e processo, non giudicando troppo presto i risultati
  3. crea, valuta e assegna le priorità: è questa una differenza (il tempo speso in più) che fa la differenza sul risultato?
  4. concentrati sulla corsa, non solo sulla destinazione
  5. distaccati dalla modalità “o tutto o niente” a favore del concetto di “qualcosa” (qualcosa funziona e qualcosa no)
  6. verifica quanto è importante questa attività: solo ora o per sempre?
  7. riconsidera gli errori: impara da loro, non buttare il test
  8. non confrontarti con gli altri, ma collegati con loro

Anche nella scrittura, più che il perfezionismo dobbiamo imparare l’arte del compromesso.
Se da una parte ci sono autori che contano prima i compleanni che il numero di revisioni al loro manoscritto, dall’altra c’è chi improvvisa troppo velocemente un testo e lo mette subito in vendita al pubblico, grazie alla facilità d’accesso del self-publishing.
Questi ultimi devono comprendere che se è troppo Quick e troppo Dirty, i lettori se ne accorgono criticandolo o, peggio, ignorandolo completamente. E alla fine l’autore non sarà comunque soddisfatto del proprio lavoro. Meglio dunque farsi aiutare da un editor professionista, da altri autori o da beta reader, senza però impazzire alla ricerca dell’assoluta parola perfetta.
Quick and dirty si, ma funzionale. E nella scrittura la funzionalità è che il testo sia almeno leggibile! Ci siamo capiti. 😉

Nessuno è perfetto!

Nemmeno questo articolo lo è, nonostante mi abbia impegnato per due settimane di (poco) tempo libero e girasse nella mia mente oramai da dicembre. Ma alla fine ho dovuto chiuderlo, quick and dirty. Perché ho preso l’impegno di un articolo a settimana e così dev’essere. Qualcuno mi sembra eccellente (e magari non lo è), qualcun’altro mi sembra raffazzonato (ma riceve parecchie letture comunque, in qualche modo piace).
Poi penso ai miei professori, che “la perfezione non esiste” e tiro un bel sospiro di sollievo. E riprendo a scrivere al meglio delle mie possibilità, senza traumi. 🙂

Perché la scrittura deve trasmettere emozioni e se l’unica emozione che proviamo è la paura di non essere perfetti, al lettore arriverà solo che questo e noi avremo comunque fallito il nostro intento.
Non siete d’accordo?

 

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Comments (44)

Nadia

Feb 02, 2019 at 7:09 AM Reply

D’accordissimo. Io poi che con la perfezione sono in continua antitesi… E su questo argomento ci tornerò sul blog con due libri che ne parlano romanzando gli effetti della perfezione, malattia gabbia di cui liberarsi assolutamente.
Invece non conoscevo gli otto punti che citi e che mi annoto subito. Molto interessante, al solito, il tuo articolo, e assai poco dirty, tranquilla

Barbara Businaro

Feb 02, 2019 at 6:43 PM Reply

Grazie Nadia. Curiosa di sapere quali sono questi due libri, attendo il tuo post. 🙂

Elena

Feb 02, 2019 at 8:15 AM Reply

Beh con la scrittura le cose sono un pò più complesse. Ok all’idea che il perfezionismo, inteso come compulsiva necessità di limare ogni più piccola cosa, parole, idee, sia una vera iattura per l’umanità e per noi tutti. Non ti porta mai a concludere le cose e i tuoi insegnanti del passato credo abbiano fatto bene a spronarti a terminare le cose piuttosto che a utilizzare la scusa della ricerca della perfezione per non concludere un progettoc he ti sta a cuore. Se non applicassimo queste considerazioni a qualunque nostra passione, ivi compresa la scrittura, non faremmo mai progressi. Il progresso, per sua natura, identifica una “posizione” di partenza e una di arrivo, fatta di tanti errori o tentativi successivi che vanno condotti in porto.
Ma di sicuro ci sono cose su cui, anche nella scrittura, un pò di perfezione è necessaria: non parlo solo dell’uso corretto della lingua italiana, ci mancherebbe o della ricerca della parola che suona meglio in un determinato contesto, ma anche la giusta ambizione per una storia che funzioni bene, prima di buttarla in pasto ai lettori. Per rispetto nei nostri confronti ma soprattutto nei loro. L’unico limite è la nostra esperienza e le nostre capacità. Ma anche quelle si possono perfezionare. In conclusione, se la perfezione non diventa un’ossessione ma una ricerca continua della via migliore per arrivare dove vogliamo arrivare, allora ben venga. Sapendo che non la raggiungeremo mai 🙂
A proposito: a che punto sei con il famoso romanzo ;D?

Barbara Businaro

Feb 02, 2019 at 6:45 PM Reply

Tu quoque, Brute! 🙁
IPDP giace in un angolo e ogni tanto lo guardo sospirando di tristezza.
Tu sai cosa è successo a dicembre, meglio di come l’ho potuto scrivere qui pubblicamente nel blog. E puoi benissimo immaginarti come stia proseguendo la questione…
Sto seguendo l’onda del cambiamento dunque, ma questo richiede tutta la mia attenzione. A fatica riesco a scrivere per il blog e tutto quel che posso lo sto delegando, in attesa che la tempesta finisca.

Sicura che nella scrittura ci voglia un di perfezione? O forse un po’ di perfezione? 😀
(il t9 decisamente non è perfetto…)

Elena

Feb 03, 2019 at 4:03 PM Reply

Grazie Barbara, decisamente il T9 non è perfetto e nemmeno io

Giulia Mancini

Feb 02, 2019 at 11:46 AM Reply

Io credo che aspirare alla perfezione faccia bene perché si tende al miglioramento in generale, però secondo me è anche importante farlo mantenendo la consapevolezza che la perfezione non esiste. Nella scrittura possiamo migliorarci tantissimo con le revisioni, con le letture, con lo studio, ma ci sarà sempre una piccola cosa che resterà imperfetta, magari solo per noi. Nella vita se inseguiamo troppo la perfezione potremmo finire con il paralizzarci e non vivere, a volte un po’ di indulgenza con noi stessi alleggerisce il morale.

Barbara Businaro

Feb 02, 2019 at 6:45 PM Reply

Esatto Giulia. Sono perfettamente d’accordo! 😀

Sandra

Feb 02, 2019 at 1:02 PM Reply

Il perfezionismo è un argomento vasto e spinoso.
Chi, ricercando la perfezione non è mai soddisfatto e quindi non arriva al risultato più che perfezionista è inconcludente, in ogni campo.
Chi, raggiunge livelli molto alti, rasentando la perfezione (inesistente appunto) di solito ci rimette in salute, rapporti con gli altri, e probabilmente fa dei danni che davvero sarebbe stato meglio evitare, con qualche difettuccio in più nelle cose fatte.
Il editoria non si cerca la perfezione ma il vendibile che sono cose molto diverse.

Barbara Businaro

Feb 02, 2019 at 6:45 PM Reply

L’editoria guarda il mercato, esattamente come fece Apple col primo iPhone. Non era perfetto, ma vendibile in quel preciso momento.

Stefano Franzato

Feb 02, 2019 at 1:07 PM Reply

Probabilmente tutti gli autori di post e articoli da te citati non dovrebbero amare, anzi criticare più o meno aspramente, G. Flaubert che cercava sempre “le mot juste” e dei suoi sforzi a quanto pare si son visti i risultati (e la loro durata: gli autori da te menzionati mi pare siano degli eminenti sconosciuti che saranno con ogni probabilità dimenticati, Monsieur Flaubert no, la sua battaglia contro il Tempo sembra la stia vincendo). Non dicono poi una cosa tanto nuova: già da anni si sapeva – dalla saggezza popolare – che “l’ottimo è nemico del buono” e che “nulla è perfetto, tutto è perfettibile”. Visto poi che parlavano in generale, difficile pensare che le sculture di Canova o di Michelangelo (senza pensare alla Cappella Sistina) o di Leonardo siano perfezionabili anche dai loro stessi autori. Parlando di scrittori, mi son sempre chiesto chi fosse l’editor di Alessandro Manzoni o di Ugo Foscolo (per il suo unico romanzo L’Ortis); più vicini a noi chi fu l’editor di Verga? Te l’immagini tu che faccia avresti fatto se i tuoi insegnanti delle superiori ti avessero detto che Manzoni, Foscolo, Verga o altri han avuto un editor che ha revisionato i loro manoscritti e che quindi è logico dubitare sapessero scrivere visto il bisogno che avevano della “professionalità” di quelle persone? Mi chiedo poi quanto fosse perfettibile una prosa come quella di Edith Wharton i cui paragrafi sono pietre inamovibili: non (o non più) perfettibili. Ci son vari gradi, poi, dello scrivere: c’è chi scrive . sa, cioè esprimersi con la parola scritta ; chi scrive bene sa cioè esprimersi con la parola scritta e con una certa musicalità ed eleganza e, infine, chi sa scrivere creare cioè con le parole personaggi e situazioni che trovano e guadagnano l’empatia del lettore. Ecco, chi sa fare questo ha tutte le caratteristiche dello scrittore. Se lo sa fare bene, può ingaggiare la sua lotta contro il Tempo e dubito che editor o chi predica il “Done & Dirty” possano in qualche modo aiutarli.

Barbara Businaro

Feb 02, 2019 at 6:48 PM Reply

Sarei d’accordo con te, se non avessi a lungo discusso con un amico che lavora al recupero dei beni artistici. Il quale mi ha fatto una semplice domanda: sei sicura che lungo la storia dell’uomo sia sopravvissuto fino ai nostri giorni il meglio di ogni epoca oppure solo quello maggiormente conservato, per sua fortuna o per il caso? 🙂
Gli autori citati nel mio post non sono scrittori di narrativa, ma di saggistica.
Ragionare sui classici poi è facile dal nostro punto di vista, ma dovremmo rapportarli alla loro epoca e capire che cosa li ha fatti giungere fino a noi così stimati, o se la valutazione è solo attuale . Flaubert per esempio: nato in famiglia benestante in un periodo in cui pochi potevano permettersi la vita che lui fece, compreso scrivere. Avrà anche cercato “le mot juste”, ma la critica dei suoi anni gli fu parecchio ostile. Era perfetto o era controverso per i costumi del suo tempo, e questo gli diede la fortuna di giungere sino a noi? Come erano gli altri romanzi scritti nello stesso periodo, stilisticamente?
Vogliamo parlare del nostro Manzoni, anche lui selvaggiamente additato dalla critica per il suo I promessi sposi, romanzo giudicato troppo popolare? Ed è giunto a noi perché perfetto o proprio perché il suo linguaggio così comprensibile anche dai meno abbienti ne ha favorito la diffusione? Se l’avessero letto in dieci persone soltanto, ce l’avremmo come lettura obbligata in ogni scuola del nostro paese, a rappresentazione della nostra storia culturale? Stessa cosa per l’altro grande tomo italiano, La Divina Commedia, che diede parecchi grattacapi al nostro Dante Alighieri, perché ebbe l’ardire di scegliere la lingua volgare, o meglio un miscuglio di lingue volgari regionali, al posto del latino, che era la sola lingua letteraria a quei tempi. Noi li giudichiamo ORA perfetti, ma i contemporanei non la pensavano affatto così.
Altra cosa: l’editor non è un correttore di bozze, l’editor non corregge la frasi sgrammaticate e nemmeno la forma dei paragrafi. Un vero editor aiuta lo scrittore a rendere pubblicabile un romanzo per il mercato attuale, segnalando cosa nella storia funziona e cosa no. Non è raro che testi ben scritti, senza l’ausilio di un editor, pur essendo storie che trovano l’empatia del lettore, sono valutate non vendibili per generare sufficiente profitto.
Raymond Carver aveva davvero necessità di Gordon Lish? Forse no, ma senza Gordon Lish non sarebbe arrivato al pubblico.

Stefano

Feb 03, 2019 at 10:06 AM Reply

“Non è raro che testi ben scritti, senza l’ausilio di un editor, pur essendo storie che trovano l’empatia del lettore, sono valutate non vendibili per generare sufficiente profitto.” Ho ragione io allora quando penso (e dico) che al giorno d’oggi il valore di un autore si misura in base a quanto vende e non a quello che ha scritto. Quindi il suo valore (almeno da parte dell’editore) sarà sempre di natura commerciale, solo secondariamente e non necessariamente letterario. Capisco le esigenze imprenditoriali di un editore ma non mi si dica he fa anche cultura. Questa è puramente accidentale e casuale, deve prioritaramente, realizzare, appunto come a volte onestamentge dichiarato, il profitto. Per quanto riguarda la perfezione, credo che per ambirla bisognerebbe avere innanzitutto un’idea chiara e oggettiva (ossia universalmente accettata) di cosa essa sia.

Barbara Businaro

Feb 03, 2019 at 2:15 PM Reply

Esatto Stefano. I libri di oggi che arriveranno al futuro sono decisi dal profitto.
Ma se ci rifletti bene il sistema è, nonostante tutto, più democratico di quello precedente. I libri di ieri che sono giunti sino ad oggi erano decisi dalla ricchezza. Quando solo i benestanti avevano la possibilità di imparare a leggere e scrivere, e solo i più ricchi quella di permettersi una stampa o un manoscritto e la sua diffusione nelle terre conosciute.
Chissà quanti “testi” delle epoche passate, magari perfetti, non sono giunti fino a noi. Siamo certi che quella che si è salvata dal tempo sia la cultura migliore di ogni epoca? Senza pensare poi a cosa lo stesso uomo distrugge durante le guerre…

Stefano Franzato

Feb 03, 2019 at 7:45 PM

Be’, sì, pubblicava chi se lo poteva permettere (anche adesso, dopotutto: la vanity press non esisterebbe se non avesse clienti) ma bisogna tener conto – a quell’epoca – della più che probabile scarsità di lettori visto l’alto grado di analfabetismo della maggior parte della gente che, presumibilmente, non sapeva neanche scrivere (e che scriveva allora?). Noi si deve comunque basare e formulare i nostri giudizi su ciò che possiamo esaminare non su il chissà quanti autori di presunti o presumibili capolavori più che ben scritti ma mai venuti alla luce. Sai quanti eccellenti storie e romanzi sono nascoste nelle 26 lettere del nostro alfabeto? Se lo chiedeva se ben ricordo Borges e, indirettamente, Calvino. Se prima pubblicava solo chi poteva permetterselo, già dallo scorso secolo e specie in Italia chi pubblica ha avuto sempre in qualche modo delle – diciamo – entrature o dei contatti privilegiati con editori o circoli intellettuali, riviste vicini ad editori: mi viene in mente Pavese: ti credo, a parte la fortuna critica e il valore della sua produzione, lavorava per Giulio Einaudi (altro self made man venuto dal nulla: era figlio di un ex Presidente della Repubblica!). E molti altri. Poi se noti, gli scrittori più conosciuti che han pubblicato con grandi case editrici, prima di esser scrittori son sempre (salvo eccezioni più o meno rare) “giornalisti”, quindi che già scrivono facendosi conoscere; poi son anche scrittori. Mi meraviglierei molto se un editore di fama rifiutasse di pubblicare un romanzo o una raccolta di racconti a ben conosciuti giornalisti che magari si vedono sempre in tv, questo anche se il loro scritto, letterariamente non apporta nessuna se pur piccola novità, ben scritto, per carità, scrivere con eleganza e scioltezza lo fanno per mestiere, ma da qui ad avere un valore letterario (per stabilire il quale ci vuol comunque una certa prospettiva storica, di decenni anche), potrebbe volercene. Ecco, ritornano al tema del tuo intervento, un modo per vedere se uno scritto non ha bisogno di ulteriori perfezionamenti (e, ricordo, l’ottimo è nemico del buono) e quello di lasciare lo scritto “decantare” e rileggerlo dopo magari un anno un anno e mezzo se non di più: se, rileggendolo provi le stesse emozioni che ti adato quand’era “giovane” allora vuol dire che un certo meritorio valore lo ha. Ed è pubblicabile.

Tiade

Feb 02, 2019 at 1:59 PM Reply

È vero, parlando di specie, sopravvive chi si adatta.
Mio figlio ed io siamo proprio contro tendenza, lui, millennial, veloce e sporco, io, anta, perfezionista mai paga. Forse dovremmo rimescolarci.
O forse, seguendo l’esempio di Jason Zook, dovrei buttarmi di più e dare retta al “pargolo”.
“Ma tu vai, si sistema dopo”.
Il problema è che non c’è solo la scrittura e spesso mancano mezzi e strumenti, senza contare gli imprevisti che non mancano mai.
Ma il calendario è quasi alla fine, ora o mai più.
Articolo illuminante, come sempre, grazie.

Barbara Businaro

Feb 02, 2019 at 6:48 PM Reply

Grazie a te Tiade.
Sugli imprevisti dovrei scrivere un post a parte… magari quando saranno terminati! 😀

Tiade

Feb 03, 2019 at 2:31 AM Reply

Troppo pesanti Barbara, da scrivere e da leggere. C’est la vie.

SILVIA

Feb 02, 2019 at 2:37 PM Reply

Sono perfettamente d’accordo con te. Ho sempre pensato che tendere alla perfezione debba essere una spinta costante ma solo se abbinata alla consapevolezza che la perfezione non esiste e che, comunque, non sarà possibile raggiungerla.
Questo vuol dire sapere trovare il giusto equilibrio fra l’aspirazione a migliorarsi e l’accettare i propri limiti.
Se ricordo bene, ma potrei dire una sciocchezza, nell’idealismo tedesco c’era un filosofo (forse Fichte?) che sosteneva che l’uomo tende all’infinito e continua a spostare il proprio limite sempre un po’ più in là, pur sapendo che non raggiungerà mai l’infinito.
Ps. sui voti scolastici: secondo me era un gran bene ai nostri tempi il fatto che certi voti non venissero dati. Oggi che i 10 piovono a catinelle, i ragazzi hanno l’illusione di aver fatto il massimo e di aver raggiunto il massimo risultato. Questo a mio parere è molto negativo, perché gli tarpa le ali.

Barbara Businaro

Feb 02, 2019 at 6:49 PM Reply

Ecco, io proprio non dovrei dire di accettare i propri limiti, dato che il My Peak Challenge è ideato proprio per superarli! 😀
Però anche lì ci insegnano a non drammatizzare un risultato non pervenuto, l’importante è intraprendere il percorso e i risultati arriveranno.
Non ho studiato Filosofia, non era tra le mie materie purtroppo, ma forse Fichte riprendeva Kant?

Mister E.

Feb 02, 2019 at 3:54 PM Reply

Post veramente interessante, come lo sono tutti quelli che ti fanno pensare.
ancora più interessante con anche i contributi che ho appena letto.

Rivedendo il video ed i commenti è affiorato un ricordo: Douglas Adams con il suo “il salmone del dubbio” in cui, oltre ad un racconto incompiuto, vi sono vari scritti e lettere in cui descrive il suo lavoro di scrittore professionista (che si discosta di molta dallo stereotipo dello scrittore che scrive di notte nel sottotetto di New york).

In uno di questi passaggi parlava del come appendesse un filo al muro e scriveva poi le varie pagine di testo su fogli volanti.

Queste pagine venivano quindi appese in sequenza (rispetto al contenuto voluto del libro) sotto o sopra il filo a seconda se le ritenesse complete (posizione in più un alto, migliorabili ma accettabili – appena sopra al filo- o necessarie di interventi nella parte sottostante, con la medesima “gradazione” verso il basso.
Rileggendolo rispetto al post potremmo dire che partiva da un lavoro quick-and-dirty, lo valutava con questo metodo visivo e poi iniziava la revisione, con lo scopo di portare le pagine sopra la linea del filo. Non rivedeva quelle superiori al filo anche se rientravano nelle migliroabili, proprio perchè non dovevano essere perfette (che vorrai poi dire perfette?? perfette rispetto a cosa?).
Il tutto per dire che alla fine mi è venuto un dubbio: non è che la ricerca della perfezione sia alla fine un altro modo di procastinare?

Barbara Businaro

Feb 02, 2019 at 6:50 PM Reply

Ed ecco che arriva Mister E. a ricordarmi che devo ancora leggere Il salmone del dubbio, mea culpa!
Durante il NaNoWriMo lo scorso novembre avevo ripensato alla tecnica del filo, avevo anche guardato in giro per casa quale parete libera avrei potuto utilizzare allo scopo.
Nessuna. Nemmeno in garage. Devo cambiare casa per finire sto libro? 😀

Rosalia Pucci

Feb 02, 2019 at 5:55 PM Reply

Ciao Barbara, sono d’accordo. Ambire alla perfezione, se da una parte ci sprona a fare il meglio possibile, dall’altra può sfociare nella forma nevrotica del perfezionismo. Conosco alcuni perfezionisti, sono eterni scontenti, ingabbiati nelle loro ossessioni, incapaci di godersi la vita. Nella scrittura il perfezionismo può condurre allo stallo completo, quindi è meglio starne lontani. Fare del proprio meglio, cercare di raggiungere un testo quasi perfetto dal punto di vista stilistico, non lo considero perfezionismo ma professionalità, credo che converrai;)

Barbara Businaro

Feb 02, 2019 at 6:50 PM Reply

E come fa un autore a comprendere quando ha raggiunto la “quasi” perfezione stilistica o sta solo procrastinando la chiusura del testo, per paura dei giudizi, dei rifiuti?
Proprio questo è il punto focale. 🙂

Luz

Feb 02, 2019 at 6:07 PM Reply

Mah, sento di dividermi su questo tema.
Il perfezionismo fa male a chi lo insegue ossessivamente senza mai trovarlo. Una certa “tendenza” a perfezionare il nostro lavoro fa bene alla creatività. Ma è pur vero che la creatività ha nella spontaneità e l’improvvisazione uno dei suoi pilastri.
Diciamo che un atto creativo richiede comunque un certo revisionismo, che diventa doveroso nel momento in cui stiamo trattando un tema come la scrittura. Se invece siamo artisti della pittura, soprattutto di una certa pittura contemporanea, che disgrega i piani di quella tradizionale, un’idea di perfezionismo escluderebbe il concetto stesso di modernità.
Nel teatro, se anche solo con i tuoi limiti non insegui un’idea di perfezionismo, se non credi che sia tutto perfettibile, allora non fai centro. I grandissimi dell’arte interpretativa possono permettersi di fare senza perfezionare, ma siamo ad altissimi livelli appunto.
Insomma, sono divisa totalmente su questo concetto. 🙂

Barbara Businaro

Feb 02, 2019 at 6:51 PM Reply

Forse perché la percezione del perfezionismo è soggettiva? 🙂

Giovanni

Feb 02, 2019 at 8:05 PM Reply

Bell’articolo con tanto di fonti. Complimenti. In effetti è vero che la perfezione non esiste, eppure io se non mi faccio aiutare da beta lettori e non faccio 10 revisioni profonde e complete (editing, riscrittura, ecc…) non riesco a pubblicare. Pensa che il romanzo scorso ha avuto più o meno 7 mesi di editing. 🙂

Barbara Businaro

Feb 02, 2019 at 8:12 PM Reply

Considerando che sforni un romanzo all’anno, se il precedente ha avuto 7 mesi di editing, sei capace di aver scritto la prima bozza in soli 2 mesi! 😀
Comunque, per quello che ho letto finora, posso dire che quei 7 mesi sono apprezzabili. Ma non mi sbilancio di più, devo arrivare alla fine… 😉

Giovanni

Feb 03, 2019 at 11:50 AM Reply

In realtà l’ho scritto in due anni e mezzo, ma non di continuo. Lavoravo anche sul terzo della serie. Scrivo in parallelo 😀 . Dipende dal periodo e dall’umore.

Darius Tred

Feb 02, 2019 at 8:57 PM Reply

Ricordo quell’articolo di Internazionale. Forse devo pure averlo condiviso su FB. Sono sempre stato del parere che la perfezione non esiste anche se non sono per niente convinto che oltre i vent’anni di età corpo e mente siano già in declino: l’ha sparata grossa, va là!

E non lo dico perché ho passato i venti da qualche anno 😉 ma semplicemente perché vedo tutti i giorni un sacco di ventenni e trentenni che non hanno nemmeno quel poco di saggezza di vita che avevo io alla loro età…
E parlo di tutti gli ambiti di vita, naturalmente. Non solo di scrittura.

Barbara Businaro

Feb 03, 2019 at 2:14 PM Reply

La mia allenatrice potrebbe raccontarti un sacco di aneddoti su quanto si difficile far lavorare le ventenni-trentenni in palestra, rispetto alle quarantenni-cinquantenni. Manca proprio la grinta. 😉

newwhitebear

Feb 02, 2019 at 9:20 PM Reply

Condivido ogni parola che hai scritto.
Perfetto, eterno, per sempre sono lemmi senza senso per il semplice motivo che non esiste in natura nulla che li definisca concretamente.
Tutto è migliorabile, tutti possono migliorare, tutti hanno sempre qualcosa da apprendere.

Barbara Businaro

Feb 03, 2019 at 2:14 PM Reply

Come disse Henry Ford: “Chiunque smetta di imparare è vecchio, che abbia venti od ottant’anni. Chiunque continua ad imparare resta giovane.” Dunque la scrittura ci mantiene pure giovani. 😉

Marco Amato

Feb 03, 2019 at 10:29 AM Reply

Quando a venti anni sono stato a Milano per turismo, sono rimasto impressionato dalla metro milanese. Sulle scale mobili vi erano i cartelli lasciare libera la destra. Avevo commentato alla persona che mi stava accanto: “ma cosa vuol dire lasciare libera la destra su di una scala mobile?” Lo scoprii subito.
Era impressionante vedere come le persone attraversassero di corsa gli scalini, trasportati da una fretta che allora mi parve disumana. Avevo commentato: “Mi pare ovvio che le sale degli psicologi sono piene, ma che vita è quella di una società che richiede questi ritmi frenetici come standard quotidiano?”
Cito questo episodio da Totò e Peppino che non trovano la nebbia a Milano perché la nebbia non si vede, per considerare che qui al sud, come base sociale, non è molto diffuso il concetto di perfezione. E so perfettamente che salire di corsa gli scalini della metro non sia per nulla la ricerca della perfezione, però, ad esempio, mi sento un pesce fuor d’acqua vivendo al sud con la mia mentalità non da nord Italia (anche voi siete blandi per me) ma di rigore tedesco.
Questo per dirti che anch’io spesso tendo al perfezionismo. Molti mi rimproverano d’essere troppo pignolo, semplicemente perché non mi accontento delle cose fatte male.
Però mi rendo perfettamente conto, che la ricerca della perfezione, oltre che essere inutile e a volte dannosa, difficilmente è un valore assoluto che si applica su tutto.
Di mio sono iper disordinato, nel lavoro ho sempre applicato la filosofia del massimo risultato con il minimo sforzo (e proprio per questo negli ultimi due anni sono in crisi perché riesco a ottenere il minimo risultato con il massimo sforzo), però, lì dove a me interessa il perfezionismo è proprio sulla scrittura perché la scrittura coincide con la mia stessa vita.

Ma anche qui non bisogna trascendere. Perché ciò che mi spinge nella scrittura non è tanto il diventare perfetto, quanto aspirare a diventare più bravo. Non è importante il numero di giorni che si impiegano per scrivere un libro o il numero di revisioni eseguite, ogni testo nasce più o meno pronto rispetto ad altri. Io credo che essere consci del proprio livello, ed essere consci del dove si vorrebbe arrivare, sia la molla propulsiva fondamentale per non accontentarsi del famoso: io so scrivere così. Credo che se a me capitasse la sventura di vincere in premio Nobel, sarei ancora ad arrovellarmi su come diventare più bravo. E questa mia necessità non è ancora il tendere alla perfezione, quanto la consapevolezza che la scrittura richiede una maturità che può essere acquisita soltanto scrivendo.

Barbara Businaro

Feb 03, 2019 at 2:17 PM Reply

Correre per le scale mobili è solo dirty, non è quick.
Se ti vai a leggere le statistiche sull’aspettativa di vita degli Stati Uniti, scoprirai che è più facile morire sulle scale mobili che per un attacco di uno squalo. Per dire quanto può essere furbo mettersi pure a correrci sopra. 🙂
Però temo tu non abbia capito bene il concetto di Quick and dirty: non è perfetto, ma non è nemmeno “fatto male”.
Sfrutta invece il principio di Pareto, che tu appena accenni e che qualcuno chiama oggi 80/20 nei modelli di business: il 20% delle azioni causa l’80% dei risultati. Il massimo risultato col minimo sforzo, appunto. Questo è il Quick and dirty.
Sulla scrittura, dovresti imparare da quel tuo amico, quel tal Moncada…
Che siano davvero perfetti i suoi libri? Qualche editor potrebbe dire ancora di no, qualche casa editrice anche, i lettori più esigenti snobbano quel genere, così popolare. Eppure ha avuto degli ottimi risultati di vendita. I suoi lettori gli scrivono e lo ringraziano delle emozioni in quelle pagine che, per loro, sono perfette. Pensa un po’ se non si fosse mai deciso a pubblicare, in attesa della perfezione di tutti gli editor del mondo o in attesa della casa editrice perfetta (un ossimoro, ne convengo…) 😀

Marina

Feb 03, 2019 at 6:50 PM Reply

Sì, in linea di principio sono d’accordo: il perfezionismo rallenta e annoia, se vogliamo; scoraggia, anche, perché la perfezione non esiste e poi chi può giudicare una cosa perfetta: i difetti si annidano nella visione soggettiva e ognuno di noi può vedere una cosa imperfetta in ciò che pare esserlo e viceversa. Però, è anche vero che un parametro che noi definiamo di “perfezione”, ma che forse dovremmo chiamare di “precisione”, di “puntualità”, dovremmo pur tenerlo presente, quando scriviamo. La teoria del quick ecc. non mi convince del tutto, nel settore della scrittura: l’importante è finire il lavoro, verissimo, ma arrivare con un prodotto scarso è controproducente per chi vuole impressionare in senso positivo i propri lettori. Ma tu lo dici: non va bene pubblicare qualunque cosa, per esempio, con lo strumento facile del selfpublishing.
Io non cerco la perfezione, però non so essere “veloce” e “sporca”: se leggo una cosa che mi pare brutta, che oggettivamente lo sarebbe per chiunque, mi fermo e, se anche ci volesse una vita, provo a renderla quantomeno gradevole alla lettura.

Barbara Businaro

Feb 04, 2019 at 1:10 PM Reply

Come possiamo definire una cosa “oggettivamente” brutta? Tu stessa nel blog hai spiegato quanto poco ti sia piaciuto “La ragazza con la Leica” di Helena Janeczek. E non sei stata l’unica, con te in lettura anche Viola Emi, e poco prima di voi due la nostra Nadia Banaudi delusa sai dal romanzo che dall’autrice in persona.
Eppure quello è il Premio Strega 2018. Una giuria l’ha selezionato come il romanzo migliore dell’anno. O facevano tutti schifo ed era il meno “oggettivamente” brutto. Oppure i giudici hanno una differente scala di valutazione, non oggettiva dunque, ma soggettiva.

Marina

Feb 05, 2019 at 12:40 PM Reply

Il rapporto oggettivo/soggettivo sarà sempre una fregatura c’è poco da fare!

Grazia Gironella

Feb 03, 2019 at 8:46 PM Reply

Bel post su un argomento fin troppo presente nella vita di chi scrive, e non solo. Mi è piaciuta molto l’immagine della ruota panoramica, perché è davvero così: ti spingi avanti, prepari tutto con cura e con il massimo dell’entusiasmo… ma poi ti accorgi che qualcosa non è come deve essere, ed ecco che stai già scendendo, senza avere combinato niente. Volevo condividerti, ma non ho trovato il modo… sono cieca? 😉

Barbara Businaro

Feb 04, 2019 at 1:11 PM Reply

Alla fine del post, poco prima dei commenti, sia che tu sia da computer che da mobile (per precauzione ho appena controllato, che con gli aggiornamenti di wordpress ultimi non si sa mai!), hai una barra di pulsanti per le varie condivisioni: Facebook, Twitter, Pinterest, Whatsapp, Email e se espanfi il tasto Più ne trovi altre centinaia diverse 😉
Altrimenti trovi il post sul mio profilo Facebook, Twitter, Google+ (ma è in chiusura) e presto su Instagram, mi sto attrezzando…

Grazia Gironella

Feb 04, 2019 at 2:01 PM Reply

OMG… thanks. 🙂

Maria Teresa Steri

Feb 05, 2019 at 9:37 AM Reply

Da aspirante perfezionista ho molto apprezzato questo post. E anche io ho la scimmietta a fianco 😀
In pratica, faccio tanti progetti che poi si scontrano puntualmente con la procrastinazione del momento o con la smania di fare le cose perfette. Finisco per rivedere tutto mille volte e portare poco a compimento. Trovo giustissima la tua conclusione, va trovato un compromesso altrimenti non si combina niente. E quindi ogni tanto un po’ di quick e dirty non guasta… anzi. In fondo si tratta di vincere la paura di fare le cose fatte male, paura che ci frena e che ci rende perfezionisti.

Barbara Businaro

Feb 05, 2019 at 10:03 PM Reply

Il video con la scimmietta vicino al timone è il top! 😀
Io devo continuamente aggiornare la mia ToDo List con le urgenze, altrimenti rischio di girare da una stanza all’altra senza ricordarmi perché c’ero entrata e ne esco con qualcos’altro di nuovo da fare!

Renato Mite

Feb 05, 2019 at 2:31 PM Reply

Condivido in pieno. A volte il blocco dello scrittore è causato proprio dalla ricerca della perfezione.
Però, ad un certo punto, bisogna imparare a distaccarsi dalla storia e capire che si tende alla perfezione senza raggiungerla.
La questione non è raggiungere la perfezione ma puntare sempre in quella direzione. Questa è una sensazione che ho provato quando ho finalmente lasciato andare il mio primo romanzo e l’ho pubblicato. Credo che in quel momento ho imparato a tenere in vista la perfezione senza farmi bloccare troppo 😉

Barbara Businaro

Feb 05, 2019 at 10:24 PM Reply

Lo dice anche Roberto Cotroneo nel suo Manuale di scrittura creativa: licenziare un testo, lasciarlo andare per la propria strada è difficile anche per gli autori più navigati, figuriamoci per gli esordienti! 🙂

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