Manuale di scrittura creativa per principianti di Roberto Cotroneo

Manuale di scrittura creativa di Roberto Cotroneo

Il Manuale di scrittura creativa di Roberto Cotroneo, Castelvecchi Editore, è stato il mio primo manuale di scrittura in assoluto, acquistato nel 2012. La prova tangibile, a me stessa più che agli altri, che avevo deciso di “fare sul serio”.

Avevo una storia tra le mani, ma non sapevo come svilupparla, quale forma farle prendere, se stavo imboccando la direzione giusta. E quando non sai, che cosa fai? Apri un libro e studi, come t’insegnano a scuola. Il problema in questo caso è trovare il libro giusto. All’epoca girovagai tra le librerie online e le varie recensioni degli altri lettori e questo era dato come un ottimo manuale per un primo approccio alla scrittura creativa.

La prima parte di questo testo era distribuito dall’autore stesso in formato pdf gratuito, con il titolo Manuale di scrittura creativa per principianti ed utilizzato durante i suoi corsi di scrittura in classe. Ogni singola lezione chiude con un esercizio specifico, ma non è ovviamente prevista alcuna correzione.
A questa prima versione, con la pubblicazione è stato aggiunta una seconda parte con alcune interviste di figure professionale del mondo editoriale e qualche altra indicazione utile.

Me lo sono riletto di volata questa settimana, non soffermandomi su ogni singola frase quasi fosse oro colato come nella prima lettura, ma valutando i concetti a distanza e per molti di questi non sono più d’accordo con l’autore. Non so dire però se questo sia segnale che in questi anni ho imparato qualcosa in più …o non ho imparato affatto!
Condivido quindi con voi i miei appunti e vediamo cosa ne pensate.

 

Le lezioni di Roberto Cotroneo

Lezione 1: Principi generali
Dove si parla delle motivazioni a scrivere. Dell’angoscia della pagina bianca. Dei processi creativi che portano alla scrittura. Delle decisioni da prendere prima di cominciare a scrivere un testo narrativo. Di come ci si prepara. E in quali tranelli è opportuno non cadere.

Se oggi vi dicessero che la Terra verrà distrutta completamente entro un mese, continuereste a scrivere il racconto o il romanzo a cui state lavorando? Se rispondete di si, secondo Cotroneo state mentendo.

“Si scrive per gli altri, mai solo per se stessi. E soprattutto, si scrive per essere letti.[…]La scrittura è una forma di comunicazione, non è una forma di solitudine: si scrive per raccontare qualcosa a qualcuno.[…] e quelli che tengono un diario […] non lo distruggono perché in fondo al loro cuore sperano comunque di farlo leggere a qualcuno[…]. La scrittura è una forma di comunicazione, non è una forma di solitudine: si scrive per raccontare qualcosa a qualcuno. “

Non sono molto d’accordo. Innanzitutto esiste anche la Scrittura-Terapia (o Writing therapy) e certamente chi usa le parole come valvole di sfogo delle proprie emozioni non ha certo voglia di condividerle con altri, soprattutto quelle negative come rabbia, violenza e vendetta. Poi ci sono storie che si scrivono per sé stessi, perché finché rimangono nella testa sono annebbiate e confuse, ma ci piacciono così tanto che dobbiamo vederle lì, davanti a noi, terminate. Non le scriviamo per qualcuno e perché qualcuno le legga, ma quel qualcuno siamo noi. Se questo non è mai capitato a Cotroneo, non lo so, ma personalmente mi capita spesso. Sono pubblicabili? Forse, ma al momento preferisco che siano solo mie.

“Spesso scrivere è un modo per riflettere sulla propria vita […]. Altre volte è proprio il gusto, il piacere di raccontare qualcosa. Raccontare qualcosa di tuo.[…] trasformare le storie personali in qualcosa di universale, rielaborandole, è certamente la soluzione più giusta.”

Anche su questo mi trova in contrapposizione. Possiamo forse rielaborare le emozioni, ma non le situazioni. Se per scrivere dobbiamo per forza aver vissuto un dato evento, capite bene che sarebbero poche le storie che possiamo davvero raccontare. (E in effetti non è che Cotroneo abbia scritti molti libri di narrativa, Stephen King è molto più prolifico per dire).

“La nevrosi che vi riguarda da subito è […] quella che molti hanno definito l’ansia da pagina bianca. Ovvero il momento dell’inizio. […]Il segreto per liberarsi da quest’ansia è di non pensare mai al proprio racconto nella sua completezza.”

Su questo nulla di nuovo. L’autore suggerisce gli stessi consigli di molti altri scrittori: dividere il testo in porzioni, concentrarsi su cinque pagine alla volta; scrivere ogni giorno, anche se non sembrano buone idee; darsi un ritmo di lavoro minimo che possa essere rispettato facilmente, magari di 1600 battute al giorno (fatalità le stesse del NaNoWriMo); non cadere nell’errore di scrivere troppo perché si peggiora di riga in riga; non essere troppo severi con noi stessi all’inizio ed eccessivamente ossessivi con la revisione.

Lezione 2: La struttura del racconto / La struttura del romanzo
Di come si costruisce una trama narrativa. Della lunghezza del testo. Del modo di procedere. Con esempi e ipotesi di una struttura narrativa di romanzo e di racconto. E poi delle differenze narrative tra racconto e romanzo. Del perché sia difficile tenere in piedi una storia per più di cento pagine.

“Quasi mai l’autore ha un’idea precisa di quello che andrà a raccontare. Spesso ne sa poco. Ancora più spesso non sa quasi nulla.[…]Uno scrittore non dice mai: ho una storia da raccontare. Dice: vorrei scrivere un romanzo sull’amore, sull’amicizia, sulla guerra, sulla politica, e via dicendo.”

Che all’inizio non ci sia un’idea ben precisa è un approccio condiviso da molti. Che si parta dal concetto di voler scrivere un romanzo più o meno su quell’argomento mi sembra una visione limitata del “scrivere per farsi leggere”. O forse la differenza tra scrittore e scribacchino è proprio questa: uno scribacchino dice proprio di avere una storia da raccontare!
Interessante il paragone che Cotroneo fa della scrittura con un viaggio in automobile, senza destinazione: dall’uscita dell’autostrada ad ogni bivio di statale o ad un semplice semaforo, prendiamo delle decisioni.

“Il punto di partenza è sempre un’idea, un luogo, uno stato dell’anima. […]Accade che a ogni scelta che fate negate tutte le altre. […]l’idea iniziale del romanzo è la scelta della direzione.[…]Solo che nel romanzo le scelte finiscono per avere una coerenza, e le ipotesi che scartate sono quelle che non vi sono congeniali.”

Per fornire un esempio pratico, l’autore ripercorre le tappe del metodo di lavoro utilizzato per il suo romanzo Otranto, anche se appare troppo schematizzato.

“Il racconto chiede un’idea soltanto, è un flash, è come fermare una storia, che potrebbe essere molto più lunga (potrebbe essere un romanzo) e raccontarne un solo dettaglio. Molti pensano che i racconti siano dei miniromanzi, solo più brevi. E’ sbagliato: i racconti sono un ingrandimento di un frammento.”

Non sono certa che questo sia vero. I racconti sono comunque storie, fatte e finite, soprattutto di questi tempi che i lettori hanno poco tempo e prediligono letture brevi. Certo non c’è la complessità psicologica dei personaggi, che sono limitati all’essenziale. Se sono un frammento, delineano comunque gran parte del disegno dell’oggetto a cui appartengono.

“Contrariamente a quanto si pensa è molto più difficile scrivere racconti che romanzi. Ma ancora esiste l’idea che la difficoltà nello scrivere stia soprattutto nella lunghezza del testo […] dovete ragionare lentamente, non dovete avere fretta nel raccontare le cose. Sapere che la vostra storia vi accompagnerà per più tempo di quanto potete supporre”

Questo concetto è però in antitesi con quanto affermato da Stephen King, che si da solo tre mesi per scrivere la prima versione completa di ogni romanzo, perché poi cala inevitabilmente l’entusiasmo per la storia e rischia di non essere più produttivo. Chi ha ragione?

Lezione 3: L’incipit
Di come si inizia un racconto e di come si inizia un romanzo. Del modo tradizionale. Del modo “in media res”. Della scelta dello stile e della scelta della lingua. E del grande dilemma della prima persona e della terza persona.

“Scrivere un libro vuole dire innanzi tutto sedurre il mondo. Voi dovete sempre pensare che la prima regola è quella di afferrare il vostro lettore, e fare in modo che non si stacchi più dalla vostra scrittura. […] L’incipit non è altro che un principio di seduzione, dunque ha un’importanza fondamentale.”

Al di là che la prima frase mi sembra un po’ presuntuosa (sedurre il lettore magari, ma il mondo intero?), anche sull’incipit ho sentito pareri discordanti. Il punto è che il lettore per arrivare a leggere è già stato attirato dalla grafica della copertina e dall’intrigante paragrafo della quarta di copertina. Quando arriva all’incipit ha già un’immagine di cosa tratta il romanzo e forse pure una determinata aspettativa. Un incipit straordinario che poi non faccia seguito all’attesa del lettore può essere molto più dannoso.

“…l’incipit non è un riassunto in poche righe di quello che scriverete in tutto il testo. […]Perché non è ambiguo, perché non è seduttivo, perché dice tutto. E nella strategia della seduzione il dire tutto non è efficace.”

Seguono poi una carrellata di incipit diversi, anche per evidenziare alcuni errori: dall’inizio che dice troppo a quello misterioso e ambiguo, dal cominciare a metà dell’azione o variando il tempo verbale della scrittura.

“Chiaramente dipende tutto da come decidete di utilizzare il tempo nel racconto.[…] Io consiglio, quando non si ha molta esperienza, di utilizzare il più possibile la prima persona. È molto più facile da gestire, ed è molto più caldo.”

Uhm, quindi la prima persona è il tempo dei principianti??

Lezione 4: La descrizione
Sulla descrizione degli ambienti. Sulla descrizione dei paesaggi. E ancora sulla descrizione dei personaggi. Di cosa evitare. Di quali tecniche usare. Del rapporto con il racconto cinematografico.

“La descrizione è il punto vero in cui un lettore professionale, o un editor, riesce a capire meglio le capacità di uno scrittore.”

Questo è vero, dal momento che quel che cala il lettore direttamente nella storia è la descrizione, del luogo, del tempo e dei protagonisti che vi si muovono. Il dialogo poi completa il movimento e l’azione del racconto, ma la descrizione è quella che crea l’immagine mentale del lettore.

“Diciamo subito una cosa: il cinema ha cambiato il modo di descrivere in letteratura in modo radicale.[…] Tutti noi pensiamo sostanzialmente in termini di montaggio.”

E per un’appassionata di cinema e fiction con me questo è altrettanto lampante. Sono così abituata all’occhio da macchina da presa, alla panoramica che lascia veloce il passo al primo piano, l’inquadratura di un dettaglio, lo zoom che riprende distanza, lo spostamento ad un’altra telecamera, che anche quando scrivo in realtà sono in camera di regia.
L’autore prosegue poi con degli esempi, descrivendo in maniera diversa, la stanza da cui egli stesso sta scrivendo.

“La letteratura del Novecento vuole le descrizioni attraverso dei salti visivi, anziché attraverso una completezza assoluta della descrizione.[…] Inizio con un concetto non con una descrizione spaziale.[…]Qui metto degli elementi, ma non do al lettore la sensazione che gli sto descrivendo qualcosa, rimango nel campo del punto di vista.[…]Ingrandisco un dettaglio, come usassi uno zoom, non tutti gli elementi vanno descritti con un identico ordine di importanza.”

Dovrebbe cambiare qualcosa con la descrizione fisica dei personaggi?

“La descrizione fisica. Apparentemente la più difficile. Intanto partite da un presupposto: la descrizione fisica non è sempre necessaria per delineare un personaggio. Ci sono straordinari personaggi della letteratura di cui non conosciamo né il volto né l’aspetto fisico.”

E aggiungo: i romanzi che hanno più successo con il pubblico femminile (ma magari i maschietti mi confermeranno che il meccanismo è uguale dalla loro parte) sono quelli in cui la protagonista è talmente poco tratteggiata che ognuna riesce a immedesimarsi ugualmente, essendo invece tutte diverse per statura, corporatura, colore dei capelli e degli occhi. E questo me l’ha rivelato Mister E., da sempre lettore molto arguto. 😉

Lezione 5: Il dialogo
Dei vari modi di scrivere un dialogo. Del dialogo asciutto e secco. Di come aggiungere elementi narrativi nel dialogo. Della veridicità del dialogo. Delle difficoltà e degli errori da evitare. Del saper rendere riconoscibili e diverse le varie voci che fanno parte del dialogo. Del rischio di essere didascalici. Della solita domanda: dialoghi lunghi o dialoghi brevi? E soprattutto di cosa fare quando non sia molta esperienza.

“Il dialogo è forse la cosa più difficile da rendere in modo efficace. È talmente difficile che nel cinema esistono gli sceneggiatori, e spesso esistono anche “i dialoghisti”, ovvero persone che riguardano correggono e lavorano sui dialoghi degli attori, per renderli più efficaci.”

L’autore cita un esperimento che ho sentito in altre occasioni: registrate una conversazione telefonica con un amico e riascoltatela. Seppure sia vero, non vi sembrerà un dialogo realistico. Questo perché la finzione deve addirittura superare la verità.

Attraverso un esempio, in diverso stile, di un dialogo tra due personaggi, Cotroneo riporta alcune indicazioni basilari per orientarci e scrivere un buon dialogo: evitare di essere didascalici, perché il lettore non è qualcuno a cui dover spiegare tutto; nel dialogo a due non è sempre necessario mettere i nomi di chi parla; lasciare il lettore libero di completare il racconto dandogli solo pochi dettagli, così diventa parte attiva del dialogo ed entra nel testo; non eccedere nel linguaggio riconoscibile per ogni personaggio della storia (come gli elementi dialettali).

“Un’ultima considerazione. Nelle vostre prime prove narrative limitate il più possibile i dialoghi. Soprattutto quelli lunghi. Potete utilizzare il discorso indiretto, e di tanto in tanto far parlare i vostri personaggi.”

Non mi ritrovo in questo suggerimento. Il dialogo per me è azione, è mettere il lettore al mio fianco della cinepresa. Il discorso indiretto invece è come leggere il copione senza gli attori, lo trovo meno coinvolgente.

Lezione 6: La digressione
Del perché sia importante la digressione nella narrativa. E a cosa serve la digressione. Di che cosa sia la digressione di primo e di secondo grado. Di come si inseriscono le digressioni nel testo narrativo.

“…le vostre dieci pagine non sono un romanzo o un racconto. Sono un soggetto cinematografico. Avete scritto una trama, non un romanzo. La differenza tra una trama e un romanzo sta proprio nella digressione.”

La digressione indica una pausa narrativa, una sorta di parentesi che si apre all’interno della narrazione, per approfondire la storia di un personaggio o dei fatti accaduti in precedenza alla linea principale. Le digressioni non sono un espediente per allungare i testi, hanno la stessa dignità e importanza della storia stessa. Cotroneo usa il paragone con un albero: il suo tronco è ciò che lo sostiene, ma un albero è tale quando ci sono anche rami, rametti e foglie.

“Ci sono due tipi di digressioni. Che chiamo di primo grado e di secondo grado. Le digressioni di primo grado sono all’interno della storia che state raccontando. Le digressioni di secondo grado invece si muovono secondo logiche esterne.”

Tramite gli esempi forniti, vediamo che nella digressione di primo grado tutti gli elementi in più sono pertinenti alla situazione descritta, inseriti dentro il testo narrativo, nello stesso paragrafo. Questo perché il lettore vuole capire vedendo, che gli elementi forniti siano descrittivi ed emozionali assieme. Nella digressione di secondo grado invece c’è un cambio di argomento completo all’interno del testo narrativo, un intermezzo più o meno lungo, anche una diversa linea narrativa, parallela alla nostra storia (ma che in qualche modo la completerà verso il finale). L’importante è che questo cambio non deve innervosire il lettore, non deve fargli perdere il filo principale.

Nota: anche qui tutti gli esempi utilizzati sono scritti dallo stesso Cotroneo, quasi una pubblicità non troppo occulta. Avrei preferito porzioni di testo di altri autori, magari direttamente dai classici, spaziando anche tra diversi stili. Ma forse questo sarebbe risultato di difficile comprensione per un neofita della scrittura.

Lezione 7: Lo stile
Di come dominare lo stile, e come sceglierlo. Del perché alcune narrazioni richiedono un certo stile e non un altro. Del perché sia importante saper scrivere in stili diversi, per poi scegliere liberamente il più congeniale.

“La domanda iniziale è questa: ognuno ha uno stile che deve assecondare? E soprattutto questo stile è come se fosse una sorta di patrimonio genetico da cui non si può prescindere?”

Questa domanda ce la facciamo in continuazione, sia per la paura di copiare inconsciamente i nostri autori preferiti sia per la paura di non arrivare ad avere uno stile tutto nostro, che dicono sia condizione essenziale per arrivare ad una pubblicazione. Secondo Cotroneo (ma è opinione comune), il modo di scrivere è fortemente influenzato dalle letture (si chiama influenza letteraria).

“Lo stile è un frutto mimetico. Si forma, con ogni probabilità nell’adolescenza e nella prima giovinezza, e spesso rimane sul fondo. E si forma con le letture cruciali della propria vita.”

Dunque, se lo stile che va formandosi è unico, sarà lui a decidere che tipo di storia scriveremo?

“Oggi uno scrittore può decidere di scrivere libri con stili diversi, e gli stili devono adattarsi al tipo di libro che si scrive. Questo senza mettere in dubbio la personalità di chi scrive.[…] Dovete capire che stile utilizzare prima di cominciare una storia.”

Dagli esempi citati non è molto comprensibile la differenza di stile, ma volendo estremizzare, è chiaro che un romanzo d’azione più facilmente utilizzerà uno stile sintetico, asciutto, con pochi aggettivi, mentre un rosa o un erotico dovrà ricercare uno stile avvolgente, emozionale e sensuale.

Lezione 8: Utilizzare le fonti
Sul romanzo storico e sul romanzo contemporaneo. Le differenze e le difficoltà. Di come ci si documenta, di che testi utilizzare. Degli errori, dei trabocchetti, delle cose da sapere. E ancora sulla geografia dei luoghi. Sugli oggetti, le abitazioni, gli arredamenti, le città che cambiano, i paesaggi, il cibo, etc. Con una domanda importante: si possono ambientare parti di racconto e di romanzo in luoghi geografici che non si conoscono direttamente?

“La difficoltà tecnica di un testo narrativo e tanto più alta quanto vi allontanate dalla contemporaneità.[…]Non è un caso che i romanzi storici ormai vengono scritti, spesso, da specialisti di un’epoca storica, che dopo aver studiato per molti anni usi, costumi, ambienti, e vicende di quell’epoca.”

Nel scrivere un romanzo lontano dal nostro quotidiano, sia indietro con il genere storico che in avanti con la fantascienza, entrano in campo la psicologia dei personaggi e l’ambientazione. Mentre nel primo caso possiamo immaginare le loro difficoltà immersi in quel tempo e luogo (le emozioni saranno sempre le stesse, pur cambiando gli eventi), per l’ambientazione non rimane che documentarsi per ogni dettaglio.

“Voi direte: ma in un’opera di fantasia è così necessario essere precisi nei dettagli? La risposta è sì. Non potete sbagliare nulla. Le opere di fantasia chiedono la verosimiglianza. E non tollerano gli errori.”

In che tipo di errori rischiamo di incappare? Cotroneo ne cita parecchi e tutti molto validi, ve ne riporto solo alcuni: se ambientate la vostra storia nel 1969, i vostri protagonisti non possono leggere “Repubblica”, nascerà solo nel 1976; se abitano a Roma, non possono entrare in una libreria Feltrinelli perché allora esisteva solo a Milano; la televisione non era a colori e il settimanale “L’Espresso” non utilizzava il formato magazine ma quello lenzuolo come i quotidiani.

Quali fonti possiamo utilizzare per verificare i nostri dettagli?

1. Le guide. Guide geografiche e cartine.
2. Piantine delle città le più dettagliate possibile, per controlllare itinerari, spostamenti.
3. Libri fotografici. Che vi possano dare un’idea dei posti.
4. Libri di storia dei luoghi.
5. Dizionari tecnici, quando dovete rendere più credibili, mestieri, attività e descrizioni.
6. Ogni oggetto che gli fate maneggiare deve essere compatibile con l’epoca: verificare l’anno di produzione.
7. Se ascolta musica, state bene attenti a non citare canzoni che non erano uscite.

Da questo punto di vista, Internet è una grande svolta perché molto di questo è a portata di click.

“Si può raccontare di luoghi, di eventi e di situazioni che non avete mai visto? L’esempio di Emilio Salgari è certamente il più citato di tutti. Raccontò la Malesia senza esserci mai stato.”

E noi siamo abbastanza fortunati: con Instant Street View possiamo vedere la Malesia in qualsiasi momento!

Lezione 9: Decidere la temporalità degli eventi raccontati
Dove incominciate a chiedervi una cosa: chi racconta sa già tutto della storia (ovvero la racconta a posteriori), o apprende man mano che procede nel racconto? Del perché questa sia la scelta più difficile, e quella più importante. Di cosa conviene scegliere, di quali problemi vadano risolti. E del perché all’inizio è forse più opportuno decidere per un narratore che sa tutto. Di come cambia lo stile del racconto se si decide per un’opzione o per l’altra.

“Cosa vuol dire decidere la temporalità degli eventi? Vuol dire innanzi tutto stabilire una cosa. Quanto sa della storia che andrà a raccontare il narratore?”

Temporalità degli eventi intesa come tempo verbale del romanzo: presente (Paolo sta aprendo la porta) contro passato (Paolo stava aprendo la porta). Sembra una decisione banale, ma non lo è affatto.

Al tempo presente, il narratore racconta in tempo reale quel che sta succedendo, dunque scopre gli eventi man mano che li scrive. Si è quindi obbligati ad una narrazione lineare, più facile ma, secondo Cotroneo, più piatta, senza sorprese.

Al tempo passato, il narratore racconta una storia già avvenuta, sa già tutto quello che è accaduto nel momento in cui inizia a scrivere. Si dice che è onnisciente. Di conseguenza può decidere come e quando raccontare quello che è già successo. Può anticipare qualche dettaglio, che genera aspettativa nel lettore. E’ una scrittura più difficile perché frammentata in continui andirivieni nella linea temporale, ma molto emozionale, avvolgente e seduttiva.

“Un lettore che ha perso ogni ingenuità e che dalla narrazione pretende molto di più. Non vuole essere preso per mano in un modo lineare, chiede invece complessità, salti temporali, ritorni indietro, anticipazioni sottili sul futuro. Vuole immaginare delle cose senza sapere troppo.”

Lezione 10: E quando ho finito di scrivere il mio libro o i miei racconti cosa devo fare?
Del mondo editoriale. Delle differenze tra una casa editrice e un’altra. Del perché non si deve mai pagare per pubblicare un libro. Di come si invia un testo a una casa editrice.

Qui l’autore spiega perché gli esempi all’interno delle lezioni sono scritti da lui:

“In nessuna lezione ho scomodato la tradizione letteraria per fare degli esempi. Ed è stata questa una scelta molto precisa e voluta. Troppo spesso i corsi di scrittura sono di fatto dei corsi di letteratura, e di analisi letteraria camuffati. L’importanza della tradizione letteraria è indiscutibile, per non dire fondamentale, ma è anche molto oppressiva. E il più delle volte porta ad allontanarsi dalla scrittura, e intimidisce chi si mette in gioco.”

Cerca inoltre di rispondere ad alcune domande su quale strada far intraprendere alla propria storia, una volta terminata, perché:

“E spesso pubblicare non è solo il privilegio di chi scrive un buon testo, è anche il risultato di scelte giuste, e di una buona conoscenza di quel mondo.”

Queste gli argomenti che vengono trattati, e davvero vale la pena di leggere (solo per questi consiglierei la lettura del manuale!):

  • Un editore è tale se può vantare una distribuzione.
  • Non si deve mai pagare per pubblicare.
  • Ma i grandi editori non ci considerano e non leggono i libri. Niente di più falso. (ndr: siamo sicuri??)
  • Se un editore mi risponde di no cosa faccio? Posso provare con altri? La risposta è sì.
  • Ma se mi rispondono di sì, cosa devo chiedere? Risposta: un contratto.
  • E’ meglio provare con editori grandi o rivolgersi ai piccoli?
  • Ci sono editori e nomi a cui rivolgersi?
  • Come trovo indirizzi, e a che mi rivolgo?
  • Come mando il testo?
  • Mi possono chiedere di modificare il libro, togliere dei capitoli, spostarli, aggiungere pagine? Sì, rientra nelle richieste di un editore.
  • Mi possono riscrivere il libro, magari in alcune parti, per farlo diventare più omogeneo allo stile dell’editore? Non accade mai.
  • Quanto deve essere lungo un libro da mandare a un editore? Ormai non ci sono regole.
    Racconti o romanzo? …i racconti, nelle case editrici, non sono molto amati.
  • Gli agenti letterari. Chi sono.

 

Contributi e strumenti

Questa è una sezione aggiuntiva, rispetto alle lezioni che derivano dai suoi corsi di scrittura (che evidentemente da sole non giustificavano la stampa del libro). Non sono essenziali, e probabilmente vanno anche aggiornate, ma sono sicuramente un ottimo compendio per un neofita che si avvicina alla scrittura e non conosce nulla del mercato editoriale.
In questa appendice troviamo:

  • Come si costruisce il personaggio di un romanzo
    Intervento di Andrea Camilleri
  • A cosa serve frequentare un corso di scrittura?
    Conversazione con Stas’ Gawroski / BombaCarta (e lo vai a chiedere ad un docente di corsi??)
  • L’esordiente, l’agente letterario e il mercato
    Conversazione con Piergiorgio Nicolazzini / PNLA
  • Cosa devo aspettarmi da un agente? E’ tutta questione di Anerkennung
    Intervento di Roberto Gilodi
  • Gli indirizzi delle principali case editrici a cui spedire il vostro dattiloscritto
  • Scuole e associazioni di scrittura creativa
  • Bibliografia, con letture divise per
    – Corso di scrittura
    – Guide alla scrittura
    – Strumenti per scrivere
    – Consigli a scrittori
    – Il mestiere dello scrittore
    – I classici
    – I grandi saggi
    – Interviste ai Grandi
    – Il punto di vista femminile
    – Scrivere Zen

Una domanda per voi…

Quale è stato il vostro primo manuale di scrittura? E cosa avete trovato in più, o in meno, rispetto a questo di Cotroneo? Personalmente sono soddisfatta di averlo letto, anche se leggo in rete molte recensioni negative, trovo sia un buon manuale di prima lettura. Magari molti autori self di Amazon lo leggessero prima di pubblicare 34 “romanzi” all’anno… 😀
Un’ultima citazione di Cotroneo, giusto per rimanere in tema del blog:

“Si naviga a vista, lasciando che la storia prenda forma da sé.”

Sharing is caring! Condividi questo post:

Comments (34)

Marco Amato

Dic 03, 2016 at 9:43 AM Reply

Io reputo questi manuali validi, ma sulla soglia dell’inutilità.
Credo che difficilmente qualcuno impari da questo genere di consigli. Basta essere lettori forti e avere un minimo di istinto narrativo, per sapere che bene o male il manuale elargisce consigli validi.
Ma poi chiuso il corso ecco che d’incanto nasce il grande boh!
Perché? Troppe chiacchiere e distintivo, scarsa praticità.

Il mio manuale di scrittura ideale — e non ne ho mai trovati, magari in lingua inglese ne esisteranno — è il manuale che ti porta dentro gli ingranaggi veri della scrittura.
Se devi scrivere una scena d’azione, quali sono le mosse migliori per renderla? Non basta dire, accelera il ritmo della punteggiatura.
Occorre compiere stacchi tra quello che succede e quello che vive il personaggio. Inserire elementi sonori, di luce, olfattivi, rendere la scena rapida e completa. Aggiungere la tensione, l’emotività per il lettore.
Io vorrei un manuale che spieghi queste cose e che magari riporti stralci di grandi scrittori e ci ragioni su. Spiegando le singole scelte.

Io a Cotroneo chiederei: come si tiene il ritmo di una scena? Ma non sempre chiacchiere.
Quale attacco, come alternare le scene tra i personaggi. E se i personaggi sono tre o quattro, come riesci a raccontare la contemporaneità degli eventi?

E come si regge la tensione per una intera scena? Come fai a dosarla?
Dammi esempi a me principiante scrittore, non ancora chiacchiere.

Come si scrive un colpo di scena efficace? Come sviare l’attenzione del lettore, per coglierlo di sorpresa con un evento inaspettato?

Nei manuali pratici di scrittura, non ho mai trovato una reale praticità nella scrittura.

Io tutti questi interrogativi me li sono posti e sono andato a cercarli direttamente dagli scrittori. Leggendo. Io non leggo più ormai, ma studio i romanzi. Studio come King provoca la paura. Come quello scrittore crea le similitudini che arricchiscono il testo. Quell’altro come rende l’atmosfera.

Già Cotroneo, come si tiene la suspance in una scena?

Da questo punto di vista tutti i manuali di scrittura si somigliano. A chiacchiere spiegano tutto, ma nessuno di quelli da me letti, riescono alla fine ad essere veramente utili.
In tal senso, On Writing di King è il migliore. Ti parla della sua esperienza diretta. E ogni tanto rifila dritte, che avendo studiato i suoi libri, mi dico, ecco dove hai utilizzato questa cosa simpatica canaglia.

Ma anche King bisogna prenderlo con le pinze.
Quando King dice che per la revisione occorre tagliare il 10%, sta dicendo una cosa grossolana.
Il 10% lo deve tagliare lui, nel suo stile di scrittura. Ma tutti gli scrittori sono diversi. C’è lo scrittore logorroico che riempie un romanzo di infodump. Quello deve tagliare anche il 30%, se ne taglia il 10, non funziona lo stesso. C’è lo scrittore che alla prima seria rilettura dovrebbe tagliare il 50% e riscrivere il resto. Oppure uno come me, che in prima stesura è sintetico, vado avanti, e poi in revisione arricchisco il testo. Da me il romanzo cresce, non diminuisce.

Questo per dire, che io con i manuali di scrittura sono parecchio scettico. Non ho mai trovato qualcosa di valido. Quei trucchetti nell’affrontare la situazione mentre digiti i tasti o la dritta per delineare il protagonista. L’unica cosa che posso fare è studiare i grandi autori. Ad esempio, la mia amica Serena, con Buck, ha scritto un libro che funziona parecchio bene. Nelle recensioni che ha preso su Amazon, tanti lettori dicono d’essere rimasti incollati alla pagina. D’essere andati a dormire solo a notte fonda dopo averlo terminato.
Caspita, questo è il top per uno scrittore. Un lettore che non si stacca dal tuo libro.
E allora Cotroneo come si tiene un lettore incollato alla pagina? Francamente non credo che i suoi libri tolgano il sonno ai lettori. Allora in uno dei nostri colloqui telefonici ho chiesto a Serena, tu come hai fatto a tenere il lettore incollato alla pagina?
Ecco, 10 minuti con Serena sono stati più validi di ore dietro ai manuali di scrittura. Questo per dire va… 😀

Barbara Businaro

Dic 03, 2016 at 3:54 PM Reply

Sono pienamente d’accordo a metà con quello che dici! (per fare il verso alla tua prima frase 😀 )
La prima volta che ho letto questo manuale ho pensato: secondo me la questione è molto più complessa di come la sta presentando questo autore. Ma tieni conto che questi 10 euro di manuale sono gli appunti per un corso che all’epoca costava 180 euro in 10 lezioni (e quanti partecipanti?), stando a quel che ritrovo in cache su Google. Qui anche il corso parrocchiale più blasonato di scrittura parte da almeno 300 euro. Ed una delle frasi che hanno iniziato a ronzarmi in testa durante la rilettura di questa settimana è: chi non fa, insegna. Perchè uno scrittore dovrebbe perdere tempo a insegnarti a scrivere? Se a lui piace scrivere, scrive! E infatti sono pochissimi gli scrittori di successo che si impegnano in corsi o manuali.
Quando settimana scorsa è uscito un manuale sulle scene di sesso di Diana Gabaldon sono scattata ad acquistarlo, perchè lei è dannatamente brava ed è rarissimo che condivida questo genere di appunti!
Su Serena, che spero sia in ascolto, Buck me lo sto tenendo in caldo per Natale. E poi forse la inonderò pure io di domande! 😀

iara R.M.

Dic 03, 2016 at 3:02 PM Reply

Anch’io ho dato più di un’occhiata ai manuali di scrittura creativa. Da principiante con i fiocchi, sono riuscita a trovare tanti suggerimenti utili per iniziare a porre la mia attenzione su aspetti che prima ignoravo. Tuttavia, non credo che queste istruzioni possano davvero fare la differenza. Leggere libri, soffermarsi sui dialoghi, le descrizioni, studiare i diversi modi in cui si sviluppa una storia, riflettere sulle strategie usate dall’autore per suscitare particolari emozioni, ecco, questo mi è servito molto di più per iniziare almeno a capire come mi piacerebbe imparare a scrivere. Gli esempi pratici, non solo nella scrittura, servono più di mille parole. Poi, per carità, si studia anche la teoria e si fa tanta, tanta pratica.

Barbara Businaro

Dic 03, 2016 at 4:08 PM Reply

Iara è proprio ciò che intendo: manuali del genere sono utili ai principianti per capire quanto enorme è il lavoro ancora da fare per raggiungere una qualità della propria scrittura. Cominciare a leggere i libri “analizzandoli” nella loro struttura, studiare questo o quell’altro autore per lo stile, scoprire come il linguaggio ci tiene incollati alla pagina, come dice Marco. Se per pubblicare sulle piattaforme self fosse istituito un esame, una specie di patentino, dove venisse chiesto all’utente che cos’è un flashback o come si muove un narratore onnisciente, quanti testi ci troveremmo ancora? I manuali non fanno la differenza quando uno ha già capito che lavoraccio lo aspetta! 😉

nadia

Dic 03, 2016 at 3:42 PM Reply

Io sinceramente invece non ne ho mai letti forse per pigrizia. Se leggo è per diletto, per piacere, studiare credo di averlo accantonato mi bastano i compiti dei bimbi…
Credo che la base di libri come questi sia un sunto delle lezioni delle scuole di scrittura quindi sicuramente valide e di aiuto per chi si approccia e cerca di risolvere dubbi a volte sciocchi dati proprio dall’inesperienza, quindi utili.

Barbara Businaro

Dic 03, 2016 at 4:48 PM Reply

Bene, Nadia, se lo leggerai poi mi farai sapere cosa ti è stato utile e cosa meno! 😉
(Però studiare una cosa che ci piace è molto meglio che studiare qualcosa di imposto a scuola, no?)

nadia

Dic 04, 2016 at 9:17 AM Reply

assolutamente sì. A breve mi ci tuffo.

newwhitebear

Dic 03, 2016 at 5:04 PM Reply

Mai comprato o letto un manuale di scrittura creativa. Sempre attratto ma mai convinto non perché non si possano trovare utili indicazioni ma perché leggere un manuale richiede tempo e quando si prova a metterlo in pratica si rischia di avere più confusione in testa che chiarezza.
Letto i tuoi appunti. Sono un sunto ma più fruibili di un manuale di molte pagine

Barbara Businaro

Dic 04, 2016 at 5:12 PM Reply

In effetti le scuole di pensiero sulla scrittura creativa sono due: leggere manuali/frequentare corsi; leggere solo narrativa e assorbire dalle loro pagine le lezioni, direttamente dagli scrittori affermati. A volte mi chiedo se la scelta tra l’una o l’altra sia dovuta alla contrapposizione tra una formazione scolastica tecnica ed una più umanistica, che da più spazio alla lettura dei classici.

Sandra

Dic 03, 2016 at 7:01 PM Reply

I manuali alla fine mi annoiano, ne avevo preso uno di Cerami. Preferisco i corsi, dove c’è uno scambio di persona con l’insegnante, ma c’è chi i corsi invece non li frequenta perché pensa sia più utile un manuale. Opinioni divergenti, tutte accettabili. Dai corsi ho imparato tantissimo.

Barbara Businaro

Dic 04, 2016 at 5:17 PM Reply

Piacerebbe anche a me frequentare un corso, ma il problema è sia la carenza di corsi qui in zona, con insegnanti dal curriculum valido, sia la gestione del tempo lavorativo che sempre meno mi consente di prendere impegni ad un orario definito (da contratto non dovrebbe essere così, eppure…). Un manuale è facilmente gestibile, perchè è un libro che leggi quando vuoi. Ci sono corsi online di scrittura con lezioni video “a consumo”, ma proprio perchè non c’è lo scambio diretto con l’insegnante ed il confronto con una classe intera sono validi quando il manuale cartaceo. Purtroppo, si fa quel che si può 🙂

Lisa

Dic 03, 2016 at 7:06 PM Reply

Ormai ho letto così tanti manuali da non ricordare più dove ho letto cosa… però il primo che mi è rimasto impresso è “Scrivete un best-seller” di Renato di Lorenzo.
Ho poi letto varie critiche all’approccio dell’autore, diventato famoso prima di tutto per le sue conoscenze in campo finanziario, abituato a scrivere per il sole 24 ore.
È sicuramente una persona abituata al successo che spiega le componenti del romanzo in modo semplice e schematico. Si può definire semplicistico, o “all’americana”, si può non apprezzare l’ego infinito dell’autore… però per me è un testo comprensibile e pratico a cui sono tornata più di una volta per chiarimenti e ripassini!

Barbara Businaro

Dic 04, 2016 at 5:28 PM Reply

Sai Lisa che mi hai convinto? Sono andata a leggermi l’estratto del testo, e m’è bastata solo l’introduzione per capire che quel libro qualche dritta da darmi ce l’ha: “Veniamo alla parte che più vi può lasciare in dubbio: ci sono alcune regole per scrivere un onesto romanzo? Stephen King ce lo assicura, ci sono. Ma come si imparano? I libri che io conosco, pubblicati in Italia sull’argomento, valgono – a mio parere – molto poco. La nostra è una cultura intrisa di accademia.” E come fa notare lui, la classifiche dei libri sono sovrastate dalla letteratura americana. E siccome sono convinta che passando per l’estero ci siano maggiori percentuali di successo, sono curiosa di sentire che dice questo manuale. Grazie del consiglio! 😉

Lisa

Dic 04, 2016 at 7:50 PM Reply

Bene, mi dirai poi cosa ne pensi! Buona lettura.

Serena

Dic 06, 2016 at 9:41 PM Reply

Letto anch’io un secolo fa, mi piacque, adesso lo considero un bigino ma per iniziare a me è servito 🙂 Quanto meno fa sembrare facili le cose!

Pietro 57

Dic 04, 2016 at 2:56 AM Reply

Ogni manuale è utile, rendendoci più facile l’esistenza e a volte anche il lavoro di scrittore, e questo vale anche per i manuali di scrittura creativa. mi riferisco a “quei manuali che sono professionalmente validi” e non a quei manuali che “fanno solo della lunga e noiosa retorica” speculando su argomentazioni che di per sé possono essere anche valide, ma che non sono di nessuna utilità allo scrittore, o che addirittura lo confondono.Di manuali di scrittura creativa ne ho letti, studiati ed esaminati anche io. E la loro utilità è chiara e lampante. Quello che poi necessita di fare è di valutare in modo coerente e realistico in che modo mettere in pratica i vari consigli validi nella scrittura narrativa di chi scrive. E qui la cosa diventa un poco complicata. Mi spiego. Se un manuale di scrittura creativa ha 150 o più pagine di consigli da applicare alla scrittura, applicandoli tutti alla lettera andrebbe a finire che un libro di 300 pagine verrebbe a divenire come un libro di 1500 pagine. Voglio dire che quello che non fanno certi manuali di scrittura creativa o di altro genere letterario e no è che poi “non sintetizzano mai come lo scrittore deve mettere in pratica quei consigli”. Questo succede perché chi scrive il manuale di solito sa che “se lui dà i consigli in modo generico e poco applicabile allo scritto in modo chiaro, lui dovrà soltanto scrivere poche righe su quel consiglio” mentre lo scrittore si dovrà spaccare la testa per cercare di applicare un consiglio che non sà da dove iniziare o che lascia molto spazio alle “indecisioni narrative” di chi scrive. Quindi chi scrive il manuale “lavora poco e male” e chi lo legge e vuole applicarne i consigli “lavorerà molto e male pure lui” perché alla fine si troverà a volte con nessuna opzione pratica in mano per far fronte al problema narrativo che ha davanti. Invece dovrebbe essere il contrario, chi scrive il manuale dovrebbe lavorare molto per rendere i consigli pratici, semplici e soddisfacenti, mentre lo scrittore dovrebbe lavorare poco per riuscire ad applicarli, a trovare diletto in essi e a rendere la sua narrazione più accattivante e piacevole. Un consiglio per gli scrittori, i consigli per la scrittura sono sempre tanti, anche in qualche manuale di scrittura, ma poi nello scrivere, a secondo di cosa si scrive, e di come si vuole scrivere, a volte bastano pochi e mirati consigli di scrittura, e quei pochi possono anche essere sintetizzati al minimo nello scrivere che l’effetto narrativo voluto si concretizza sulla pagina in modo eccellente. Un esempio. I molti consigli di scrittura narrativa possiamo paragonarli agli abiti che indossiamo, che a volte possono essere svariati se non addirittura eccessivi, ma poi “ogni occasione” necessita del suo abito più appropriato, che è formato da pochi capi di abbigliamento, quelli che servono a noi, e tutti gli altri capi li lasciamo nell’armadio per varie altre occasioni. Così nella narrazione, a volte necessitano pochi accorgimenti narrativi che siano specifici e appropriati, e non generalizzanti. E vi sono molti manuali che generalizzano troppo o fanno troppi discorsi di retorica inutile e confusionaria. Mentre vi sono altri manuali che possono aiutare lo scrittore con l’idea che sia poi lui a studiare bene come applicarli alla propria scrittura. Ma se lo scrittore non si sente di compiere tale lavoro, allora deve cercare altrove dove ricevere i buoni consigli da applicare alla propria scrittura per rendere piacevole e pubblicabili i suoi scritti. In ogni modo qualcosa si deve fare, anche un genio letterario deve essere addestrato e consigliato per scrivere in modo ottimo o discreto, nessuno nasce già con la tecnica della scrittura in mano. E anche se si è bravi a scrivere la tecnica narrativa vi farà divenire migliori scrittori, e quella si deve sempre imparare, o da un manuale onesto e serio di scrittura creativa oppure in qualsiasi altro modo che uno conosca, da amici, addetti ai lavori, eccetera.La scrittura è una cosa molto bella, ma per ottenerla in modo che splenda in tutta la sua bellezza ci vuole, in un modo o nell’altro, impegno e costanza e un pizzico di sudore narrativo. I risultati si vedranno in breve tempo. Vi auguro buona scrittura.

Barbara Businaro

Dic 04, 2016 at 5:33 PM Reply

Grazie Pietro e benvenuto nel blog! Il tuo paragone con gli abiti è in effetti illuminante. Leggendo il manuale di Cotroneo, soprattutto visto che ha inserito esempi solo dei suoi libri, si ha la sensazione che i consigli valgano più per quel particolare genere di scrittura. Ma lui non scrive gialli o thriller, nemmeno storici o di fantascienza. E men che meno rosa o erotici. Quindi, come dici tu, i veri consigli di scrittura ce li dobbiamo cercare anche a seconda della storia che vogliamo scrivere. Su questo sono d’accordo! 🙂

Giulia Mancini

Dic 04, 2016 at 6:15 PM Reply

Questo post è molto interessante, personalmente sono d’accordo con il punto di vista di Stephen King, è importante completare la prima stesura di una storia in un tempo concentrato, ecco io non dico i tre mesi di King perché non potrei farcela lavorando (ma se scrivessi a tempo pieno forse sì). È importante focalizzarsi sulla storia e non puoi farlo per un tempo troppo lungo almeno per quanto mi riguarda perchè dopo un po’ perdo interesse. Ho frequentato due corsi di scrittura creativa che mi sono serviti relativamente, più che altro ho avuto modo di confrontarmi con gli altri sulle mie capacità. Ho letto un manuale interessante tempo fa titolo “Scrivere un libro che conquista dalla prima pagina” un eBook scaricato gratis dal sito di ioscrittore contenente i consigli di autori famosi di Best sellers, però trovo che la mia scrittura è migliorata lavorandoci ossia scrivendo e poi leggendo molto. I manuali e corsi servono fino a un certo punto, bisogna poi applicarli e applicarsi e lavorare molto.

Barbara Businaro

Dic 05, 2016 at 12:42 PM Reply

L’ebook “Scrivere un libro che conquista dalla prima pagina” ce l’ho anch’io sul Kobo, in attesa di lettura. Sempre su IoScrittore, c’è gratuito anche l’ebook “Scrivere un libro e farselo pubblicare. I consigli degli autori best seller e dei loro editor”.
Per chi volesse leggerli, questa è la pagina di riferimento: Ebook IoScrittore
Sul fatto di concentrarsi per la prima stesura sono d’accordo anch’io, ma oramai che la frittata l’ho fatta…come faccio a riprendermi la concentrazione? Mi sento più portata ai racconti che al romanzo, ma forse questo è un alibi che non rimettermi sulla faticaccia del romanzo :/

Darius Tred

Dic 05, 2016 at 3:00 PM Reply

Sono un po’ allergico ai manuali.
E’ una (pessima?) abitudine che mi trascino dalla mia vita reale: venticinque anni di esperienza come analista/programmatore e se devo pensare ai manuali che ho letto in vita mia, li conterò sulle dita di una mano.
Non perché siano inutili o perché mi reputo un genio nato “imparato”: ma perché preferisco prima sporcarmi le mani e poi perfezionare. Insomma i manuali tendo a leggerli quando ho dei precisi casi reali da risolvere.

Non nascondo di sentire anche un qualcosa di atavico che mi dice che quando si leggono i manuali si viene inconsciamente indirizzati verso un certo schema di pensiero. Schemi e creatività fanno un po’ a botte… 😛

Barbara Businaro

Dic 06, 2016 at 10:07 AM Reply

Allora, esimio collega, la diffidenza verso i manuali ce l’ho anch’io, ma all’inizio-inizio-inizio, subito dopo aver abbandonato il ciuccio, sostituito dalla tastiera, ci sarà stata qualche anima buona che ti ha spiegato la differenza tra un if-then-else ed un for-foreach o un while-do? Che a far da sè, è facile dimenticarsi la condizione d’uscita e innescare un ciclo infinito, per la gioia del sistemista in turno! 😀
Non sono convinta che schemi e creatività facciano completamente a botte. La creatività è l’innesco, l’idea, la folgorazione, ma se vuoi dei fuochi d’artificio spettacolari devi progettare come disporli in sequenza, decidere i colori e le tempistiche. 😉

Marina

Dic 06, 2016 at 11:17 AM Reply

Non ho mai letto manuali di scrittura, si può dire che l’ottimo compendio che hai fatto tu in questo post del libro di Cotroneo sia il primo. 🙂
Me lo sono gustato e mentre leggevo ho più o meno confermato le tue osservazioni in coda.
Non ne ho mai letti non perché abbia la presunzione di sapere scrivere, ma perché sono convinta che la miglior scuola la facciano i libri che leggiamo. Da molti autori ho appreso il gusto per un buon dialogo, l’uso di un certo stile. Forse, ecco, un manuale mi servirebbe come ripasso o come promemoria, ma poi so che per quanto legga e rilegga determinati consigli, poi finisco per fare sempre di testa mia.

Barbara Businaro

Dic 07, 2016 at 3:58 PM Reply

Penso anch’io che la miglior scuola sia la lettura, ma temo ci sia il rischio di imparare solo dai libri che ci piacciono (che poi il tempo è limitato ed è giusto che leggiamo solo quello che ci fa piacere). Magari un manuale fa luce su quello che, per preferenza, non consideriamo. O forse i manuali di scrittura si leggono come gli oroscopi: quando attraversiamo un momento di incertezza e abbiamo bisogno di qualche suggerimento o qualche conferma di essere nella direzione giusta.

Maria Teresa Steri

Dic 06, 2016 at 5:34 PM Reply

Mi manca!
Il mio primo manuale di scrittura è stato quello di Donna Levin “Come scrivere un romanzo”, una lettura che mi ha aperto un mondo. Forse può sembrare esagerato, ma all’epoca non sapevo nulla di regole e tecniche di scrittura, quindi mi è stato parecchio utile, tanto che oggi continuo a consigliarlo come primo approccio. Poi ne ho letti svariati altri e mi sono resa conto che ogni libro che parla di scrittura ha le sue cose da insegnare, ma dopo un po’ cominciano anche a sembrarti tutti uguali. E quindi ho smesso di leggerli.
La panoramica che hai dato su questo mi fa pensare che sia un buon approccio per chi comincia a scrivere, perché secondo me non guasta mai conoscere questi argomenti, anche per chi non si fida della manualistica. Però forse ce ne sono di più approfonditi.
Su una cosa comunque mi trova totalmente d’accordo: per me scrivere un romanzo è un processo lungo, i tre mesi di King li trovo veramente troppo pochi.

Barbara Businaro

Dic 07, 2016 at 4:04 PM Reply

Se non sbaglio, del manuale di Donna Levin avevi già scritto qualcosa, so che ce l’ho in lista per una futura lettura. Di manuale per ora non ne ho letti tantissimi, ma appena inizierò a notare ripetizioni nei concetti, immagino che smetterò la lettura. Più che alto trovo difficile sceglierli, perchè ci sono poche recensioni e alcune frettolose, che non capisci mai se può o non può fare al caso tuo, a quello che hai in mente di scrivere tu.

helgaldo

Dic 06, 2016 at 9:15 PM Reply

I manuali mi piacciono quando non si presentano nella sostanza come manuali all’americana. I consigli a un giovane scrittore di Cerami, o quello di King, che non espongono regole ma riflessioni sulla scrittura. Il (non) manuale di Giulio Mozzi, di cui ho parlato nel blog. Testi che parlano di scrittura, ma non manuali in senso stretto. In bella vista ho anche quello di Fruttero e Lucentini, riflessioni sparse che poi sono diventate un libro. Mi piace quando uno scrittore parla del suo mestiere, non quando ti propone regole e schemi. Di Cotroneo ho letto l’ultimo capitolo in libreria, mi pare. Comunica che sa di quello di cui sta parlando.

Se in un manuale trovo anche solo un consiglio o una riflessione utile per me vale la spesa.

Barbara Businaro

Dic 07, 2016 at 4:11 PM Reply

C’è una nutrita serie della Minimum Fax con i consigli/citazioni/lettere dei grandi scrittori che parlano del loro approccio alla scrittura. Qualcuno l’ho letto (e ne arriverà il post) e qualcun’altro è lì che attende. Però, dopo aver letto On Writing di King, ho idea che nessuno m’incanterà uguale.

Serena

Dic 06, 2016 at 11:12 PM Reply

Caspita, che post interessante. Così interessante che, mentre commentavo, mi è partito un articolo che credo pubblicherò la settimana prossima. L’ho quasi finito, quindi salvo imprevisti ci si legge presto.
La risposta breve sul manuale di Cotroneo è che, sempre secoli fa, l’avevo bollato come “palloso”. Povero. Non credo lo riprenderò, comunque, mi basta il riassunto più che completo che ne hai fatto tu.
La risposta breve sull’utilità dei manuali è che – e non la pensavo così, una volta – c’è una parte di tecnica, di dimestichezza con la lingua scritta, che non si impara. Può solo penetrare per osmosi se si leggono montagne di libri, e di generi diversi, fin da piccoli. Quindi secondo me i capitoletti sullo stile, le descrizioni, la voce e bla bla sono quasi inutili. Si può migliorare molto, questo sì, ma il rischio di dire le cose come le direbbe qualcun altro, invece che con la propria voce, è altissimo.
Invece si può insegnare a prendere consapevolezza della struttura di una storia e lavorare su quella. Scontato? Ma neanche per idea. Non dico che mi succeda tutti i giorni, ma spesso sì, di leggere cose che vorrebbero essere storie e non lo sono. Non va bene; più che altro, non c’è consapevolezza di cosa si è scritto. E allora una base di riflessione su cosa è una storia serve, e quelle secondo me sono le parti più interessanti dei manuali.
La buona notizia, a mio parere, è che una storia che funziona si fa perdonare un linguaggio o uno stile che lasciano a desiderare. Il contrario ti fa addormentare sul libro. Che poi è perfetto, se è quello l’effetto che volevi ottenere.
Troppo buono, Marco. Dovresti dire che sono cattivissima e che ti ho chiesto di raccontarmi un universo in tre minuti… E sto ancora aspettando 😛 Guarda che tre minuti sono tantissimi, ho il dubbio di dover scendere a uno!
Comunque sì, mi è stato detto anche di persona o fuori dalle recensioni che “Buck” si fa leggere bene. Da mesi vorrei farvi vedere una certa fotografia, ma anche per quella mi serve un post dedicato sul blog. Ci arrivo presto, spero.
Un bacione, Barbara :* Grazie per le cose così ricche e attente che scrivi.

Barbara Businaro

Dic 07, 2016 at 4:44 PM Reply

Grazie a te Serena. Adesso sono curiosa di leggere il tuo prossimo post! 🙂
In effetti, del presente manuale ho apprezzato di più i consigli sulla metodologia di lavoro, che su stile, descrizione, digressioni, dialoghi, ecc. Soprattutto l’ultima lezione, sul “dopo” e su come gira il mondo dell’editoria, di cui all’epoca ignoravo proprio i meccanismi. E si, se la storia è buona, gli occhi sorvolano velocemente le parole alla ricerca dell’azione. E pazienza se ci sono parecchi “disse”, quelli nemmeno li vedo! 🙂

Serena

Dic 06, 2016 at 11:22 PM Reply

Comunque se non ricordo male il primo che ho letto è “Writing Fiction for Dummies” di Ingermanson, quello del famigerato fiocco di neve. Lì il metodo del fiocco di neve non c’è ma ci sono un sacco di altre cose, è un testo basic ma completo, mi sembra una buona base. Adesso sto leggendo Story di Robert McKee e un manualetto di sceneggiatura, così per tirarmi su il morale XD perché McKee me lo studio, più che leggerlo.

Marco Amato

Dic 06, 2016 at 11:27 PM Reply

Ah ma la sfida dei tre minuti è ancora aperta. Anche con uno adesso. E comunque io il tuo Buck te l’ho smontato, e ho colto alcuni degli elementi che hai adoperato perché il lettore resti incollato alla pagina. Sulla struttura hai ragione. L’unico manuale veramente utile che ho trovato è stato The Story Grid. Invece Story di Robert McKee lo trovo utile solo a tratti.Troppe chiacchiere.
La teoria a un certo punto è sempre la stessa. Io invece voglio entrare nei meccanismi della scrittura. So che i manuali non possono darmi questo. Allora studio direttamente i romanzi.

Barbara Businaro

Dic 07, 2016 at 4:48 PM Reply

Non lo so se “smontare” i romanzi mi piace. E’ come quando vado a leggermi il testo di una canzone e inizio a cantarci sopra, mi si rovina per sempre l’ascolto! Preferisco ascoltarla e lasciarmici rapire, chissà che per sola osmosi il mio cervello registri anche tutto il resto! 🙂

Stefano

Lug 07, 2019 at 12:45 PM Reply

Manuali e corsi di scrittura creativa… ma chi li scrive e li tiene vi siete mai chiesti perché se han scoperta la formula del romanzo perfetto, perché son così generosi da divulgarla (a pagamento) al volgo invece di tenerla per sé e fare i soldi a palate? Non si tiene poi adeguatamente conto di due fattori: il tempo in cui si scrive e il corrente gusto letterario. Se un certo A Manzoni, benestante milanese, proponesse ora il suo romanzo ad un editore pensate sul serio verrebbe accettato e pubblicato? Fatevi la stessa domanda per qualche altro autore che di solito non viene letto ma soltanto parzialmente studiato (perché si deve) a scuola. Mi viene in mente un bellissimo quanto breve racconto (dell’86, credo) di Roald Dahl “Lo scrittore automatico”, in “Il libraio che imbrogliò l’Inghilterra”, Tea, 1996) Quando poi sento parlare di manuali e corsi di scrittura creativa immancabilmente mi torna alla mente quell’aforisma del grande GBS (George Bernard Shaw), contenuto in “Massime per rivoluzionari”, io ce l’ho in appendice a “Man ad Superman”, Penguin, secondo cui “He who can, does. He who cannot, teaches.” (“Chi sa fare, fa. Chi non sa fare, insegna”. La dice piuttosto lunga a questo ma amche ad altri propositi.

Barbara Businaro

Lug 07, 2019 at 5:25 PM Reply

Il detto “Chi sa fare, fa. Chi non sa fare, insegna.” non è applicabile a tutti i manuali e i corsi di scrittura creativa, per due motivi: chi insegna scrittura creativa non dovrebbe essere uno scrittore, ma un editor (per capire la differenza, ti rimando al post che avevo già scritto in merito: Le figure professionali della scrittura); ci sono differenti livelli di conoscenza per la scrittura creativa, dall’assoluto principiante che non sa nemmeno da che parte iniziare quando si trova una storia tra le mani (e questo di Cotroneo è una buona lettura) ad un esordiente con un manoscritto finito che però necessita di una revisione adatta ad essere commercializzato (e qui intervengono corsi di una certa levatura come Scuola Holden a Torino o la Bottega di narrazione a Milano, per citarne due famose).
Nessun manuale o corso serio spaccia la formula del romanzo perfetto, ma semmai cerca di fornire gli strumenti per evidenziare il talento ed affinare la tecnica, così che il romanzo possa risultare scritto al meglio possibile per il suo autore.
Difficilmente chi ha già pubblicato un romanzo con una casa editrice tradizionale avrà poi bisogno di manuali e corsi: diamo per scontato che essendo stato selezionato, lo scrittore abbia una qualità sufficiente per proseguire semmai da solo lo studio.
Del resto, ci sono manuali di scrittura creativa pubblicati anche da autori di indiscussa capacità, uno su tutti Stephen King e il suo sempre citato On writing, dove egli stesso non demonizza né manuali né corsi (conobbe sua moglie Tabitha ad un corso di poesia, non a caso), ma ritiene che sia utile qualsiasi cosa serva a farti scrivere, perché ognuno deve trovare il suo metodo.
La ricerca però inizia sempre dal metodo altrui.
Su Alessandro Manzoni poi, nessuno ricorda che dovette spendere 80.000 lire nella pubblicazione de I promessi sposi, nella versione detta la Quarantana? Già, Manzoni era un auto-pubblicato per l’edizione che conosciamo oggi e non riuscì nemmeno a rientrare della spesa, all’epoca. Il suo successo, come per quasi tutti i classici che resistono al tempo, è più che altro postumo e dovuto al popolo degli umili, che finalmente si vide rappresentato come protagonista in una storia scritta.

Leave a comment

Rispondi a Barbara Businaro Annulla risposta