Non sono mai dove vorrei essere, tranne quando scrivo. Come nasce una storia

Non sono mai dove vorrei essere
tranne quando scrivo

L’ultimo giorno di lavoro nel vecchio ufficio non è stato un giorno felice. Non per l’attività in sé, ma per come stavo io. Era uno di quei momenti in cui la mia mente aveva bisogno di silenzio e quiete per elaborare il cambiamento in arrivo. Poi però da sola e ferma non riesco a stare, quasi una forma di ribellione verso me stessa. Un groviglio di pensieri in movimento così frustrante che pur di attutirne il disagio mi lascio a volte prendere da quello stesso turbinio, incapace di interrompere sia la mente che il corpo. Però ero stanca e quindi il fisico non poteva permettersi troppa azione. Così rimuginavo in un cupo silenzio. Dopo anni passati a colpevolizzarmi, ho scoperto questa parte importante di me: non sono timida, ma sono introversa. Funziono così, esattamente così, punto.
Il mio cervello continuava a ragionare sulla situazione. Me ne vado e vorrei stare qui. Ma quand’ero qui volevo andarmene. La bruttissima sensazione di essere fuori posto. Non sono mai dove vorrei essere, rischiando di non godermi il momento. Sprecare occasioni e persone pensando ci sarà un domani per tutto, e invece il futuro stravolge le idee e ti trovi su un altro treno, un’altra destinazione.
Fatalità quella mattina il lettore dell’auto mi ha riproposto un vecchio album dei Linkin Park e, impegnata in una manovra senza il tempo di poter premere il pulsante di avanzamento alla successiva, sono caduta ad ascoltare quella canzone che in genere evito, perché so essere bellissima, ma malinconica. Valentine’s Day. Ci sono caduta proprio dentro e da lì mi sono ritrovata a insistere continuamente sul pulsante di ripetizione, in un ciclo ininterrotto. Il cuore è calato giù nei sotterranei bui e io ho assecondato quella pesante discesa.
I used to be my own protection, but not now (Ero la mia protezione, ma non ora)
‘Cause my path has lost direction, somehow (Perché il mio percorso ha perso direzione, in qualche modo)
E ho scritto, mentalmente, una scena bellissima.
Un finale, perché spesso le mie storie cominciano a mostrarsi dalla fine, ma non uno dei miei soliti finali. Non posso nemmeno dire che sia un finale, non so se prosegue davvero, per la verità due mani si staccano senza sapere se, come e quando potranno ritoccarsi. Quella scena mi straziava il cuore quasi quanto il mio era straziato. Per tutt’altri motivi certo, eppure ho filtrato tutto ciò che mi incasinava la testa, l’ho legato alle parole della canzone, dove qualcuno viene lasciato a San Valentino, creando una storia completamente nuova.
Quando scrivo in questo modo, mi viene in mente una sequenza particolare in Harry Potter che rende l’idea: Albus Silente punta la bacchetta alla sua tempia e ne estrae un pensiero, lasciandolo cadere in un lungo filo argenteo nel Pensatoio liquido. Per lui un’azione molto semplice e indolore. Per me, che non ho una bacchetta ma una penna in mano, riportare la storia dalla mia mente alla carta può diventare un’agonia.
Ho spento l’auto e con essa la musica, lasciando in sospeso quelle immagini per un po’. Quando dopo l’intera giornata mi sono rimessa al volante per tornare a casa, era ancora tutto lì. Se una storia sopravvive al nostro rumore quotidiano è perché pretende di essere scritta. Ho riascoltato di nuovo, ancora e ancora quella canzone. Cercavo di capire di chi sono quelle mani, perché si stanno lasciando, perché ora e in quel modo. Muovevo avanti e indietro la pellicola di quella scena, spostavo il mio punto di vista, cercando di inquadrarli. Non vedo quasi mai i volti, è piuttosto rato. Osservo i corpi che si muovono, magari talvolta posso notare gli occhi, per lo più percepisco le loro diverse emozioni, quasi profumano e distinguo le diverse fragranze dei loro sentimenti, perché il viso o il colore dei capelli non sono importanti tanto quanto quello che provano.
Tornata alla mia scrivania personale, ho cominciato a dare una forma scritta a quelle immagini, ho cercato una collocazione ai protagonisti, non hanno ancora un nome ma so che cosa si lega, ho riempito di colori i punti rimasti in bianco e nero nella mia mente, ma ho lasciato, volutamente, il finale per ultimo. Perché spero sempre che sia un lieto fine, e se la prima traccia non mi porta subito in quella direzione, prendo tempo, cerco di convincere la mia mente, me stessa, che deve, accidenti, esserci un lieto fine.
Ho sospeso quella storia, congelata nella mia memoria, per due settimane. Poi, approfittando di una giornata simile a quella prima stesura mentale, mi sono decisa a riportare su carta anche quelle ultime battute. Ho pianto due ore abbondanti per scrivere quella scena.
Le cuffie immersive in testa, la canzone in ripetizione automatica, la penna che tremava nella mia mano mentre cercavo le parole giuste da tracciare sulla carta. Ho calpestato il mio cuore durante tutto il tempo, era lì sul pavimento mentre scrivevo, ci sono saltata sopra non so quante volte. Ma solo così potevo scriverla, lo so. Non volevo essere lì con loro, con quelle mani che si lasciano, struggenti, ma era il posto giusto dove stare e mi hanno aiutato a sgombrare la mente da tutto il resto.
Per quanto sia complicato, se non soffri quanto i tuoi protagonisti, non puoi raccogliere le loro emozioni, non puoi sentirle fino in fondo, non puoi descriverle, non puoi dargli una voce. Invece così sono tue, sono loro, sono nostre. E più ci soffri, più quella scena ti diventa cara, parte profonda di te, seppure stupida finzione narrativa.
Non è un finale sulle mie corde, proprio per niente. Eh certo, chi vorrebbe mettersi a scrivere finali piangendo?! Ma voglio essere positiva, irriducibile ottimista. Nella mia mente non lo considero un vero finale, è che io mi fermo lì a scrivere, e preferisco non sapere, sperando per il meglio, sperando che quelle mani si incontrino nuovamente.
Devo aver ascoltato quella canzone oramai una cinquantina di volte, non credo di esagerare. Prima in auto, poi dal cellulare con le cuffie e infine dal portatile, mentre stavo riportando nero su bianco quella scena, pian piano costruendoci intorno una trama.
E l’ho ascoltata anche dopo, quando avevo già scritto l’ultima parola. E’ perfetta. Adesso quella canzone calza giusta sulla mia storia. Una prima bozza sicuramente, da rivedere, rimpolpare, sistemare, inserire in un contesto ampio, ma davvero una sequenza potente. Lo farò tra qualche mese, perché non è il suo momento, non è il periodo giusto per pubblicarla, visto il titolo che si porta dietro, Valentine’s Day.
Adesso posso però finalmente chiudere il quaderno, posso lasciare andare queste emozioni e occuparmi di altro. Cambiare musica.

 

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Comments (14)

Daniela Bino

Apr 02, 2023 at 10:00 AM Reply

Il San Valentino di tanti, tantissimi anni fa, una canzone dei TEARS FOR FEAR, la perdita di due persone… calpestai pure io il mio cuore e fu liberatorio.
Barbara, un bellissimo scritto il tuo. Allora, aspetto il tuo racconto.

Barbara Businaro

Apr 04, 2023 at 11:54 PM Reply

La musica, come la scrittura, ha il potere di liberarci di grandi pesi. Se li porta via, nota dopo nota.
Per il racconto dovrai aspettare un bel po’… il prossimo San Valentino. 😛

Sandra

Apr 02, 2023 at 11:36 AM Reply

Essere contradditori è nella natura umana, cara Barbara. Essere felici e tristi insieme è quindi possibile e pure frequente.
Hai comunque trovato un canale dove indirizzare queste emozioni, non è cosa da poco.
Ricordo bene l’immagine di Silente, caspita un pensatoio sarebbe davvero utile ma appunto ci sono altre soluzioni, per chi ha voglia di ascoltarsi e capirsi.

Barbara Businaro

Apr 04, 2023 at 11:59 PM Reply

Oggi mi è ricapitato di ascoltare la stessa canzone, ma l’effetto adesso è completamente diverso perché vi ho associato una bella storia. Almeno, per me lo è.
Il Pensatoio sarebbe utilissimo per scaricarvi dentro tutta la spazzatura mentale di certi giorni, quando la vocina perfida continua imperterrita con gli stessi discorsi un po’ negativi. Normalmente ci si mette un pochino a zittirla, ma col Pensatoio sarebbe istantaneo. Tanto tempo guadagnato! 🙂

Luz

Apr 02, 2023 at 12:06 PM Reply

Mi ha sempre colpito molto l’empatia fra lo scrittore e l’azione del personaggio. Sì, probabilmente è sempre come scrivi tu, la partecipazione emotiva di chi scrive è necessaria e anche forse inevitabile perché ci sia forza sulla pagina.
Nel mio piccolo, quando molti anni fa scrissi la scena ambientata nella grande battaglia del Little Big Horn, in cui perde la vita uno dei protagonisti, mi ci consumai in quelle ore. La musica fu in quel caso fondamentale. Ascoltai a ripetizione il brano “Farewell” dalla colonna sonora di Balla coi lupi. Quella meravigliosa colonna sonora di John Barry.

Barbara Businaro

Apr 05, 2023 at 11:45 PM Reply

Posso comprendere quel momento, in quella battaglia, con uno dei protagonisti (quindi non un personaggio qualunque, ma un principale) che muore… Non sono ancora riuscita ad affrontare una scena del genere, e non so nemmeno se ci riesco. Posso lasciar morire un cattivo, anzi lo trovo anche “giusto”. E anche lì sento la necessità di motivare l’origine del male, sebbene non sempre c’è una motivazione, nella vita reale. Ma perdere un protagonista… piuttosto me li tengo nella storia come fantasmi! 😛

Lisa Agosti

Apr 02, 2023 at 12:39 PM Reply

Che belle le storie che ci costringono a fermare la macchina, poi piangerle, poi lasciarle a decantare.
Sono sempre le più belle.

Barbara Businaro

Apr 05, 2023 at 11:51 PM Reply

Oh si, è proprio capitato una volta di fermare l’auto in parcheggio, il primo posto disponibile, tirare fuori il blocchettino dalla borsa e cominciare a scrivere una scena che davvero mi stava facendo scoppiare la testa. Perché poi il rischio è di perdere l’immagine precisa di quel momento, così limpida e perfetta, e ritrovarla poi alla scrivania troppo confusa per essere messa su carta. Però non ho sempre un parcheggio lì a portata, così ho imparato a girare la scena nella mente, avanti e indietro nel tempo, zoomare e fissare i dettagli nella mente. Vado avanti così finché non sono alla scrivania. Spesso, come in questo caso, la musica è fondamentale per recuperare lo stesso stato d’animo.

Giulia Mancini

Apr 02, 2023 at 5:53 PM Reply

I cambiamenti portano una certa inquietudine, è tutto in quella tua frase “ Me ne vado e vorrei stare qui. Ma quand’ero qui volevo andarmene. La bruttissima sensazione di essere fuori posto. Non sono mai dove vorrei essere, rischiando di non godermi il momento”
Succede sempre, sia quando il cambiamento è cercato sia quando è subito. Credo sia inevitabile provare la sensazione di voler restare, perché con ogni posto che abbiamo occupato stabiliamo un legame. La scrittura però può fare tanto, può esorcizzare il momento con la nascita di una storia, soprattutto quando resta ferma nei pensieri in attesa di finire tra le pagine, perché c’è questa verità espressa così bene nelle tue righe: “Se una storia sopravvive al nostro rumore quotidiano è perché pretende di essere scritta.”

Barbara Businaro

Apr 06, 2023 at 12:05 AM Reply

In questo caso il cambiamento è sì cercato, perché ai concorsi ho comunque partecipato figurandomi un certo risultato, ma anche subito, perché non mi aspettavo fosse così veloce nell’arrivare. In questo anno e mezzo mi sembra si siano creati legami quasi più forti di quelli dei due anni precedenti, forse per affinità di carattere con alcuni colleghi. Da qui probabilmente il maggior impatto rispetto agli altri cambi lavorativi. Scrivere aiuta sempre, ma certe volte mi viene quasi da pensare che quell’agitazione sia dovuta più alla necessità di scrivere la storia che alla preoccupazione per altro. 🙂

Marina Guarneri

Apr 03, 2023 at 7:10 PM Reply

La musica ha accompagnato ogni cosa che ho scritto, è fondamentale per fare fiorire l’immaginazione (e so che per molti è così, tu ne stai dando una bella testimonianza) soprattutto quando quella musica combina bene stati d’animo e fantasia. E non è meraviglioso l’attimo in cui le note ti suggeriscono tutto: personaggi, momenti, pure le parole e le tue emozioni scivolano nella storia che sta per nascere? Che magia l’ispirazione! Approfittarne per non farsi scappare l’idea dev’essere una priorità: hai fatto benissimo a fissare tutto su carta. Adesso hai un anno per rivedere, perfezionare, aggiustare il tutto e rendere la storia pubblica.

Barbara Businaro

Apr 06, 2023 at 12:10 AM Reply

Beh, quella strana serie di Halloween, La storia di Liam e Caitlyn, è cominciata con una canzone, sempre ascoltata in auto, una fredda mattina con la foschia. E da allora ogni nuovo racconto ha una sua canzone, e c’è davvero un legame con quelle note e con il testo. Non sempre sto lì ad analizzare il testo, e poi scopro come per magia, quando già la storia è in viaggio nella mia mente, che le parole della canzone si adattano alla trama. E sì, a volte occorre molto tempo per elaborare il tutto. Anche in quel caso, ho già traccia per altri tre racconti della serie, ma verranno scritti solo a suo tempo. 🙂

Grazia Gironella

Apr 05, 2023 at 1:25 PM Reply

Ho dovuto riascoltare Valentine’s Day sull’istante, e adesso so già che non sarò a posto finché non avrò riascoltato tutto Minutes to Midnight. Non ricordavo che avessimo anche i Linkin in comune. Che dire? I cambiamenti – quelli importanti – sono sempre scritti con il sangue del nostro sangue e le penne delle nostre penne, come disse Paperino una volta. Una fase di mourning ci sta, sarebbe brutto sennò. Vorrebbe dire che il passato è stato tempo buttato. Che meraviglia, però, riuscire a convogliare un groviglio doloroso di sentimenti in una storia. Un miracolo. 🙂

Barbara Businaro

Apr 06, 2023 at 12:19 AM Reply

Oh sì, i Linkin Park sono sempre pronti in auto e nel mio lettore mp3. Minutes to Midnight se la gioca ai dadi con Living Things (Burn it down su tutte, perché è perfetta da ascoltare alla guida quando in strada non c’è traffico e posso dare una sgranchita ai cavalli 😉 )
Mi piace “le penne delle nostre penne”, per noi assume anche un significato scrittorio. Un piccolo miracolo sì, anche se adesso non sarò soddisfatta fino a quando non avrò completato quella storia, e comunque non mi sembrerà mai perfetta come l’ho vista nella mia testa.

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