La mia scrittura in 20 punti

20 cose sulla mia scrittura

Siamo di nuovo nella morsa dell’Anticiclone Nordafricano (che è sempre lui, anche se ad ogni ondata di calore lo battezzano con un altro terrificante nome mitologico, di continua discesa agli Inferi infuocati). Ed è difficile per me scrivere, quanto per voi concentrarvi nella lettura.
Abbiamo bisogno di rilassarci e rallentare i ritmi dei collegamenti neuronali (tutti i motori scaldano, cervello compreso) ed è il motivo per cui d’estate si prediligono quelle letture fresche e tranquille da ombrellone, romanzi leggeri e riviste di gossip.
E così oggi ho deciso che il gossip divento io, nel mio piccolo: vi racconterò venti cose di me, mentre scrivo.
Quattro chiacchiere sulla sdraio insomma, ascoltando in sottofondo il tormentone estivo (quel Despacito che ci sta togliendo la vita…) e rimescolando con cura le carte per una nuova partita a Briscola. Carte rigorosamente trevisane Dal Negro. Occhiali scuri perché ogni tanto ci scappa uno sguardo indiscreto ad un costume di passaggio.
E se passa l’omino dei gelati…no, niente, sono in dieta. Solo ghiaccioli, uffa. E senza zucchero!

 

20 cose di un vecchio meme

A rispolverare questo vecchio meme è stato Salvatore Anfuso con questo suo articolo: 20 cose da sapere sulla mia scrittura, non ricordando però dove avesse le sue origini.
Qualche ricerca col mio amico Google ed abbiamo ritrovato la paternità dell’idea: si tratta del blogger e autore Alessandro Girola che lanciato l’idea ancora a marzo 2014 con questo suo post Venti cose sulla mia scrittura
A seguire, tra gli autori che leggo, hanno partecipato anche:
Daniele Imperi di Penna Blu: 50 curiosità sulla mia scrittura
Antonella Mecenero di Inchiostro, fusa e draghi: 20 curiosità sulla mia scrittura
Cristina M.Cavaliere di Il Manoscritto del Cavaliere: 12 cose sulla mia scrittura 
Maria Teresa Steri di Anima di carta: 25 cose sulla mia scrittura

ognuno modificando a piacere il numero delle proprie personali curiosità sulla scrittura.
Un meme non ha alcuna scadenza, per cui se si vorrà aggiungere qualche altro, gli daremo nuova vita. O magari sarebbe anche interessante vedere se in questo tempo alcuni dei punti già tracciati da chi vi aveva già partecipato si sono spostati.
Io comunque all’epoca non avevo ancora aperto questo blog (e qualche volta mi chiedo chi me l’ha fatto fare… Grazie Mister E!) e quindi mi concedo questo giro di meme.

 

La mia scrittura in 20 punti

1. Come comincia la scrittura. Nelle maniere più strane: da una canzone che mi scatena una scena (ascolto musica straniera, non sempre conosco le parole e quindi l’immaginazione vaga sovrana), da una frase ascoltata alla radio per caso, dall’osservazione casuale di vite sconosciute, da fatti inconsueti che accadono intorno a me, dalle chiacchiere da bar la mattina, addirittura da un’intervista di un attore che mi ha incuriosito.
Dai sogni. Gli scritti che derivano dai miei film notturni sono straordinari, ma spesso li tengo per me, non sempre trovano casa in un racconto completo. Servono comunque da stimolo per tutto il resto (sospetto che il mio Muso, quando vede che non gli concedo attenzione per giorni, mi mandi una fantasia onirica per spronarmi).

2. Appunti e bozze. Generalmente la prima idea è su carta, ma se sto lavorando al computer apro un file .txt sulla mia cartella Dropbox e la segno lì. Inizialmente prendevo appunti in ogni dove, foglietti adesivi, pezzi strappati dal blocco in ufficio, carta da brutta, retro non stampato dei volantini. Il caos assoluto. Adesso cerco di tenere un quadernetto delle idee e se mi trovo a scrivere altrove vedo di riportare l’idea lì dentro quanto prima, metterla al sicuro. Non sempre si concretizza a breve. Ci sono idee che devono decantare per mesi, prima di eliminare tutte le loro impurità e intravedere il vino buono.
E per il whisky ci vogliono anni…

3. Versioni e revisioni. Scrivo revisionando, il che rischia di essere una fatica immane. In un racconto, ogni volta che riprendo a scrivere, rileggo la parte già fissata e lì scatta la prima revisione. Alla terza sessione di scrittura, scatta la seconda revisione del primo pezzo e la prima del secondo e così via. Quando arrivo alla parte finale, ho praticamente riletto e risistemato la prima scena almeno dieci volte, ma la conclusione rischia di avere una sola revisione. C’è anche da dire che spesso il finale l’ho già mentalmente scritto, per tutto il racconto ho puntato in quella direzione, quindi magari ha meno bisogno di essere aggiustato.

4. La scelta delle parole. Non cerco parole eccessivamente raffinate, per evitare di cadere in uno stile ostentato che non mi appartiene e in cui il lettore potrebbe incespicare miseramente. Inoltre conosco i miei limiti: sono conscia del fatto che non scriverò mai alta letteratura, perché non ho la formazione scolastica giusta per arrivarci. Scrivo storie perché mi diverte e perché non trovo nessuno che le abbia già scritte, quelle che ho in mente io, risparmiandomi la fatica. E cerco di renderle sulla pagina proprio come le vorrei leggere io, in maniera semplice e diretta, a volte riutilizzando le stesse parole piuttosto che abusare del dizionario dei sinonimi. Come dice Stephen King (link): “c’è sempre un’altra parola, ma probabilmente non sarà buona come la prima o altrettanto significativa.”

5. L’incipit. L’incipit (accento sulla prima ì, da “incipere”, incominciare) è la prima frase o il primo paragrafo con cui inizia una storia. Non tanto per un libro dove l’occhio cade prima sulla copertina, poi sul retro dove viene presentato il romanzo, ma in un racconto, in un manoscritto, in un articolo del blog è l’incipit che deve trainare il lettore dentro il contenuto e tenerlo lì fino alla fine. Quindi, storicamente, a quella prima frase o paragrafo viene data molta importanza.
E quindi gli autori ci impazziscono, con vere e proprie crisi di nervi. Ci sono racconti che mi sono partiti dal mezzo, come Formiamo persone felici dove ho immaginato subito il dialogo con il rettore, e poi l’inizio è spuntato fuori mentre facevo le fotocopie. Altri invece cominciano proprio con la prima scena diretti, come se stessi girando un film, come La fabbrica di acciottolato dove la caduta del garzone nel paesino immerso nella nebbia è stata istantanea.

6. L’explicit o The End. Mi sono imposta di scrivere storie a lieto fine, perciò difficilmente leggerete da me di un grande amore che termina la morte di uno dei due amanti, o di entrambi, lasciandovi in un mare di lacrime. E nemmeno di un’insolita vacanza di amici al lago, mare, montagna, con nessuno nel raggio di miglia, dove misteriosamente iniziano a morire uno ad uno, “e poi non rimase nessuno”. Ho chiesto ad un amico perché negli horror muoiono sempre tutti. “Perché è il principio cardine dell’horror!” mi ha risposto con sufficienza. Ok, non scriverò mai horror, ho bisogno del personaggio dell’eroe, mi spiace. Anche quando scrivo un racconto per Halloween, mi esce la tinta rosa in mezzo al nero, leggesi Allontanati dal sole (Walk away from the sun) 

7. Finale sospeso. Ho sempre creduto di non essere portata per i finali sospesi, quel momento in cui il protagonista viene messo di fronte ad una scelta ma l’autore non ti dice esattamente quale sia e lascia al lettore la facoltà di immaginare le ipotesi alternative. E’ un metodo per emozionare chi legge, perché si ritrova costretto a pensare alla storia per molto tempo dopo aver terminato l’ultima pagina. Fino a poco tempo fa mi dicevo che lo scrittore era un codardo a non prendere una posizione netta. E poi non sono riuscita a capire cosa aveva deciso Josie in Formiamo persone felici, ma ho anche pensato che fosse un modo per il lettore di interrogarsi su cosa avrebbe scelto lui.

8. Genere preferito. Non ho un genere prediletto di scrittura, come non ce l’ho per la lettura. E questo temo sia un grosso male, perché una volta conosciuto e apprezzato un autore, a lui si chiedono storie dello stesso sapore. Eppure mi piacciono i gialli alla Agatha Christie (ma non credo di avere la capacità di scriverne uno, non so niente di medicina, e nemmeno di armi e veleni), i thriller (non horror!) alla Stephen King, i chick-lit rosa alla Sophie Kinsella, i fantasy alla JRR Tolkien o gli urban-fantasy alla Stephenie Meyer, qualche tascabile di fantascienza della Urania. E se la storia mi piace, leggo qualsiasi cosa. Pensavo di odiare le ambientazioni storiche, e invece mi sono ritrovata a divorare Diana Gabaldon e la sua Outlander saga. Purtroppo però quando si scrive, pare che si debba scegliere da che parte stare.

9. Quando scrivo. Facendo parte di quelli che di giorni lavorano per la pagnotta a tempo pieno, mi resta solo la sera e il fine settimana. Due sere a settimana sono in palestra, nel fine settimana due ore se ne vanno per la mia corsetta-fitwalk e altre due ore in pulizie e incombenze di casa. Mettici pure un po’ di vita sociale (bisogna pur andare a caccia anche di storie da raccontare) e il tempo si assottiglia sempre di più.

10. Quanto scrivo. Scrivo mezz’oretta prima di cena, e poi due orette dopo cena, se lo stress mentale regge, altrimenti passo alla lettura. Sempre che non ci sia qualche film davvero interessante in televisione o nel mio streaming personale (film = storie!) e allora cedo a un po’ di relax sul divano, modalità bradipo. (Però se il film mi prende, stritolo i cuscini…)
Se sto scrivendo un racconto, e mi sono pure data una scadenza di pubblicazione sul blog, scrivo finché non ho finito spostando impegni e delegando quanto più possibile (però mi stanco parecchio, col rischio di odiare la storia).

11. Luogo di scrittura. Ho i miei posti preferiti, a seconda della stagione: il tavolo in giardino quando le zanzare tigre non sono ancora sbocciate; la panchina del terrazzo, anche se non sopporto il portatile caldo appoggiato sulle ginocchia; la puffosità del divano (è pure blu) dove rilassare la schiena; il tavolo da pranzo del salotto, che oramai è diventato il mio studio di scrittura per l’ottima posizione di luce davanti alla portafinestra, con buona pace degli altri inquilini (…è un portatile, si solleva e si sposta! E che sarà mai!)

12. La scrivania. Non sopporto di scrivere lì, perché a volte la utilizzo per lavoro, quindi non sentirei lo “stacco” tra le questioni dell’ufficio e la libera attività creativa. Ho bisogno di cambiare computer e stanza per dire al mio cervello di cambiare area da utilizzare (dalla parte sinistra analitica alla parte destra artistica).
Se ha un senso per il Feng shui, non do mai le spalle ad una porta, la lascio alla mia destra, ben visibile.

13. Strumenti. Fisicamente: computer portatile (il mio fedele ASUS EeeBook bianco), connessione internet, penna, quadernetto delle idee, post-it (ammetto di avere una dipendenza da foglietti adesivi). Sul desktop: Dropbox, yWriter6, Notepad o Blocco note, Google Chrome con due schede attive, una pronta con la parola “sinonimo” e l’altra con “significato” e via via ci affianco quello che devo cercare per i dubbi amletici che ti vengono solo quando scrivi.

14. Internet e le distrazioni. Non si può scrivere sempre connessi, dicono. Un po’ hanno ragione perché mail e social succhiano tutto il tempo in un baleno, nemmeno te ne accorgi. Però la rete è ineguagliabile come velocità di ricerca e documentazioni (pensate a dover tornare in biblioteca ogni volta che vi serve un’informazione specifica!). Quindi lavoro collegata, cavo o wireless che sia, con mail spenta e social spenti. E dato che è più veloce il cellulare nel far risuonare le notifiche per tutta casa, se ho bisogno di concentrazione lo metto in modalità offline, solo chiamate e sms.
C’è da dire che a volte anche guardare fuori dalla finestra, in strada, diventa una grossa distrazione… soprattutto se passa Christian Grey a torso nudo che corre… No, no, non vaneggio: c’è un runner che gli somiglia che passa davanti casa mia, e mai una volta che io abbia le scarpe pronte, mannaggia!

15. Sottofondo musicale. C’è sempre una canzone legata al racconto che sto scrivendo, non è detto però che io ascolti musica proprio mentre sto buttando giù le parole sul foglio/file. In genere, revisiono mentalmente nel percorso casa-lavoro, rivedo le scene che sto scrivendo, studio nuovi dettagli o nuove svolte della trama, lasciandomi trasportare dalle note della canzone prescelta. Ma quando sono nel difficile del cercare le parole giuste necessito del silenzio, lascio cantare la musicalità dei paragrafi in successione. O almeno ci provo.
Se invece scrivo per il blog, il compito di caricare una playlist stimolante è di YouTube o YouZeek: parto da un artista conosciuto e sento che cosa mi propongono dopo.
Cosa sto ascoltando ora?

16. Droghe. Nell’immaginario classico, gli scrittori sono dediti ad ogni abuso e dipendenza insana, dall’alcool al fumo, di qualsiasi tipo o sostanza. Io mi mantengo nei limiti delle droghe leggere: caffè, tè e cioccolatini. Ultimamente ho bandito lo zucchero, quindi solo caffè amaro, al massimo macchiato, e tè aromatizzato. Non credo faccia molto scrittore dannato, ma sono una consumatrice di smoothies (che no, non sono frullati, né frappè, né estratti). Il mio preferito: 3 cucchiai yoghurt greco 0%, 1 banana, 2 cucchiai di mirtilli neri, 1 manciata di spinacino fresco, 1 cucchiaio di cacao, 1 cucchiaio di burro d’arachidi o di mandorle, acqua o ghiaccio. Shake and serve.

17. Non solo scrittura creativa. Così come le storie le sviluppavo giocando con le mie Barbie (e costruivo le ambientazioni con cartoni, forbici e scotch), l’uso delle parole l’ho coltivato anche tenendo un classico diario con lucchetto, con la corrispondenza cartacea in Italia e all’estero (l’epoca delle amicizie di lettera o “pen pals”), avventurandomi nella gestione di una fanzine (fan-magazine, rivista amatoriale, fotocopie bianco e nero rilegate con nastro colorato, l’antesignano del Print On Demand) e in un sito di opinioni a pagamento su prodotti di consumo (i primi passi del copywriting non professionale). Ogni tanto mi capita di aprire vecchie scatole e ricordare qualche altra stron… progetto in cui mi sono imbarcata.

18. Memorabilia. Tra i primi tentativi di scrittura, quando ancora usavo una vecchia macchina da scrivere Olivetti 82, possiamo annoverare (con tanto di titolo): Due vite in una, inviato in tre copie anche a un concorso se non sbaglio per Donna Moderna, credo nel lontano 1996, cosa di cui non finirò mai di vergognarmi, perché anche se scritto decentemente bene (grammatica, ortografia, punteggiatura, dialoghi e pure stile), la trama è veramente, ma veramente penosa e no, non ve la svelo; EuroDisney Tour, ovvero siccome mi sarebbe tanto piaciuto farmi un mesetto all’interno del parco alla periferia di Parigi, avevo iniziato a scrivere la sceneggiatura di una caccia al tesoro che un padre milionario lasciava alla figlia (l’eredità era il tesoro, se non lo trovava era perduta) e lei sarebbe stata accompagnata in questa avventura dal giovane amministratore delegato della società, ovviamente bellissimo (e quando si scrive una storia per un film, l’obiettivo finale è partecipare al casting del protagonista maschile…che ve lo dico a fare?!); e dato che sempre a quell’epoca ero sfegatata fan del telefilm Supercar (si, quello dell’automobile nera parlante, ma era molto prima di scoprire l’esistenza dell’uomo-sedile di KITT), avevo iniziato a scrivere sempre una sceneggiatura del film che avrebbe seguito la serie, dove la fuoriserie sarebbe stata guidata dalla figlia (immedesimazione a mille) di Michael Knight, Tale padre tale figlia.
Non vedrete mai niente del genere in questo blog, tranquilli!

19. Racconti speciali. Il racconto più divertente, a scriverlo quanto a leggerlo, è stato sicuramente Arrivederci Montmartre perché la scena finale me la sono vista e rivista, con ogni inquadratura possibile, e siccome ho ben presente la fisionomia di lui e come potrebbe recitarla bene, mi fa ridere ed emozionare al tempo stesso.
Il racconto più complesso, quello che mi ha richiesto mesi di ricerca e studio maniacale, è stato Il codice Pàtton: il mio personaggio Mario Pàtton viene “calato” dentro un libro, questa volta Il codice Da Vinci di Dan Brown, sfruttandone i punti vuoti della trama, ma rispecchiando tutto quanto viene descritto nell’originale, persino lo stile dell’autore. La scena precede l’omicidio del curatore che apre il romanzo ed è ambientata al Museé du Louvre, ma io non sono mai stata là dentro. Ho dovuto studiarmi parecchie guide e piantine, anche se l’aiuto più prezioso è stato di Google Street View.

20. Un romanzo. C’è qualcosa di voluminoso in preparazione? Si. A dire il vero avevo iniziato con quello, poi mi hanno consigliato di dedicarmi ai racconti per allenare maggiormente la scrittura (sebbene racconto e romanzo abbiano caratteristiche ben diverse). Nome in codice: IPDP. Le prime 88 pagine sono state lette finora da due beta reader, un lettore debole e un lettore forte, entrambi entusiasti.
Ma ho cominciato scrivendo di getto, pagine su pagine, scene sparse rispetto alla struttura, e poi mi sono bloccata spaventata dalla mole e dalla disorganizzazione imperante. Quando ho capito che ci poteva essere davvero qualcosa, sono tornata indietro per studiare, e studiare, e studiare. Adesso sto ripartendo con la scrittura. Ma non ho finito di studiare.

 

Stavolta le domande le fate voi

In ogni riunione, conferenza, lezione ci sono sempre i dieci minuti finali in cui il relatore chiede: Ci sono domande?
Quindi oggi la mia call-to-action (inglesismo da web marketing per dire che un post deve chiudere con una chiamata all’azione, così da scatenare commenti e dialogo con i lettori) non è una domanda, ma un invito a farmi voi delle domande curiose.
E io proverò a rispondere.

Se invece volete continuare con il gossip, trovate anche un altro meme a cui ho partecipato, questa volta sulla lettura: 25 fatti libreschi su di me

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Comments (20)

nadia

Lug 08, 2017 at 7:45 AM Reply

Bello questo spaccato di vita da scribacchina. Molto simpatico, come sei tu, frizzante e mai ovvia. Sei vulcanica o almeno è quello che ne traspare da quanto scrivi. Mi chiedevo in effetti come facessi a far stare tutto dentro a una sola giornata, hai preso lezioni da un mago perché una giornata delle tue non è proprio un bicchiere d’acqua fresca!
Una sola domanda. Scrivere ti regala energia o te ne priva?

Barbara Businaro

Lug 08, 2017 at 1:39 PM Reply

Penso che scrivere sia esattamente come un allenamento in palestra. Prima di andare è tutto un fiorire di alibi e scuse: “no sono stanca”, “chi me lo fa fare”, “dovrei invece sistemare questo, quello e quell’altro”. Quando ci sei ti metti di buona volontà e, nonostante la fatica e gli apparenti scarsi risultati, ti diverti. Esci che non hai un muscolo sano che risponda ai comandi, senza contare il respiro rantoloso alla Will Coyote. Ti resta appena la forza per una doccia e la cena, se non ti addormenti sotto l’acqua. Ma il giorno dopo sei un leone. 😉

Barbara Businaro

Lug 08, 2017 at 1:43 PM Reply

Grazie per il vulcanica, ma penso che ai nostri giorni siano davvero parecchie le donne che fanno i salti mortali carpiati tra casa, lavoro e famiglia. 😉

Elena

Lug 08, 2017 at 1:32 PM Reply

Ciao Barbara, che carino questo post, avevo proprio bisogno di un pò di sano gossip 🙂
E’ interessante perché abbiamo alcune cose in comune ma altre, sono proprio profondamente diverse!
La mia domanda è: cosa ti impedisce di terminare il tuo romanzo?

Barbara Businaro

Lug 08, 2017 at 1:53 PM Reply

Ahahha, a questa domanda immagino già Mister E. che gongolerà per un mese! 😀
Devi sapere Elena che quella domanda il buon caro Mister E., life coach di webnauta, me la rivolge ogni volta che ci vediamo, ancora prima del Buongiorno!
Ma il problema è che ancora non ho trovato la risposta! Mi viene da dire: il tempo. Ma nella lezione di Diana Gabaldon che ho tradotto, Giochi mentali nella scrittura, mi riconosco nel primo gioco, quello di “riprenderò il libro non appena avrò almeno un’ora continuata di tranquillità”. Dal lato pratico, è più semplice cominciare un nuovo racconto che mi occupa per qualche settimana (con una soddisfazione a breve termine, quando lo vedrò finito), che né continuare il romanzo che so già mi richiederà ancora molto tempo di lavorazione (con soddisfazione a lunghissimo termine). L’uovo oggi invece della gallina domani. Però a giugno ho sospeso la scrittura dei racconti e mi sto imponendo di continuare IPDP, procedendo stavolta con uno storyboard fisico, cartellone + post-it colorati per ogni scena. Vorrei arrivare ad una prima bozza per dicembre. Vorrei.

Elena

Lug 09, 2017 at 7:12 AM Reply

Allora qualcosa mi accomuna a Mister E,
. Senza pretendere di dare buoni consigli, penso che la stesura dei racconti ti distragga. Per un’autrice la sfida più importante è la costruzione di un romanzo, di una storia articolata. Se hai qualcosa in pentola rifletti sul perché l’acqua non bolle.
Buona fortuna a te, a mr E e a webnauta!

Barbara Businaro

Lug 09, 2017 at 10:55 PM Reply

Che i racconti mi distraggano è sicuro, infatti al momento ne ho sospeso la scrittura.
Però non considero i racconti meno di un romanzo, in alcun modo. Molti dei romanzi famosi sono partiti da poco più di un racconto, che l’autore si è ritrovato a voler approfondire. Altri scrittori invece hanno scritto solamente racconti, e certo non sono meno scrittori.
Sul perché l’acqua non bolle ho un’altra mezza idea… che spiegherò in un prossimo post. 😉

Giulia Mancini

Lug 08, 2017 at 2:03 PM Reply

Mi riconosco molto soprattutto nei tuoi primi cinque punti, vedo che anche tu hai le giornate belle piene! Sei un vulcano, complimenti.
Allora per fare una domanda quando ipotizzi di finire il romanzo?

Barbara Businaro

Lug 08, 2017 at 2:43 PM Reply

Guarda Giulia, ogni volta che faccio una previsione su questo fronte, la sbaglio, per vari motivi. L’anno scorso il NaNoWriMo estivo fu interrotto da picchi di lavoro (e anche quest’anno luglio nel mio ufficio sta diventando come maggio per i commercialisti). Poi ho provato con il Google Voice Typing a riorganizzare gli appunti cartacei, ma ho visto che non mi ha aiutato del tutto. Quindi adesso sono ripartita con un’altra idea, quella dello storyboard fisico (e solo perché non ho un monitor da 60 pollici dove averlo digitale). L’ideale sarebbe finire la prima bozza per dicembre, ma sarà già molto se riuscirò a portare tutto il cartaceo (fogli e foglietti di varia natura e dimensione) dentro il pc.
Pensare che il finale è già scritto, quello c’è!

newwhitebear

Lug 08, 2017 at 6:19 PM Reply

uno spaccato che illumina per chi non ti conosce su come intendi la scrittura.
Un’apertura sul tuo mondo che fa capire come tu sia lucida quando scrivi.

Barbara Businaro

Lug 09, 2017 at 10:34 PM Reply

Eppure quando scrivo non sembro molto lucida a chi passa di lì per caso e mi osserva 😉

Rosalia Pucci

Lug 09, 2017 at 8:06 AM Reply

Ciao Barbara, ci vuole un meme ogni tanto per spezzare l’insostenibile “pesantezza” dell’essere che mi prende in fatto di scrittura, proverò a partecipare anch’io! La mia domanda: curare il blog è funzionale alla tua scrittura narrativa?

Elena

Lug 09, 2017 at 6:41 PM Reply

Accidenti che domanda Rosalia, da sola vale un post ;). Ci penserò, intanto vediamo cosa ci risponde la webnauta 🙂

Barbara Businaro

Lug 09, 2017 at 11:26 PM Reply

Benvenuta nel blog Rosalia. Anche la tua è una domanda che viene fatta spesso, pure io l’ho formulata ad un altro blogger prima di aprire webnauta! 😀
Perché il dubbio è che anche il blog, con l’investimento di tempo che richiede per star dietro ai suoi contenuti, diventi un’altra distrazione dalla scrittura vera e propria. E prima di aprirlo ci ho riflettuto bene per mesi, soprattutto su che di tipo di contenuti avrebbe dovuto avere un mio blog. Ad oggi, curare il blog è funzionale alla mia scrittura: mi impone di scrivere ogni settimana, anche se non un racconto o una scena di un romanzo, mi insegna l’impegno e il ritmo; mi permette di interagire meglio con l’ambiente della scrittura creativa, uscendo dalle bacheche dei social che sono troppo veloci nel perdere i contenuti; mi aiuta a studiare, perché da quando c’è il blog ho avuto un’accelerazione nell’apprendere i temi della scrittura, soprattutto confrontandomi con altre blogger-autori (molto più di una lettura di un manuale). Poi potremmo anche parlare di identity, brand, strategy e marketing ma c’è già un guest post di Simona di Up360 in merito: ABC del Personal Branding
Il succo è che quando termini un racconto vuoi condividerlo e sui social i miei racconti venivano sepolti, qui vengono letti, e pure apprezzati. Avere un blog sarà utile anche quando terminerò un romanzo, sia che decida per il self-publishing che per l’editoria tradizionale. Il senso è che il blog è un mezzo, non è l’obiettivo.

Rosalia Pucci

Lug 10, 2017 at 8:49 AM Reply

Concordo pienamente su tutto, ma per quanto mi riguarda soffro un po’ del fatto che il bloggig assorba molte energie creative che dovrei destinare alle mie storie. Dopo aver progettato e scritto un post, per dirla in modo semplice, non mi va di scrivere altro. E’ così anche per te?

Barbara Businaro

Lug 10, 2017 at 9:54 PM Reply

Dipende dalla tipologia di post, ecco perché cerco di variare non solo argomenti, ma anche sforzo da parte mia. Ho un calendario editoriale elastico, che a volte inevitabilmente salta per problemi di lavoro e allora per fortuna che ci sono i guest post già pronti de Il vecchio viaggiatore o qualche post mio che decido di anticipare, in quanto più immediato (rispetto ad un articolo su yWriter che mi richiede test sul software). Certo è che il post lo chiudo la sera prima verso mezzanotte, quindi di sicuro dopo non scrivo altro. E domani è un altro giorno. 😉

Maria Teresa Steri

Lug 10, 2017 at 9:04 AM Reply

Nessuna domanda, direi che sei stata esaustiva e hai fatto bene a tirare fuori questo meme che rappresenta un ottimo quadro della nostra scrittura. Mi piace molto la metafora della scrittura che decanta, è perfetta. Quindi il tuo romanzo sta solo fermentando, vedila così. A volte ci vogliono anni per far sì che un’idea si sviluppi e per trovare il momento giusto per metterla per iscritto.
Il belloccio che corre può essere fonte d’ispirazione, no? Magari puoi farne un personaggio.

Barbara Businaro

Lug 10, 2017 at 9:55 PM Reply

Quindi la prossima volta che passa, m’infilo le scarpe e gli corro dietro, gridando: “Scusa, ehi, fermati, devo scrivere un racconto…” 😀

Marina

Lug 10, 2017 at 11:15 AM Reply

Non hai trascurato niente. Feci un post del genere qualche anno fa in cui ho raccontato che per scrivere ho una solita postazione che, prima del nuovo trasloco romano (a Roma ho ricambiato casa), era davanti alla finestra con vista sul giardino, ora varia a seconda del momento: posso essere fuori, in veranda, con il portatile su un tavolino oppure davanti al mac fisso che si trova nella stanza dei ragazzi. Silenzio assoluto attorno a me, per questo il tempo per scrivere è confinato al mattino, quando non c’è nessuno in casa (in estate, la fine della scuola per me è una tragedia) e agenda sempre accanto per appunti, note e quant’altro.

La mia domanda per te, invece, è: selfpublishing o editoria tradizionale? Che fine fai fare, cioè, ai racconti che scrivi?

Barbara Businaro

Lug 10, 2017 at 9:56 PM Reply

Questa sì che è una domanda compromettente! Mi avvalgo della facoltà di non rispondere? Posso avere il mio avvocato? 😀
Non ho ancora deciso tra selfpublishing o editoria tradizionale, entrambi hanno i suoi pro e contro, come ho cercato di spiegare il più obiettivamente possibile sulla primissima puntata del Navigare Informati: Quant’è difficile pubblicare un libro
Per ora i racconti sono qui. Ogni tanto Mister E. mi esorta a preparare una piccola antologia da inserire in Amazon, ma sono di diverso genere e lunghezza, proprio perché non sono stati concepiti per una raccolta. Per il romanzo vedremo. Penso che comunque quello passerà sotto le cure di un editor professionista, spesa che voglio regalare a me stessa (c’è chi si regala gioielli e pellicce, perché non posso regalarmi un editor? 😀 ) E poi vedremo la sua valutazione.

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