Master of Disaster - Maestro di disastri - La storia di Liam e Caitlyn

Maestro di disastri
(Master of disaster)

Un nuovo Halloween e un nuovo racconto della storia di Liam e Caitlyn, il quarto della serie di questi due personaggi che mi si sono legati al cuore oltre ogni mia aspettativa. Dove eravamo rimasti? Impossibilitato a dimenticarla dopo il loro secondo incontro nella notte di Halloween, Liam era tornato a casa prima dal college, ossessionato dalle allucinazioni di Caitlyn di giorno tra i vicoli della città e di notte nei propri sogni. Aveva poi conosciuto Lize, la sorella più piccola di Caitlyn, che le somiglia molto e per questo l’aveva confusa proprio per lei. Aveva poi scoperto di poter vedere e toccare la sua Caitlyn tutte le notti, se solo lo desiderava. Dopo aver salvato Lize da uno psichiatra assassino, che usava l’ipnosi per costringere al suicidio le sue vittime, lei gli aveva consegnato il diario di sua sorella Caitlyn, dicendogli che in quelle pagine scriveva di lui.
Come proseguirà? Posso dirvi che ci sono anche delle novità in arrivo per questa serie. Ma tutto a suo tempo…
Se avete perso le puntate precedenti, le potere leggere qui nella nuova pagina a loro dedicata: La storia di Liam e Caitlyn

 

Il velo tra i vivi e i morti si assottiglia nella notte di Halloween. E tu non sai più dove sei.
Devi stare attento. Rischi di perderti in uno dei due mondi, per sempre.

 

La sua vita si era trasformata in una lunga notte di Halloween, Liam oramai ne era consapevole. Per lui il velo tra il mondo dei vivi e quello dei morti non esisteva più. Poteva scorgere le anime inquiete vagare in mezzo ai comuni mortali, indaffarati nella propria vita inconsapevole. Una capacità la sua che si era acuita nel momento in cui aveva creduto sul serio alla loro presenza. Difficile a volte distinguerli, se non presentavano evidenti segni del loro trapasso. Non tutti giravano per la città insanguinati, sbudellati, con qualche osso mancante, il bulbo oculare vuoto che ti fissava.
Per fortuna poteva vedere gli spiriti solo di notte, dall’imbrunire fino all’alba.
Quando gli capitava di uscire in compagnia dopo il tramonto, cercava di parlare con le persone solo per secondo, per essere davvero sicuro che fossero vive. Una volta aveva riaccompagnato sua madre a casa dopo la riunione del circolo letterario, era andato a prenderla perché non gli piaceva più saperla in giro da sola nel buio. A metà del tragitto un uomo distinto in giacca e cravatta camminava verso di loro, diretto verso il centro città, magari di ritorno dalla passeggiata serale tra i viali alberati della periferia. Quando fu loro di fronte, si tolse il cappello e fece un gran sorriso. “Buonasera signori.”
“Buonasera” rispose Liam al saluto, cercando di ricordare chi diamine fosse.
La madre si guardò in giro e poi lo scrutò accigliata. “Ma chi hai salutato?”
Liam capì subito l’errore. Finse di esaminare con attenzione il portico della casa di fronte, con la luce accesa. “Mi era sembrato di vedere il signor Gibbons laggiù… mi devo essere sbagliato.”
La madre seguì il punto indicato, ma non c’era nulla. Anche il salotto illuminato non mostrava nessuno dietro le tende. “Devi proprio andare dall’oculista. Mi pare che la tua vista da lontano peggiori.”
Più che per la vista, sua madre era preoccupata per la sua salute mentale: due casi di presunta follia in famiglia, suo nonno gettatosi dalla finestra del primo piano e suo padre finito in auto addosso un albero senza frenare, non erano un’eredità rassicurante. Figurarsi poi spiegare che tutti loro interagivano con gli spettri e le loro questioni irrisolte. Sarebbe stata la sua condanna finale.
Solo un fantasma non si vedeva più da qualche notte, l’unico che gli interessava davvero: Caitlyn, la sua Caitlyn.
Scomparsa da quando quel coso è sulla mia scrivania, pensò Liam osservando il quaderno pervinca poggiato su un angolo del tavolo.
Sbuffò. Disteso a letto su un fianco, cercava di studiare per il prossimo esame di Meccanica sul libro di testo, ma la concentrazione non era il suo forte in quegli ultimi giorni. Caitlyn doveva essere arrabbiata per la presenza del diario lì in camera sua, Liam ne era convinto.
Lize non gli aveva detto cosa c’era scritto, solo che Caitlyn scriveva di lui. E cazzo sì, sono dannatamente tentato di leggerlo!
Non si erano mai conosciuti prima della fatidica notte di Halloween, in cui Caitlyn già morta gli aveva chiesto aiuto per trovare il suo assassino. Ma lei aveva scritto di Liam nel suo diario personale, lei lo aveva visto e pensato da viva. La curiosità era lancinante.
Eppure qualcosa lo fermava. Il diario era nella stessa posizione di quando l’aveva messo lì, non osava più toccarlo.
Il trillo del telefono di casa lo riscosse dai suoi pensieri. Sentì sua madre ciabattare dallo studio alla cucina per rispondere e qualche minuto dopo affacciarsi alle scale per chiamarlo. “Liam, ti cerca un tal signor Forrester.”
Qualcuno che mi cerca al fisso, pensò lui scendendo veloce le scale. Ma chi lo usa più il telefono fisso? Sua madre poi si ostinava a non voler acquistare un apparecchio senza fili, che noia.
Afferrò il ricevitore, mentre sua madre lo osservava con la coda dell’occhio, fingendo di riordinare vecchie bollette sul tavolino.
“Si signore, mi interesserebbe davvero. E potrei usare il laboratorio al termine del lavoro?” All’ultima parola, sua madre si girò con aria interrogativa.
“Perfetto. Ci vediamo domani allora. Grazie.” Posò la cornetta sulla base del telefono e fece per tornare di sopra.
“Fermo lì. Cos’è questa storia? Un lavoro? Cosa stai combinando?”
Ahia, non era preparato alle spiegazioni. Si voltò pronto alla battaglia, sua madre con le braccia incrociata e gli occhi severi.
“Non proprio, uno stage, per l’esattezza. Il signor Forrester ha una piccola azienda di progettazione e costruzione di strutture metalliche dall’altra parte della città. Lavorerò lì tre pomeriggi a settimana e aumenterà il mio credito al college.”
“Non torni più al campus?”
“Per ora no. Preferisco stare qui, per qualche mese.”
Sua madre non aggiunse altro. Liam sapeva cosa stava pensando: l’ultima volta che era tornato era stanco, debilitato, profonde occhiaie e barba lunga. Lei aveva preso un bello spavento. Se rimaneva a casa poteva controllarlo e con gli esami era più che in regola.
Non poteva certo conoscere i suoi veri motivi. Chi lo legava davvero a quel posto.

 

Anche quella notte non si era presentata. Aveva fissato a lungo l’oscurità della sua stanza, in attesa del candido bagliore del suo vestito o del fruscio del lenzuolo quando si stendeva accanto a lui. Caitlyn non si era più fatta viva, anche se viva non era il termino corretto, e Liam non capiva se questo era un segno di dover restituire il diario senza leggerlo o piuttosto di doverlo leggere prima di poterla rivedere. Era alquanto combattuto sul da farsi. Era già difficile avere a che fare con le donne in carne, ma con i fantasmi il mondo femminile sembrava ancora più complicato. Niente chiamate, sms o email per potersi chiarire, tanto per cominciare.
Quel mattino era stato in visita all’ufficio del signor Forrester. L’azienda era davvero piccola, il lavoro non era un granché rispetto a quel che si aspettava dal suo percorso universitario, ma era sempre meglio che stare a casa a girarsi i pollici quando proprio non riusciva a studiare. Erano cambiate tante cose in quegli ultimi mesi, Liam non sapeva più cosa voleva dalla vita. O dalla morte.
Era appena uscito dalla libreria, dove aveva ritirato due romanzi ordinati da sua madre e un libro di Fisica per sé, quando si imbatté per caso in Lize, che stava parlando fitta fitta con Anne, mentre questa la tempestava di domande. Si tenevano per mano.
“Ciao ragazze!” le salutò con entusiasmo.
Aveva conosciuto Anne, la sorella più piccola di Caitlyn, quando era stato a casa Adair la prima volta, dopo l’incidente di Lize. Anne aveva solo due anni quand’era morta Caitlyn, c’erano poche foto di loro insieme. Non assomigliava molto alle altre sorelle, con i suoi capelli scuri, quasi corvini, e gli occhi profondamente neri, appena screziati di grigio, Anne aveva preso dal padre. Ma gli ricordava Caitlyn nel sorriso, le stesse due piccole fossette ai lati delle labbra.
Lize era invece splendente, stentava quasi a riconoscerla. Si era totalmente ripresa dall’accaduto di un mese prima, quando sotto ipnosi aveva tentato di farsi travolgere da un camion e solo l’intervento di un fantasma l’aveva salvata. Anche se per gli altri era lo stesso Liam ad averla soccorsa.
Si confidava spesso con lui, soprattutto per le questioni scolastiche. Liam le dava delle ripetizioni di Matematica, anche se secondo lui non ce n’era affatto bisogno. Ad unirli però era il ricordo della sorella defunta.
“Com’è andato il compito di Trigonometria?” chiese Liam verso la sua alunna.
“Bene, ho preso una A!” disse Lize sorridendo. “Tutto merito del mio maestro.” Arrossì un poco nel rivolgergli l’ultimo sguardo.
Il risolino di Anne in sottofondo suonò alquanto canzonatorio. Lize le rivolse un’occhiata severa, salvo poi essere distratta da altro in lontananza.
“Chi è quel ragazzo? Laggiù, ti sta salutando. Viene verso di noi.”
Liam si voltò nella stessa direzione. “Ah, quello è Joen, un mio amico delle superiori.”
Attraversato il lungo piazzale e poi la strada, Joen li raggiunse tutto affannato.
“Liam… ti stavo… proprio… cercando…”
“Respira tranquillo, mi hai trovato.” Scorgendo la domanda negli occhi dell’amico, Liam si affrettò alle presentazioni. “Joen, loro sono Lize e Anne.”
Si strinsero tutti la mano, per poi lasciar calare un silenzio imbarazzato.
Fu Lize a interromperlo. “Beh, noi dobbiamo andare, nostra madre ci attende al parcheggio.”
“Ok, ci sentiamo più tardi, ti mando un messaggio” le disse Liam.
Un lieve rossore le invase le guance, mentre gli occhi le brillavano di contentezza.
A Joen non era sfuggito, nemmeno il fondoschiena della ragazza che se ne stava andando lungo il marciapiede.
“Mmm…”
“No, niente mmm. Non ci pensare proprio.”

 

Quella stessa sera, mentre stavano tutti cenando riuniti a tavola e sua madre e il suo patrigno John chiacchieravano della loro giornata lavorativa, Liam sentì bussare alla porta di casa.
“Avete sentito anche voi?” chiese incerto. Sua madre e John però negarono, doveva essersi confuso.
Dopo cena era disteso sul divano a guardare la televisione, mentre sua madre sfogliava una rivista in poltrona. John era già andato a dormire, perché l’indomani avrebbe iniziato presto il turno al magazzino.
Nonostante il rumore di una scena d’azione nel film, Liam era certo di aver sentito picchiare al portoncino di legno dell’ingresso. Fingendo di andare in cucina per prendere dell’acqua, fece il giro per tornare all’entrata. Girando piano la maniglia, aprì per controllare fuori.
Un bimbetto, avrà avuto all’incirca otto anni, vestito in uno strano modo, un po’ datato, lo stava fissando con un’aria un po’ triste.
“Buonasera signore. Io avrei bisogno del suo gentile aiuto.”
Liam cercò di capire cosa non quadrava in quella scena, finché osservò che il piccolo non aveva un’ombra dietro di sé, nonostante fosse in piena luce della lampada del portico. Chiuse la porta, per non farsi sentire dalla madre e farsi vedere conversare nel vuoto.
Si spostò poi sulla sinistra del porticato, in una zona più riparata dagli sguardi del salotto.
“Dimmi, cosa posso fare per te?”
“Mi chiamo Edward Stanton, signore. Avrei bisogno del suo aiuto. Giù alla vecchia cava Buchannan.”
Conosceva quel luogo. La piccola miniera di ferro ed ematite era stata chiusa ancora prima che lui nascesse, perché economicamente improduttiva. Si sentiva spesso parlare di una riqualificazione dell’area, di un rimboschimento parziale e di costruirci qualche caseggiato, ma alla fine le autorità e la proprietà non si accordavano mai sul prezzo. Non c’era niente comunque laggiù. O per lo meno così credeva fino a quel momento.
Era un po’ lontano, ma se avesse preso l’auto avrebbe messo in allerta sua madre. Rientrò per avvisarla che aveva bisogno di una boccata d’aria fresca e andava a fare una passeggiata nel quartiere prima di dormire.
Liam e il suo nuovo amico Edward si avviarono lungo la strada che portava verso il bosco fuori dalla città ad est.
“Allora Edward, come ti posso aiutare?”
“Devo mettere in ordine il mio passato. E per farlo devo trovare una persona, signore. Risale a molto tempo fa.”
“Il tuo assassino?” azzardò Liam, chiedendosi se uno spirito così giovane sapesse di essere trapassato.
Il bambino lo guardò con profonda tristezza, che Liam temette di avergli rivelato troppo.
“No signore, il mio corpo.”
Liam rimase pietrificato. “Non sai dov’è il tuo cadav… ehm, non sai dove sei morto?”
Edward scosse la testa lentamente. “Non esattamente, no. Ma sento di non potermi allontanare troppo dalla miniera.”
Liam annuì, certamente questo significava qualcosa. Ma che cosa mai poteva legare un bambino piccolo ad un enorme buco nella pietra, attorniato da tunnel e cunicoli che sprofondavano nella roccia e nella terra?
Lungo il cammino, ogni tanto Edward scompariva e al suo posto rimaneva uno scheletro in giacca e pantaloncini corti sbrindellati, che si muoveva e parlava allo stesso modo. Poteva guardare attraverso gli indumenti strappati, oltre le ossa consumate e gli avanzi di carne putrefatta.
Un brivido freddo gli attraversava la schiena e gli rizzava i piccoli peli alla base della nuca. Sperava di non dover mai vedere Caitlyn a quel modo.
“Come mai questa ricerca?”
“Perché nascosto dentro il mio cappellino c’è un documento importante. Devo salvare il futuro della mia famiglia.”
“Capisco. La cava Buchannan eh? Dicono si senta suonare un’armonica in alcune notti, fino in fondo a tutta la valle…”
Il bambino tirò fuori dalla tasca proprio il piccolo strumento e iniziò con una melodia straziante, dolce e malinconica.

 

Edward lo portò all’interno della cava passando per un’entrata laterale, un buco tra la recinzione logora nascosta tra gli alberi del bosco intorno.
Illuminata solo da una pallida luna, quel fianco della collina era davvero un luogo spettrale. Qualsiasi cosa poteva nascondersi tra le ombre dei sassi o all’interno dei tunnel che scendevano nel ventre della terra.
“Che ci facevi in questo posto Edward? Eri venuto a giocare e ti sei fatto male?”
“Oh no, non ero venuto a giocare, signore. Sono scappato. Mi stavano inseguendo perché avevo visto troppo.”
“Cosa avevi visto?” incalzò Liam.
“Avevano ucciso un uomo.” Edward si rigirò l’armonica tra le mani, contemplandola.
“E lo conoscevi?”
“No signore. Qui ne hanno ammazzati tanti, di uomini.” Il bambino sollevò le spalle con noncuranza.
Liam sentì una scossa gelida per la schiena. Forse più che una cava, questa era una fossa comune? Un pensiero orribile.
“Dove credi che dovrei cercare il tuo corpo? Ricordi qualche particolare?”
“No signore. Mi hanno dato un colpo in testa e sono svenuto. Mi hanno lasciato in una galleria, chiudendola per sempre. Mi sono svegliato da solo, al buio, ho gridato ma nessuno poteva sentirmi. E poi mi sono addormentato, per sempre. La verità è sepolta lì con me.”
A Liam si fermò il respiro. Murare vivo un bambino, quale schifoso essere umano poteva essere così atroce?
“La prego, deve aiutarmi signore. Mio padre è malato, ha bisogno di cure ma la mia famiglia è ridotta sul lastrico. Tutto per colpa di Kenneth Richardson, il padrone di questa vecchia cava, e di tanti altri loschi affari giù nella città nuova. Costrinse mio padre e altri agricoltori a vendergli i terreni a prezzi stracciati, che decideva lui, minacciandoli di morte. Alcuni di loro non accettarono, finché strani incidenti li convinsero che era meglio non rischiare la vita.
Avevo le prove ma non ho corso veloce… non ho corso abbastanza veloce quel giorno.” Terminò il suo racconto con un singhiozzo.
“Edward, c’è un punto in particolare che preferisci di questa cava? Dove ti ritrovi più volentieri a suonare?” Liam si ricordò di un dettaglio che gli aveva spiegato Caitlyn: i fantasmi tornano spesso vicino al proprio corpo, è un modo per tenersi attaccati alla vita.
“Lassù” il bambino indicò con il dito e il braccio teso una zona un paio di metri sopra le loro teste. “Vicino alla carrucola, signore.”
Dietro quello spazio, Liam intravvedeva una profonda cavità scura, probabilmente una delle gallerie principali.
Per un attimo riuscì anche a vedere la cava nel pieno del lavoro, trent’anni prima: gli operai che portavano fuori dai tunnel grossi carrelli pieni di sassi e li caricavano sulle camionette in attesa, il rumore dei picconi che echeggiava per tutta la vallata, le piccole cariche esplosive che riempivano di polvere densa l’aria. Tutto terribilmente reale.
Di solito l’ambiente circostante si mescolava con il passato degli spiriti solo ad Halloween, vederli in quel momento significava che i suoi poteri stavano aumentando. Avrebbe preferito essere morso da un ragno e volare da un grattacielo ad un altro attaccato ad una ragnatela. Ma no, a lui era toccato un superpotere differente, quello di parlare con i fantasmi. L’unico fantasma biondo che gli interessava però non si faceva più vedere.
Sospirò al ricordo dei suoi lunghi capelli.
“Mi aiuti, la prego, signore.” Edward si mise a piagnucolare.
“Ti aiuterò, ma ho bisogno di saperne di più.”
E aveva bisogno di Caitlyn, ma questa era un’altra faccenda purtroppo.

 

L’indomani, quando Liam scese per uno spuntino a mezzogiorno, trovò John rientrato dal turno di lavoro. Era seduto sullo sgabello della cucina per mangiare un toast e leggeva il giornale del mattino. Sua madre era partita per non sapeva quale corso di aggiornamento e in casa regnava la completa anarchia culinaria.
Liam aprì il frigorifero, trovò un residuo di lasagna ai formaggi che poteva ancora renderlo felice e lo mise a riscaldare in microonde per qualche minuto. Al campanello dell’apparecchio, prese il piatto e si sedette di fronte a John.
Il loro rapporto non era idilliaco, si sopportavano e cercavano di non pestarsi i piedi a vicenda. Non era suo padre, ma aveva fatto tanto per sua madre quando il suo vero padre era morto e lei si era ritrovata da sola con un figlio piccolo. Questo era abbastanza per rispettarlo.
In effetti John poteva anche tornargli utile qualche volta.
“Che cosa ne sai della vecchia cava giù a est, vicino al confine?” Liam prese un grosso boccone di pasta filante.
“La cava Buchannan? L’hanno chiusa perché ci hanno trovato un uomo morto. Poi dissero che si era ammazzato da solo, caduto da uno dei punti alti della cava perché era ubriaco fradicio. Altri dissero che non aveva un goccio d’alcool nel sangue, se ne parlò per un po’. Ma alla fine non la riaprirono più. Come mai ti interessa?” John chiuse il quotidiano in un angolo e fissò il figlioccio negli occhi.
Liam tornò alla sua lasagna, per un’altra forchettata. “Mah, così… E’ venuto fuori un discorso con i miei amici, hanno sentito che presto puliranno la cava e ci costruiranno qualcosa, forse una fabbrica o degli uffici. Sai, nuovi posti di lavoro. Di questi tempi non farebbe male.”
“Non lo so. Secondo me c’è qualcuno che non vuole che quella zona venga toccata. Ci devono aver nascosto qualcosa. Sono troppi anni che sta così.”
Liam cercò qualche informazione in rete, negli archivi digitalizzati, ma non c’era niente che legava Edward Stanton alla cava. Nei giornali dell’epoca si diceva solo che il bambino era scomparso senza lasciare tracce. E non c’era nulla nemmeno sul passato di Kenneth Richardson, solo una serie di articoli che acclamavano il suo successo come uomo d’affari.
“Hanno fatto un bel lavoro di pulizia, non c’è che dire, hanno rimosso tutto. Se mai qualcuno s’è azzardato di scriverci qualcosa.”
Fece allora una telefonata in biblioteca: avanzava un favore dal signor Hobbs e lui aveva accesso a tutte le mappe più antiche degli edifici e dei terreni dell’intero stato. Qualsiasi cartina della zona della cava, compreso magari il tracciato del percorso delle gallerie, gli sarebbe tornata utile. Il signor Hobbs disse di avere qualche rotolo topografico interessante al proposito.
Quando nel tardo pomeriggio uscì dalla biblioteca con lo zaino preso di scartoffie da studiare, passò al magazzino di elettronica di Joen per salutare l’amico.
“Senti un po’…ma è vero che vuoi rimanere in città? Non vorrai mica abbandonare gli studi?” La domanda si perse nel corridoio dove Joen stava sistemando delle scatole etichettate.
Quanto tornò indietro, gli si piantò davanti. “E’ per la ragazza?” chiese a braccia conserte.
“Quale ragazza?” chiese stupito Liam. Di certo non poteva riferirsi alla sua ragazza evanescente.
“Lo sai, la sorella della tua amica morta.” Joen lo fissava serio.
Ah, giusto, parlava di una ragazza viva. Si riferiva a Lize, ovviamente.
“No, siamo solo amici, niente di più.”
“Lei però l’altro giorno non ti guardava solo come un amico…”
Liam alzò le spalle. Se n’era accorto, mica era stupido. Ma cosa poteva farci? Lize non era Caitlyn, per quanto le somigliasse fisicamente.
“Se hai bisogno di qualcosa, prometti di dirmelo? Soldi, un tetto, una mano per pestare qualcuno,” Joen posò una mano sulla spalla di Liam. “Prometti di dirmelo?”
“Si, d’accordo.”
“E se non ti interessa, posso provarci io con quella Lize?”
“Scordatelo” Liam gli tolse la mano dalla spalla e gliela girò dietro la schiena, bloccando l’amico. “Togliti subito la tentazione.”
Anche a Joen alla fine chiese informazioni sulla vecchia cava, fingendo che un professore gli avesse chiesto se era visitabile a fini di studio.
“Andare laggiù? No, è un posto pericoloso amico, lascia perdere.”
“Pericoloso nel senso di crollo o per via del proprietario? Richardson, giusto?”
“Se ne dicono tante su Richardson.” Joen sorrise amaramente. “Sappiamo tutti che è una persona poco pulita, ma nessuno riesce ad incastrarlo. E chi può, è pagato a sufficienza per starsene fermo. La giustizia non è immune al profumo dei soldi. Richardson ne ha veramente tanti. Nessuno qui in città vuole averci a che fare, se è possibile.”
Liam passò la serata a studiare le planimetrie del signor Hobbs. Qualche idea se l’era fatta, aveva un piano, o quasi.
Se ne andò a dormire con Edward che suonava l’armonica sotto la sua finestra. Una serenata perfetta per una fanciulla, ma nemmeno quella dolce melodia gli riportò Caitlyn in visita.

 

Coca Cola e Mentos? Ah no, mica giochiamo con i razzi schiumogeni, serve qualcosa con più carica.
Liam stava rovistando nella sua scatola del piccolo chimico, non proprio una confezione giocattolo quanto un grande scatolone recuperato dalla soffitta dove conservava i suoi esperimenti di bambino. Non c’era molto che potesse tornagli utile lì dentro però. Avrebbe avuto bisogno di qualche aggiunta dal vecchio bancone del nonno, ancora intatto in garage.
Nessun’altro aveva il coraggio di metterci le mani. Solo lui, che per anni aveva assistito alle lezioni di chimica e bricolage del vecchio Runnels. Più qualche disastro, come quella volta che il nonno aveva bisogno di un giunto e il piccolo Liam gliel’aveva trovato fuori. “Bravo ragazzo, dove l’hai scovato?”
“Laggiù!” E il nonno aveva guardato in quella direzione, senza capire però che laggiù corrispondeva all’antico rubinetto nell’angolo, chiuso da tempo immemore.
Se ne accorsero il giorno dopo, quando dieci centimetri d’acqua avevano invaso il loro laboratorio. Gli scarponi poi si trovavano proprio nel mezzo della stanza, così avevano dovuto pulire muovendosi a piedi nudi.
Nella vetrinetta sopra il bancone, chiuse in tanti barattoli apparentemente innocui, c’erano sostanze di tutti i tipi, un vero arsenale. Della vecchia polvere pirica per le pallottole da caccia, volendo anche nitrato di potassio e zolfo, sarebbe bastato acquistare del comune carbone per aumentarne la quantità. Ricordava anche di aver visto dei panetti di esplosivo plastico, solo il cielo poteva sapere dove il vecchio li aveva rimediati!
Oppure avrebbe potuto usare acido muriatico e palline di alluminio, in un recipiente di vetro per evitare che l’acido corrodesse tutto durante il trasporto. Le palline andrebbero poi inserite quando la bottiglia è in posizione. Chiudi e scappa.
Uhm no, troppo pericoloso il vetro che esplode in mille pezzi taglienti, e se inciampo e non riesco a spostarmi a sufficienza?
Controllò anche i sacchi disposti nelle varie mensole. Diserbante e fertilizzante contengono ammonio. Avrebbe potuto combinarli con il perossido di idrogeno, l’acqua ossigenata che sua madre usava come banale disinfettante. L’ideale sarebbe stato perossido di idrogeno con l’acido solforico, la soluzione piranha.
No, qui mi faccio male sul serio. Meglio stare sul classico, come diceva il nonno.
Liam non sapeva ancora in quale galleria si trovasse Edward. Poteva non esserci così tanto spazio di manovra.
Prese anche una lanterna ad olio e un piccone.
Edward gli assicurava che non c’era molto lavoro. Ricordava di aver tastato tutte le pareti della sua prigione, quand’era rinvenuto. A parte la roccia, aveva tastato una semplice fila di mattoni vecchi, che però lui a mani nude e al buio non era riuscito a scalfire.
Doveva inoltre prendere tutte le precauzioni possibili. Se qualcosa fosse andato storto, qualcuno doveva perlustrare il posto giusto. Aveva pensato di coinvolgere Joen, ma cosa avrebbe potuto dirgli? Andiamo a cercare un cadavere vecchio di trent’anni sepolto in una miniera?
Non poteva poi mettere in pericolo un’altra persona.
Scrisse solo un messaggio di risposta a quello di Lize, che gli chiedeva aiuto per Geometria: “Questa sera sono fuori per una ricerca, ci sentiamo più tardi.”
Sapeva che se non le avesse più scritto, lei l’avrebbe chiamato. Si sarebbe anche presentata a casa sua. Lize era la sua assicurazione.
In realtà sperava che se ce ne fosse stato bisogno, sperava che Caitlyn sarebbe giunta in suo aiuto. Però non la vedeva ormai da più di una settimana.
Doveva proprio essere furibonda per quel dannato diario.
Prima di andare alla cava, Liam tornò in camera sua. Spense la luce e si mise al centro della stanza.
“Caitlyn…” invocò. Nessun rumore, nemmeno un alito. “Caitlyn, vuoi venire con me? Non lasciarmi da solo.”
Attese qualche minuto, ma non ottenne alcun effetto. Forse se n’era andata per sempre.
Uscì di casa col cuore pesante, un macigno nel petto.

 

Stai per fare una cazzata, stai veramente per fare una gran cazzata, si ripeteva Liam.
Avevano girato in lungo e in largo nella galleria principale, seguendo quella che gli era sembrata, a ragione, la planimetria più aggiornata degli scavi. Risaliva a circa due anni prima della chiusura definitiva della miniera. Per non perdersi nel ventre della collina, Liam aveva portato con sé una grossa matassa di cavo elettrico. Un’estremità era fissata alla sua cintura, l’altra era legata alla carrucola fuori all’aperto. Man mano che proseguivano o tornavano indietro svolgeva il cavo lungo il percorso, un novello filo di Arianna che segnava i punti dove erano già passati.
Stava per perdere la speranza di concludere positivamente l’esplorazione, quando Edward si bloccò all’improvviso in un piccolo cunicolo laterale.
“E’ qui!” gridò di gioia. Sparì in un lampo attraversando la roccia, per poi ricomparire con solo la prima metà del corpo sulla parete.
“Signore, è proprio qui! Venga a vedere! L’abbiamo trovato! Venga, venga!”
Liam sbuffò. “Certo, arrivo di corsa…” Allargò le braccia per l’impazienza. Il ragazzino era stato alquanto dispotico in quelle ore, insensibile alla fatica che invece il suo amico umano dimostrava in quella ricerca.
Liam osservò meglio la roccia alla luce della lampada. Non si trattava di sasso, no. Erano mattoni, ricoperti da cemento e pietre incastonate per mimetizzare il lavoro con il resto della galleria. Da lontano e senza illuminazione diretta non era distinguibile. Era passato però molto tempo e sembrava alquanto friabile sotto le dita. Liam sperava che qualche colpo di piccone avrebbe bucato facilmente quel muro.
Mezz’ora più tardi dovette arrendersi all’evidenza: sotto un primo strato già smosso, i mattoni sembravano ancora solidamente attaccati l’un l’altro.
Lasciò cadere l’attrezzo per terra. Era inutile. Aveva respirato abbastanza polvere e ne era cosparso ovunque. Sentiva di averne anche nei boxer, probabilmente pure tra le chiappe. L’Uomo Ragno aveva mai di queste noie?
Dovevano essere le due o le tre di notte ormai, perché aveva pure una gran fame, come sempre quando tirava così tardi sprecando energie.
Edward se ne stava rannicchiato in un angolo, sbuffava e si lamentava perché Liam ci stava impiegando troppo tempo. Il suo disappunto non era di alcuna utilità.
Non rimaneva che predisporre l’esplosione. Dispose la polvere, i panetti e tutto quello che gli era arrivato a tiro. Srotolò la bobina della miccia fino all’entrata principale. Gli era costato parecchio quel rocchetto in ferramenta, ma non aveva badato a spese per la sua sicurezza. Essere fuori all’aperto durante la detonazione era decisamente meno rischioso.
Resta comunque una gran cazzata, pensò riluttante Liam.
Ma forse questo avrebbe portato Caitlyn allo scoperto. Non lo avrebbe certo lasciato morire, no? Eppure il dubbio gli attanagliava il cuore.
Se avesse dopotutto risolto tutte le sue questioni in sospeso tra i vivi e fosse sparita per sempre? Scosse la testa per scacciare quell’idea terribile.
“Qualcosa non va, signore?” chiese Edward accovacciato ora al suo fianco.
“No, tutto bene.” Verificò nuovamente l’esplosivo piazzato sulla parete. Ripercorse il tragitto fino all’uscita, sistemando meglio la miccia. Era tutto pronto.
Prese l’accendino e diede fuoco allo stoppino, guardando la scintilla muoversi alquanto velocemente lungo il filo disteso.
Iniziò a contare a ritroso quanto aveva calcolato che sarebbe occorso per il botto finale. I secondi passavano velocemente, rimase concentrato sul conto alla rovescia impostato sull’orologio, mentre si era inginocchiato nella parte più al riparo dell’imbocco della galleria.
Mancava poco ormai.
Tre, due, uno…
Niente.
Attese ancora.
Silenzio. Solo una civetta lo sbeffeggiava da lontano.
Aveva sbagliato i conti? Ricontrollò mentalmente, due metri al secondo indicati sulla confezione, per circa cinquanta metri, scarto di un dieci per cento. Avrebbe dovuto esplodere, se non aveva sbagliato il calcolo dei metri stesi lungo la galleria. Accidenti! Mica poteva tornare là dentro adesso?!
Sospirò, lasciandosi cadere a terra, esausto.
Edward lo raggiunse dall’oscurità. “Signore, sono andato a vedere. E’ tutto come prima.”
“Ma c’è ancora la scintilla? C’è qualcosa di bruciato sulla parete?”
“No signore.” Edward scosse la testa affranto.
Non si poteva fare altro per quella notte. Sarebbero ritornati quella successiva, per allora l’area sarebbe tornata nuovamente sicura. Sempre che l’indomani non si sentisse un assordante boato fino in città. L’importante era non lasciare tracce della propria identità.
Liam stava appunto raccogliendo le sue cose e infilandole nello zaino, quando giù nel piazzale della cava arrivò un’auto a gran velocità che frenò in un nuvolone di polvere.
“Oh cazzo…” Smorzò subito la lampada con un soffio sulla fiamma, sperando che nessuno dal fondo l’avesse notata.
Si acquattò poi per terra al buio, restando in attesa dei prossimi eventi. Difficile muoversi da lì senza rischiare di essere visto.
L’auto spense il motore, ma rimase con i fari accesi a illuminare il terreno circostante. Una figura corpulenta uscì dal lato di guida e si diresse sul retro del veicolo. Aprì il bagagliaio e con fatica vi tolse un grosso sacco, strattonandolo più volte, fino a lasciarlo cadere al suolo. Lo trascinò verso il limitare della cava, dove si ergevano diversi mucchi di pietre e in mezzo qualche vecchio scavo. Lo gettò in una di quelle buche profonde. Tornò all’auto e prese una pala dal bagagliaio. Iniziò quindi a spalare sassi per ricoprire il sacco nella fossa.
“E’ lui…” disse il bambino comparso al fianco di Liam. “E quello è un altro cadavere seppellito, signore.”

 

“Sono passati molti anni, è invecchiato, ma lo sento che è lui. La sua anima puzza di marcio. Deve fare qualcosa, signore” bisbigliò Edward.
Liam invece non si mosse. Era da solo e senza difese. Non pensava proprio di mettersi a discutere con un assassino pluriomicida. Non osava nemmeno respirare. Sperava solo che quell’uomo se ne andasse al più presto.
Dopo aver terminato di coprire la fossa, lo sconosciuto sbatté le mani per togliersi la polvere di dosso. Tornò indietro, rimise la pala nel bagagliaio e lo chiuse. Rientrò nell’auto e accese il motore, innescando la retromarcia e girando il veicolo nella piazzola per imboccare l’uscita.
Solo allora Liam tirò un sospiro di sollievo.
“Lo lasci andare così, signore? Senza fare nulla?” sibilò Edward con tono arrabbiato.
“Per oggi abbiamo già fatto abbastanza” gli rispose secco Liam.
L’auto era già completamente fuori dal cancello principale, quando si sentì un improvviso tonfo provenire dall’interno della collina e una nuvola di fumo bianco sbuffò fuori dalla galleria, spandendosi ben in alto nel cielo.
Il veicolo frenò bruscamente e l’uomo scese correndo verso la miniera.
Liam non credeva alla sua sfortuna. La miccia si era finalmente decisa, nel momento sbagliato. Il polverone non gli lasciò respiro e lui cominciò a tossire in cerca d’aria fresca. Strisciò carponi il più lontano possibile dall’entrata del tunnel, verso la vegetazione che cresceva fuori dalla pietra nuda.
“Signore, sta venendo qui, l’uomo sta salendo quassù” gridò Edward spaventato. Come se lui potesse davvero correre qualche pericolo, pensò Liam atterrito.
Si costrinse a respirare piano per bloccare la tosse e non fare alcun rumore, ma la polvere gli solleticava la gola.
Cercò di recuperare il cellulare dalla tasca dei pantaloni e di mandare un messaggio veloce a Lize: “Vecchia cava Chiama polizia”.
Ma il colpo di uno sparo e lo scoppio di una roccia vicino alle sue ginocchia lo fecero sussultare. Il telefonino volò a terra a qualche metro di distanza, senza sapere se il messaggio era davvero partito oppure no.
“Chi sei bastardo? E che cazzo ci fai qui?”

 

Il pulviscolo di roccia si era finalmente depositato al suolo e Liam tornò a respirare normalmente, incamerando quanta più aria possibile nei polmoni affaticati.
Di fronte a lui, l’uomo continuava a puntargli addosso la lunga canna affusolata di una pistola semiautomatica. Così da vicino riconobbe nelle ombre del volto dello sconosciuto i lineamenti di Kenneth Richardson, come l’aveva visto nelle foto sui giornali.
“Ragazzo hai scelto proprio la notte sbagliata per giocare all’esploratore. Cosa stavi cercando quassù?”
Seduto con le spalle appoggiate alla fredda pietra, Liam cercava di recuperare velocemente la lucidità. Doveva prendere più tempo possibile. E sperare.
Al suo fianco, ritto in piedi, Edward urlava un sacco di improperi e accuse, completamente silenti per l’uomo che reggeva la pistola.
“Io… io…” cominciò Liam, ma non riusciva a trovare nulla di plausibile da dire.
“Chiedigli delle pagine.” La voce soave del bambino aveva lasciato il posto ad un’eco dell’oltretomba, profonda e spettrale. Lo spirito voleva giustizia della sua morte e forse quella era la carta giusta per Liam. Decise di giocarsela.
“Che mi dice delle pagine?”
Richardson ci pensò qualche secondo. “Quali pagine?”
“Quelle strappate del suo taccuino” suggerì Edward.
Liam ripeté le stesse parole, osservando il dubbio insinuarsi nell’espressione dell’uomo.
Edward continuò a indicargli cosa dire.
“Mancano due fogli, vero?” continuò Liam. “Dal quaderno nero con tutti i nomi e le cifre.”
Richardson lo scrutò a lungo, senza arrivare ad alcuna conclusione, prima di rispondere. “Come lo sai?”
“Adesso non ridi più eh? Brutta feccia. Digli che le ho prese io, le ho strappate.” Edward si era avvicinato al suo assassino e lo guardava con un ghigno malefico, i pugni serrati strettamente dalla rabbia.
“Le ha strappate lui, il ragazzino.”
“Quale ragazzino?” Il tono di Richardson si fece imperioso. La sua mano si strinse sulla pistola ancora puntata.
“Quello che hai murato vivo là dentro” rispose Liam, indicando l’apertura del tunnel principale.
“Non so di cosa parli, ragazzo. Sei nella mia proprietà privata, hai danneggiato uno dei miei beni …e ti sei anche messo in pericolo.” La minaccia non era per nulla velata. Quell’uomo era abituato ad uccidere, Liam stava giocando col fuoco, di nuovo.
“Digli il mio nome, digli il mio nome” lo incitava Edward dal canto suo.
“Edward Stanton” disse Liam ad alta voce. “Un bambino di soli otto anni che cercava solo di difendere la propria famiglia.”
“Grazie signore.” Il fantasma si avvicinò a Liam, tentando di abbracciarlo.
“Tu sai veramente troppe cose per i miei gusti. Ora basta.”
“Non ti conviene spararmi. Non sono l’unico a sapere. La polizia sta arrivando.”
“Menti!”
“Perché dovrei?”
Cercò di essere convincente, ma non sarebbe durata tanto a lungo. Liam calcolò che rotolando velocemente a destra avrebbe potuto evitare una prima pallottola, poi però avrebbe dovuto correre, anche se non sapeva dove. Non nel tunnel, no, quella sarebbe davvero stata una trappola mortale.
Il cellulare scaraventato qualche metro più in là iniziò a suonare insistentemente, cogliendo tutti di sorpresa.
Richardson si riscosse e Liam ne approfittò per fuggire nell’oscurità. Un primo colpo lo raggiunse alla scarpa, facendolo saltare dalla paura. Un secondo colpo gli vibrò vicinissimo all’orecchio e lo costrinse a scartare dall’altra parte. Ma gli mancò il terreno sotto i piedi. Scivolò giù e cadde lungo la parete della cava, mentre con le dita cercava di afferrare qualsiasi cosa per trattenersi.
Riuscì ad aggrapparsi ad una piccola sporgenza, un crostone della roccia. Cercò di resistere più a lungo possibile, mentre altri spari dall’alto cercavano di colpirlo. Disperato, invocò l’unica persona più cara che aveva nell’altro mondo.
“Potresti darmi una mano, Caitlyn? Non l’ho ancora aperto quel diario, lo sai! Sicuramente lo sai! Accidenti!”
Un dolore lancinante al fianco gli produsse uno spasmo. Senza rendersene conto aprì la mano e cadde nel vuoto.
Riuscì a sentire solo qualcosa di estremamente freddo sotto di lui, prima dell’oblio.

 

Liam si risvegliò appena quando qualcuno lo stava sollevando con un movimento rapido e lo poggiava su un’asse rigida. La schiena gli doleva in maniera atroce, ma peggio ancora non giungeva nessun stimolo dagli arti inferiori. Non riusciva ad aprire gli occhi. Si sentì dondolare a mezz’aria, finché dalle palpebre socchiuse non scorse milioni di luci colorate vorticare nel buio. Tutt’intorno un turbinio di voci concitate, ordini gridati, odore di disinfettante, ancora polvere, metallo contro la roccia.
Qualcosa lo spinse con forza su un pavimento solido e poi due porte si chiusero in fondo ai suoi piedi sbattendo.
“Liam, mi senti? Sono qui.” Una mano calda lo stava toccando, stringendogli piano le dita. Almeno così credeva.
“Liam…”
Cercò di mettere a fuoco l’origine di quella voce. Distingueva solamente una macchia candida davanti a sé, il resto era buio.
Un’altra porta venne sbattuta da qualche parte e un motore ruggì sotto il suo corpo.
“Possiamo andare?” chiese qualcuno.
“Si, tutto sotto controllo, vai” rispose qualcun’altro lì vicino.
Liam cercò di spostarsi in qualche modo da quella posizione scomoda, ma nessun muscolo si muoveva. Mugugnò, senza avere la forza per imprecare.
“Stai fermo, Liam. Va tutto bene adesso.”
La figura bianca si avvicinò al suo viso, Liam poté sentirne l’alito caldo sulle sue guance.
“Caitlyn…”
“Ssh, va tutto bene Liam, stai tranquillo.”
Gli depositò un piccolo bacio sul naso, ma a Liam non bastava. Con uno sforzo enorme e lottando col dolore, alzò la testa per raggiungere quelle labbra. Lei non oppose alcuna resistenza, rispose al suo bacio come non mai. Lui si staccò solo per riprendere fiato, vinto anche dalla sofferenza alla schiena.
Qualcuno tossì oltre di loro. “Signorina scusi, devo aumentargli l’antidolorifico.”
La mano lo lasciò per un attimo. Qualcuno armeggiava sul suo braccio con una spada acuminata. Liam emise un rantolo di dolore.
“Sono qui.” Era tornata al suo fianco, gli aveva ripreso le dita e continuava ad accarezzargliele.
“Scusami… Caitlyn… sono un disastro… senza di te…”
Aveva sonno, tanto sonno, e ormai Liam non sentiva più nulla intorno a sé.

 

Quel pallino verde continuava ad andare su e giù, su e giù, provocandogli un certo fastidio. Spariva da una parte e ricompariva dall’altra, ma era sempre lo stesso pallino. Liam ci mise un po’ ad uscire dallo stato di semincoscienza e abbandonare quel pallino. La mente tornò vigile piano piano. Era su un letto e stava guardando il proprio battito cardiaco. Sono in ospedale quindi, ancora vivo, pensò. Girò di pochi millimetri la testa per guardare fuori dall’unica finestra non nascosta dalle tende: il cielo era completamente scuro, lontano si vedeva il chiarore dei lampioni del parcheggio.
Girò ancora il capo di lato con un sospiro. Era notte dunque e ovviamente nessuna traccia di…
Caitlyn era seduta sulla poltrona lì accanto. Bellissima. Il cuore ebbe un tonfo, il pallino rotolò veloce ma poi si riprese.
“Ciao Liam.”
Le sorrise debolmente in risposta.
Caitlyn si alzò, fluttuando vicino a lui. Gli diede un bacio leggero sulla fronte. “Come ti senti?”
“Poteva andare peggio…” sbuffò lui.
“Il mio maestro di disastri. Devo sempre trovarti in fin di vita?”
“Mi hai lasciato da solo.” La guardò dritto negli occhi, così blu da perdersi.
“Mai, nemmeno per un istante sei stato solo” gli rispose seria.
“Io però non riuscivo a vederti, a sentirti. Da quando c’è il diario a casa.”
“Non mi vedevi per tua volontà Liam, non per la mia. Puoi leggere quel diario, non c’è nulla che non riscriverei riga per riga, parola per parola.”
“Davvero?”
“Certo, i fantasmi non mentono, l’hai detto tu.” Prese ad accarezzargli i capelli sulla nuca.
Liam chiuse gli occhi, respirando a fondo il profumo di Iris che Caitlyn portava sempre con sé. Le immagini della terribile notte iniziarono a turbinare nella sua mente. “Ricordo solo gli spari e la caduta. Cosa è successo dopo?”
“Oh, le solite cose. Hai rischiato di morire, sono riuscita a deviare un paio di pallottole ma tu sei andato dalla parte sbagliata e sei scivolato, mi sono gettata sotto di te all’ultimo secondo, attutendo l’impatto. Lize si è spaventata quando non l’hai chiamata, allora ha telefonato a casa tua e non c’eri. Tua madre le ha dato il cellulare di Joen, ma anche lui non sapeva dove fossi. E il tuo cellulare non prendeva bene il segnale dalla cava. Joen è andato alla polizia, ma non volevano ascoltarlo. Quando hai cercato di mandare il messaggio a Lize in realtà è partita la chiamata, così hanno sentito gli spari in diretta. Alla fine sono arrivati con polizia e ambulanze.”
“Però…”
“Le solite cose, appunto.”
“E il bambino?”
“L’hanno trovato. Anche il cappello con i fogli, le prove per incastrare il suo assassino. Stanno ancora scavando, per dissotterrare tutti gli altri.”
Liam ripensò a tutta quella nottata folle, aveva davvero rischiato troppo. Poi si ricordò di un particolare.
“Caitlyn… c’è il rischio che io ti veda come uno…” Usare la parola scheletro non gli sembrava opportuno. “Ehm, come Edward? Sottile, diciamo?”
“No, non succederà.”
“Sicura? Perché no?”
“Non mi lascerò mai vedere da te a quel modo.” Caitlyn abbassò gli occhi a terra. Liam avrebbe giurato di averla vista arrossire, se fosse stato possibile.
Gli era mancata così tanto, per quanto assurda fosse la loro storia.
“Non leggerò il tuo diario. Credo che lo restituirò a tua sorella.”
“Lei è innamorata di te, Liam…”
“Come fai a saperlo?”
“Di giorno, quando so che tu non puoi comunque vedermi e sei tranquillo a studiare, vado dalle mie sorelle, ad osservare le loro vite.”
Liam la scrutò incuriosito.
“E leggo il diario di Lize” ammise Caitlyn, tirando fuori la lingua per schernirlo.
Liam rise sommessamente, stando attento a non muovere troppo la schiena.
“Sei terribile. Vieni qui.”
Si posò delicata al suo fianco, leggera come una piuma, morbida come un cuscino, fredda come la morte.

 

Aveva rimediato un gesso al braccio sinistro da tenere per almeno un mese e qualche escoriazione, ma niente di più. Era stato fortunato, avevano detto i medici, davvero molto fortunato. Per Liam l’unica fortuna era di avere nuovamente la compagnia di Caitlyn.
Alla polizia aveva spiegato di essere andato alla vecchia cava per trovare dei minerali per una ricerca universitaria. Meno male che aveva accettato il progetto del professor Schnitzler per quel semestre, anche se poi l’ispettore non si era mostrato interessato ad indagare più a fondo. Liam li aveva aiutati in un colpo solo a risolvere parecchi casi di persone scomparse, nonché ad incastrare un pericoloso criminale. Al distretto però iniziavano anche a chiedersi come mai proprio lui fosse implicato in tutti questi incidenti. Già, chissà perché, pensò Liam con un sorriso.
Camminando ancora con qualche difficoltà, raggiunse il cimitero dove aveva appuntamento con Lize. Al braccio sinistro, rigido per l’ingessatura, il fioraio gli aveva messo il solito mazzo di rose bianche per Caitlyn. Nello zaino invece portava il diario di lei, che gli aveva procurato solo guai e di cui voleva presto liberarsi.
Raggiungendo la collinetta dove l’attendeva l’amica, passò davanti ad una tomba fresca, la terra ancora brulla e senza erba. A vegliarla una lapide a nome del suo amico. Alla fine ce l’aveva fatta a liberare Edward. Con un po’ di ritardo, la miccia aveva fatto il suo dovere e aveva aperto un varco sull’angusto sepolcro.
Lize lo attendeva seduta sul prato, vicino alla pietra tombale della sorella defunta. Stava parlando ad alta voce con lei, e Caitlyn era sicuramente lì ad ascoltare, anche se neppure lui la vedeva.
Si alzò in piedi quando lo vide. “Ciao Liam. Ti vedo in ottima forma” disse sorridendo radiosa.
“Come no! Adesso sono anche un tipo pericoloso, con questo.” Sollevò il braccio ingessato per porgerle il mazzo di fiori. Lei lo prese e lo sistemò davanti alla foto di Caitlyn.
“E ho un’altra cosa nello zaino, aspetta.” Se lo tolse dalle spalle, lo poggiò per terra e ne estrasse un involucro di carta bianca.
“Tieni, è il diario di Caitlyn.”
Lize lo prese dalle sue mani, meravigliata. “Non lo vuoi? Davvero?”
“No, non voglio leggerlo, non è giusto.” Preferisco che certe cose me le dica lei, avrebbe voluto aggiungere, ma Lize non avrebbe capito. Proseguì quindi in un altro modo. “Mi sembrerebbe di violare il suo pensiero, così. Il passato è passato. Avrebbe dovuto dirmele lei queste cose. Ora non più.”
“Si, hai ragione. Forse il destino ha voluto così” ammise lei, accarezzando quel dolce pacchetto. Le sembrava contenere un legame diretto con la sorella.
Poi tornò a guardare Liam, l’espressione incerta di chi non sa se dire una cosa o tacerla per sempre. “Liam io…”
“Che c’è?”
“Forse tu non ricordi. In ambulanza…” La voce le tremava un po’.
“In ambulanza?”
“Mi hai confuso con Caitlyn. E …ci siamo baciati.”
“Ah!” Aveva frammenti confusi di quella notte dopo la caduta, ma il bacio, quello Liam lo rammentava bene. “Scusami. Io in quel momento non capivo nulla.”
“Oh. Non importa.” Lize respirò a fondo, quasi per prendere coraggio. “A me non è dispiaciuto affatto…” arrossì violentemente.
Lo fissò un attimo negli occhi e poi scappò via.
“Lize, aspetta!”
Liam rimase solo, sconcertato. Disastri, io combino solo disastri.

 

Tornò a casa al crepuscolo, il sole già tramontato e le prime timide stelle comparse nel cielo.
Dal viottolo del giardino Liam vide Caitlyn attenderlo seduta sul divanetto in vimini del portico, illuminata dalla lampada dell’ingresso. Dietro di lei, osservò sua madre muoversi in cucina, indaffarata tra pentole e fornelli.
Liam salutò con la mano Caitlyn sorridendo, ma gli rispose silente sua madre dalla vicina finestra, alzando il mestolo in aria.
Sarebbe sempre stato così. Diviso, fra due mondi.
Eppure, quel bacio…
Si toccò le labbra pensieroso.

 

(c) 2019 Barbara Businaro

Note finali:
Mi stupisco di come ogni anno io riesca a scrivere un racconto per Liam e Caitlyn, questa storia che è oramai divenuta una serie. Termino di scrivere la nuova puntata stanca ma felice, butto giù qualche appunto per la prossima, mi dico che la scriverò subito ma poi arrivano le festività natalizie, il nuovo anno con i suoi propositi freschi e di botto è primavera. Ma io ho bisogno della nebbia, delle foglie cadenti dell’autunno, della magia di Halloween in arrivo.
Alla fine mi ritrovo a settembre, due mesi prima della scadenza, a riprendere in mano tutta la trama.
Quest’anno è stato più difficile, a causa del cambio lavorativo in corso e del clima troppo caldo (il climate change fa male alla scrittura?!). Soprattutto non trovavo il fantasma che avrebbe bussato alla porta di Liam.
Finché il 22 settembre scorso sono andata alla Race for the cure a Bologna con le mie peakers e il pomeriggio, di fronte ad una tazza di tè sul terrazzino dell’Opera Caffè e Tulipani, suggestivo perché sospeso su uno dei canali aperti della città, si è parlato della Scozia, della misteriosa città di Edimburgo, delle sue mille leggende. Una di queste è conosciuta come The Lone Piper, il suonatore di cornamusa solitario.
La triste vicenda risale a diverse centinaia di anni fa, quando fu scoperto un lungo tunnel sotto il castello, che sembrava condurre verso Holyrood House, il palazzo reale in fondo al percorso della Royal Mile. Il cunicolo era troppo stretto per essere esplorato da un uomo, ma poteva passarci un bambino. Lo mandarono giù con una cornamusa e gli chiesero di suonarla forte per tutto il cammino, mentre loro avrebbero seguito la sua musica dalla superficie, lungo la strada. Funzionò bene all’inizio, poi all’improvviso la musica scomparve all’altezza della chiesa di Tron Kirk. I gruppi di ricerca tentarono di salvarlo, ma il ragazzino sembrava scomparso, senza lasciare traccia. Non sapendo quale pericolo potesse nascondere quel tunnel, venne sigillato. Da allora, nelle gelide notti, quando la città dorme, qualcuno riferisce di sentire una cornamusa suonare sotto terra, dalle parti del castello.
Ho sentito un tuffo al cuore per questo bambino abbandonato.
Era lui il mio fantasma, il child di questa canzone dei Seether.

Volete sapere come continua? Trovate l’indice di tutta la serie qui: La storia di Liam e Caitlyn

 

Sharing is caring! Condividi questo post:

Comments (16)

Elena

Ott 31, 2019 at 7:44 AM Reply

Accidenti come sei prolifica, Barbara! Leggerò il tuo racconto a rate, intanto mi piace il personaggio del piccolo Edward e l’idea del diario di Caytlin scritto da viva nel passato a proposito del nostro protagonista…Intrigante e super adatto al periodo!

Barbara Businaro

Nov 03, 2019 at 9:59 AM Reply

Magari fossi così prolifica col romanzo! Questa è l’unica storia dove quando comincio a scrivere è difficile fermarmi (questa volta ho già preparato i fantasmi della quinta e della sesta puntata 😉 ) L’idea del diario risale ancora ad un anno fa…chissà quante cose interessanti ci possono essere scritte là dentro!

IlVecchio

Ott 31, 2019 at 9:36 AM Reply

Però! Quando sarà disponibile il cartaceo con autografo dell’autrice? 🙂

Barbara Businaro

Nov 03, 2019 at 10:00 AM Reply

Ti stampo il racconto da Word e ci metto una dedica? 😀 😀 😀

Alessandro Blasi

Ott 31, 2019 at 10:12 AM Reply

Conoscendomi sai bene che le feste comandate e le cose tipo halloween non mi piacciono per niente ma, da quando hai iniziato a scrivere il racconto horror di Liam e Caitlyn, quando passa un halloween non vedo l’ora che ne arrivi un altro perché già sono consapevole che non scriverai le nuove puntate prima che passino altri 365 gg.

Questa puntata è veramente avvincente e, per fortuna, lascia presagire ad un sequel che non vedo l’ora di leggere… Liam e Lize si metteranno insieme? se capiterà Caitlyn smetterà di farsi vedere? per favore… scrivi, scrivi, scrivi e mi metto in coda, naturalmente, per la versione autografata e con dedica dell’eventuale pubblicazione cartacea.

Barbara Businaro

Nov 03, 2019 at 10:16 AM Reply

Non so se si possa davvero definire horror… Vero che sto leggendo Dracula di Bram Stoker e non ci trovo niente di horrorifico. Poi l’altra sera ho visto il film IT Capitolo Uno, il nuovo adattamento del 2017 dal romanzo di Stephen King, e anche lì a parte la boccuccia acuminata del clown, un bambino senza un braccio e un bel po’ di sangue finto sulle piastrelle del bagno non c’era molto altro di horrorifico. Probabilmente perché l’horror è comunque negli occhi di chi guarda, il terrore è sempre soggettivo.
Cosa riserverà il futuro di Liam, Caitlyn e a questo punto Lize? Ancora non lo so di preciso… Ma il finale sì, l’ultimissima scena io la conosco. 😉

Giulia Mancini

Ott 31, 2019 at 7:48 PM Reply

Terribile la storia del bambino di Edimburgo! Un racconto che mi ha tenuto incollata per sapere come andava a finire. Però forse il nostro protagonista può trovare l’amore anche tra i vivi…

Barbara Businaro

Nov 03, 2019 at 10:23 AM Reply

Mi ha colpito tantissimo la leggenda del The Lone Piper, raccontata proprio quando ero alla ricerca di un fantasma. Perché in Scozia nessuno l’ha nominata, nemmeno in altre occasioni in cui si parlava dei vari spettri, vampiri e streghe (ci sono numerosi tour organizzati anche nei luoghi infestati di Edimburgo, abbiamo visto passare gli autobus a tema per le strade). Non poteva essere un caso… 🙂

Sandra

Nov 03, 2019 at 11:31 AM Reply

Sincera? Non l’ho ancora letto perchè è un po’ lungo da pc, per me.
Però complimentoni per la costanza, scrivere a cadenza diciamo annuale, lasciando intatta la magia e l’attesa nei lettori non è cosa da poco, sembra che questa forma a puntate, vedi storia a bivi estiva, sia molto nelle tue corde.

Barbara Businaro

Nov 03, 2019 at 5:00 PM Reply

Mi stai chiedendo anche tu il cartaceo?? Non so se Amazon consenta di stampare anche i racconti brevi… 😀 😀 😀
Diciamo che la forma a puntate si adatta ai miei attuali momenti di tempo libero. Vedremo in futuro.

Darius Tred

Nov 08, 2019 at 11:05 AM Reply

Bene. Mi è piaciuta anche questa nuova puntata.

Comunque, se hai bisogno di un paio di fantasmi per la prossima, ne ho alcuni da prestarti.
Fantasmi veri, dico.

Barbara Businaro

Nov 09, 2019 at 4:25 PM Reply

Sono contenta ti sia piaciuta. 🙂
Per le prossime due puntate ho già i fantasmi candidati, con uno sarà difficile capirsi e credo sarà alquanto divertente, già me lo vedo. Con gli altri, un bel gruppetto per la verità, ci sarà da ridere uguale. Più che altro mi mancano i cattivi. Che, se non l’avessi notato, i cattivi sono tutti viventi, non a caso. 😉

Darius Tred

Nov 10, 2019 at 2:01 PM Reply

I cattivi sono tutti viventi, l’ho notato.
E, se la memoria non m’inganna, sono pure tutti uomini. O sbaglio?
😉

Viventi, uomini e, al prossimo giro, pure scrittori, magari.
Scrittori self… 😀 😀 😀

Barbara Businaro

Nov 10, 2019 at 3:35 PM Reply

Sbagli! 😛
Sul racconto Cuore malato (Weak heart), ovvero la puntata numero 2, la cattiva è proprio una donna, la bevitrice di sangue. Adesso ti tocca rileggerlo per penitenza! 😉

Nadia

Nov 09, 2019 at 8:35 AM Reply

Finalmente ho trovato il tempo di leggere il nuovo racconto e di calarmi in questo mondo così curioso e impalpabile. Brava riesci sempre a riempire di colpi di scena le storie e a non essere mai scontata. Chissà che questa storia a puntate non si trasformi prima o poi in unlibro?

Barbara Businaro

Nov 09, 2019 at 4:27 PM Reply

Già, chi lo sa… Mi riesce però difficile immaginare di legare le varie puntate in un’unica narrazione. Temo che ogni fantasma esiga il suo singolo capitolo. 🙂

Leave a comment

Rispondi a Darius Tred Annulla risposta