Codice PUK

PUK

Il cellulare le scivolava continuamente dalla mano sudata e convulsamente tornava a stringerlo per non farlo cadere ai suoi piedi che si destreggiavano tra acceleratore e freno, mentre teneva d’occhio la strada per timore di sbandare. Continuava a tremare per l’emozione che, malsana, era piombata nella sua mente facendola sussultare ancora al ricordo di uno sguardo verde smeraldo: l’uomo che l’aveva urtata all’entrata del pub l’aveva stravolta, impossibile che fosse proprio lui, quello che lei aveva ucciso tre mesi prima e la cui morte era balzata alla cronaca come delitto perfetto, nessuna prova, solo un numero scritto male su un foglietto, un appunto frettoloso, tipico di chi, per un eccesso di zelo, non vuole portarsi via l’originale, quasi un codice d’emergenza. Il detective Falaquaglia aveva avuto una folgorante intuizione: otto cifre, un codice puk, ma certo, scritto sbrigativamente, sbiadito perché il foglio era bagnato da gocce di pioggia e sangue, quello della vittima… Peccato, Falaquaglia, bella intuizione, “genial!”, ma no DNA no colpevole! Perizia calligrafica inutile, foglietto anonimo dei miei stivali!

Amber si era incontrata e scontrata con un’ombra del passato: lo aveva ucciso, quell’uomo di merda, vero, ma aveva dovuto, non aveva scelta, era un bastardo, fedifrago, che viveva scopando come un riccio non appena una cretina gli sorrideva, che mentiva e andava tolto di mezzo, ‘sto figlio di buona donna, una botta e via. Era corsa all’auto e, mentre tentava di afferrare le chiavi per aprire e tuffarsi a tutta velocità al sicuro dell’abitacolo, le capitò il cellulare in mano. “Devo chiamare! Non posso farne a meno: Dora sa!” sussurrava tra sé e sé, mentre trafficava ancora nella borsa, pensando all’amica, medico forense, che era intervenuta subito, non appena era stata chiamata da Amber, tuttora eccitata al ricordo di come, dopo aver tagliato la gola al bastardo, aveva goduto, sovrastando su di lui come la Madonna che calpesta il serpente. Dora era stata grande: aveva sistemato la scena primaria del crimine eliminando qualsiasi traccia di Amber, alterando diversi particolari, mentre il corpo del bastardo si scioglieva nella soda caustica dentro alla vasca da bagno: peccato, una bella vasca, insozzarla così! Ma non si poteva farne a meno, Dora era stata pragmatica in merito: il cadavere andava sciolto,  insieme a tutti i suoi peccati!

Ora, mentre correva verso l’auto, trafficava nella borsa mentre, folle di terrore, scrutava la notte. Infine aveva riesumato il portachiavi firmato “Celine” ed era saltata letteralmente a bordo, aveva messo in moto e, sgommando, era partita a tutta velocità, nella sinistra teneva ancora il cellulare. Iniziato a comporre il numero, lo smartphone iniziò a scivolare e ogni volta lo stringeva sempre più forte. Inavvertitamente, premette il pulsante di spegnimento, per annullare scorse veloce il pollice e… buio. Ciao, suonatori! Cellulare spento! Oddio… “Riaccenditi, maledetto…” Inserito il pin, sbandata lieve a destra, pin errato una, due e tre volte… maledetto… recupero del puk impossibile, ovvio, mai trovato il tempo di cambiare il cellulare, “da quale meandro della memoria lo ripesco mai”… slittamento contro il guardrail… l’auto ruota su sé stessa e vola fuori strada…Il cellulare testimone di un incidente mortale… la mano sudata ringrazia… Fantasma del c…!!! Tutta colpa tua!

 

Daniel Cutroth avatar Guest blogger: Daniel Cutroth
Scrive per rabbia. Scrive per non ammazzare tutti quelli che gli stanno intorno e perchè scrivere in galera al buio non sarebbe la stessa cosa. Solo su carta può lasciare libere le fantasie più cattive.

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Comments (12)

nadia

Giu 15, 2017 at 8:03 AM Reply

Wow!
Che bel racconto, dentro ci sento la mano del destino beffardo e della tecnologia che quando serve non aiuta mai ecco tutto il torbido umano. Complimenti.

Giulia Manncini

Giu 15, 2017 at 10:18 AM Reply

Bel racconto, letto tutto d’un fiato! Bravo.
Concordo: scaricare la rabbia sulla pagina fa molto bene 🙂

Cristina

Giu 15, 2017 at 10:35 AM Reply

Bello,intenso, concitato …Anche Simone​ De Beavoir aveva ucciso la sua rivale in amore nel suo romanzo. Secondo me è terapeutico

newwhitebear

Giu 15, 2017 at 4:51 PM Reply

la tecnologia si è fatta beffe del delitto perfetto e la voce narrante ha finito per pagarla cara.
Eccellente post.

Barbara Businaro

Giu 15, 2017 at 6:55 PM Reply

Spero che Cutroth passi di qui a commentare. Di sicuro sta leggendo, poco convinto, i vostri complimenti 🙂

DANIEL CUTROTH

Giu 15, 2017 at 9:15 PM Reply

Sono sorpreso e incredulo, davvero! Vi ringrazio! I vostri commenti mi stimolano a proseguire su questa strada alquanto ardua: non è semplice scrivere di certi argomenti senza risultare banale o compiaciuto dell’aspetto più iniquo di una morte. Grazie ancora per i vostri riscontri!

nadia

Giu 15, 2017 at 11:00 PM Reply

Non ti conosco, ma sorrido davanti all’incredulo, davvero non sei cosciente di aver scritto un buon racconto?
Banale assolutamente no, originale e molto molto capace.

Barbara Businaro

Giu 15, 2017 at 11:11 PM Reply

Diglielo Nadia. Che a me proprio non vuol credere! 🙂

DANIEL CUTROTH

Giu 15, 2017 at 11:49 PM Reply

Grazie, Nadia, mi sento onorato!

Elena

Giu 15, 2017 at 10:29 PM Reply

Un bel racconto che dovremmo utilizzare anche a scopo educativo… Complimenti

Pietro 57

Lug 05, 2017 at 4:05 PM Reply

Ho notato nel racconto che vi esprimi alcune buone qualità di scrittura, come la velocità, la chiarezza, e la semplicità. Se sei interessato a migliorare la tua scrittura, o vuoi scrivere un romanzo, io posso, gratuitamente, darti una mano.

Quello che mi è piaciuto nel tuo racconto, da come la vedo io, è una qualità che apprezzo molto, vale a dire “la semplicità” della narrazione. E questa è una dote molto rara da esprimere e non molti scrittori la possiedono. Ma chi ce l’ha, è molto avvantaggiato nella sua narrazione di valore letterario.

Se sei interessato scrivimi al “art57gior28fi5@gmail.com”.

Ti saluto.

Daniel Cutroth

Lug 07, 2017 at 7:01 PM Reply

Pietro, gentilissima la tua proposta, che ho apprezzato molto. Scrivere, per me, significa molto: le mille sfaccettature con cui la vita si propone ogni giorno, nel bene e nel male, stimolano le mie “celluline grigie” (per parafrasare il grande Poirot) a formulare pensieri e situazioni che, con modestia, sublimo in brevi racconti. Proprio per questo intimo significato dello scrivere, non riesco a condividerne l’onere con altri, nemmeno con colei che, generosamente, mi ospita nel suo blog.
Detto questo, resta comunque che il tuo gesto generoso sia stato particolarmente apprezzato dal sottoscritto e quindi ti sono davvero grato.

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