Mi scappa la pipì... durante una partita di scacchi!

Mi scappa la pipì

Il ricordo di quella giornata è così sfumato che a volte mi chiedo se ne ero davvero io la protagonista. Da qualche parte però ci sono delle vecchie foto, con i colori un po’ spenti dal tempo sulla carta lucida, con quella piccola me bambina vestita di raso giallo, a testimoniare che non mi sono sognata tutto. La memoria ha la bontà di tralasciare le vicende imbarazzanti.
Era una domenica di primavera, ancora piuttosto freddina, da camicetta, golfino e calze grosse, quelle di lana a righe, sotto la gonna plissettata. Dovevo essere in seconda o terza elementare, uno sgorbietto biondo e taciturno a cui toccava sempre la prima fila per l’altezza contenuta. Detestavo essere sempre davanti, con la mano della maestra appoggiata sulla mia spalla, invece che infilarmi serenamente nascosta nel mezzo tra i miei compagni.
Quel giorno erano tutti in fermento: la cittadina si preparava per una manifestazione colossale, una ricostruzione medioevale con tanto di partita a scacchi nell’enorme piazza centrale, dove i pezzi, dalla Regina al Cavallo all’Alfiere, sarebbero state persone vere agghindate con abiti del periodo, nella tinta della propria fazione.
Le strade erano affollate di gente, era forse il primo evento mondano dopo il lungo inverno e accorrevano anche dai paesi vicini. Le signore sfoggiavano la loro eleganza in gioielli e messe in piega, i mariti esibivano gli orologi d’oro e le mogli al seguito. I ragazzini si inerpicavano sulla statua dei quattro leoni, la base del pennone ove svettavano le bandiere della città. Forse c’erano anche delle riprese televisive per qualche canale locale, ma confido che ogni prova sia andata ormai perduta.
Il quadrato del piazzale era stato tutto transennato e sul selciato vi avevano ricreato le caselle della scacchiera. Prima della gara però, sul palco costruito per l’occasione davanti al municipio, si sarebbero esibiti tutti i cori delle scuole elementari vicine, compreso il nostro piccolo gruppo di canto.
Sotto i portici alunni e genitori attendevano con ansia il proprio momento, la maestra Noemi stoica a tenerci buoni, silenziando ogni preoccupazione. Non so esattamente come accadde, chi parlò con chi e chi decise cosa, ma mi ritrovai trascinata in uno spogliatoio da una signora, insieme ad altre due bambine. Ne uscimmo vestite da paggetto medioevale, un maglioncino a collo alto, una casacca e dei pantaloncini a sbuffo in raso sopra delle calze leggere, e il cappellino in testa di traverso, tutte della stessa tinta, le altre in rosso acceso, per me il colore giallo. Sarà per quello che ancora oggi il giallo mi sta un po’ antipatico…
Le nostre mamme si sciolsero dalla commozione, facevamo la nostra bella figura su quel palco, sempre in prima fila rispetto agli altri cantori, ma io non vedevo l’ora di togliermi quell’abbigliamento che mi stringeva sulla pancia, oltre a farmi tremare dal freddo.
La sorpresa però giunse al termine della nostra esibizione: gli organizzatori non erano stati molto chiari sui termini dell’offerta dei costumi, oppure la maestra non aveva ascoltato bene o le mamme si erano distratte nella confusione generale. Così mentre gli altri bambini erano liberi di godersi il resto del pomeriggio tra le giostre e lo zucchero filato, a noi tre fortunate sarebbe toccato di giocare la partita a scacchi. Eravamo tre pedoni viventi.
Non ci fu tempo per protestare, né per cercare altri bambini volenterosi e così mi ritrovai al centro della mia casella, nella squadra gialla, contro le mie compagne all’altro lato, tra i pezzi rossi.
Gli istanti si congelarono, così pure le mie gambette.
Me ne stavo là, in mezzo alla piazza, obbligata a un gioco che non mi piaceva, con una necessità impellente.
Non ce la facevo più.
Avevo corso dietro alla mamma e poi alla maestra per tutto il giorno, dopo aver cantato mi avevano portato di peso al mio posto sulla scacchiera e si stava andando avanti oramai da più di un’ora, con un venticello frescolino che non mi aiutava affatto.
Tutte le volte che le ragazze più grandi mi prendevano e mi sollevavano per spostarmi di casella, secondo la mossa che veniva gridata dagli altoparlanti, mi stringevo le ginocchia per trattenerla.
Finché una di loro, spaventata dal mio pallore, mi chiese se stavo bene.
“Mi scappa la pipì…” mormorai con una voce flebile, quasi piangendo per la disperazione.

Oh sì, lo feci, eccome. Fermai un’intera piazza.
Una bambina mingherlina costrinse i lor signori giocatori a prendersi una pausa, a scherzare sulla differenza tra una scacchiera vivente e una di plastica senza esigenze corporali di sorta, a sogghignare dell’ingenuità dei fanciulli nonché della sventurata combinazione per cui ero uno dei pochi pedoni ancora in gioco. E non potevano nemmeno sostituirmi perché gli altri pezzi del mio rango erano spariti appena eliminati e usciti dal quadrato.
La signora che mi aveva vestito da paggetto mi prese di nuovo in consegna e mi accompagnò ai bagni pubblici, situati nella strada deserta dietro il municipio. Fu di una tenerezza incredibile verso di me, che mi mortificavo per l’accaduto, sarei voluta scomparire con una giravolta e ritrovarmi magicamente a casa, come facevano le eroine dei miei cartoni animati preferiti. Mentre sospiravo e singhiozzavo, lei mi tranquillizzava: mica era colpa mia, i bambini fanno i bambini, sono i grandi che non capiscono niente!
Uscii dalla toilette con un sospiro di liberazione e rientrai nella grande piazza, dove mi accolsero pure con entusiasmo.
La partita ricominciò e il dopo non lo ricordo affatto, forse perché finalmente mi muovevo spensierata. Non so nemmeno quale fu la squadra vincitrice. Al termine ritrovai i miei vestiti nello spogliatoio e tornai alla mia vita.
Per qualche anno parenti e amici di famiglia mi presero bonariamente in giro per questo incidente, facendomi sentire colpevole. Poi fu per fortuna dimenticato, nello stesso cassetto del salotto dove furono riposte le foto scattate quella domenica.
Raramente mi capita di pensarci, si è riaffacciato alla mia mente qualche giorno fa, quando mi è capitata tra le mani della stoffa di raso, lo stesso identico giallo limone di quel pagliaccetto buffo. Però mi è scappata una risata.
Non avevo nemmeno dieci anni e li ho lasciati tutti lì ad attendermi.
Nemmeno la Regina aveva osato tanto.

 

 

E per quelli troppo giovani, c’era anche una canzone del 1979 di Pippo Franco. 😉

Sharing is caring! Condividi questo post:

Comments (16)

Brunilde

Gen 24, 2021 at 11:56 AM Reply

Fantastica questa storia! E quanta tenerezza per quello ” sgorbietto biondo” infreddolito e tormentato dal bisogno di fare pipì!
Da certi traumi non ci si riprende mai: non so se giochi a scacchi, di sicuro non ti vesti di giallo!
A proposito di giallo…anch’io ho un ricordo di infanzia, una festa di carnevale organizzata da adulti, in cui i bambini dovevano presentarsi in maschera. I miei mi portarono in una sartoria teatrale: una roba seria, dove noleggiavano costumi veri.
Fremevo di impazienza, immaginandomi vestita da damina, con gonne lunghe, parrucca e quant’altro.
Mia madre invece mi impose un costume da…cinese: pantaloni ampi neri, tunica – indovina ? – gialla, con un dragone sulla schiena, e un cappellino a cono da cui pendeva una treccina finta. Ebbe anche il coraggio di allungarmi gli occhi, truccandomi con una matita nera: ho un foto imbarazzante, a imperitura memoria.
Mi ritrovai alla festa in mezzo a una schiera di piccole damine con lunghi abiti fruscianti, e mia madre trionfante: “Vedi? Sono tutte vestite uguali, tu invece sei originale, sei diversa da tutte!”
Appunto…
.

Barbara Businaro

Gen 25, 2021 at 5:59 PM Reply

Le hai azzeccate tutte: non gioco a scacchi (meglio Dama!) e non mi vesto di giallo! 😎
Sui costumi di carnevale temo che molte noi bambine abbiano qualche brutto ricordo. Credo di essere stata più fortunata, con un bel tutù da ballerina all’asilo, e poi due vestiti in raso fatti da nonna, uno azzurro da fata turchina e uno rosa da principessa, di quelli col cerchio in plastica che non passava per le porte. E poi basta, sono cresciuta troppo e allora ci si ingegnava con i vecchi abiti negli armadi e un po’ di fantasia. Parecchia fantasia! 😀

Darius Tred

Gen 24, 2021 at 12:34 PM Reply

“Esci le foto” dello sgorbietto biondo che ha tenuto sotto scacco un’intera piazza!
😀 😀 😀

Barbara Businaro

Gen 25, 2021 at 6:04 PM Reply

Mi piacerebbe, e non avrei avuto problemi a pubblicarne una, il costume da paggetto era ben fatto. Ma non sono accessibili, si trovano in un cassetto di un secretaire di una casa che non frequento più da tre anni, per motivi che qui non posso spiegare.
Immagina, puoi! 😉

Giulia Mancini

Gen 24, 2021 at 2:54 PM Reply

Purtroppo non sono giovane e la canzone di Pippo Franco me la ricordo benissimo. È è vero i bambini fanno i bambini che diamine! Una bella storia vera e tenera.

Barbara Businaro

Gen 25, 2021 at 6:08 PM Reply

Grazie Giulia. Sapessi che quella canzone mi perseguita ancora oggi, quando mi scappa!! o_O
E l’altra di Pippo Franco? Chichichi cococo Curucuru curucurucu Quaqua Ma come ci tiravano su?!

Paola

Gen 24, 2021 at 7:19 PM Reply

In realtà mi sento defraudata. Non appena ho ricevuto la newsletter sono corsa qui a leggere il racconto e…Signora mia la delusione!!! E le foto??? dovresti saperlo che il mio nome di battaglia è Miss Marple e voglio le prove. Ti perdono solo perché continuo a ridere da sola immaginandoti sulla scacchiera

Barbara Businaro

Gen 25, 2021 at 6:10 PM Reply

Eh, vale la stessa risposta per Darius. Le foto non sono qui. Ma cara sister, sai che io non mi tiro indietro. Lo troviamo un costume da paggetto da adulto di colore giallo eh. Non so se mi lasciano segnare con i gessetti la piazza, ecco, lì potrei avere delle difficoltà, con la scacchiera… 😀 😀 😀

Sandra

Gen 24, 2021 at 10:52 PM Reply

Marostica?

Barbara Businaro

Gen 25, 2021 at 6:21 PM Reply

Eh no, non ho mai vissuto a Marostica! 🙂
Marostica, provincia di Vicenza, è conosciuta in tutto il mondo per la sua “scacchiera permanente” nella centrale Piazza Castello, detta anche “Piazza degli Scacchi”, ma non è l’unica città con una piazza quadrata che occasionalmente viene utilizzata per gli scacchi viventi. Era uno spettacolo molto di moda negli anni ’80, forse più semplice da organizzare rispetto a una vera giostra medioevale e ugualmente scenografico.

Marina

Gen 28, 2021 at 4:15 PM Reply

Tenerissima. Anche bella l’idea del gioco a scacchi con pezzi “viventi”.
Quando scappa scappa, c’è poco da fare! È successo anche a me, durante una partita di pallacanestro ed ero un tantino più grandicella.
E per la cronaca: il giallo è un colore che non piace nemmeno a me!

Barbara Businaro

Gen 28, 2021 at 10:36 PM Reply

Ma nella pallacanestro si può chiedere un “timeout”, no? :O
Non è che mi dia fastidio il giallo in tutto e per tutto, adoro le margherite gialle per esempio. Ma non mi chiedere di indossare una maglia gialla, no. Non ne ho nemmeno una per tutta casa!!!

IlVecchio

Gen 29, 2021 at 9:22 AM Reply

Potrei azzardare che un certo temperamento nacque lì, in quell’istante. : -)

Barbara Businaro

Gen 29, 2021 at 11:32 PM Reply

Chi lo sa, forse sì. Più che altro spiega perché, prima di uscire di casa, devo sempre passare per la toilette, una sorta di rito scaramantico direi! 😀 😀 😀

Grazia Gironella

Feb 07, 2021 at 10:02 PM Reply

Storia carinissima! Essere lì, però deve essere stato molto meno carino… 😉

Barbara Businaro

Feb 08, 2021 at 7:43 PM Reply

Adesso ci rido su, ma fu una domenica lunga e tediosa per quella bambina in giallo… 😉

Leave a comment

Rispondi a Brunilde Annulla risposta