Writing habits - Buone abitudini di scrittura

Alla ricerca di buone abitudini di scrittura

In questo mese di novembre, oramai quasi al termine, sto partecipando al November We Write, una sfida di scrittura organizzata dagli amici Peaker Writers, uno dei gruppi Ambassador ufficiali della community My Peak Challenge. Contrariamente al più noto NaNoWriMo (National Novel Writing Month) che fissa l’obiettivo della sfida a 50.000 parole, la lunghezza di un romanzo breve, da scrivere in un solo mese, sempre a novembre, per questo November We Write gli obiettivi vengono scelti liberamente da ogni partecipante. Ovviamente l’intento deve essere ambizioso e impegnativo, altrimenti non è una vera sfida e il traguardo finale non regala alcun sapore, nessuna soddisfazione. November We Write è aperto alla scrittura in ogni sua variazione e declinazione: scrittura di narrativa in ogni momento della produzione (stesura, trama, ricerca, modifica, lettura, correzione) o della pubblicazione (invio manoscritto, copertina, marketing), scrittura personale (blog, diario, memorie), altri tipi di scrittura (poesie, sceneggiature, saggistica, conferenze) e ovviamente anche la “sola” lettura di libri altrui (perché se vuoi scrivere bene, devi leggere tanto).
Così c’è chi conta la parole scritte, chi le pagine editate, chi i capitoli letti, chi le poesie o i progetti conclusi, chi le domande di pubblicazione inviate agli editori e chi i rifiuti ricevuti(!!), chi i minuti seduti sulla sedia tentando di concludere qualcosa. Ogni giorno. Ogni stramaledetto giorno.

Lo scorso anno, dato che la sfida ne seguiva un’altra ufficiale di My Peak Challenge, 20 minuti di bicicletta/cyclette al giorno per 20 giorni per raccogliere i fondi per Marie Curie, organizzazione di beneficienza per l’assistenza e il supporto ai malati terminali e alle loro famiglie, ho continuato a scrivere per 20 minuti al giorno per tutto il mese di novembre. Devo dire che lavorando da casa era semplice: subito dopo aver terminato l’orario d’ufficio, restavo al computer altri 20 minuti e scrivevo, o rileggevo, o correggevo. Così ho terminato la stesura completa di due storie vere, avendo già raccolto per tempo il materiale necessario dalle rispettive protagoniste. Storie che poi sono state pubblicate sulla rivista Confidenze nei mesi successivi: Dietro la mascherina e La fotografia di una vita.

Per questo nuovo giro di November We Write ho alzato l’asticella: invece del 20×30 = 2, ho optato per il 30×30 = 3! 😀
Quindi 30 minuti al giorno incollata alla sedia a sbuffare, per 30 giorni consecutivi. E invece di 2 storie, arrivare a 3 storie completate!
Sulla carta l’idea era ottima, avevo già radunato tutti gli appunti necessari così da concentrarmi sulla sola stesura. Non avevo però tenuto conto che gli imprevisti-opportunità di ottobre avrebbero avuto la coda lunga per tutto novembre, con l’aggiunta dell’estrazione dell’ultimo dente del giudizio. Lavorando poi in presenza, quei 30 minuti subito dopo il termine dell’orario di lavoro, alla stessa postazione, senza alcuno stacco, non ci sono. In mezzo ci sono il traffico, la farmacia, gli alimentari, la posta, la tintoria, il medico e quando arrivo finalmente a casa, il computer ci mette pure lui del suo, con gli aggiornamenti di sistema.

Nonostante tutto, ho già chiuso due storie vere e sto scrivendo la terza, ma sento di essermi “forzata” più del solito in questa sfida. Soprattutto mi rendo conto che può funzionare per dei testi brevi (le storie vere non devono superare le 14.000 battute), ma bastano 30 minuti al giorno per riuscire a terminare un romanzo, prima che tutta la trama si liquefi nella noia?
Se scrivere un minimo ogni giorno non fa per me, quale altra può diventare la mia buona abitudine di scrittura? Quella che non mi stanchi troppo e che riesca a mantenermi salda su uno scritto lungo più di una dozzina di cartelle editoriali?

La cosa divertente, e mi concedo dell’ironia, è che quando mi ronza in testa una domanda fastidiosa, senza scriverla da nessuna parte, senza nemmeno pronunciarla per sbaglio ad anima viva, senza nemmeno mettermi a cercare sul serio, da ogni angolo mi giungono comunque degli spunti e delle riflessioni sul tema. Mai delle risposte, sarebbe troppo semplice se le soluzioni piombassero direttamente sulla scrivania. Ma apro la mail e ci trovo una newsletter con lo stesso quesito, cerco un libro e incappo in un altro contenuto sul medesimo argomento, mi sposto sui social e gli algoritmi farlocchi mi mostrano, toh guarda caso, proprio quel post lì.
Più che sassolini da dio però, mi sembrano spintoni. Senza una direzione precisa, per giunta…

 

Qual è il tuo sistema?

Anche se il mercato editoriale americano è differente dal nostro, sono iscritta alla newsletter Writer’s Digest, perché considerazioni, analisi e risorse sulla scrittura creativa, sulla creazione di una storia o sulle fonti di ispirazione non cambiano. In una delle loro ultime mail mi ha colpito questo titolo: Go Ahead and Write That Book, but What’s Your System? (trad. Vai avanti e scrivi quel libro, ma qual è il tuo sistema?) di J. Lawrence Matthews, autore conosciuto per la saggistica economica e scrittore esordiente con un romanzo su Sherlock Holmes in viaggio in America. Le prime parole di questo suo articolo mi fanno già sobbalzare, per quanto mi ci riconosco:

C’è un libro dentro di te che sta aspettando di uscire, e quando arriva il giorno di Capodanno, giuri che ti metterai sotto e lo finirai, quest’anno! Ma altri dodici mesi passano senza un manoscritto da mostrare e ti dici: “No, in realtà, QUESTO anno …”. E ancora e ancora, finché non passano tanti capodanni da perdere il conto. I tuoi amici smettono di chiedertelo. Il tuo coniuge non ascolta più le scuse. I tuoi figli pensano che tu sia diventato tenero. Nemmeno il gatto ne vuole sentire parlare.
Eppure quel libro è ancora dentro, in attesa di uscire.
So tutto di quel libro, ce l’avevo anch’io dentro di me. “QUESTO è l’anno”, dicevo, pieno di determinazione. Poi, un anno dopo, “No, davvero, QUESTO è l’anno…”. Oh, avevo un’ottima scusa (o almeno così pensavo). Lavoro. Trovare il tempo per scrivere è davvero difficile quando lavori a tempo pieno e hai una famiglia da mantenere. A volte scrivevo nei fine settimana, e un po’ più seriamente durante le vacanze, ma il problema con la scrittura sporadica come questa è che ogni volta che mi sedevo al computer, dovevo riacquistare la conoscenza della storia e dei personaggi.[…] Poi ho letto un libro breve e divertente che mi ha cambiato la vita.

Il libro miracoloso a cui si riferisce si intitola How to Fail at Almost Everything and Still Win Big (trad. Come fallire in quasi tutto e vincere ancora alla grande) del fumettista Scott Adams, creatore del personaggio Dilbert, un impiegato ligio al proprio ruolo che mostra vizi e difetti del mondo del lavoro (paragonabile al nostro Fantozzi). Questo libro però non è una raccolta di strisce umoristiche e nemmeno un manuale di auto-aiuto, quanto piuttosto una autobiografia divertente di come Scott Adams è diventato un fumettista famoso nonostante non avesse un grande talento (a suo dire). E nella descrizione pratica della sua carriera, si scopre che Adams non è bravo né con la motivazione e nemmeno con fissare degli obiettivi (come “QUESTO è l’anno…”).

“Gli obiettivi sono per i perdenti”, dice Adams senza mezzi termini, e per la semplice ragione che se non hai cambiato il tuo comportamento per raggiungere un obiettivo, non raggiungerai mai quell’obiettivo.
Supponiamo che tu voglia perdere 10 chili entro Natale, dice Adams (sto parafrasando: non leggo il libro da cinque anni perché sono stato troppo impegnato a scriverne uno mio, ma questo è il succo). Non lo farai mai semplicemente fissando l’obiettivo di perdere 10 chili prima di Natale. Nella migliore delle ipotesi, farai le cose in grande, forse ridurrai il cibo per qualche giorno, ma alla fine fallirai (e ti odierai per aver fallito, sottolinea astutamente) perché non sei cambiato nel tuo comportamento.
Quello di cui hai bisogno, dice Adams, è un “sistema”.
Ad esempio, se vuoi perdere 10 libbre entro Natale, trova un sistema che puoi raggiungere: “Sto rinunciando ai carboidrati e cammino per due miglia al giorno”, dillo, e se ti attieni a quel sistema l’obiettivo si prenderà cura di se stesso da solo.
Perderai i 10 chili.

Questo è vero, lo posso attestare perché è esattamente il modo in cui mi sono rimessa in forma, perdendo un po’ meno di 10 chili. Mi sono iscritta in palestra, ho iniziato a muovermi di più, senza pormi né obiettivi né limiti, ho cominciato a camminare veloce all’aperto, per poi acquistare un tapis roulant e correre anche quando piove. Non mi sono fissata con una dieta, le restrizioni di quel tipo non durano, piuttosto ho cambiato poco per volta alcuni alimenti, sostituiti con altri. Ma preferisco allenarmi, perché mi diverte, mi rilassa, è diventata un’abitudine. In questo mese di fermo obbligato per problemi alla schiena, l’allenamento mi manca come l’aria.
Un sistema fondamentalmente funziona quando diventa un’abitudine. Quindi è chiaro che devo trovare un’abitudine anche per la scrittura.

Del libro di Scott Adams non c’è una traduzione per il mercato italiano purtroppo (ci perdiamo sempre le cose interessanti eh!), ma qui trovate un riassunto e alcune note sui concetti da lui espressi: How to Fail at Almost Everything and Still Win Big by Scott Adams: Summary and Notes
L’articolo di Lawrence Matthews prosegue con la sue esperienza alla ricerca del sistema adatto per terminare QUEL libro:

Ho deciso di creare un sistema per finire il mio libro: avrei trovato un modo per scrivere due pagine al giorno, qualunque cosa accada.
Ma poi è arrivata la parte difficile: come farlo?
Dove ritagliarsi il tempo ogni giorno?
La giornata lavorativa era fuori, naturalmente, ma dopo cena tendevo a rilassarmi: fare una passeggiata o suonare la batteria o guardare la TV o dare da mangiare al gatto. Tutto e niente. Quello era il momento di scrivere, lo sapevo, ma come motivarmi a uscire dalla mentalità di fine giornata lavorativa, quando volevo solo oziare un po’? Ho deciso di fingere che fosse mattina. Dopo cena facevo una doccia, come se la giornata ricominciasse, poi mi sedevo a scrivere le mie due pagine.
Quello era il mio sistema.
È durato, in tutta onestà, per circa 10 giorni, fino a quando non ho raggiunto la fine del materiale originale che avevo creato nel corso degli anni. A quel punto, ho dovuto iniziare a scrivere materiale che spostasse la storia dall’inizio alla fine (le cose difficili) e la mia produzione è scesa a una pagina al giorno. Poi un paragrafo al giorno. A volte basta una frase al giorno.(Le cose difficili possono essere davvero difficili.) Alla fine, ho deciso che avevo solo bisogno di una parola. E anche se può sembrare ridicolo, sono felice di dire che ha funzionato[…]”

Che definire un obiettivo non porti buoni risultati rispetto ad impegnarsi in una routine consolidata era un concetto già esaminato, ne avevo scritto in questo post, traducendo uno degli articoli più letti di James Clear: Obiettivi contro sistemi
Tra l’altro James Clear ha nel frattempo pubblicato un libro sempre sul tema, tradotto in italiano da DeAgostini: Piccole abitudini per grandi cambiamenti. Trasforma la tua vita un piccolo passo per volta (che è nel mio comodino da due anni, perché è arrivato ahimè all’inizio della pandemia, e mi è passata la voglia di leggere saggistica…)

Il metodo No Zero days

Cercando ancora informazioni su Google sul libro di Scott Adams, sono incappata in un altro contenuto intrigante, da uno dei miei giornalisti preferiti del The Guardian, Oliver Burkeman, autore della rubrica settimanale “This column will change your life” (trad. Questa rubrica cambierà la tua vita). Molte delle sue rubriche mi hanno in effetti aiutato, non mi hanno cambiato la vita ma di sicuro qualche punto di vista, motivo per cui sono iscritta anche alla sua newsletter: The Imperfectionist
Potete leggere l’articolo di Burkeman tradotto in italiano su l’Internazionale: Il metodo conta più degli obiettivi

Oliver Burkeman ha trovato il saggio di Scott Adams un po’ irritante. L’autore infatti racconta come in gioventù avesse trovato diversi lavori nel settore bancario e nelle telecomunicazioni, nonostante lui stesso fosse “senza nessuna competenza specifica”. Per poi essere licenziato dai suoi capi politicamente corretti in quanto maschio e bianco. Nessuno si vanta così spudoratamente della propria incompetenza, ma credo che Scott Adams volesse mostrare un collegamento proprio con il suo personaggio Dilbert, competente ed efficiente ma i cui meriti non sono riconosciuti.
A parte questo, Burkeman ammette che il libro contiene un consiglio molto utile:

[…]se consideriamo la vita una serie di traguardi da raggiungere, viviamo “in uno stato di continuo fallimento”. Per definizione, non arriviamo quasi mai al punto che per noi rappresenta il successo. E anche se ci arriviamo, scopriamo di avere perso la molla che ci spingeva, quindi ne cerchiamo un’altra e ricominciamo da capo.
Avere un metodo, invece, significa “fare regolarmente qualcosa che a lungo andare aumenterà le nostre probabilità di essere felici”, indipendentemente dai risultati immediati. Disegnare una vignetta al giorno è un metodo, come anche decidere di fare quotidianamente un po’ di esercizio fisico , piuttosto che prefissarsi un obiettivo come correre una maratona in quattro ore. Un metodo che adesso va molto di moda si chiama No zero days, e consiste semplicemente nel non lasciar passare neanche un giorno senza fare qualcosa, anche minima, in vista di un obiettivo importante.”

Incuriosita ancora di più, ho scandagliato Google per rintracciare questo metodo No zero days, perché il collegamento originale sull’articolo di Burkeman è andato perduto nel frattempo. Prima ho trovato questo riassunto su Women’s Health: ‘No More Zero Days’ Is The Life Advice We Never Knew We Needed (trad.”Non più Giorni Zero” è il consiglio di vita di cui non sapevamo di aver bisogno). Da qui sono risalita al suo “inventore”: l’utente ryans01 all’interno della comunità social reddit.com, che nel novembre del 2013 ha risposto nel forum all’accorato post di un altro utente in difficoltà con la propria vita e la sua salute mentale. Il titolo di quel post è I just don’t care about myself (trad. Non mi importa di me stesso). La risposta è davvero illuminante:

Mi chiamo Ryan e vivo in Canada. Mi sono appena trasferito in una nuova città per un lavoro da sogno che ho ottenuto grazie alle regole seguenti. Devo molto del mio successo a persone molto più simpatiche, gentili, amorevoli e più grandi di me. Quando ho la possibilità di dare un po’ di aiuto, è il mio modo per ringraziarli.
Regola numero uno – Non ci sono più giorni zero. Cos’è un giorno zero? Un giorno zero è quando non fai una sola fottuta cosa verso qualunque sogno o obiettivo o desiderio o qualunque cosa tu abbia in corso. Niente più zeri. Non sto dicendo che devi tirare fuori un tema ogni giorno, non è questo il punto. Il punto che sto cercando di spiegare è che devi darti da fare, promettere a te stesso, che il nuovo SISTEMA in cui vivi è un sistema NON-ZERO. Non hai fatto niente per tutto il fottuto giorno e sono le 23:58? Scrivi una frase. Fai una flessione. Leggi una pagina di quel capitolo. Uno. Perché uno è diverso da zero. Mi senti? Quando sei nel super vortice di sentirti depresso, il tuo modello di comportamento è mantenere il vortice in movimento, è quello a cui sei abituato. Trasformare in produttività il padrone supremo dell’universo non avviene dal vortice. Succede da una serie enorme di NON-ZERO COERENTI. Questa è la regola numero uno. Non dimenticare.

Quindi impegnarsi ogni giorno per un’attività inerente ai nostri sogni e desideri, nel nostro caso finire di scrivere quel romanzo. Senza però disperarsi quando non si è riusciti a mettere giù più di dieci parole in croce o si è arrivati al termine della giornata solo con una blanda rilettura e giusto qualche correzione. Quello è comunque un giorno uno, si è rimasti nel sistema.
Le altre regole di Ryan sono: siate grati ai tre voi stessi (Passato, Presente e Futuro), ringraziate il vostro giovane di ieri per quanto fatto e aiutate il vostro futuro di domani con le azioni di oggi; perdonate voi stessi, per qualsiasi cosa, e guardate all’oggi; allenatevi e leggete, aiutando la salute del corpo e della mente. Sottoscrivo tutto. 😉

Il metodo No Zero days mi ha ricollegato ad un’altra domanda latente: dovrei riprovare con un altro giro di NaNoWriMo? Mi sono sempre risposta di no, se mi sento sotto sforzo per soli 30 minuti di scrittura quotidiana, figuriamoci cosa può essere imporsi di scrivere 1.667 parole al giorno!
Al solito, la riflessione è arrivata via newsletter! 😀

Scrivere ogni giorno: il NaNoWriMo

Sempre leggendo Writer’s Digest mi trovo con questo titolo sotto il naso: Expectation Versus Reality: 10 Truths You Should Know About NaNoWriMo (trad. Aspettative contro realtà: 10 verità che dovresti sapere su NaNoWriMo). Lo stesso staff dell’organizzazione del NaNoWriMo vuole ricondurre alla realtà alcuni miti che aleggiano intorno al processo di questa grande sfida di scrittura. Tra le verità, vediamo quelle che colpiscono il metodo e i risultati:

Aspettativa: Finirai NaNoWriMo con un romanzo pronto per essere pubblicato.
Verità: ci sono molti consigli di scrittura contrastanti, ma se c’è una cosa su cui tutti sono d’accordo, è che la tua prima bozza non sarà perfetta.[…]Inoltre, 50.000 parole equivalgono a un romanzo breve o a una novella. Potresti scoprire che la tua storia ha bisogno di molte più parole prima di essere finita.
Eccola lì, quest’ultimo è proprio il mio caso… 😛

Aspettativa: scriverai molto durante NaNoWriMo, ma niente di tutto questo andrà bene.
Verità: solo perché la tua prima bozza non è perfetta non significa che dovresti buttarla via. Come abbiamo detto sopra, nessuno scrive una bozza perfetta al primo tentativo e la quantità può portare alla qualità perché è probabile che corri rischi creativi e fai salti di fantasia per stare al passo con il tuo conteggio quotidiano delle parole.
Beh, no grazie. Già di mio, io scrivo revisionando, la scrittura di getto non mi riesce. Sono un plotser, non un pantser! (Se non sapete cosa sto dicendo, leggete qui: Plotter, pantser …o plotser?)

Aspettativa: è meglio scrivere quando sei ispirato.
Verità: l’ispirazione è spesso caratterizzata come un fulmine, un lampo brillante che colpisce dal cielo, e quella metafora contiene certamente la verità perché i momenti di ispirazione possono essere un’improvvisa forza di accensione. Ma quei grandi e sbalorditivi momenti di ispirazione sono rari. NaNoWriMo insegna che l’ispirazione è evocata nel racconto, nel superare qualsiasi calma che colpisca con forza di volontà, grinta e tanta caffeina quanta ne serve. Le parole che crei ogni giorno sono frutti di ispirazione. Ogni parola invita a seguire altre parole.
Touchè, non sempre sono ispirata, ma scrivo lo stesso. A volte ne esce comunque qualcosa di buono.

Aspettativa: non ho tempo per NaNoWriMo; Sono troppo occupato.
Verità: NaNoWriMo non è per le persone che hanno tempo per scrivere, si tratta di trovare il tempo per scrivere. Si tratta di decidere che per un solo mese darai priorità alla creatività nella tua vita.
Bene, e se mi serve più di un mese, che facciamo?! 😀

Qui torniamo al punto di partenza: NaNoWriMo insegna a scrivere ogni giorno, a dare priorità alla scrittura sopra tutto il resto per un mese interno, ma dopo? Non è pensabile reggere il ritmo di NaNoWriMo per sei mesi oppure un anno. E se un giorno non mi va o davvero non ho tempo di scrivere proprio, nemmeno una riga?!
Finisco di leggere questo articolo e penso: se continua così, riuscirò a finire quel romanzo solo quando smetterò di lavorare, alla pensione! Se non vinco una lotteria milionaria prima, ovviamente.

Prima della pensione…

Sto ancora calcolando quanti anni di lavoro mi mancano per ritirarmi a vita privata, che sul gruppo Peaker Writers un’amica condivide un post Facebook del giovane self-publisher Chris Brauer, una riflessione da lasciarmi stecchita.
Autore dell’esilarante diario “Life, in a Nutshell” (trad. La vita, in un guscio di noce) e “Life, in a Nutshell 2” disponibili su Amazon, Chris Brauer vive nel sud-est della British Columbia, la provincia più occidentale del Canada, dove divide il suo tempo tra scrittura e insegnamento. Gli piace viaggiare, mangiare fuori, litigare con i suoi gatti e indossare maglioni di lana. Il primo libro è diventato anche un audiolibro su Spotify ed ha prodotto anche un podcast dal titolo “Some Fantastic” (trad. Qualche fantastico).
Su Facebook Chris Brauer ha un profilo molto attivo e seguito, dove condivide le sue riflessioni giornaliere sulla scrittura e sulla vita. Questo è il post che mi ha mandato in crisi:

Il mio primo festival degli scrittori era pieno di donne in pensione. Ero l’unico ragazzo sotto i cinquant’anni e spesso venivo scambiato per un oratore ospite.
Per tutto il fine settimana, ho sentito la stessa conversazione. “Ora che sono in pensione, posso finalmente scrivere la storia dei miei nonni che vengono in Canada.” Oppure “Ora che sono in pensione, posso finalmente scrivere quel giallo ambientato nei boschi della Columbia Britannica.”
Decine hanno detto la stessa cosa. Durante il pranzo e il caffè. Nei momenti di tranquillità tra un laboratorio e l’altro. Ora che sono in pensione. Ora che ho tempo. Finalmente.
Quello che intendevano era: “Ora che non sono più responsabile per gli altri come prima, posso finalmente darmi il permesso di fare qualcosa di egoista.”
A 65 o 70 anni.
Tutto quel tempo a mettere da parte una passione in modo che potessero essere viste come buone mogli o buone madri o buone amiche o buone dipendenti. Ci sarà tempo dopo. Quando tutto questo si sarà sistemato.
Continua. Continua a collegare. Prima al mattino. Ultima ad andare a letto. Rimani fino a tardi al lavoro. Probabilmente non pagata. E poi la spesa in frigo. Cena in tavola. Prepara gli articoli in vendita per la raccolta fondi. Fai tutto. Nessuna lamentela. Non chiedere aiuto.
Non osare prenderti del tempo per scrivere qualche stupido libro che nessuno leggerà.
Che mer** di cavallo è questa?
Ancora oggi, nonostante tutti i progressi fatti, la misura di una brava donna è quanto è disposta a rinunciare a se stessa per esserci per gli altri.
Sai cosa? Va bene scegliere te stessa.
Leggilo di nuovo.
E sai cosa? Lo sento anch’io. Anche se incoraggio i giovani insegnanti a prendersi dei giorni di salute mentale – giorni lenti per assaporare il loro caffè in pigiama o fare escursioni nei boschi con un paio di samosa – devo ancora seguire il mio consiglio.
Mi sento ancora in colpa quando mi siedo a scrivere. Mi sento particolarmente in colpa quando guardo qualcosa su Netflix e il bucato deve ancora essere riposto e la lavastoviglie deve ancora essere caricata. Pagelle. Piani unitari. Tutta quella roba.
Stare a casa con il raffreddore o il mal di gola va bene. Restare a casa perché devi riconoscere la sensazione di essere in fondo all’oceano, appesantito dalla paura, dall’ansia e dalla depressione, deve andare bene.
Per favore, resta a casa. Non perché così puoi mettere in ordine la casa. Non perché così puoi fare il riciclaggio. Resta a casa per scrivere, dipingere, ricamare, cucire o sederti al tornio. Resta a casa per fare un’escursione nei boschi o sederti in un caffè da solo.
Va bene.
Non stai voltando le spalle a nessuno. Non stai negando niente a nessuno. Ti stai prendendo del tempo per te.
I nostri figli non hanno bisogno di noi che li salviamo. Hanno bisogno di vederci salvare noi stessi. Hanno bisogno di vederci prenderci cura di noi stessi e hanno bisogno di vederci mostrare emozioni.
Vorrei che questo post potesse arrivare in lungo e in largo, perché penso che sia molto importante rivalutare cosa significa essere umani.
Siamo una specie che prospera quando ci connettiamo l’uno con l’altro. Quando celebriamo piccoli momenti di coraggio, compassione e connessione. Piccoli momenti di goffaggine, audacia e gentilezza.
Non siamo una specie che prospera quando mettiamo in valigia i nostri sogni, desideri e momenti di vulnerabilità. Lo so. L’ho provato. Per molto tempo.
Ricorda: tifo per te. Siamo tutti sulla stessa barca.

Ha ragione. Ha terribilmente ragione.
Ed è per questo che ho cambiato lavoro: per avere più tempo per me e le mie passioni. Adesso.

Idee? Alternative? Proposte?

Qual è la vostra buona abitudine di scrittura?
Se ancora non l’avete trovata, quali metodi avete già sperimentato che non vi hanno aiutato?
Dopo questa mia esplorazione, voglio provare quel metodo No Zero days, e quando non ho voglia di scrivere cercare comunque di lavorare sulla storia, rileggerla, ascoltarla, immaginarla sullo schermo.
…tanto quelli della mia generazione se la scordano la pensione! 😉

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Comments (14)

Renato Mite

Nov 27, 2021 at 11:46 AM Reply

Ciao Barbara,
ti confesso che non ho mai partecipato a un NaNoWriMo perché sentivo che non faceva per me.
In fondo sapevo di essere più tipo da metodo che obiettivi basati sulla quantità.
Nel tempo ho affinato un po’ il mio metodo e faccio il possibile per scrivere, leggere o revisionare un po’ ogni giorno. Questa è la mia buona abitudine.
L’idea del fare una cosa ogni giorno io l’ho presa dal libro “Una cosa sola” di Gary Keller e Jay Papasan, concetto simile al “No Zero days”.
Ti confesso che mi ha reso più disciplinato e faccio di tutto per mantenere fede al metodo, che poi porta a degli obiettivi.
Mi ero prefissato di pubblicare un libro all’anno della mia serie di racconti V-Zero e ci sto riuscendo, prima della fine dell’anno dovrei pubblicare il quarto.
Per concludere, condivido l’idea che bisogna alimentare le nostre passioni artistiche prendendoci del tempo per noi stessi.

Barbara Businaro

Nov 29, 2021 at 6:49 PM Reply

Scrivere, leggere o revisionare ogni giorno ti consente di rimanere sempre “connesso” con la storia, di tenerla sempre viva. E’ lo stesso metodo che ha descritto J. Lawrence Matthews, la prima newsletter che cito nel post, arrivando addirittura a una sola parola al giorno. Nonostante tutto, ha terminato il suo romanzo, senza attendere un altro capodanno in false promesse. In questo periodo, mi scappa spesso di pensare: “Da gennaio inizio con una nuova routine, inserendoci il romanzo da terminare…” E se cominciassi con le festività invece?! 🙂

Brunilde

Nov 27, 2021 at 12:27 PM Reply

Non ho una buona abitudine di scrittura, anzi, se ci penso, non ho buone abitudini di nessun genere.
Però ti racconto un aneddoto.
Quando mia figlia era alle elementari, si era creato un bel gruppo fra genitori e insegnanti e si organizzavano spesso gite per andare a vedere mostre d’arte.
Nel concreto, chi si occupava della programmazione spicciola, ovvero raccolta adesioni, prenotazioni, acquisto biglietti, gestione pic nic, erano sempre le mamme con le professioni più impegnative: un paio di avvocati, una docente universitaria di ingegneria, una architetto, la responsabile amministrativa di un grande ospedale, una veterinaria Ausl che controllava gli animali da macellazione…
Le madri che ” non lavoravano per dedicarsi alla famiglia ” non erano mai disponibili.
Ergo: più hai una vita incasinata, impegnata, fitta di responsabilità e scadenze, più riesci a trovare il tempo per organizzarti e fare le cose a cui tieni.
Funziona così sempre, per ogni cosa.
Mi sono data pace, non sono metodica,nè lo sarò mai, ma quando ho in testa una storia che preme per uscire, e pretende di essere raccontata, in qualche modo il tempo per scrivere lo trovo.

Barbara Businaro

Nov 29, 2021 at 7:09 PM Reply

Completo il tuo aneddoto: non è cambiato niente nemmeno di questi tempi, sai? Lo vedo anche tra le amiche più giovani: c’è quella con un figlio solo che ha scelto di non lavorare per vederlo crescere, quando il bambino è a scuola non riesce nemmeno a fare un minimo di ordine in cucina e passa la giornata a lamentarsi di non avere pure un aiuto esterno; e poi c’è quella con tre figli piccoli, uno dietro l’altro, che non ha mai smesso di lavorare, che fa i salti carpiati tra asili nido e scuola, pannolini e compiti, e riesce pure a studiare, passare selezioni importanti, ottenere qualifiche e pure promozioni, la casa più in ordine dell’altra. E sai qual è il dramma? Che i tre fratellini crescono molto più in gamba, svegli, creativi, assertivi, indipendenti del figlio unico coccolato e viziato. Per questo mi sono convinta che ogni donna dovrebbe avere un lavoro, anche minimo, anche solo una giornata a settimana, che le dia però un minimo di libertà finanziaria e sviluppo delle proprie capacità organizzative.
Sulla scrittura, forse io non sento più la pretesa della mia storia? Uhm, non direi, se sono qui che ci ragiono, sentendomi in colpa per non averla ancora completata, la pretesa c’è eccome. Solo che, come molte donne, mi lascio avviluppare dalle responsabilità. Sono la prima ad alzarmi al mattino e l’ultima ad andare a letto. E adesso che ho uno stipendio decisamente ridotto, per non dire ridicolo rispetto alle competenze richieste (ma era l’unico modo di avere un orario migliore), mi sento pure in dovere di coprire la “differenza” con altre attenzioni in casa. Una stupida eredità che noi donne ci portiamo dietro dalle mamme, dalle nonne, di generazione in generazione. Devo costantemente zittire quella vocina e impormi di lasciare anche un po’ di polvere in giro! :/

Giulia Mancini

Nov 27, 2021 at 6:04 PM Reply

30 minuti al giorno, tutti i giorni, possono portare a un buon risultato; certo un sistema deve diventare un’abitudine, è tutto lì ma non è facile far diventare un obiettivo un abitudine giornaliera, una volta però che ci riesci poi le cose avvengono più facilmente. Tu lo hai dimostrato con l’attività fisica che ti ha aiutato a metterti in forma. Per quanto mi riguarda io ho scritto molti romanzi dedicando parecchie ore con costanza ogni fine settimana, era diventata un’abitudine quindi scrivere ogni week end, ma questo voleva anche dire avere sempre il tempo contingentato. Ritagliarmi del tempo per scrivere ogni giorno è quasi impossibile, ci sono i giorni che esco tardi dal lavoro perché devo rispettare le mie scadenze (e ormai è tutta una scadenza), quando esco in orario dal lavoro può capitare di dover fare la spesa o le pulizie, anche la scrittura di mezz’ora può diventare un lusso…
Tempo fa avevo pensato anch’io “quando andrò in pensione farò…” poi man mano che vedevo spostare più avanti l’età pensionabile, ho capito che certi obiettivi vanno perseguiti nel momento in cui lo desideri, non è possibile aspettare di “avere tempo”.
A proposito di “no zero days” durante la settimana anche se non scrivevo abbozzavo sempre un articolo sul blog, usando l’iPad così evitavo gli aggiornamenti di Microsoft che fanno sempre perdere un sacco di tempo…

Barbara Businaro

Nov 29, 2021 at 7:18 PM Reply

Se dovessi fare un paragone completo con l’attività fisica, io non mi alleno tutti i giorni, ma due/tre volte a settimana. Di mezzo c’è il riposo forzato per il recupero muscolare, il defaticamento e la ricostruzione. Quindi dovrei pensare di scrivere due/tre volte a settimana e in mezzo metterci del “riposo”, che può essere la rilettura, la correzione, le revisione. E per il miglior risultato, la scrittura deve essere nei giorni di riposo dei muscoli e la lettura nei giorni di allenamento, quando i neuroni sono già tramortiti di suo… 😀
Beh, per il blog uso già il metodo “no zero days”, non c’è giorno che io non stia leggendo o scrivendo qualcosa che mi tornerà utile qui. Scrivo anche da cellulare se serve, sulle bozze in Gmail. 😉

Speranza

Nov 28, 2021 at 10:19 AM Reply

Il metodo “no zero days” lo sto applicando alla lettura dei libri, per alcuni mesi non ho letto neanche un libro, ma solo post sui social e articoli di giornali online. Però sentivo che mi mancava qualcosa, ho sempre letto tantissimi libri. Non c’era neanche un libro che mi ispirasse. Così ho pensato di frugare tra i classici. Così ho letto Madame Bovary e Anna Kerina, poi ho scoperto Alexander Mc Cally Smith e così ho ripreso a leggere giornalmente.
Visto che il mio blog langue da un bel po’ credo che dovrei applicare no zero days anche lì.
Buona domenica carissima.

Barbara Businaro

Nov 29, 2021 at 7:27 PM Reply

Mi piace l’idea del metodo “no zero days” per i libri, e capisco cosa intendi: c’è stato anche per me, prima dell’apertura del blog, un lungo periodo di non lettura, dove nessun romanzo sembrava essere nelle mie corde (ma avevo le corde proprio di traverso eh). Partire dai classici è un’ottima strategia, nel mio caso ho cercato di tornare alla lettura con qualche giallo di zia Agatha Christie, qualche romanzetto rosa, qualche saggio motivazionale. E l’appetito vien mangiando. 😉
Ho visto il post sul blog, potrebbe funzionare anche lì il “no zero days” in effetti, è quello che faccio anch’io, pure se certe volte la giornata è storta e non avrei proprio passione di mettermi al computer.

Sandra

Nov 28, 2021 at 11:33 AM Reply

Parto da ciò che sento molto vicino: il concetto “quando andrò in pensione”, illusa che il progetto donna 35 di contributi e 57/58 di età venga mantenuto e io possa usufruirne a breve, non lo vedo come un’opzione per scrivere di più, ma solo per non lavorare!
Ho spesso usato metodi piuttosto rigidi tot battute al giorno, tabelle di marcia serrate, più per esigenze editoriali che mie, e non mi hanno portata lontano, ma garantito una grande logoramento che mal si sposa con l’elemento primario: divertirsi.
Adesso scrivo quando mi va e mi metto sotto solo in fase di editing col contratto già firmato perché lì ci sono tempi tecnici da rispettare e va bene così, perché sostenere il peso di un romanzo, non di una storia vera o di un racconto di quelli che scrivo per Delos ad esempio, è una faccenda piuttosto complessa e le costrizioni temo siano controproducenti.

Barbara Businaro

Nov 29, 2021 at 7:39 PM Reply

Eh già, l’elemento primario: divertirsi! I racconti sono, almeno per me, più facili da scrivere perché mi ci diverto, sono brevi e quindi riesco a gestirli velocemente, senza troppa ansia, lasciando solo spazio all’entusiasmo. Ma un romanzo è tutto un altro impegno, appunto. Probabilmente è per quello che Stephen King suggerisce di terminare la prima bozza in tre mesi, per non perdere il divertimento. Sì, ma tre mesi senza lavorare però!
Non potrei comunque mai ritrovarmi a scrivere per 22 ore al giorno come Danielle Steel, nemmeno con uno stuolo di servitori pronti al mio minimo cenno.
Devo trovare una via di mezzo tra scrivere solo quando mi diverto e tenere comunque il passo con una storia più lunga.

Darius Tred

Nov 29, 2021 at 11:09 PM Reply

Se non ti conoscessi da tempo (sì, ok: effettivamente non ti ho mai conosciuto…) direi che il tuo post è proprio un post da “milanese”. Pare infatti che i milanesi abbiano la fama di essere sempre fissati con il lavoro, con il raggiungere gli obiettivi, passare la giornata con l’orologio sott’occhio perché ci sono appuntamenti uno dopo l’altro. Una vita frenetica, insomma. Altri italiani, invece, si godono la vita in modo molto più “slow” (e fanno bene…).

Non ho metodi, né abitudini, né regole di scrittura. Inorridisco di fronte a incasellamenti e forzature come NaNoWriMo o altre diavolerie che mai riuscirò a concepire. Se davvero hai dentro una storia, prima o poi verrà fuori. Punto. E verrà fuori come e quando vuole lei, nei tempi e nei modi che decide lei. Può capitare che scrivi ore a briglia sciolta, può capitare che impieghi giorni a chiudere un cerchio nel tuo intreccio.
Questo è quello che succede a me.
Tutto il resto, personalmente, le percepisco solo come forzature.

Che poi, se proprio devo dirla tutta, lo scrivere una storia non implica solo il tempo in cui si sta materialmente davanti alla pagina bianca da riempire: bisognerebbe contare anche il tempo in cui si studia, ci si documenta, si fanno sopralluoghi per mettere insieme le ambientazioni al meglio, si guardano film ambientati nell’epoca o nel posto che ci interessa. Oppure si leggono libri la cui storia è attinente alla propria, vuoi per attingere spunti, vuoi per assicurarsi di evitare imbarazzanti, per quanto involontarie, scopiazzature.
Insomma: non si “scrive” solo con la penna…
E in questo senso, sì, non esistono zero-days.

Barbara Businaro

Dic 02, 2021 at 8:03 PM Reply

Beh, ho lavorato per quasi vent’anni con i “milanesi”… Ma la cosa buffa è che per i milanesi sono troppo veneta, e per i veneti sono troppo milanese. E magari è per quello che mi sento più a casa con gli scozzesi?! 😎
Non sono fissata con il lavoro e nemmeno con l’orologio, però non mi piace buttare tempo quando posso impegnarlo al meglio, questo sì. Quindi se ho un’attività da chiudere, cerco di chiuderla prima che posso, magari avanzo pure tempo per leggere. Del resto qui non sto inseguendo obiettivi, ma sistemi, metodi, abitudini. Sennò succede come con le diete e gli allenamenti, per obiettivi: si inizia sempre il prossimo lunedì, ma non si sa di quale settimana, mese o anno! Voglio proprio ribaltare il concetto, perché con gli obiettivi non si risolve niente.
L’ispirazione per quel che mi riguarda va anche inseguita, se aspetto di avere il momento magico per scrivere… mi impigrisco e non scrivo più.
Quindi, l’idea per ora è di finire con i pomeriggi-terapia (la fisioterapista mi sgrida perché i muscoli non si rilassano, manco a comando, o dormo o sono attiva, acceso spento, 1 0 1 0, ti dice niente?! 😉 ), e poi iniziare con un pomeriggio-romanzo a settimana. Intanto.

Maria Teresa Steri

Dic 07, 2021 at 11:31 AM Reply

Non conoscevo il metodo No Zero days, ma mi sembra che sia grossomodo quello che uso io. Cerco di mantenere ogni giorno un piccolo legame con il progetto a cui mi sto dedicando e tranne alcuni giorni in cui arrivo a sera con l’acqua alla gola, di solito ci riesco.
Devo dire che non ho però delle vere e proprie abitudini di scrittura, penso che più che la disciplina o la volontà in questo caso debba prevalere la semplice voglia di scrivere, il desiderio di portare avanti la storia, di ritrovare i personaggi. Se non c’è tutto questo, le imposizioni servono solo a innervosirci o a produrre poco e male.
Quando lavoravo a tempo pieno e facevo ore di viaggio, mi restava solo la pausa pranzo da sfruttare per scrivere e ovviamente era un sacrificio. Però mi andava di farlo, il resto contava poco.
Poi è chiaro che la pigrizia è sempre in agguato e quella occorre comunque combatterla 🙂

Barbara Businaro

Dic 08, 2021 at 6:31 PM Reply

Beh, il metodo No Zero days è già una buona abitudine di scrittura direi, e forse non te ne rendi conto perché è oramai naturale per te mantenere la connessione quotidiana al progetto. Quindi sei qui a testimoniare che funziona, devo proprio provarlo. Sto gestendo delle scadenze di fine anno, ma con l’anno nuovo (o prima se mi tolgo delle scartoffie di torno durante le festività) voglio cominciare con questo metodo. 🙂

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